Il Borgo – Capitolo 5

Finite le fotografie e dopo aver camminato per Castel del Rio come gitanti della domenica col naso all’insù, ripresero il loro viaggio verso la meta che non doveva distare ormai troppi chilometri.

Arrivati nel paese di Moraduccio, persero il cartello con l’indicazione Castiglioncello, superando le quattro case della frazione.

Eppure le spiegazioni del tragitto parlavano chiare” sbottò Laura, innervosita dal contrattempo. Non amava sbagliare strada né chiedere le informazioni a qualcuno. Si fidava troppo della sua memoria, del suo senso di orientamento e di osservazione anche durante la guida ma stavolta aveva le polveri bagnate.

Non fa nulla” disse Eva, mettendole una mano sulla spalla per tranquillizzarla. “Torniamo indietro e chiediamo. Nessuno ci mangerà”.

La ragazza borbottò qualcosa di poco intellegibile e al primo spazio utile fece una bella manovra a U, tornando in paese che pareva disabitato.

Che sia questo il borgo fantasma?” chiosò Marco, cercando una battuta che rompesse il clima teso. “Non si vede anima viva!”

Non sono in vena di spiritosaggini sarcastiche” rispose acida una Laura piuttosto infastidita.

Una cappa di gelo divenne ancora più tangibile nell’abitacolo come se l’inverno fosse piombato lì con grande anticipo.

Giacomo fece un sorriso e rompendo il silenzio disse di fermarsi in quello spazio tra le due case. “Proprio quello di fianco a quell’abitazione bassa e dalle persiane rosse”, indicandola con il dito della mano.

Scendo e busso a una porta per avere qualche informazione, Non mi pare che non ci sia nessuno”. Aveva appena pronunciato quelle parole che un vecchio con la pipa spenta in bocca uscì da una porticina con una sedia di legno impagliata, mettendosi a osservare le manovre dei ragazzi.

Buongiorno!” disse Giacomo avvicinandosi sorridente. “Abbiamo perso l’indicazione per Castiglioncello. Non saprebbe dirmi dove la trovo?”

Il vecchio accennò col capo verso destra senza proferire parola. Il ragazzo guardò in quella direzione e come per magia comparve il segnale turistico per il borgo fantasma. Stava per ringraziarlo, quando un voce flebile gli domandò perché volevano andare là.

Abbiamo letto che è un borgo fantasma, abitato solo dal vento e dagli spiriti” rispose garbatamente Giacomo. “Grazie per l’indicazione”.

Fate attenzione. Ogni tanto crolla qualcosa” replicò asciutto, masticando il beccuccio della pipa.

Grazie per l’avvertenza. Faremo molta attenzione a che non ci piova qualcosa in testa” rispose educatamente salutandolo con un cenno della mano.

Si avviò sereno e fischiettante verso l’auto facendo ampi gesti per segnalare il cartello affisso sulla parete della casa.

Visto. Tutto risolto” affermò il ragazzo risalendo in macchina. “Ci potevamo passare davanti mille volte ma sarebbe stato un fantasma anche quel segnale. Ci voleva la presenza e la saggezza di quel vecchio per farlo materializzare”.

A questa battuta tutti risero allegri mentre i musi lunghi lasciarono il posto a visi sorridenti.

«Simpatico, Giacomo!» pensò Eva, osservandolo con curiosità. «Se non fosse stato per lui, questa gita spensierata si sarebbe trasformata in una lagna di tutti contro tutti. Però Laura è un bel peperino. Non ammette sconfitte. Sempre sicura di sé anche quando ha torto. Non si può dire che sia una perdente».

Marco strinse le labbra e storse il naso. «Se questo è il leitmotiv dell’avventura, non promette bene» ragionò lucido.

Pace, Marco?” disse inaspettatamente Laura con fare umile. “Ho sbagliato a reagire così bruscamente prima. Mi ero innervosita e ce l’avevo con me stessa. Però ho risposto con parole inappropriate alla tua battuta che aveva l’intenzione di sdrammatizzare l’atmosfera. Spero che accetti le mie scuse”

Okay. Episodio già dimenticato” replicò con tono neutro il ragazzo, non del tutto convinto del ramoscello di ulivo offerto dalla ragazza.

