Finite le fotografie e dopo aver camminato per Castel del Rio come gitanti della domenica col naso all’insù, ripresero il loro viaggio verso la meta che non doveva distare ormai troppi chilometri.
Arrivati nel paese di Moraduccio, persero il cartello con l’indicazione Castiglioncello, superando le quattro case della frazione.
“Eppure le spiegazioni del tragitto parlavano chiare” sbottò Laura, innervosita dal contrattempo. Non amava sbagliare strada né chiedere le informazioni a qualcuno. Si fidava troppo della sua memoria, del suo senso di orientamento e di osservazione anche durante la guida ma stavolta aveva le polveri bagnate.
“Non fa nulla” disse Eva, mettendole una mano sulla spalla per tranquillizzarla. “Torniamo indietro e chiediamo. Nessuno ci mangerà”.
La ragazza borbottò qualcosa di poco intellegibile e al primo spazio utile fece una bella manovra a U, tornando in paese che pareva disabitato.
“Che sia questo il borgo fantasma?” chiosò Marco, cercando una battuta che rompesse il clima teso. “Non si vede anima viva!”
“Non sono in vena di spiritosaggini sarcastiche” rispose acida una Laura piuttosto infastidita.
Una cappa di gelo divenne ancora più tangibile nell’abitacolo come se l’inverno fosse piombato lì con grande anticipo.
Giacomo fece un sorriso e rompendo il silenzio disse di fermarsi in quello spazio tra le due case. “Proprio quello di fianco a quell’abitazione bassa e dalle persiane rosse”, indicandola con il dito della mano.
“Scendo e busso a una porta per avere qualche informazione, Non mi pare che non ci sia nessuno”. Aveva appena pronunciato quelle parole che un vecchio con la pipa spenta in bocca uscì da una porticina con una sedia di legno impagliata, mettendosi a osservare le manovre dei ragazzi.
“Buongiorno!” disse Giacomo avvicinandosi sorridente. “Abbiamo perso l’indicazione per Castiglioncello. Non saprebbe dirmi dove la trovo?”
Il vecchio accennò col capo verso destra senza proferire parola. Il ragazzo guardò in quella direzione e come per magia comparve il segnale turistico per il borgo fantasma. Stava per ringraziarlo, quando un voce flebile gli domandò perché volevano andare là.
“Abbiamo letto che è un borgo fantasma, abitato solo dal vento e dagli spiriti” rispose garbatamente Giacomo. “Grazie per l’indicazione”.
“Fate attenzione. Ogni tanto crolla qualcosa” replicò asciutto, masticando il beccuccio della pipa.
“Grazie per l’avvertenza. Faremo molta attenzione a che non ci piova qualcosa in testa” rispose educatamente salutandolo con un cenno della mano.
Si avviò sereno e fischiettante verso l’auto facendo ampi gesti per segnalare il cartello affisso sulla parete della casa.
“Visto. Tutto risolto” affermò il ragazzo risalendo in macchina. “Ci potevamo passare davanti mille volte ma sarebbe stato un fantasma anche quel segnale. Ci voleva la presenza e la saggezza di quel vecchio per farlo materializzare”.
A questa battuta tutti risero allegri mentre i musi lunghi lasciarono il posto a visi sorridenti.
«Simpatico, Giacomo!» pensò Eva, osservandolo con curiosità. «Se non fosse stato per lui, questa gita spensierata si sarebbe trasformata in una lagna di tutti contro tutti. Però Laura è un bel peperino. Non ammette sconfitte. Sempre sicura di sé anche quando ha torto. Non si può dire che sia una perdente».
Marco strinse le labbra e storse il naso. «Se questo è il leitmotiv dell’avventura, non promette bene» ragionò lucido.
“Pace, Marco?” disse inaspettatamente Laura con fare umile. “Ho sbagliato a reagire così bruscamente prima. Mi ero innervosita e ce l’avevo con me stessa. Però ho risposto con parole inappropriate alla tua battuta che aveva l’intenzione di sdrammatizzare l’atmosfera. Spero che accetti le mie scuse”
“Okay. Episodio già dimenticato” replicò con tono neutro il ragazzo, non del tutto convinto del ramoscello di ulivo offerto dalla ragazza.
Infilato il viottolo stretto ma asfaltato, scesero fino a uno spiazzo sul greto del Santerno, dove era possibile lasciare la Panda. Un minuscolo ponticello permetteva l’accesso alla carrareccia, che portava al borgo, che si intravedeva malinconico su un poggetto tra le chiome degli alberi.
“Dobbiamo lasciare l’auto qui e proseguire a piedi” disse Laura, spegnendo il motore. I quattro ragazzi si guardarono intorno inspirando l’aria frizzante del posto, che stimolava pace e serenità.
“Che bella cascatella!” esclamò Eva indicando il rivolo d’acqua che scendeva da una spaccatura della montagna poco più a valle rispetto loro.
“E’ la cascata del Rio dei Briganti” confermò Laura.
“E’ zona di briganti, questa?” chiese Giacomo con un misto di ironia e curiosità.
“Non lo so ma lo presumo. Questa è un’area di confine. A ogni passo cambiamo regione dalla Romagna alla Toscana e viceversa. Un tempo, dicono le cronache, era un posto conteso e strategicamente importante, perché da qui passavano le merci dall’Adriatico al Tirreno” proseguì la ragazza, mentre i compagni l’ascoltavano in silenzio.
Il rumore delle acque, che gorgogliavano tra la petraia del fiume, il ronzio degli insetti che avvertivano ancora il tepore dell’estate, il volare di farfalle bianche e colorate conferivano al posto un qualcosa di magica tranquillità.
“Scarichiamo la macchina. Ci aspetta un viottolo ripido prima di arrivare alla meta della nostra gita” sollecitò Laura, che non stava più nella pelle di vedere coi propri occhi le rovine del paese.
In silenzio ognuno prese con sé quanto era necessario per la giornata.
La grande avventura aveva inizio.
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