Capitolo 9 – Lo scontro

I due amanti si fronteggiavano senza vedersi, ma sentivano la reciproca presenza attraverso la pesante porta, come se questa fosse trasparente.
Goethe era più che mai deciso nella pretesa che Angelica gli dovesse dare spiegazioni sul suo comportamento nella giornata, perché non riusciva a comprenderne le ragioni. Per lui era normale comportarsi come stava facendo, perché non avvertiva alcun obbligo nei confronti della pittrice.
Non le ho mai mancato di rispetto. L’ho trattata con dolcezza senza pretendere da lei nulla, che non fosse disposta a concedermi. Perché mi lascia fuori dall’uscio come se fossi un appestato?” rifletteva il poeta incapace di cogliere le sfumature del rifiuto della donna.
Era vero che si era comportato con correttezza senza mai eccedere o esigere la sua disponibilità, ma non aveva compreso che la pittrice l’amava e lo desiderava, che il non avere rapporti sessuali era un’offesa alla sua femminilità, perché si sentiva esclusa dal mondo del poeta e tradita nei sentimenti.
Goethe frequentava donne di strada e Faustina tutte le sere per soddisfare i suoi desideri sessuali, mentre durante il giorno sfiorava appena Angelica con qualche furtivo bacio e veloci tenerezze. Inoltre non aveva capito che, sparendo per giornate intere, senza dire nulla o giustificarne le assenze, era un affronto intollerabile per lei. Non poteva rivelarle che le sparizioni improvvise aevano come fine frequentare salotti e camere da letto di alcune nobili romane, che facevano carte false pur di averlo accanto loro. Il poeta amava troppo le donne per rimanere fedele solo a una.
Già a Weimar la relazione con Charlotte von Stein era stata burrascosa per i molti tradimenti con altre dame per la sua incapacità di restarle fedele tanto che per sfuggire alle continue scene di gelosia era partito di nascosto per l’Italia. Questa era una costanza della sua indole, che per lui si trasformava in ordinario quotidiano nelle relazioni con le donne per lo più sposate, tanto che avevano lasciato un segno profondo nel carattere e nelle opere giovanili del poeta.
Di Angelica ne apprezzava la bellezza, perché rispecchiava i suoi canoni estetici, il carattere dolce ma risoluto, l’intelligenza pronta e acuta. Goethe l’amava anche se in maniera bizzarra e fuori dagli schemi usuali, ma era restio a trasformare quel sentimento che provava in una relazione stabile, perché non faceva parte della sua indole. Adesso si ritrovava nella stessa situazione per la quale era fuggito da Weimar, anche se non se ne rendeva conto, incapace di associare i suoi comportamenti con le reazioni della pittrice.
Angelica, sinceramente innamorata di lui, in questo frangente non era indispettita per la condotta passata di Goethe, che non la interessava ma per i comportamenti che teneva sia quando era insieme a lei sia quando faceva baldoria con gli amici. Aveva accettato i tradimenti anche se la ferivano dolorosamente, le assenze ingiustificate, anche se avrebbe desiderato maggiori attenzioni. Soffriva la sua sensibilità femminile, perché dopo quell’unico rapporto avvenuto prima di Natale mai una volta il poeta l’aveva sfiorata, anche se lei aveva tentato di avere più intimità da lui. Pativa tantissimo il ruolo di amante segreta senza che tra loro ci fosse quella complicità che la situazione avrebbe richiesto. A furia di tirare la corda, questa si era rotta e per non rimanere travolta in modo irreparabile doveva riappropriarsi della propria vita professionale con la decisione amara e dolorosa di escluderlo per un po’ di tempo dallo studio, di non pensare più a lui, anche se questo le stava imponendo molte angosce d’amore.
Adesso era fermamente decisa a non aprire quella porta, finché non avesse licenziato il quadro, perché era un impegno che aveva preso con se stessa ed intendeva mantenerlo a tutti i costi.
Era arrivata a questa determinazione, perché, dovendo ascoltare pazientemente per ore quello che lui andava scrivendo dal Faust a Ifigenia in Tauride, da Egmont a Torquato Tasso, pretendeva la massima attenzione, impedendole di fatto di proseguire nella sua attività di pittrice.
«E’ vero che mi sento lusingata per essere al centro del suo interesse, perché apprezza la mia opinione, a quale attribuisce un gra valore. Ma in definitiva io non lavoro più. Ho decine di quadri iniziati o abbozzati ma nessuno terminato da diversi mesi».
In quegli istanti lei si trovava in un momento difficile per il fatto che Goethe fosse fuori dalla porta deciso a entrare, mentre lei era decisa a tenerlo lontano. La situazione di stallo la paralizzava e le impediva di trovare uno sbocco razionale alle circostanze nelle quali era precipitata. Non le piaceva avere una vivace discussione lungo le scale male illuminate e con diverse orecchie indiscrete ad ascoltare, né tanto meno in strada, come due rozzi popolani romani. Se fosse entrato, avrebbe infranto la promessa che aveva fatto qualche giorno prima di non vederlo nel luogo, dove si era consumato l’unico atto d’amore. Era un bel rebus che non sapeva sciogliere.
Angelica aveva al piano superiore un paio di stanze, dove si fermava a dormire, quando si attardava troppo nello studio.
Ecco dove condurrò Goethe” pensò. “Lì avremo il chiarimento”. Infilatosi il mantello e il cappello, aprì la porta ben decisa a chiuderla immediatamente dietro di sé.
Goethe, colto di sorpresa, non riuscì a spingerla dentro e suo malgrado la seguì al piano di sopra, parlando fitto e senza interruzione, mentre Angelica in silenzio e con la grazia di un angelo saliva le scale.
Aperta la porta, accese le candele poste nell’ingresso, entrarono e si tolsero i mantelli e i capelli, che posarono sul divano dietro la porta.
Le stanze erano fredde, perché non aveva ordinato ai domestici di prepararle e illuminarle con qualche candelabro, ma c’era ordine e silenzio.
Si sedettero sul divano che dava di spalle al letto posto al centro della stanza e davanti ad un camino impietosamente spento.
Nessuno dei due pensò di accenderlo, ma forse non sapevano nemmeno come fare, rimanendo al freddo senza che questa circostanza fosse avvertita dai due amenti.
Goethe cominciò a parlare con voce alta e alterata, ma Angelica gli mise un dito sulle labbra per farlo tacere. Non le interessava quello che andava dicendo ma voleva esprimere con concisione e fermezza le sue idee.
Wolfgang, ho deciso di non rivedervi più, anche se questo mi costa un dolore intenso in fondo al cuore, perché io vi amo, come non ho mai amato nessun altro. Avrei potuto essere vostra quando avreste voluto, ma mi avete trascurato con donne di strada e qualche servetta. Avete ignorato le sensazioni che provavo per voi. Mi avete ferita come donna e come amante e non posso perdonarvelo. Mi state facendo soffrire le pene d’amore con la vostra indifferenza alla mia femminilità. Ero disposta a diventare la vostra amante segreta, ma mi avete deluso con la vostra incapacità a comprendere l’amore che provo per voi”.
Dette queste parole Angelica stette in silenzio, aspettando che cosa Goethe aveva da dire a sua discolpa. Era una vera e propria dichiarazione d’amore la sua, tanto da cogliere di sorpresa il poeta, che rimase zitto e senza parole.
Rimasero a guardarsi negli occhi per alcuni secondi prima che lui ritrovasse la parola.
Goethe accecato dall’ira e punto sul vivo di essere abbandonato da una donna parlò con tono alterato e senza freni, dimostrando la sua incapacità a capire i veri sentimenti di Angelica.
Se mi amate, perché non mi volete più rivedere? Perché non dobbiamo parlare dei sentimenti che ci uniscono? Sono attratto dalla vostra personalità forte e decisa, dalla delicatezza dei vostri lineamenti che sembrano porcellane finemente decorate. Voi mi piacete, perché siete intelligente e paziente, non siete possessiva, ma lasciate che abbia la mia vita. Mi volete come amante segreto, ma io voglio mostrarvi a tutti, ma non posso, perché voi siete sposata. Cercate forse un uomo che faccia all’amore con voi, vi dia le gioie e i piaceri della voluttà? Volete quel figlio che il vostro consorte non riesce a darvi? Andate per strada e ne trovate tanti di uomini disposti a venire a letto con voi! Allora era vero quello che sussurrano di voi, che siete una donna che ama passare da un letto ad un altro, gaudente e priva di vincoli morali, che tradisce il marito! Io invece vi ho trattata da donna seria e rispettosa delle regole!”
Angelica dopo avere ascoltato parole dette con tono indelicato e offensivo si alzò dal divano e furente per l’ira disse con tono duro e minaccioso: “Uscite immediatamente da queste stanze e non fatevi più vedere!” Si diresse verso l’ingresso per indossare mantello e cappello, lasciando Goethe sbigottito e adirato.
Lui la prese per un braccio per farla girare verso di sé, ricevendo in viso uno schiaffo che sembrava uno schiocco di frusta nel silenzio della stanza.
Angelica per niente intimorita e decisa a farsi rispettare si divincolò dalla presa guardando dritto negli occhi Goethe e disse ancora una volta: “Uscite e andatevene per la vostra strada. Mi auguro che le nostre non si incrocino più”.
Si avvolse nel mantello, spense le candele lasciandolo al buio, mentre lui cercava affannosamente il mantello e il cappello. Goethe imprecava e pronunciava parole offuscate dall’ira, peggiorando la situazione.
Come una furia Angelica si precipitò giù per le scale uscendo sulla strada con le falde svolazzanti senza aspettare il poeta, che rischiò più di una volta di scivolare sui gradini viscidi e bui.
Sembrava un angelo vendicatore mentre percorreva il non lungo tragitto verso casa, dove si rifugiò senza mai voltarsi indietro.
Salita nella sua stanza si abbandonò sulla poltrona in preda ad una crisi di pianto, mentre Maria con delicatezza le toglieva mantello e cappello.
La tavola era pronta per la cena serale, ma Angelica disse asciugandosi le lacrime: “Maria, portate via tutto. Stasera non ho fame. Vorrei coricarmi immediatamente. Portatemi dell’acqua fresca per rinfrescarmi il viso e le mani”.
La governante eseguì i suoi ordini e, dopo avere atteso che lei dicesse le consuete preghiere serali, spense le candele, lasciando estinguere il fuoco del camino.
Goethe, dopo aver tirato il battente dietro di sé, si avviò rabbioso e furente in cerca di compagnia per la sera.
La rottura tra i due amanti si era consumata tra ripicche e parole sgradevoli.