Infilato il viottolo stretto ma asfaltato, scesero fino a uno spiazzo sul greto del Santerno, dove era possibile lasciare la Panda. Un minuscolo ponticello permetteva l’accesso alla carrareccia, che portava al borgo, che si intravedeva malinconico su un poggetto tra le chiome degli alberi.

Dobbiamo lasciare l’auto qui e proseguire a piedi” disse Laura, spegnendo il motore. I quattro ragazzi si guardarono intorno inspirando l’aria frizzante del posto, che stimolava pace e serenità.

Che bella cascatella!” esclamò Eva indicando il rivolo d’acqua che scendeva da una spaccatura della montagna poco più a valle rispetto loro.

E’ la cascata del Rio dei Briganti” confermò Laura.

E’ zona di briganti, questa?” chiese Giacomo con un misto di ironia e curiosità.

Non lo so ma lo presumo. Questa è un’area di confine. A ogni passo cambiamo regione dalla Romagna alla Toscana e viceversa. Un tempo, dicono le cronache, era un posto conteso e strategicamente importante, perché da qui passavano le merci dall’Adriatico al Tirreno” proseguì la ragazza, mentre i compagni l’ascoltavano in silenzio.

Il rumore delle acque, che gorgogliavano tra la petraia del fiume, il ronzio degli insetti che avvertivano ancora il tepore dell’estate, il volare di farfalle bianche e colorate conferivano al posto un qualcosa di magica tranquillità.

Scarichiamo la macchina. Ci aspetta un viottolo ripido prima di arrivare alla meta della nostra gita” sollecitò Laura, che non stava più nella pelle di vedere coi propri occhi le rovine del paese.

In silenzio ognuno prese con sé quanto era necessario per la giornata.

La grande avventura aveva inizio.

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Il Borgo – Capitolo 4

Era il 5 settembre del 2009, quando Laura scese in strada per aspettare i compagni di questo viaggio visionario e fantastico. Era eccitata, come la prima volta che aveva affrontato da sola un tour in Germania, e nel contempo intimorita e impaurita per la complessità del progetto che desiderava avviare.

La giornata prometteva bene. Un bel sole caldo riscaldava l’aria, appeso in un cielo terso e limpido privo di nuvole. Aveva trepidato leggendo le previsioni meteorologiche di Arpa dell’Emilia Romagna nei giorni precedenti. «Oggi annunciano sole pieno e tempo sereno con temperature intorno ai 20°» diceva dentro di sé per esorcizzare il timore che avessero sbagliato le stime. «Non sarebbe la prima volta e neppure l’ultima» rifletteva mentre si lisciava i capelli per il nervosismo.

Era raccolta in queste riflessioni, quando osservò una vecchia Punto che accostava timidamente al marciapiede qualche metro dopo di lei. Non aveva mai visto i loro visi come loro non avevano avuto la possibilità di vedere una sua fotografia. Quindi era un incontro al buio e tutte le cautele erano d’obbligo per non incappare in malintesi antipatici.

“Forse è Giacomo” pensò rimanendo immobile dov’era.

Dall’auto scese un ragazzo non molto alto coi capelli scuri tagliati corti ma non troppo. Una leggera peluria biondo rossiccia incorniciava il viso ma era lo sguardo franco e accattivante che la colpì. Si mossero quasi all’unisono andandosi incontro.

“Laura?” chiese un po’ incerto.

“Giacomo?” rispose la ragazza, allungando la mano.

“Felice di conoscerti” replicò, stringendola con vigoria senza stritolarla.

Una risata ruppe l’incantesimo del momento, sciogliendo quel leggero velo di incertezza che li aveva colti.

“Manca solo Eva”. Tacque una frazione di secondo prima di riprendere a parlare. “Hai qualcosa da caricare sulla mia Panda 4X4?”

“Si” disse, aprendo il baule della Punto per estrarre uno zaino della Invicta gonfio e pesante.

Erano intenti nel trasbordo, quando videro una Polo grigia che avanzava verso di loro con lentezza come se stesse cercando qualcuno. Laura notò che era una coppia di ragazzi, un uomo e una donna, e non li associò a Eva. «Dovrebbe arrivare una ragazza e non una coppia. Forse stanno cercando qualcun altro che non sono io» rifletté, osservando l’auto con la coda dell’occhio, mentre manovrava per accostare al marciapiede. Parcheggiò dinnanzi alla macchina di Giacomo, perfettamente allineata al cordolo.

