Giacomo aveva lasciato alle spalle la baruffa con Isabella, che aveva minacciato tuoni e fulmini se non avesse messo la testa a posto e ordine alla sua vita, rispettando i doveri coniugali e familiari.
“Siete voi, l’uomo, e dovete dirigere la casa, pagare i fornitori e gestire i contadini. Voi non ci siete mai quando serve. Devo fare tutto io!” attaccò la donna appena lui mise piede nella stanza.
“Ma Madonna Isabella, io sono l’ingegnere del Duca e ..” replicò con soavità.
“Ma quale ingegnere! Voi siete il mio sposo e dovete accudire me e le bambine ..” urlò con quanta voce aveva in corpo.
Giacomo impallidì e stava per esplodere con un «Ho anche delle figlie?», quando, mordendosi le labbra, si trattenne dal dire qualcosa. Cercò vanamente di darsi un contegno, perché erano ormai quasi quattro mesi che frequentava questa casa e nessuno aveva avuto il coraggio di avvertirlo della figliolanza. Come una cipolla si spoglia, levando una buccia dopo l’altra, così scopriva una moltitudine di aspetti che lo coinvolgevano un po’ alla spicciolata.
“Ma loro stanno bene? Non me le mostrate mai e come faccio a seguirle?” disse timidamente per rifilare la patata bollente alla moglie.
“E come? Tornate a ore impossibili oppure vi assentate per giorni. State chiuso nelle vostre stanze con quella Ghitta ..”
“Veramente Ghitta me l’avete assegnata voi! E poi se non ci fosse lei ..”.
“Sì, se non ci fosse lei, ne avreste trovata un’altra di gonna per soddisfare i vostri istinti. Uno sposo così fedifrago, come posso mostrarlo alle mie figlie?” replicò acida.
“Ecco il punto. Sono figlie vostre e ..” incalzò Giacomo. “Voi me le negate e le mettete contro di me come se fossi un mostro”.
L’ultima stoccata aveva colto nel segno e Isabella era a corto di munizioni da sparare, perché colta dall’ira si era tirata la zappa sui piedi.
“Poi” aggiunse trionfante, affondando il coltello nella piaga. “Voi alla notte avete mille mali e non siete mai disponibile. Che devo fare? Una petizione al Duca o una richiesta al Vescovo?”.
La donna aveva perso ogni velleità e riusciva solo a balbettare qualche parola poco coesa, ormai sconfitta sul piano della dialettica.
“Se non avete altro da dirmi, mi ritiro nelle mie stanze a mangiare qualcosa. Ho un lavoro urgente e delicato da svolgere per il Duca e non vorrei perdere tempo in chiacchiere di poco conto. A proposito. Stasera posso passare dalla vostra stanza?”.
“Ma veramente. Non so.. Sarebbe meglio di no. Sapete ..” farfugliò incerta e colta di sorpresa da questa richiesta che era nella carte de dolèance. Negarsi aveva avuto il significato della resa senza condizione ed era un argomento che non poteva più spenderlo.
“Sapete che non avete voglia della mia compagnia” tagliò corto Giacomo e con un inchino la salutò, uscendo dalla stanza.
Chiusa la porta dei suoi appartamenti, chiese a Ghitta se le figlie stavano bene.
“Sì, le ho viste mentre voi eravate da Madonna Isabella. Non so il perché ma vi assomigliano poco. Beatrice ha un curioso naso e una capigliatura ricciolina come quella degli ebrei. Lucrezia è un amore, ma ha un colorito scuro e capelli folti e neri”.
“Volete dire per caso che non sono figlie mie?” chiese burbero, anche se dentro di sé ridacchiava.
“No, messere. Non intendevo dire questo. Non mi piace malignare come una comare. Ma la cuoca dice sempre che ..”
“Cosa dice la cuoca? Mi interessa conoscere il pensiero di chi lavora in questa casa. Dimmi, cosa ha detto la cuoca?”
Ghitta divenne rossa come un pomodoro maturo, poi disse in maniera appena sussurrata. “Dice che Beatrice assomiglia a Abramo ..”
“Abramo? E’ chi è costui?” domandò curioso e inquieto, immaginando già la risposta.
“E’ il commerciante di tessuti, che visita regolarmente la casa” pronunciò tutto d’un fiato la serva, come sgravata da un macigno che le pesava troppo.
“E Lucrezia di chi sarebbe figlia, visto il colorito non pallido?” incalzò Giacomo.
“Ma non so. Però posso sentire da Geltrude ..”.
“E chi sarebbe Geltrude?”
“La cuoca, naturalmente” replicò sorridente.