0

Capitolo 8 – I giorni successivi

I giorni trascorrevano tra lunghe attese e passioni ardenti, mentre Angelica si consumava nel fuoco dell’amore.
Il ritratto di Goethe procedeva a rilento, perché, come altri lavori erano rimasti incompiuti sul cavalletto, era distratta dall’innamoramento verso il poeta. Quando non lo vedeva comparire col suo mantello bianco e l’immancabile cappello a tesa larga, provava angoscia perché temeva di non rivederlo più.
“Perché mio amato non venite? Dove siete?” si struggeva la donna incapace di comprendere queste fughe, questa assenze senza conoscere dove fosse, senza comprenderne i motivi. Lui scompariva per diversi giorni nel nulla, mentre lei seduta sul divano sperava di udire i passi del poeta salire i gradini, bussare deciso alla porta e vederlo apparire nello studio. Però non era quello che sperava, mentre le lacrime bagnavano il viso. Poi come era scomparso inghiottito dal nulla, così ricompariva come se l’assenza non ci fosse stata senza che lei avesse il coraggio di chiedere. «Dove siete stato, mio amato? Perché non avete avvertito che per qualche giorno non sareste venuto da me?»
Qualche settimana più tardi, il poeta esclamò, alzandosi dalla sedia di raso rosso. “Questo ritratto non mi rende giustizia. Appaio triste e dimesso. Distruggetelo. Non lo voglio più vedere!”. Quindi decise di non posare più per Angelica, che non osò ribattere. Lo coprì con un velo e lo mise in un angolo buio dell’atelier.
Goethe aveva a Roma molti amici tedeschi e tra questi il più assiduo era Tischbein, con cui spesso trascorreva le serate all’osteria a bere in compagnia di donne per lo più sconosciute. Amavano entrambi mescolarsi col popolino per partecipare a feste di strada, anche se non riuscivano a capire il romanesco. Sentivano una forte attrazione verso queste manifestazioni molto disinibite e grossolane, dove si beveva vino e ci si accompagnava con popolane libere e disinvolte.
Angelica entrò in crisi, perché si sentiva trascurata, perché aveva notato come alla mattina Goethe era distratto, assonnato come se avesse passato la notte insonne e talvolta odorava pesantemente di vino e di fumo.
Il poeta aveva cominciato a frequentare con continuità una certa Faustina, conosciuta in una osteria di Monte Servello, dove serviva ai tavoli. Aveva preso l’abitudine di trascorrere la notte con lei, come Angelica scoprì attraverso amici comuni, quando venne a conoscenza delle sue frequentazioni notturne e dei suoi tradimenti. Era un rapporto basato tutto sul sesso e sull’aspetto venale, perché pagava le prestazioni notturne, senza provare il minimo sentimento verso di lei.
Mein Gott!1 Cosa devo fare per riconquistare l’attenzione di Wolfgang? Sono forse diventata inguardabile o indesiderabile? Lo ascolto con pazienza mentre mi legge ad alta voce quello che scrive, poi preparo degli schizzi per illustrarne l’opera. Non mi bacia più, mi tratta con freddezza. Non siamo stati più intimi da quella sera di alcune settimane fa”, Angelica si lamentava ad alta voce sdraiata sul divano, dove aveva trascorso quella sera indimenticabile.
Questi pensieri la portavano a trascurare i lavori, a forme di apatia indolente senza che riuscisse a porvi rimedio. I lavori tardavano a terminare tra le proteste dei committenti, che avrebbero voluto una maggiore celerità nella consegna dei quadri.
“Abbiate pazienza” diceva loro quando bussavano al sua porta reclamando il ritratto commissionato qualche mese prima. “Sono oberata da molti impegni. Cercherò di finirlo nelle prossime settimane”.
Sapeva che il comportamento non era corretto, ma l’ispirazione e la voglia di completarli era a livelli bassissimi. Doveva ritrovare la propria determinazione chiudendo con Goethe, almeno per un certo periodo di tempo.
Così una sera prese la decisione di lasciarlo fuori dallo studio, finché non avesse finito il ritratto della baronessa de Kruederer col figlio Paul. La baronessa col marito Alexis, ambasciatore di Russia a Copenhagen, era giunta a Roma nell’autunno del 1786 e aveva voluto farsi ritrarre dalla celebre pittrice insieme al figlio. Però l’arrivo di Goethe aveva di fatto bloccato il completamento del quadro, che doveva essere finito entro i primi giorni del 1787, perché il soggiorno romano della baronessa stava terminando.
Così due giorni dopo la decisione di non vedere il poeta fino al completamento del quadro, sentì bussare alla porta dello studio, che era chiusa a chiave. Sapeva che era Wolfgang, che si era assentato, come era solito fare, senza dare spiegazioni, perché aveva riconosciuto il passo e il modo di bussare, ma decise di non rispondere, come se non ci fosse.
Goethe, pensando che fosse ancora a casa, si diresse là per chiedere alla governante notizie di Angelica.
Sono andato nello studio, ma ho trovato la porta sbarrata e nessuno rispondeva al mio bussare. Sapete dove si trova la vostra signora?” chiese il poeta a Maria.
Mio signore, Angelica è nello studio, intenta nel suo lavoro. Deve finire un quadro rapidamente, perché la committente sta per partire” rispose la governante al poeta, che in preda all’ira ritornò all’atelier.
Bussò con energia e disse con voce alterata e perentoria: “Angelica so che siete qui! Aprite immediatamente!”
Angelica con le lacrime agli occhi non degnò di una risposta quel bussare frenetico, continuando a lavorare.
Goethe visibilmente adirato continuò a bussare e in uno scoppio d’ira la minacciò: “Se non aprite immediatamente, non mi vedrete mai più!”
La donna decisa più che mai a rispettare la promessa fatta con se stessa continuò a dipingere, mentre le lacrime sempre più copiose rigavano il suo delicato viso.
Il poeta, stanco di stare fuori dalla porta e colpito nel suo orgoglio di uomo, uscì dal portone scuro in volto e ancora più stizzito, borbottando oscure minacce: “Mi avete messo alla porta come l’ultimo dei vostri servi, ma io non verrò più a cercarvi. Anzi non frequenterò più il vostro studio. Vi state comportando come una donna che cerca un uomo più giovane per sentirsi ancora giovane e piacente. Siete stata una grande delusione per me!”
Ad ampie falcate tra lo svolazzare del mantello si diresse verso la zona delle osterie per annegare la sua ira nel vino e a sollazzarsi con Faustina certamente più accondiscendente di lei.
Angelica, avendo sentito che si era allontanato, diede sfogo alla sua disperazione e solitudine piangendo a dirotto: “L’ho perso per sempre! Gli ho chiuso la porta in faccia e lui se ne è andato via. Io devo finire questo quadro senza vederlo prima. L’avevo promesso a me stessa e devo mantenerla, anche se l’ho perduto per sempre!”
Lavorò intensamente per tutta la giornata tra crisi di pianto e determinazione nel mantenere la promessa.
All’imbrunire il quadro era ormai quasi concluso, domani avrebbe portato gli ultimi ritocchi e poi l’avrebbe consegnato alla baronessa.
Con calma ripulì i pennelli e le mani, ripose i colori, sistemò sommariamente la stanza e si preparò per uscire, quando sentì dei passi familiari.
S’irrigidì e aspettò che lui fosse dinnanzi alla porta, nel frattempo pensava intensamente: “Esco? Apro la porta e lo faccio entrare? Rimango qui, chiusa dentro aspettando che se ne vada?”
Aspettò il bussare, la voce che conosceva da tempo, ma non sentiva nulla di tutto questo. Percepiva che stava lì ritto dinnanzi alla porta, aspettando che lei aprisse per farlo entrare.
Il panico si impossessò di Angelica, paralizzandola nei movimenti e nelle parole: “Ach du Lieber Gott!2 Cosa devo fare? AVE MARIA, gratia plena, Dominus tecum. Benedicta tu in mulieribus, et benedictus fructus ventris tui, Iesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc, et in hora mortis nostrae. Amen”.
Il tempo si era fermato e non passava mai: lui fuori dalla porta in silenzio, probabilmente adirato e furioso, lei dentro la stanza intimidita e decisa.