“Forse hanno necessità di informazioni” si disse controllando le mosse degli occupanti.

Un ragazzo e una ragazza si mossero verso di loro. La giovane non era molto alta e aveva un bel sorriso luminoso. A Laura piacque immediatamente. Il giovane era alto e biondo dal viso serio e leggermente annoiato. Però si faceva notare per il modo franco di camminare. Sicuro di sé e per nulla altezzoso.

“Ciao. Sono Eva” esordì la ragazza. “Laura?”

“Ciao” rispose. “Benvenuta in questa compagnia di visionari amanti della natura”.

Osservò il ragazzo con attenzione domandandosi se era un semplice accompagnatore oppure era un aggregato inatteso e dell’ultima ora.

“Questo è ..” disse Eva girandosi verso il compagno che stava alle sue spalle. “Questo è Marco, il mio ragazzo. Se non è d’impiccio, ci farà compagnia in questa escursione”.

“Ciao” rispose Laura, che quasi si stava dimenticando di Giacomo. “Certamente è il benvenuto tra noi”. Poi come colta da un’improvvisa folgorazione aggiunse ridendo per coprire l’imbarazzo. “Non vi ho presentato Giacomo, l’altro componente della spedizione”.

Una serie di «Ciao» e un intreccio di mani misero fine alle presentazioni.

“Ho strappato Marco dal suo antro, la camera oscura. Lui ama la fotografia ed è un valente fotografo. Credo che le sue magie ci possano essere utili oggi ma anche domani se il progetto prende forma” disse Eva per giustificare la presenza del compagno.

“Meraviglioso” esclamò Laura battendo le mani come una bambina felice di aver ricevuto un regalo inatteso.

“Calma, calma. Eva mi spaccia per un Frank Capa in miniatura ma sono molto meno abile. Un modesto dilettante al quale piace inquadrare degli oggetti e delle persone” replicò senza troppi trionfalismi.

“Non dategli ascolto. Marco è bravissimo. Vedrete e toccherete con mano la sua abilità con gli obiettivi”.

“Bene. Che ne dite di avviarci?” chiese Laura. “Avete qualcosa da scaricare, prima di metterci in viaggio?”

Marco si avviò col suo passo deciso e svelto verso il baule della Polo, da dove tolse uno zaino, una sacca e delle borse tipiche del fotografo.

Il viaggio stava iniziando sotto i migliori auspici. Lasciata Bologna avevano deciso di percorrere la via Emilia per godersi un viaggio meno monotono rispetto all’autostrada.

“Facciamo una sosta da Dino” disse Laura, dirigendosi verso Castelguelfo.

“Chi sarebbe?” chiese Eva.

“Un bar pasticceria dove possiamo fare un’ottima colazione e portare con noi un bel dolce della casa”.

“Ma lo conosci?” chiese curioso Giacomo.

“No. Cercando sul web qualche notizia ho trovato sul sito Itinerari di Bologna che andando verso Castiglioncello c’è questa ottima pasticceria”.

“Ma allora ci usi come cavie?” proseguì per nulla convinto Giacomo. A questa battuta tutti risero, perché era stata detta con un tono talmente serio e compunto che non era possibile resistere.

“Ma no! Ne ho sentito parlare. Un tempo era famosa. Cosa costa fermarci?” disse cercando di togliere i dubbi.

“Ma perché parli al passato?” continuò imperterrito l’ingegnere. Ormai il dialogo pareva surreale: da una parte Laura che tentava di fugare le perplessità senza riuscirci, dall’altro Giacomo che incalzava con nuove domande senza essere persuaso dalle spiegazioni.

“Ma sei sempre così diffidente?” chiese Eva.

“No, non sono diffidente” si difese il ragazzo. “Mi piace capire quello che si fa e ..”

“Spaccare il capello in quattro” sbottò Marco.

“No, no!” disse Laura. “Sei un ingegnere tosto e quadrato. Fai benissimo a chiedere”. Non voleva dare l’impressione che tutti remassero contro di lui.