“Fa la cuoca o la comare?”
“Entrambe le cose!”
“Bene dopo i pettegolezzi, portami qualcosa da mangiare. Queste chiacchiere mi hanno messo appetito. Vorrei fare un riposino prima di riprendere un certo lavoro”.
Mangiò e il riposino fu rimandato ad altro giorno. Ghitta aveva degli argomenti molto persuasivi. Naturalmente anche quel certo lavoro fu spostato al giorno successivo. Adesso doveva tornare in città per l’appuntamento con Giulia. La serva corrugò la fronte e le chiese se sarebbe tornato per la sera.
“Non lo so. Dipende da certi affari” disse Giacomo in maniera enigmatica, prima di allontanarsi con la carrozza.
Il nuovo giorno arrivò soleggiato e caldo ma Laura rimase sepolta da una marea di domande che qualche volta facevano male come sassate.
Quando il cielo cominciò a rischiarare, la ragazza si alzò un po’ intontita per la notte trascorsa agitata e quasi insonne, preparandosi per la nuova giornata di lavoro. La visita alla delizia era stata archiviata come una bella parentesi, di cui ignorava quali sarebbero stati gli sviluppi futuri. Si lavò nella speranza di togliersi la patina dell’insonnia, indossò un comodo camicione di canapa grezza e ruvida e scese in cucina, dove trovò la madre pronta a porle raffiche di domande. Non poteva sottrarsi come la sera precedente e come San Sebastiano si preparò al martirio trafitta dalle frecce delle domande.
“Ieri sera avevo mille quesiti da porvi ma voi li avete scansati con eleganza. Oggi esigo risposte precise e coerenti. Come avete trascorso la giornata? Non mi lascio abbindolare da repliche fumose e incerte. Siete avvertita a rispondere dicendo la verità”.
“Madre, è stata una giornata meravigliosa tra suoni e cibo. Il nostro amatissimo Duca è stato un cavaliere perfetto. Non ne ho mai incontrato uno …”
“Forse volete dire che per l’intero pomeriggio vi siete guardati negli occhi, tenendovi per mano e declamando sonetti d’amore? Ma che figlia ho generato! Il nostro eccellentissimo Duca avrà pensato che siete fredda come il marmo! E così avete sprecato questa nuova occasione. Il destino non bussa più di due volte ..”
“Ma madre, cosa dovevamo fare?” la interruppe, abbassando gli occhi, per non mostrare l’imbarazzo su quello che Paola si aspettava che dicesse.
“Cosa dovevate fare? Devo forse spiegarlo a mia figlia, che pare una vergine Maria votata alla castità? Tra un uomo e una donna cosa si fa? Mi pare una sola cosa e voi niente .. Ci potreste ricavare un bel po’ di fiorini d’oro e forse altro. Prima o poi deve capitare. Ed è meglio con nostro Duca che con un uomo qualsiasi. Fosse capitato a me! Invece ..”.
“Invece cosa, Madre?” domandò Laura che intuiva la risposta.
“Invece mi sono dovuta accontentare di ..”. Fece una pausa e stava per confessare il tradimento con quel conte, quando udì il tossire discreto del marito e si fermò in tempo.
“Ma non sono pentita di averlo fatto con Francesco” aggiunse voltandosi verso di lui.
“Beh, veramente .. forse non era la prima volta” replicò imbarazzato l’uomo.
“Ero illibata quando l’abbiamo fatto la prima volta! Non ricordi le macchie di sangue sul lenzuolo?”.
“In effetti mi sembrava pomodoro ma forse è meglio parlare di questi argomenti intimi e delicati in privato e non di fronte a nostra figlia”.
Paola arrossì violentemente mentre Laura sorrideva compiaciuta per lo scivolone della madre.
“Poi madre, mi racconterete tutto nell’intimità della mia stanza. Ora non mi sembra il momento adatto”. Si sedette e bevette la scodella di latte, ormai tiepido. Doveva imparare ancora molti segreti di come comportarsi con un uomo. Per il momento riteneva che l’atteggiamento assunto fosse quello più fruttifero.
“Aprire le gambe con troppa docilità non mi porta da nessuna parte. Il nostro Duca mi avrebbe liquidato con qualche fiorino, come usa con le donne di malaffare. E mi sarei sentita come loro. Una sottile differenza ci avrebbe diviso: io avrei provato vergogna, loro lo fanno per mestiere. Per contro negarsi con garbo ha suscitato l’interesse verso di me. Aspettiamo e vediamo i risultati” rifletté mentre inzuppava un pezzo di pane nel latte ormai freddo.