1“Mio Dio!”
2Espressione tipica tedesca equivalente a Oh mio Dio!
0

Capitolo 7 – La notte

Maria con un lume spento in mano l’aspettava al buio nell’androne con ansia, perché non l’aveva vista rincasare per cena, come era solita fare tutte le sere. Era preoccupata che le fosse successo qualcosa di spiacevole, perché non aveva avvertito che non sarebbe rincasata. Ignorava dove fosse la signora, quando con un sospiro di sollievo la vide approssimarsi al portone, tenuto aperto per lei, con un uomo sconosciuto dall’aspetto giovanile.
Ecco svelato il motivo del ritardo. Sembra un bell’uomo e per di più giovane”. Maria rifletteva in silenzio, mentre le andava incontro col lume acceso. Entrate, chiuse il battente con discrezione senza troppo rumore per non svegliare le persone della casa, poi le fece strada con la luce tremolante della lucerna.
Maria, grazie per avermi aspettata. Sono stata sciocca a non avvertirvi che facevo tardi, ma la giornata è stata troppo intensa per trovare un istante per un messaggio. E’ stato un giorno fantastico. Ora sono troppo stanca e desidero coricarmi al più presto. Domani, chiamatemi di buona ora, perché ho molto lavoro allo studio”.
La fantesca con solerzia e sottovoce cominciò a parlare, mentre salivano silenziosamente lo scalone che portava al piano nobile.
Mia signora, avevo tenuto in caldo il pasto serale nella vostra stanza, ma vista l’ora credo che abbiate già cenato e lo riporterò nelle cucine. Avete bisogno di aiuto per togliere i vestiti? Avete necessità di acqua calda prima di coricarvi? Il letto è già caldo, come la camera, dove nel camino arde un bel ciocco di legno”.
Vi ringrazio per la premura che mi state usando. L’acqua calda per lavarmi prima di coricarmi mi serve come un aiuto per togliere gli abiti”.
Mentre Angelica rispondeva con queste parole appena sussurrate, rapidamente salirono al primo piano per raggiungere la stanza da letto senza essere viste. Questa era calda e ben illuminata da diversi candelabri. Su una sedia accanto al camino erano riposte la camicia da notte bianca ricamata e una pesante veste da camera, riscaldate dal tepore del fuoco scoppiettante. Si spogliò in fretta, aiutata dalla domestica, fece qualche abluzione, prima di indossare la veste per la notte.
Si pose sull’inginocchiatoio recitando due Pater Noster, cinque Ave Maria, una Salve Regina e alla fine il Confiteor, sentendosi sollevata per i peccati commessi nella giornata. Pensò che queste preghiere avevano lo stesso valore di una confessione con il suo confessore personale. Non percepiva sensi di colpa per essersi abbandonata ai piaceri della carne con un uomo che non era suo marito. Con l’animo in pace si infilò velocemente sotto le coperte, mentre il caldo tepore del letto la fece scivolare nel mondo dei sogni dolcemente. La stanza diventò più buia con lo spegnimento di alcuni candelabri, mentre la serva uscì in silenzio, richiudendo con dolcezza la porta.
Pochi istanti più tardi si udì solo il respiro regolare e rilassato di Angelica, interrotto dal crepitio della legna nel camino, che si trasformava in braci ardenti.
Bagliori rossastri illuminavano la stanza creando sui muri e sul soffitto immagini fantastiche di animali e uomini, mentre il fuoco si andava lentamente spegnendo.
Maria con una bugia di rame entrò silenziosa per accertarsi che la sua signora stesse dormendo, rimboccò la coperta e sistemò la veste da camera sulla sedia.
Era tempo che non la vedevo dormire così tranquilla e serena. Quel giovane evidentemente ha avuto il potere di trasformarla” rifletté Maria, spegnendo l’ultimo candelabro rimasto acceso.
Come era entrata, uscì in silenzio senza disturbare il sonno regolare di Angelica.
Ora era tutto silenzio e buio a parte il leggero sibilo del respiro regolare della dormiente.
Una bellissima giornata di sole accolse i due amanti in un giardino con grandi aiuole di rose e prati verdi. Era un posto sconosciuto per lei ma si sentiva felice perché lui le era accanto disteso sull’erba color smeraldo.
Wolfgang, siete bello e adorabile. Vorrei donarvi la mia anima e sentire la vostra mano calda sul petto, così che possa assaporare la sensazione di calore che voi emanate. Venite accanto a me e tenetemi la mano, come solo voi sapete fare”. Angelica, seduta su una panchina sotto l’ampia chioma di un tiglio, lo invitava col ampi gesti della mano di avvicinarsi a lei e stringerla forte con le braccia.
Goethe accolse l’invito, alzandosi dal prato, le prese la mano e tenendola tra le sue la fece accomodare accanto a lui, mentre Angelica appoggiava la testa sulle gambe.
La donna si sentiva sicura e felice vicino al poeta, mentre il cuore batteva veloce e impetuoso e la mente volava leggera.
Osservava il prato illuminato dal sole dove le farfalle si posavano delicatamente sui minuscoli fiori che ornavano quel pezzo di giardino, mentre tutto intorno c’era pace e calma.
Wie ich dich liebe
mit warmen Blut,
die du mir Jugend
und Freud und Mur1
Sentiva il poeta recitare un frammento di poesia: “Vi piace, mia adorabile Angelica? Voi siete luce per i miei occhi e stimoli per i miei sensi. Alzatevi e camminiamo su questo verde prato, come sanno fare i giovani innamorati”.
Goethe si alzò tenendo per mano Angelica e iniziarono una passeggiata nel giardino. Colse una rosa, che infilò tra i capelli di lei, dandole un leggero bacio sul collo.
Un brivido di piacere percorse il corpo della donna, che nel sonno emise sospiri di gioia e di piacere mentre abbracciava con più vigore il guanciale, come se fosse il giovane amante.
Giunsero ad una panchina posta all’interno di un gazebo ricoperto di gelsomino selvatico in fiore e si sedettero uno accanto all’altro tenendosi per la mano.
Goethe la prese dolcemente per la spalla baciandole delicatamente la bocca, immediatamente ricambiato da Angelica, che si lasciò trasportare dalla voluttà di quel bacio.
Dentro di sé provava il piacere lasciato dalle labbra del poeta sulle sue, dalle mani che la stringevano, dalle fantasie che come folletti agitavano il desiderio di un’unione carnale. Quando si svegliò, capì che era stato semplicemente un meraviglioso sogno e rimase immobile per la delusione.
I suoi occhi vedevano solo buio senza distinguere nulla, finché non si abituarono all’oscurità percependo le forme famigliari della stanza. Era delusa, perché quella visione onirica era svanita nel nulla, lasciandole una sensazione di vuoto e di passione insoddisfatta.
Rifletté e disse in modo impercettibile: “Sono stata punita per avere chiesto troppo al desiderio e alla passione, interrompendo quel sogno inebriante. Sento dentro di me i germi dell’amore che sbocciano con violenza e irruenza. Saprà, Wolfgang, contraccambiarmi allo stesso modo? Ob du mir liebst, weiß ich nicht!2
Lentamente quelle sensazioni piene di piacere sensuali si attenuarono, mentre i battiti decelerano fino a diventare impercettibili e regolari. Però dentro di lei continuava a provare piacevoli emozioni che il risveglio non aveva placato.
Quando si è giovani, l’innamoramento è piacevole ed esaltante, ma alla mia età può presentare degli aspetti meno gradevoli e meno eccitanti. Lui è più giovane di me ed è un personaggio noto e conosciuto da tutti. Ho sacrificato molto di me stessa per donarla solo all’arte. Quindi sono molti gli aspetti non vissuti della mia vita tra cui spicca l’amore, che è rimasto sempre in disparte. La passionalità serve il mio intimo e lo soddisfa. Per me sono ora una cosa unica”.
Angelica ragionava in siffatta maniera sul rapporto che aveva avviato con Goethe, mentre immobile si guardava intorno, rimanendo sveglia fino al mattino, perché desiderava di rivederlo al più presto. Il tempo non scorreva mai, sembrava fermo da un’eternità.
Con grande gioia mista ad ansia vide uno spiraglio di luce affacciarsi dalla porta, era Maria che cautamente entrava a svegliarla.