“Beh! Insomma .. Manca molto per arrivare da Dino. Almeno il caffè lo fa?” replicò arrossendo un po’.

“Credo di sì. La pubblicità parlava di pasticceria bar. Non siamo molto distanti. Ancora qualche minuto di strada”.

“Sembri pratica delle strade ..” notò Giacomo.

“Eh! Beh! Sì” farfugliò Laura. “Non hai mai sentito parlare del outlet di Castelguelfo?”

“No. Mai” esclamò divertito il ragazzo. “E roba da donne ..” aggiunse calando di nuovo la maschera della persona seria.

“Ci passiamo di fianco. E’ ancora presto ma tra poco le strade saranno intasate di macchine”.

L’atmosfera nell’abitacolo s’era riscaldata con battute e frecciate ma si respirava un bel clima.

Fatta la sosta da Dino, ripresero la via Emilia fino a Imola, dove presero la provinciale la Montanara che avrebbe condotto verso la meta del viaggio.

Era passato da poco più di un’ora dalla partenza, quando raggiunsero Castel del Rio, prima di affrontare l’ultimo tratto del viaggio verso il borgo fantasma. Si fermarono in paese per una rapida visita, perché avevano letto che meritava una piccola sosta, prima di proseguire per Moraduccio, quattro case immerse nel verde dei primi contrafforti dell’Appenino tosco-emiliano al confine con la Toscana.

Marco estrasse una reflex per scattare diverse istantanee degli angoli più caratteristici del paese. L’occasione permise a Laura di osservare meglio la coppia, che le pareva ben assortita e affiatata. Lui di sicuro non aveva il sorriso contagioso, perché era sempre serio ma mai col broncio. Dalla battuta pronta e incisiva non perdeva l’occasione per far sentire la sua voce. Alla ragazza fece un’ottima impressione e avvertì una certa invidia nei confronti di Eva, solare e sorridente. Se il ragazzo appariva introverso, lei era di certo estroversa. L’impressione era che fossero complementari e mai antagonisti. Mentre osservava il ragazzo, concentrato nello scegliere l’inquadratura più vicina ai suoi gusti di fotografo, la ragazza chiacchierava fittamente con Giacomo, come se fosse disinteressata a Marco.

Laura rifletté che era solo apparenza, perché con discrezione seguiva l’armeggiare del compagno, pronta a portargli la borsa, qualora se ne presentasse la necessità.

“Si” convenne dopo queste osservazioni. “Sicuramente è una coppia ben affiatata. Nessuno dei due sta col fiato sul collo dell’altro”.

Mentre faceva queste considerazioni, la sua attenzione cadde su Giacomo, che era rimasto defilato dopo il duetto per la sosta da Dino.

“L’ho trascurato” pensò la ragazza. “Dopo il primo contatto ho scambiato con lui solo quattro battute per lo più banali e scontate”.

Non era riuscita ancora a inquadrarlo perfettamente. Le sembrava tetragono agli entusiasmi suoi e di Eva ma forse era solo una sensazione passeggera.

Mentre Laura era impegnata a valutare e riflettere sui compagni di viaggio, Giacomo analizzava Laura, Eva e Marco.

Gli era sembrato che Laura prestasse troppo interesse a Marco, che per contro pareva poco interessato a lei. Però era simpatica e piena di idee. «Un piccolo vulcano in perenne eruzione» era il concetto che si era fatto. Senza dubbio aveva un certo fascino che colpiva la sua immaginazione. “Alta nella media. E’ leggermente più bassa di me. Se mettesse i tacchi mi sovrasterebbe” rifletteva, osservandola con rapidità mentre chiacchierava con Eva. “Però sono quegli occhi mobili e luminosi il punto di forza del suo aspetto. Quel grigio per nulla slavato, appena venato di un azzurro pallido mi hanno colpito fino dal primo istante”.

Un altro aspetto aveva accesso il suo interesse: la capacità di parlare con proprietà su argomenti diversi tra loro.

Fino quel momento non era pentito di aver accettato questa avventura quasi irrealizzabile. “Sono tutti veramente simpatici. Ascoltarli è un vero spasso”.

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Il Borgo – Capitolo 3

Esaminò con cura l’elenco di località che attualmente erano abitate da fantasmi e un tempo da persone, per restringere il cerchio su un posto che fosse vicino a Bologna e interessante per farlo rivivere.

La scelta cade su Castiglioncello che distava da Bologna appena cinquanta chilometri. Se faceva una ricerca col nome compariva solo una celebre località turistica della costa toscana, mentre il borgo fantasma rimaneva tale.

Trovò qualche indicazione su come arrivarci, qualche descrizione sparsa in qua e in là con diverse fotografie. Era veramente poco per cominciare un’avventura della quale non conosceva né i dettagli né come sarebbe finita. Però non si scoraggiò. Non era facile dissuaderla una volta che aveva in mente un obiettivo.

La sua idea era pazzesca: rimettere in sesto un borgo e poi abitarlo.

“Con quali soldi?” si domandò con un filo di incoscienza. “Non lavoro e non produco reddito ma vivo alle spalle dei miei genitori. Studio ancora con una prospettiva futura incerta. Mi chiedo se riuscirò a dare corpo a questo sogno”.

Naturalmente erano solo riflessioni inutili, perché aveva ormai deciso di ridare vita a questo borgo popolato da ruderi ed erbacce.

Parlarne coi genitori non ci pensava per nulla, almeno in questa fase. Sarebbe stato troppo prematuro. E poi avrebbero mosso mille obiezioni, tutte giuste e pertinenti, nel tentativo vano di farla ragionare.

“Da dove comincio?” si pose come primo quesito. “Una visita al borgo può starci. Anzi è una tappa obbligata per rendermi conto della grandezza dell’impresa”. Era un puro eufemismo, perché il progetto era talmente complesso che il solo pensarci faceva venire il mal di testa. “Un paio d’ore di macchina per raggiungere la località. Poi osserverò di persona lo stato di abbandono del borgo e le condizioni dei ruderi”.

Doveva coinvolgere qualcuno in questo primo approccio, perché quattro occhi vedono meglio di due, mentre due teste ragionano meglio di una.

“Chi potrà essere?” si chiese come secondo quesito, mentre sognante già immaginava di essere la castellana del borgo. “Chi? Nessuna amica ha mai approvato questa mia mania di cercare località sconosciute e misteriose. Amici? Ne ho ben pochi ..”. Un largo sorriso le illuminò il viso, perché era terribilmente single. Quei pochi ragazzi che avevano tentato di abbordarla erano stati messi in fuga dal suo carattere ribelle e scontroso, dalle sue idee e passioni. Tempo di conoscerla solo appena un poco e poi «Rimaniamo buoni amici» dicevano prima di defilarsi elegantemente e sparire dal radar di Laura. Le rare amiche la sopportavano di più, perché era l’unica sempre disponibile senza essere mai troppo invadente.

Eppure era una bella ragazza dai capelli mossi color castano che incorniciavano un viso regolare. Non aveva uno charme prorompente ma attirava gli sguardi degli uomini. Il tallone d’Achille era il carattere tutto pepe, un trottolino mai fermo dalla battuta pronta e tagliente. Non era facile domarla, perché amava la propria indipendenza, forte di un carattere deciso e per nulla accondiscendente.

Era agosto, anzi verso la fine del mese, quando pensò di dar vita al progetto.

“Se voglio organizzare qualcosa devo darmi da fare. Settembre è un mese ideale per uscire all’aria aperta ma le giornate sono corte e le probabilità di temporali in montagna sono elevate. Quindi devo sbrigarmi prima che poi sia troppo tardi”.

Rifletté e decise che Facebook sarebbe stato il veicolo ideale per trovare qualche compagno di viaggio o meglio qualche pazzo come lei.

«Cerco un compagno o compagna, che ami l’avventura per un progetto pazzesco nella vicinanze di Bologna» era l’annuncio sulla sua pagina del social network, che frequentava in maniera saltuaria.

“Mi do tempo una settimana per trovare qualcuno, poi vado da sola” si disse dopo aver scritto questo tra gli eventi. “Però dovrei mandarlo in giro. Ma a chi? Gli amici si contano sulle dita di una mano. Le visite ancora meno. Devo cominciare a esplorare gli amici dei pochi amici che ho e allargare il giro”.