1Così ti amo
con sangue ardente
tu che mi dai gioventù
gioia e slancio
2Se tu mi ami, non lo so
0

Capitolo 6 – La prima volta

La lunga passeggiata aveva lasciato dentro di lei delle sensazioni di meravigliosa leggerezza, perché aveva capito che il loro rapporto travalicava la semplice amicizia. Angelica, sempre combattuta tra la rigida educazione cattolica ricevuta dalla madre e la voglia di trasgredire, di dare respiro alle emozioni che crescevano impetuose dentro di lei, non sapeva come poteva esternarle senza avvertire quel peso che le ipocrite convenzioni dell’epoca le imponevano.
Pagato il fiaccheraio per la lunga corsa, Goethe prese la mano di Angelica e la baciò con passione, mentre si accomiatò da lei senza proferire parola.
A passo svelto si diresse verso piazza di Spagna, sparendo ben presto dalla vista della donna, che salita nello studio si abbandonò su un divano piangendo a dirotto.
Ormai l’incanto è svanito e nulla più potrà ricreare l’atmosfera precedente. Sono stata troppo fredda nei suoi confronti e questo mi ha persa. Ahimè, come potrò finire il ritratto di lui?” disse ad alta voce tra i singhiozzi guardando il quadro appena abbozzato, che stava triste sul cavalletto “Che ne faccio di questa tela?”
Un bellissimo tramonto romano illuminava di rosso la stanza, creando effetti ottici e cromatici insoliti sulle pareti ma per lei era come se ci fosse buio, sprofondata com’era nella tristezza dell’abbandono.
Angelica si riscosse, si asciugò le lacrime, si mise il mantello e si preparò a uscire per il ritorno a casa, quando sentì picchiare con decisione alla porta.
Chi sarà quel cavaliere che bussa a quest’ora? Non aspetto nessuno e la giornata volge al tramonto. Devo aprire per guardare chi è oppure fingere che qui non ci sia nessuno” pensava, mentre qualcosa la incitava a dischiudere l’uscio.
Il bussare divenne più insistente, mentre le parve di udire una voce ben conosciuta.
Non è possibile!” pensò. “Se ne è andato senza proferire parola! Forse la stanchezza della lunga passeggiata mi fa udire dei suoni familiari che non lo sono. Apro oppure no?”
Si avvicinò alla porta e con voce tremula chiese: “Chi bussa alla porta?”
Sono Wolfgang. Vi scongiuro di aprirmi. Vorrei porgere le mie più devote scuse per essere stato così villano poco fa, andandomene senza salutarvi adeguatamente”.
Col cuore in tumulto e la mente offuscata dall’ansia aprì il battente della porta e lo vide lì immobile avvolto dall’ampio mantello bianco con l’immancabile cappello a tesa larga in testa.
Angelica si precipitò fuori baciandolo sulla bocca, mentre il poeta la strinse a sé e la spinse con dolcezza, ma con fermezza dentro lo studio, chiudendo la porta.
Lei, senza opporre resistenza, si lasciò sfilare il mantello, che fu gettato su una sedia insieme a quello di lui e al suo cappello, mentre la conduceva all’ampio divano posto dinnanzi ad una finestra.
Fromm sind wir liebende, still verehren wir alle Dämonen,
Wünschen uns jeglichen Gott, jegliche Göttin geneigt.
Und so gleichen wir euch, o römische Sieger!
Goethe pronunciava queste parole mentre si accomodavano sul divano. Angelica rapita si lasciava trasportare dai sensi e lo baciava con ardore, dicendo dolci parole amorose.
Così i due amanti, incuranti del buio incipiente, consumarono il rapporto carnale tra baci, sussurri appena accennati e dolci promesse di amore senza sentire né i morsi della fame, né il freddo pungente della stanza.
Era ormai sera inoltrata quando uscirono dallo studio avviandosi verso la trattoria per consumare la cena serale.
Entrati si sistemarono in un tavolo d’angolo appartato e discreto, lontano dagli altri commensali, mentre un grande frastuono sovrastava le loro voci. Erano suoni allegri e alterati dalle abbondanti libagioni, mentre nel camino accanto ai due amanti la legna scoppiettava piacevolmente, riscaldando l’ambiente.
I loro cuori erano caldi, come i corpi, mentre i sensi erano appagati.
Parlavano sottovoce della giornata trascorsa, mentre lei ripeteva i versi che il poeta aveva declamato durante la passeggiata e nello studio.
Il poeta chiese all’oste della carta e una matita per trascrivere quelle rime prima che svanissero dalle loro menti.
Lei era felice per il rapporto amoroso appena consumato, essendo ormai da molto tempo che il suo corpo non aveva goduto delle gioie del sesso.
Tutti i dubbi erano svaniti e i timori per il tradimento compiuto si erano disciolti nel piacere della carne, lasciando il posto alla volontà di continuare questa relazione amorosa anche nei prossimi giorni, nelle settimane successive, finché la comunanza degli affetti non sarebbe cessata. Angelica era talmente presa da quel fiume di pensieri straripante che faticava ad ascoltare Goethe e quello che le diceva.
Rispondeva a monosillabi, generando in lui stupore ed incredulità, perché non si aspettava una simile reazione, come se non ascoltasse le sue parole.
Ob ich Dich liebe weiß ich nicht;
Seh ich nur eimal dein Gesicht,
Seh Dir in’s Auge nur einmal,
Frei wird mein Herz von aller Qual;
Gott weiss, wie mir so wohl geschicht!
Ob ich Dich liebe weiß ich nicht.
Questa breve poesia l’ho composta quando avevo 21 anni e ora la dedico a Voi, che mi fate compagnia e allietate la mia vista. Voi siete splendida e dolce, dalla personalità intensa e forte, come tanti amici comuni vi avevano descritta”.
E’ bella. Come s’intitola? O non ha nome?” chiese Angelica, “Siete veramente bravo e ispirato nelle composizioni poetiche. Sapete dove cogliere i fiori del bello nel mio giardino!”
L’oste guardava di sottecchi i due amanti, che invece di gustare i suoi piatti parlavano fitto tra di loro in una lingua che non capiva. Aveva visto lui altre volte in compagnia di uomini e di donne, ma lei era un volto sconosciuto.
E’ bella quella donna!” pensava l’oste appoggiato al bancone ben attento a correre per servire i commensali, “Chi sa da dove viene. E’ la prima volta che entra nella mia osteria. Ha un tocco di classe ben superiore a lui, che mi sembra più giovane. Però sono una bella coppia affiatata da come parlano e si guardano”.
Non avevano appetito, toccando a malapena i cibi preparati, perché la fame era stata appagata prima nello studio di Angelica.
La serata svolgeva al termine mentre nella sala fumosa erano rimasti in pochi: loro e un paio di persone alticce per il molto vino bevuto, che parlavano a voce alta coi toni striduli e impastati dell’ubriaco. Chiamato l’oste per pagare il conto, Goethe si alzò aiutando Angelica a indossare il mantello e l’ampio cappello ornato di fiori.
La donna accettò volentieri che il poeta l’accompagnasse verso la casa, perché la strada era mal illuminata da lampioni ad olio, che emettevano luce fioca e spettrale.
Come fantasmi scivolarono via lasciando una pallida ombra sui muri, finché giunti sull’uscio di casa si scambiarono l’ultimo bacio della giornata prima che il portone si chiudesse alle spalle di Angelica.

0

Capitolo 5 – Roma e il suo fascino romantico

La carrozza si fermò, mentre Goethe si ergeva dal sedile osservando con cura tutti quei ruderi pieni di storia una volta ritti mentre ora erano malinconicamente ricoperti da erbacce e fungevano da comodi sedili per gatti.
E recitò ad alta voce:
Saget Steine mir an, o! sprecht, ihre hohen Paläste.
Strassen redet ein Wort! Genius regst du dich nicht?
Il vetturino rimase interdetto e pensò: ”Sono tutti suonati questi stranieri! Non parlano italiano, non capiscono il romano e sproloquiano in ostrogoto! Speriamo che mi paghino i quattro soldi pattuiti”.
Continuò a borbottare in attesa di nuove istruzioni, guardando il poeta, che si sporgeva dalla carrozza.
Angelica si destò dal dolce tepore che la presenza di Goethe le assicurava e si pose eretta sul sedile ammirando quei ruderi vecchi di oltre un millennio, mentre lo ascoltava a declamare i versi.
Sono appropriati i vostri versi e sono meravigliosamente belli! Colpiscono il cuore e l’anima come un raggio di sole squarcia le tenebre”.
Goethe continuò a declamare con enfasi.
Ja es ist alles beseelt in deinen heilegen Mauern
Ewige Roma, nur mir schweigen noch alles so still.
E rivolgendosi a lei, disse: “Vi piacciono, mia dolce Angelica questi versi? Li ho pensati in questo momento vedendo questi marmi e colonne giacere a terra. Peccato non avere qualcosa per trascriverli, perché non vorrei dimenticarli. Pensate, mia bella e dolce Signora, di ricordarli fino a quando non torniamo da voi?”
La donna guardando negli occhi Goethe rispose: “Come potrei dimenticare la sublime altezza di queste parole? Hanno colpito direttamente il cuore e la mente! Non temete, li ripeterò in silenzio per tutto il viaggio!”
Il pallido sole di dicembre illuminava quei ruderi, tra cui si aggiravano gatti ben pasciuti, mentre altri pigramente si scaldavano sdraiati su di essi.
I minuti passavano e il fiaccheraio cominciava a dare segni di impazienza finché disse in romanesco: “Andiamo? Questa sosta vi costa altri due soldi!”
Goethe si riscosse dalla contemplazione delle rovine sentendo la voce del vetturino senza però capire nulla di quello che stava dicendo.
Angelica, intuendo che il poeta non avesse compreso le parole, gli fece una traduzione sommaria del discorso, anche perché aveva capito che era arrivato il momento di andare e che la sosta avrebbe fatto lievitare il costo della passeggiata.
Ricevuto un cenno d’assenso col capo, il fiaccheraio fece schioccare la frusta in aria, incitando il cavallo a riprendere l’andatura.
La carrozza si mosse con lentezza, mentre i due amanti si sistemarono sotto la coperta ben stretti l’uno all’altra.
Angelica si sentiva serena vicino a lui e percepiva un calore come mai aveva ricevuto da un uomo, ripensando al loro primo incontro di quel lontano pomeriggio di novembre. Aveva capito subito che quell’uomo gli piaceva, ma l’educazione cattolica ricevuta e la frequentazione di alti dignitari della corte papale la frenavano e costituivano un potente blocco inibitorio nella sua personalità.
Era vero che aveva avuto occasionali avventure durate al massimo un giorno, ma erano state solo appagamenti dei desideri carnali e tutto era finito subito, confessando il suo peccato il giorno dopo e facendo penitenza per alcuni giorni.
Questa volta era diverso, perché il tradimento, anche se al momento era solo immaginario, ormai durava da oltre un mese e non aveva trovato il coraggio di parlarne col suo confessore, peccando ancora di più.
Signore, abbi pietà della mia anima perché ho tanto peccato! Desidero quest’uomo che non è mio marito e so di peccare ancora di più!” così rifletteva mentre era appoggiata col capo sul petto del poeta “E’ dolce e risoluto allo stesso tempo. Si esprime in maniera sublime toccando le corde più intime del mio cuore. La mia determinazione di resistere alla tentazione carnale diventa sempre più flebile e credo che entro un giorno o due sarò io stessa che lo cercherò!”
Goethe accarezzava con dolcezza il viso e i capelli di Angelica, sentendo il suo corpo fremere di piacere, e sospirava: “Questa dolce e fragile donna emana una sensualità veramente insolita, ma sembra casta e fedele al marito e io la desidero fare mia. Mi sento impotente con lei e non oso chiederle apertamente il suo amore. Eppure dopo il primo incontro mi pareva che provasse un desiderio forte per me. Forse mi sono sbagliato oppure sono stato troppo frettoloso e irruente. Quali corde sensibili devo toccare? Sembro essere tornato ragazzo, quando affrontavo inesperto i primi approcci amorosi! Chissà se questa passeggiata la sgelerà come neve al sole.”
La carrozza dondolava i due amanti, che si desideravano l’un verso l’altro, ma non riuscivano a trovare quell’intimità che provavano nel loro animo.
Alle prime ore del pomeriggio Goethe e Angelica fecero ritorno allo studio di via Sistina.