Si dedicò con passione e puntiglio alle visite dopo aver stretto nuove amicizie., creando un certo movimento. Scrisse qualche riflessione intelligente, qualche battuta tra l’ironico e il sornione, finché racimolò due contatti. Le parvero interessanti: una ragazza di Modena e un ragazzo di Ferrara. Entrambi avevano più o meno la sua età tra i ventidue e ventiquattro anni.

La ragazza, Eva, studiava architettura a Ferrara, era incuriosita dal progetto e mostrava segni di vivo interesse. Sarebbe stata un’ottima occasione per applicare quello che stava studiando e avrebbe potuto essere un buon argomento di tesi.

Il ragazzo, Giacomo, amava viaggiare, le avventure anche pericolose ed era attratto da tutto quello che era fuori dell’ordinario. Si era appena laureato in Ingegneria. Si concedeva questa avventura come premio del traguardo raggiunto.

Si diedero appuntamento al primo sabato di settembre sotto casa di Laura, nel quartiere Mazzini, alle nove del mattino.

Cominciava la grande impresa tra allegria e sole caldo.

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Il Borgo – Capitolo 2

Tutto era cominciato per caso, come capita sovente per le grandi imprese.

Laura era una grandissima viaggiatrice: non c’era parte del mondo che non conoscesse, almeno virtualmente. La sua smania di scoprire nuovi mondi inesplorati o quasi l’aveva colpita quando aveva quindici anni e da allora non l’aveva abbandonata. Però per lo più viaggiava con la fantasia, visitando col PC agenzie e tour operator, programmando favolosi viaggi nell’oriente misterioso. Studiava sulle mappe il prossimo viaggio che vorrebbe compiere. Si metteva le cuffie, apriva Google Map e comincia a cercare località che non aveva ancora visitato. Cercava ogni notizia utile sulla località prescelta, studiando il percorso con l’ausilio di mappe dettagliatissime o esplorando il posto con Google Earth.

Poi chiudeva gli occhi, si abbandonava sulla poltrona della scrivania ad ascoltare Mozart, mentre la fantasia galoppava felice verso mondi esotici o caserecci. Prendeva treni, aerei, cavalli o muli, cammelli o slitte trainate da cani, andava a piedi e si guardava intorno per cogliere tutto quello che c’era da osservare e da gustare. E tutto gli appariva come reale, come la sete di conoscere era inestinguibile.

Laura abitava a Bologna dove viveva ancora nella casa dei genitori. Frequentava l’università con notevole profitto con la speranza di ottenere un buon lavoro e trasformare la sua voglia di viaggiare in qualcosa di più concreto. Per il momento si doveva accontentare di viaggi di poco conto e non troppo distanti dalla sua città.

Aveva ventuno anni, quando un giorno ricevette in maniera fortunosa da una conoscenza casuale un link, che le permise di scoprire che c’era un castello in Toscana meritevole di una visita. Un castello abbandonato come tanti borghi sparsi per l’Italia. Ricordava perfettamente un viaggio di Paolo Rumiz, che aveva esplorato tante case fantasma nel reportage pubblicato su La Repubblica di agosto.

Immediatamente decise di visitarlo, incuriosita dalla storia intorno a questo antico maniero. Non era un tragitto molto lungo e lo poteva compiere in giornata. Era stata spinta da una grande curiosità, un po’ fanciullesca, a intraprendere questo viaggio, quando Laura partì con la sua Panda 4×4 per un paesino, che era appena segnato sulle mappe stradali più dettagliate. Arrivata nel paese di Moneta o meglio nell’antica frazione extraurbana di Carrara con quel nome. Era un sito antichissimo, già presente ai tempi dei romani, perché alcune notizie non confermate parlavano di Moneta come un “fundum” con “villa rustica” della gens romana dei Monetii o Munatii della colonia romana di Luni, ancora registrato nel secolo II d.C. nelle “Tabulae de Veleia”.

Quando giunse al Castello di Moneta, o meglio a quello che ne rimaneva, erano le prime ore di un pomeriggio di luglio caldo e afoso. Si era mossa armata con la solita macchina fotografica e con molta voglia di conoscere e di osservare con i propri occhi questo angolo della Toscana sconosciuto alla maggioranza.

In effetti il desiderio di scoprire novità superava le difficoltà per arrivarci, perché ci voleva il patentino per il Camel Trophy. La strada cessava di essere asfaltata dopo 150 metri e poi una carrareccia praticamente impraticabile.

Dunque giunta a Carrara, seguì le indicazioni del sito per raggiungere la frazione di Fossola, dove, dietro la pregevole Parrocchiale dell’Arcipretura di San Giovanni Battista, edificata nel XVIII secolo con tutti gli arredi e i marmi della vecchia chiesa castrense, trovò un cartello giallo che lo segnalava a 1400m. Imboccata via Moneta, che era pretenzioso definirla come tale, perché si trattava in realtà di una mulattiera acciottolata, oltrepassò “Il Ciocco”, il primo quartiere fortificato d’epoca medievale esterno alle fortificazioni. Dopo circa 1 km. di ripidi tornanti tra uliveti e vigneti dell’ottimo “vino di Moneta” arrivò direttamente al Castello. In pratica in rigoroso silenzio si faceva spazio tra rovi ed escrementi umani, salendo verso il rudere.

Senza fare della polemica spiccia perché sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa, si chiese se non sarebbe stato possibile renderlo accessibile e visitabile, illuminandolo e pulendolo, facendolo conoscere attraverso guide e pubblicazioni non microscopiche, senza restauri selvaggi a base di cemento, come si poteva osservare in alcuni punti della struttura e nelle mura di contenimento a scapito di mura di sassi, antichi di un buon millennio. Si domandò chi era stato quel genio che poteva aver autorizzato uno scempio del genere. Tutto sommato era stato un borgo importante e conteso nei secoli con una bella storia da raccontare. Si pose una domanda ancora una volta, perché, dopo il naturale abbandono a favore del paese di Fossola, costruito con le pietre del castrum, si era permesso che andasse in malora invece che renderlo un’attrazione turistica e farlo tornare allo splendore di un tempo. Ritornando a Bologna si chiese se c’erano altri borghi abbandonati che avrebbero potuto essere recuperati e resi nuovamente vivi.

Così cominciò a cercare sulla rete questi posti preda di erbacce e dell’incuria dell’uomo. Con notevole sorpresa ne scoprì non uno ma molte migliaia. Come don Chisciotte trasformò i mulini a vento nei suoi nemici, così Laura decise di adottare un borgo e, sperando con l’aiuto di altri appassionati come lei, di ridargli la dignità che gli spettava.

Per fare questo servivano soldi e tempo, persone e materiali, che non possedeva, ma come era solita fare non si perse d’animo.

La rete l’avrebbe aiutata, pensò.

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Il borgo – Capitolo 1

10 Agosto 2012

Un fuoco vermiglio illuminava i volti di un gruppo di persone che erano riunite nella corte del Castello. La notte era scura per la mancanza della luna ma il cielo nero era punteggiata di innumerevoli stelle, che risaltavano come tanti lumini per l’assenza del riverbero della città. L’aria frizzante dei quattrocento metri dell’Appenino tosco-emiliano accarezzava il viso di quei giovani attorno al falò, che lanciava come una sfida verso l’alto faville che si perdevano nell’oscurità lasciandosi dietro una scia rossastra.

Il frinire delle cicale ricordava che si era nell’estate, mentre piccole falene danzavano intorno alla luce rossa del fuoco pronte a immolarsi per raggiungere la fonte luminosa.

Mattia prese la chitarra sfiorando le corde tese mentre un suono indefinito si spandeva per l’aria.

“Dai suona qualcosa” disse Laura incitandolo ad accordare lo strumento.

“Non conosco nulla. Solo vecchie canzoni e per giunta nemmeno bene” mentì arrossendo senza essere notato dagli altri.

“Che importa” gli replicò Teresa. “Siamo in allegria. Oggi è un giorno speciale. Suona che noi cantiamo in coro”.

“Cosa?” chiese cercando di leggere sui volti dei compagni un titolo, un brano.

Una breve risata risuonò nell’aria come per pungolarlo e nello stesso tempo chiedersi quale importanza poteva avere una sigla.

Giacomo intonò una vecchia canzone del 1966.