0

Capitolo 4 – La felicità sognata

Il poeta aveva preso l’abitudine di venire ogni mattina nello studio, perché percepiva una forte attrazione verso di lei. Anche Angelica gradiva la compagnia di Goethe, perché avvertiva inconsciamente come le lusinghe che un giovane uomo le stava dedicando, stimolava la sua vanità femminile. Era come se fosse tornata indietro nel tempo, quando i corteggiatori non mancavano con le loro insistenti proposte.
Non provava fastidio per la sua presenza, anzi provava piacere e si recava all’atelier anche quando il tempo era inclemente, perché non voleva perdere quell’appuntamento fisso. La sua figura costituiva per lei una costante distrazione dalle usuali attività tanto che aveva smesso di dipingere, perché doveva prestare attenzione alle letture di quello che stava scrivendo.
Dopo il lungo silenzio creativo tra le ombre ovattate di Weimar, aveva ripreso la scrittura del Faust, interrotto più volte nel passato, annotava le impressioni e i ricordi del lungo viaggio attraverso la penisola verso Roma, dopo aver toccato Verona, Venezia, Ferrara, Firenze e tante altre località minori, sia pure solo per poche ore.
La vicinanza della donna e le giornate trascorse in sua compagnia avevano riacceso nel poeta la fiamma creativa, fornendogli ispirazione e voglia di scrivere, attività che faceva alla sera e al mattino presto quando non stava a oziare nello studio della pittrice.
“Angelica, fuori c’è un bellissimo sole. Usciamo per ammirare le rovine dell’antica Roma”.
“Ma qui siamo al caldo” replicava la donna, che avrebbe preferito rimanere nell’atelier.
“Prendete il mantello e il capello. Qui stiamo oziando” insisteva Goethe, mentre si avviava verso la porta.
Ogni qualvolta il sole romano illuminava la città. pretendeva che la pittrice lo accompagnasse per ammirare le antiche vestigia romane, le innumerevoli chiese sparse un po’ ovunque, chiedendole di esprimere pareri e sensazioni di fronte a un capitello rotolato a terra, a una statua ridotta in frammenti, a un quadro appeso sopra un altare.
Portava sempre con sé un blocco di carta e un carboncino che gli servivano per annotare commenti di Angelica e schizzare qualche disegno dei ruderi più interessanti.
Nonostante le blande proteste si prestava di buon grado nell’insolita veste di cicerone, perché sentiva crescere dentro di sé un sentimento che aveva sempre pensato che fosse morto o mai sbocciato. Era l’occasione per dare sfoggio della propria competenza artistica e vivere una vita diversa dal consueto, perché aveva sempre sognato di accompagnare la persona amata in un tour artistico, senza mai averne avuta l’occasione.
Così smise di dipingere per sé e per i committenti, trascurando la sua professione. Angelica accantonò l’autoritratto, perché voleva ritrarlo, mentre lo ammirava seduto sulla poltrona di raso rosso, ma il soggetto era inquieto e non restava fermo in posa.
Mio caro, Wolfgang, non state mai immobile. Come posso ritrarvi se vi agitate di continuo?” gli disse con garbo una mattina di inizio dicembre.
Mia adorata Angelica, non posso restare passivo, mentre vi guardo col pennello in mano. Voi siete troppo bella e seducente per non esternare il mio sentimento verso di voi. Suvvia, non siate inquieta con me, oggi è troppo bella come giornata per restare chiusi qui dentro. Usciamo e godiamoci questo splendido sole romano”.
Si avvicinò ad Angelica, le prese il pennello, deponendolo in barattolo di colore, e la baciò con ardore e passione senza che lei opponesse resistenza.
La donna sentiva il desiderio dentro di sé crescere giorno dopo giorno, ma era combattuta tra la voglia di trasgredire e la fedeltà a quel marito tanto mediocre quanto meschino. Altre volte lo aveva tradito, ma era durato lo spazio di un mattino: quella che si era soliti dire che fosse una scappatella. Consisteva in qualche bacio furtivo e veloce senza passione, molto raramente andava oltre nelle effusioni amorose. Tutto sommato erano peccati veniali, quelli che aveva commesso nel passato.
Questa volta era diverso, perché sentiva ingrandire dentro di sé un sentimento che non aveva provato prima, forse mai nei suoi 45 anni di vita. Sentiva il trasporto verso livelli più alti tanto da avere paura di risvegliarsi e comprendere che era stato solo un meraviglioso sogno..
Tra loro il tutto si era limitato fino a quel momento a qualche bacio appassionato, a qualche tenera carezza, anche se a stento era riuscita a controllare la libido ma era ben conscia che presto sarebbe capitolata.
Goethe aveva avuto molte donne nella sua vita, amanti segrete oppure no, non disdegnava di accompagnarsi anche a donne di strada. Questa sua fama di donnaiolo era risaputa nella cerchia degli amici e conoscenti, tanto che non destava più scalpore. Anche Angelica conosceva la particolare inclinazione del poeta, perché ne aveva sentito parlare a lungo e con dovizia di dettagli dalla nutrita schiera di tedeschi che vivevano a Roma. Questa colonia non perdeva mai l’occasione di invitarla alle feste che organizzavano e molti di loro erano assidui frequentatori del suo atelier.
L’educazione religiosa impartita dalla madre e la frequentazione degli ecclesiasti la rendeva dubbiosa e incerta se doveva lasciare libero sfogo alle sue inclinazioni oppure mortificare la carne come un penitente.
Così quando quella mattina di dicembre uscirono per le strade di Roma, sentì che il muro che aveva dentro di sé si stava sgretolando.
Era una fredda giornata, allietata da un bel sole, che a stento riscaldava i corpi, quando i due amanti si avviarono verso Piazza di Spagna gremita di bancarelle e di giostre per l’imminente Natale. C’era un frastuono festoso mentre tante persone si aggiravano tra i banchi. Erano popolani e nobili, mescolati tra loro senza distinzione di censo, accomunati dalla voglia di festeggiare la festività natalizia.
Angelica si appoggiava sul braccio del poeta con tenerezza e affetto, sentendo il calore che emanava e sospirava per le pene d’amore.
Mein Gott! Cosa devo fare? Quest’uomo mi piace e so di peccare. Finirò i miei giorni all’inferno. Ma la carne reclama il suo dono, come posso negarglielo? Se cadrò, e cadrò sicuramente in peccato, come potrò redimermi?” rifletté, mentre con passo svelto seguiva Goethe tra la folla e le bancarelle.
Giunsero con una certa fatica in una delle vie che si dipartivano dalla piazza, dove sostava un fiaccheraio insonnolito e avvolto in un pesante tabarro verde.
Il cavallo era circondato da una leggera nebbiolina prodotta dal sudore che si condensava nel freddo della mattina e aspettava che il suo padrone raccogliesse qualche cliente per muoversi e riscaldarsi un po’.
Goethe tirò per una falda l’uomo, dicendogli: “Vorremmo che ci portasse verso l’Appia ad ammirare qualche capitello romano. Ci dia una coperta ampia e calda per ripararci dal freddo durante la passeggiata. Mi raccomando vada piano, perché desideriamo apprezzare il paesaggio”.
Il vetturino si riscosse dal torpore in cui era caduto, guardò i due amanti e allungò al poeta una coperta un po’ logora e non troppo pulita senza degnarsi di aiutarli a salire e sistemarsi nella carrozza.
Angelica si rannicchiò fra le braccia di Goethe, che la coprì stringendola con passione.
Il lento incedere del cavallo trascinava la carrozza che sobbalzava sulle strade mal lastricate con grande rumore, mentre i due amanti erano sballottati sul sedile mentre guardavano case, chiese e ruderi romani, che sfilavano mute dinnanzi ai loro occhi. La pittrice illustrava con dovizie di particolari quello che scorreva lentamente nella passeggiata.
La donna però era sempre di più in un forte tumulto interiore tra passione montante e volontà di rimanere fedele, mentre la vicinanza con l’uomo, che l’attraeva, incrinava la sua fermezza a non tradire il coniuge.
Mille pensieri affollavano la mente e molte congetture sul futuro apparivano e scomparivano come la folgore tanto che lei non riusciva più a concentrarsi sul lavoro, che stava trascurando vergognosamente.
E’ bello e forte, “ diceva in silenzio “ed io lo desidero tanto. Tutte le notti mi compare in sogno come un semidio o un novello Apollo popolando la mia mente con la sua immagine. E’ dolce e un po’ timido, come il personaggio della sua opera, Werther. Quanto lo amo! Come vorrei essere posseduta da lui!”
Il fiaccheraio, intuendo che la coppia volesse avere intimità e che non avesse nessuna fretta, fece un lungo giro passando dai fori imperiali, dove Goethe chiese in un italiano stentato di fermarsi per qualche minuto.