«ho in mente te
ogni mattina uoh uoh
ed ogni sera uoh uoh
ed ogni notte te»

“E cosa sarebbe questa lagna?” domandò Betta. “Non la conosco e poi non potremo trovare qualcosa di recente che conosco anch’io? Almeno la posso cantare pure io”.

Mattia sorrise. Era una canzone molto orecchiabile, vecchia più di loro, che non erano ancora nati quando spopolava nei jukebox e sui vinili a 45 giri. Un flash lo riportò indietro nel tempo, quando aveva scoperto quella vecchia musica che l’aveva stregato e appassionato negli anni seguenti. Aveva trovato per caso nascosti in una vecchia scatola di scarpe una pila di dischi graffiati e polverosi e un involucro di plastica arancione che funzionava con due pile enormi, corrose e scoppiate nel loro alloggiamento.

“Cosa sono questi?” chiese a suo padre.

“Sono 45 giri della nostra gioventù. E quello è il mangiadischi ..”

“Mangiadischi? Ingoia i dischi triturandoli?” replicò sorpreso e ridente.

Suo padre gli spiegò con pazienza come funzionava.

“Metti un disco in questa feritoia e ascolterai la musica. Negli anni sessanta non c’erano mp3 o ipod, né altre diavoleria moderne. Si usava il mangiadischi e si ballava sulla spiaggia attorno al falò”.

Mattia scovò in cantina un vecchio e polveroso impianto hi-fi Pioneer con la piastra per ascoltare i vinili e travasò sull’uscita Cd-Rom tutti i dischi contenuti nella scatola. La qualità di riproduzione del suono era ovviamente scadente: fruscii, distorsioni e rumori di fondo quasi sovrastavano musica e voce. Con pazienza certosina ripulì i vari Cd con un programma software e li caricò sul suo mp3, che portava sempre con sé. Rimase stupito dalla qualità delle musiche italiane e straniere con band e cantanti del tutto sconosciuti ma famosissimi in quegli anni ruggenti, come ebbe modo di scoprire attraverso Google e su YouTube.

Da quel giorno si dedicò a cercare nei mercatini e sul web vecchie incisioni che erano sempre nuove per lui. Si sentiva come un esploratore alla ricerca di nuove specie d’animali. Nel suo caso era vecchie musiche quasi dimenticate sotto il peso degli anni.

Stimolato dall’uscita di Giacomo cominciò a pizzicare le corde della chitarra per riprodurre la musica e accompagnare lo stonatissimo compagno nella performance canora. Il gruppo ascoltò in silenzio i due ragazzi, mentre tentavano di dare un briciolo di plausibilità alla canzone.

“Come si chiama?” chiese Eva che canticchiava il motivetto, che era anche l’unico che i due conoscevano.

“Io ho in mente te. Equipe 84. Anno 1966” disse Mattia.

“Mai sentiti!” esclamò Marco stupito. “Ci credo. Chi sa dov’ero! I miei genitori forse non si conoscevano nemmeno. Anzi muovevano i primi incerti passi”.

Il ragazzo, deposta la chitarra, cominciò ad armeggiare con suo inseparabile mp3. “Ecco. Questa è la canzone vera. Non quella che abbiamo storpiato” disse alzando al massimo il volume, mentre nel silenzio della montagna si diffondeva la musica.

“Tutt’altra cosa rispetto alle vostre lagne” disse ridendo Sandra. “Non male, non male”.

“Se coi vostri smartphone, andate su Youtube e ricercate anni 60, troverete una quantità industriale di video con canzoni di quell’epoca ..”.

“Vedo che sei spiritoso. Il massimo che otteniamo dallo smartphone è una telefonata alquanto disturbata. Per il resto nebbia fittissima in val Padana” replicò allegramente Matteo.

“Mentre ascoltiamo la musica seria, prendiamo quelle bottiglie che abbiamo conservato per la fine del lavori e brindiamo” aggiunse Alba, alzandosi.

“Sì, sì! Ottima idea” dissero in coro alcuni di loro.

Un flop squarciò il silenzio della notte, mentre un fiotto di spuma uscì dalla bottiglia.

L’allegria era padrona del campo, mentre i dieci ragazzi si abbracciavano e bevevano lo spumante appena fuori dal caldo.

Una lunga notte li stava aspettando.

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