0

Capitolo 3 – Il giorno dopo

Goethe s’aggiustò il mantello e ad ampie falcate si diresse verso Angelica, che era rimasta ferma come pietrificata. Lei non aveva ben chiaro, se fosse contenta della presenza del poeta oppure se avesse sperato di non incontrarlo.
Solo pochi istanti fa ho desiderato ardentemente che fosse qui ad aspettarmi, ma ora sono in preda al panico nel vederlo! Cosa devo fare? Sono in confusione. Non so che cosa fare! Mein Gott! Cosa debbo fare? Helfe mir, du lieber Gott!”
Mentre lei, colta dal panico e in stato quasi confusionale, era ferma, incapace di muovere un solo muscolo del corpo, il poeta le prese una mano che baciò con passione e galanteria. Aveva compreso lo stato emotivo della pittrice e voleva cogliere il momento propizio.
Mia cara, sono veramente felice di incontrarvi!” disse con voce suadente. “Oggi è una giornata radiosa, perché il vostro splendore illumina i miei occhi. Avete trascorso una serena notte?”
Tacque un istante per osservare la donna, che aveva gli occhi smarriti e appannati dall’ansia. Era sicuro che la sua presenza aveva rotto un equilibrio emozionale assai precario, riprendendo a parlare.
Mi dovrete scusare se sono stato impulsivo, aggredendovi con le mie parole, senza lasciarvi il tempo di respirare dopo la passeggiata verso il vostro studio”.
Angelica si riprese e, tratto un profondo sospiro, rispose cautamente con la voce velata dalla passione. “Sono io che sono stata scortese con voi, perché non ho risposto al vostro nobile saluto. Non è rispettoso lasciare un ospite così illustre fuori dall’uscio. Venite ed entrate con me. Voi siete il benvenuto in questa casa!”
Prese per mano il poeta e lo condusse per le scale verso l’atelier, dopo avere attraversato il grande portone spalancato.
Lo studio era stato rigovernato e si presentava ordinato e pulito. Appariva luminoso rispetto al giorno precedente per lo splendido sole, che filtrava da un’ampia finestra che guardava verso un giardino interno. Una tela, appoggiata sul grande cavalletto, mostrava la figura della pittrice, appena abbozzata che risplendeva sotto i raggi solari che la colpivano.
Goethe si fermò sulla porta ammirando il quadro incompleto. “Voi siete veramente abile nel ritrarre i volti delle persone. Siete riuscita con pochi tratti di pennello descrivere la vostra radiosa bellezza”.
Poi entrò con passo deciso nella stanza, aiutando Angelica a togliersi il mantello che le lasciava visibile il solo viso.
Si sedette sulla poltrona di raso rosso come la giornata precedente, mentre la pittrice si apprestava a mescolare i colori che avrebbe usato tra un po’ e a scegliere i pennelli più adatti al quadro, sistemandosi dinnanzi a un grande specchio a pavimento.
Angelica si muoveva con leggerezza e naturalezza, come se nessuno fosse intento a osservarla. Aveva ripreso il controllo di sé e delle proprie emozioni mentre era raggiante per il corteggiamento discreto, ma evidente di Goethe.
I suoi 45 anni le pesavano psicologicamente, perché percepiva il timore che gli uomini non la degnassero più di sguardi maliziosi, preferendo donne più giovani di lei. Sentiva che la passione lentamente svaniva, perché sempre meno il desiderio si faceva strada dentro di lei.
Non mancavano i corteggiatori, spesso petulanti e insistenti, ma erano sempre più anziani, mentre lei preferiva i giovani, che diventavano sempre più rari.
Adesso aveva dinnanzi a sé un giovane uomo, famoso e amante delle belle donne, pronto a corteggiarla, a lusingare la sua vanità di femmina. Sentiva il desiderio che saliva verso il viso ed ebbe la certezza di essere ancora invitante nonostante l’età non più giovanile.
Si volse verso il poeta, che non staccava lo sguardo dal suo viso, cominciando a parlare con voce bassa ma piena di calore.
Voi siete molto paziente con me, visto che ieri sera sono stata fredda e distaccata. Oggi sarà un giorno diverso e, se il vostro invito a pranzare è ancora valido, sarà per me un vero piacere seguirvi nell’osteria da voi scelta”. Voleva trasmettere senza ombre di dubbio la sua disponibilità alle attenzioni del poeta.
Tacque e aspettò con ansia che Goethe dicesse qualcosa, mentre il cuore in tumulto batteva a mille per la passione. Le pareva essere tornata adolescente quando gli uomini la corteggiavano per la sua fresca bellezza, percependo sensazioni che credeva ormai spente.
Il poeta, senza dire nulla, s’alzò, la prese fra le braccia e, dopo avere tolto il pennello e la tavolozza dalle mani, la baciò con trasporto.
Angelica lasciò fare e rispose con analogo slancio, assaporando il lungo bacio, mentre il viso pallido acquistava colore sulle gote.
I due amanti erano in piedi nel centro della stanza mentre un silenzio carico di tensione aleggiava a mezz’aria. Erano una splendida coppia e sembravano fatti uno per l’altro.
Si staccarono e, guardandosi negli occhi, scoppiarono in un riso allegro e festoso, quasi irrefrenabile, perché nessuno dei due aveva pensato che sarebbe arrivato questo momento così presto.
Maestro, voi siete abile anche nell’arte amatoria e sapete come cogliere i fiori della bellezza” disse Angelica senza staccare lo sguardo da lui..
Goethe di rimando rispose immediatamente. “Voi siete una splendida rosa che matura sotto il sole di Roma! E’ piacevole cogliere fiori profumati in questo giardino rigoglioso e curato. Sarò un servo devoto per voi che mi terrete compagnia. Vi condurrò per mano in quella osteria a cui ho accennato ieri sera”.
La donna, che non aspettava altro che l’invito fosse rinnovato, replicò prontamente: “Siete galante e discreto come si conviene a un vero signore. Dunque non posso non accettare una lusinga così ben presentata. Sarà un vero piacere farvi compagnia per conversare amabilmente con voi, così virtuoso nell’eloquio. Quando vorrete, io sono pronta”.
Si pulì le mani in uno straccio, si sistemò il vestito, mentre osservava le reazioni di Goethe, che non si aspettava tanta arrendevolezza dopo il rifiuto della sera precedente. Lui c’era rimasto male, perché non credeva che si negasse al suo fascino ma adesso grande era stata la sorpresa, perché il giorno dopo mostrava nello sguardo e nelle parole che si era sbagliato. Quel viso pallido e quegli occhi scuri l’avevano colpito fino dal primo istante che aveva varcato la soglia dello studio tanto che aveva desiderato che diventasse la sua amante segreta.
Dopo aver riflettuto per un attimo, disse, sfoderando un dolce sorriso. “Voi siete la benvenuta al mio fianco e non aspettavo altro che il vostro consenso. Quindi mettiamo i mantelli e incamminiamoci verso il Tevere, mentre osserviamo lo splendido paesaggio di Roma illuminato dal sole”.
Richiusa la porta alle loro spalle, si incamminarono uno accanto all’altro verso l’osteria da Mario vicino al Tevere, parlando allegramente, tenendosi per mano.
Iniziò così la felicità sognata da entrambi.

0

Capitolo 2 – L'attesa

Il giorno seguente Goethe si alzò di buon’ora, perché voleva tornare là, all’atelier.
Era rimasto colpito dalla delicata bellezza di Angelica e dalla naturale modestia della più famosa pittrice di Roma.
Uscì dalla locanda, dove alloggiava, nei pressi di Castel Sant’Angelo e con passo svelto s’incamminò verso via Sistina, dove era lo studio.
Le vie erano già animate da molti carrettieri, che portavano le loro merci al mercato, e dovette fare attenzione per non finire sotto le ruote dei loro carri.
La giornata era bella, come poteva esserlo solo a Roma in quel periodo: un cielo terso con qualche nuvola sparsa in qua e in là, un tiepido sole autunnale, l’aria frizzante del mattino.
Si fermò lungo il tragitto ad ammirare qualche vestigia dell’antica Roma, fece qualche schizzo sul blocco che portava sempre con sé.
La camminata gli aveva messo appetito e allegria, perché tra non molto sarebbe tornato nello studio di Angelica. Sull’angolo della strada un venditore ambulante aveva aperto un piccolo banco di frutta fresca, dove sostò per comprare qualche mela rossa da mangiare prima di arrivare.
Ripensava all’incontro di ieri che aveva acceso dentro di lui la passione.
Lei, ” disse sottovoce “ lei … è una giovane donna attraente e famosa, che è desiderata da tanti uomini ed invisa a tante donne. Lei gradisce la mia compagnia? Lei…” continuava a parlare da solo mentre di tanto in tanto mordeva la mela che aveva in mano, “Lei ha accettato il mio invito perché io sono Goethe o perché le piaccio?”
Parlava ormai ad alta voce tanto che i rari passanti mattinieri guardavano quello straniero avvolto nell’ampio mantello e con il cappello chiaro a falde larghe in testa come se fosse un matto scappato dal manicomio.
Non capivano nulla di quello che diceva: «Sie ist eine junge Dame. Sie ist eine berühmte und bekannte Malerin ihrer Zeit….». Scuotevano la testa e commentavano in romanesco il comportamento di quello strano individuo che camminava ad ampie falcate e urlava parole incomprensibili.
Goethe continuava, come se quei passanti ignoranti fossero dei fantasmi, blaterando in tedesco sempre più ad alta voce. «Mein ist das geträumte Glück. Angelica, wo ist Sie? Warte mir, ich komme früh!»
Più parlava, più affrettava il passo, più attirava gli sguardi incuriositi della gente per strada. Era un crescendo del quale non si rendeva conto, immerso nel suo mondo di immaginazione e di desiderio.
 
Angelica, come al solito, indugiava nel letto, dove dormiva ormai da tempo sola, pigramente, complici i primi freddi autunnali che non la invogliavano ad uscire dal caldo tepore delle coperte, mentre ripensava all’incontro del giorno precedente alquanto strano col grande poeta.
Famosa e ricercata non c’era nobile o ricco o prelato, che non desiderasse essere ritratto da lei, come molte donne giovani o vecchie che venivano nel suo lussuoso atelier per essere dipinte sulla tela. Queste provavano una sincera e forte invidia verso di lei che pareva avere trovato l’elisir della eterna giovinezza, perché la sua bellezza non era appassita con l’età. Aveva innumerevoli corteggiatori tra i quali poteva scegliere a piacimento ma in questo periodo preferiva rimanere sola. Quando incontrò Goethe, lo vide come un bell’uomo giovane e famoso.
Le era piaciuto da subito senza un motivo preciso, perché vedeva qualcosa che le mancava nel matrimonio. Erano solo sensazioni non quantificabili che galleggiavano nella mente senza precisi riferimenti.
Era strano il suo atteggiamento mentale perché sentiva un’attrazione che non era né sessuale, né fisica: era un qualcosa di indecifrabile che neppure lei riusciva a concretizzare. Il fascino, uno stato indefinito e impalpabile, che aveva esercitato su di lei, l’aveva accompagnata durante la cena serale ed anche dopo senza lasciarle tregua. Era uno stillicidio di sensazioni che pungevano come mille spilli, facendo vagare in qua e in là la mente, estraniata dal corpo.
Durante notte aveva dormito in preda all’agitazione sognando lui, che le stava accanto nel letto. Più di una volta aveva allungato una mano sperando di trovare il suo corpo, ma si era svegliata stringendo solo il lenzuolo. La voglia, il desiderio era cresciuto di pari passo con la stanchezza della notte insonne rimpiangendo di avere rimandato al giorno dopo l’invito.
Perché sono stata così sciocca? Perché non ho accettato l’invito all’osteria? Perché ..” si domandava mentre sentiva il leggero fruscio delle lenzuola sulle braccia e sul viso, “Perché ho avuto paura di andare? E se oggi non venisse, cosa dovrei inventare per vederlo comparire? Se non venisse più, perché io l’ho respinto, come potrei richiamarlo vicino a me? Ha fascino, è discreto, è giovane e robusto”.
Angelica stava ripetendo ad alta voce questa sequela di perché, quando udì il bussare discreto alla porta “Entra pure Maria, sono sveglia” disse rigirandosi sotto le coperte. “Signora, la porta è chiusa a chiave” le rispose la governante.
La pittrice, uscita dal caldo abbraccio del cuscino, mentre rabbrividiva, apri la porta, lasciando entrare la donna con la colazione.
Maria, avvicinatosi al tavolino nel centro della stanza, posò il vassoio che teneva in mano, liberò le finestre dai pesanti tendaggi, favorendo un bel raggio di sole che inondò la stanza. Quel lampo di luce costrinse Angelica a chiudere gli occhi per un attimo, mentre rapida riguadagnava il caldo del letto. L’incanto della notte era strappato, mentre a malincuore doveva uscire dalle lenzuola per affrontare la nuova giornata.
La stanza era ampia con un grande letto a baldacchino al centro, un grande camino di fronte. In un angolo c’era un inginocchiatoio sotto il quadro della Vergine Maria con Gesù, dove tutte le sere prima di coricarsi recitava le preghiere.
Tra le due finestre stava un tavolo rettangolare rustico e semplice, dove faceva colazione alla mattina, mentre tra il letto e il camino c’era una comoda poltrona, da dove poteva ammirare il quadro che amava di più in assoluto il San Girolamo di Leonardo da Vinci. La stanza aveva al suo interno altri due vani: uno serviva come bagno e l’altro come guardaroba spogliatoio, ciascuno riscaldato da un camino.
Maria prese dalla stanza adiacente la pesante veste da camera ricamata di colore cremisi e l’aiutò ad infilarsela, le mise le pantofole di panno foderate con morbido pelo di agnello e sistemò una sedia accanto al tavolo apparecchiato con la colazione.
Accese il fuoco per riscaldare l’ambiente, liberò anche l’altra finestra dalla tenda e silenziosa in disparte aspettò che Angelica terminasse.
Non aveva fame, non provava gioia nel sorseggiare il latte caldo, né il pane dolce sembrava tale, insomma non c’era nessun piacere nel consumare il cibo, diversamente dalle altre mattine. La mente riandava di continuo alla giornata precedente, a quell’incontro tanto stimolante ed eccitante, al timore che non venisse nella giornata odierna nello studio, al pensiero che quell’invito non accettato prontamente non venisse ripetuto.
Maria, vista l’aria afflitta e lo sguardo appannato di Angelica, le chiese premurosa se avesse dormito male nella notte senza ricevere risposta. Cominciò a preparare la stanza da bagno accendendo il fuoco nel camino per riscaldare l’ambiente, a portare brocche di acqua calda e fumante per lavare la sua signora.
Era ormai quasi mezzogiorno, quando Angelica si avviò verso lo studio di Via Sistina, che distava pochi passi dalla sua bella casa posta un poco più in alto sul Pincio da dove si poteva osservare quasi tutta la città.
In quel istante lo vide avvolto nel suo mantello che camminava avanti e indietro davanti al portone che consentiva l’accesso all’atelier.
Ebbe un piccolo mancamento e stava per girarsi e tornare sui suoi passi, quando lui la vide.

0

Capitolo 1 – L'incontro


Era un pomeriggio piovoso il primo novembre, quando Goethe entrò nello studio di Angelica rimanendo folgorato dalla bellezza per niente appannata dai suoi 45 anni.
Angelica”, esordì. “Posso chiamarvi così?” e rimase in attesa di una risposta della donna, che ignorava di avere fronte a sé il famoso poeta.
Certamente. Ma chi siete? Io non vi conosco” rispose Angelica con un soffio di voce ammirando il giovane dal portamento elegante con quel ampio mantello bianco e il cappello dalla larga tesa in mano.
Immediatamente tra loro si stabilì un filo che li legò nei sensi e nel cuore. La famosa pittrice era malinconica e infelice, perché il suo matrimonio con Antonio Zucchi stava andando a rotoli per colpa di lui, incapace di donarle un qualche afflato d’amore.
Goethe dopo un attimo di esitazione, disse con voce calma e chiara: “Sono Johann Wolfgang Goethe, il poeta e scrittore che tutti ammirano. Conoscete le mie opere?”
Diventata rossa per l’emozione, stette in silenzio pensando a quale risposta dare. “Sì, le conosco e le ho lette. E’ per me un grande onore e privilegio parlare con voi. Ma, annunciando la vostra visita, mi avevano detto che eravate il pittore Philippe Moeller. Forse si sono sbagliati?”
No, l’informazione era giusta, perché ho attraversato l’Italia e sto girando per Roma in incognito, sotto falso nome” rispose lusingato dall’effetto delle sue parole sulla donna. Un silenzio carico di incertezze aleggiava nello studio come se loro fossero impacciati e timorosi nel parlare.
Dopo aver taciuto per qualche istante, che gli apparve lungo come un’ora, riprese il discorso interrotto poco prima. “Voi siete una donna bellissima, meravigliosa. La vostra bellezza offusca gli splendori che ho potuto ammirare fino a questo momento”. Avvicinatosi le baciò la mano sporca di colori.
Angelica ebbe un sussulto di sorpresa: non si aspettava un simile gesto, ma ben presto riprese il controllo del proprio corpo e chiese con soavità: “Cosa posso fare per voi?”
Goethe, senza rispondere, si sedette su una sedia di raso, usata per mettere in posa i committenti, continuando ad ammirare la bellezza della donna, che lo aveva colpito. Gli avevano preannunciato che aveva una grazia rara e affascinate ma la realtà stava superando l’immaginazione. “Non vorrei mancarvi di rispetto o distrarvi dalle vostre occupazioni ma chiedo di osservarvi in religioso silenzio, mentre dipingete il vostro autoritratto? Avete la leggiadria di una dea greca. I pennelli e i colori vi donano un’armonia che non ho mai ammirato in nessun’altra donna”.
Angelica annuì tornando a mescolare i colori sulla tavola, mentre Goethe riprese a parlare, rompendo il silenzio composto di respiri e sospiri.
Non vorrei turbare la vostra concentrazione ma mi piace guardarvi” disse appoggiano la testa sul braccio come per scrutarla con maggior intensità. “Avete degli impegni per stasera? Gradirei che la vostra presenza mi tenesse compagnia a cena”.
Angelica, che aveva ripreso a lavorare coi colori come se fosse sola nello studio, rimase muta senza guardare Goethe. Pareva che avesse perso l’uso della parola ma in realtà non sapeva cosa rispondere. Era combattuta tra il desiderio di trascorrere la serata col poeta e il rispetto dei doveri coniugali. Poi prese la decisione di rimandare a domani l’invito del poeta, sfruttando la notte per ponderare con calma la situazione.
“Sono lusingata della vostra generosa offerta, ma stasera ho un gravoso impegno che mi impedisce di tenervi compagnia. Però se la proposta vale ancora per domani, posso accompagnarmi con voi nell’ora del mezzogiorno”.
Goethe abbozzò, incassando quel rifiuto, e proseguì: “Allora domani di buona ora sarò qui da voi a rimirarvi mentre lavorate e a mezzogiorno offrirò il mio braccio per accompagnarvi in una certa osteria che conosco bene. Così potremmo parlare liberamente senza l’assillo che possa distrarre la vostra mente mentre dipingete”.
Il poeta trascorse il resto del pomeriggio, seduto sulla poltrona di raso rosso, mentre osservava Angelica che dipingeva il proprio viso. Trasse da una tasca interna un piccolo blocco di fogli e una matita che usò per fare qualche schizzo della pittrice e dello studio.
Notò come la pittrice fosse abile nel dare quelle pennellate leggere sulla tela, che pareva animarsi sotto i suoi tocchi, mentre miscelava colori e tratti con maestria e precisione.
Il silenzio era surreale, quasi palpabile con la mano, mentre la osservava al lavoro.
La corta giornata di Novembre stava riempiendo di ombre lo studio e le candele a stento rischiaravano l’ambiente con curiosi giochi di chiari e di scuri che guizzavano lievemente sui muri e sui loro visi.
Angelica, senza proferire parola, depose i pennelli e i colori, pulendosi le mani con uno straccio ormai logoro e sporco. Si preparò al rientro a casa prima che le tenebre calassero del tutto, inghiottendo persone e cose.
Goethe si riscosse dal torpore entusiastico che l’aveva contagiato per l’intero pomeriggio, alzandosi dalla poltrona, si avvolse con cura nel mantello bianco e si calcò in testa il curioso cappello chiaro dalle larghe falde.
Uscirono insieme senza dire nulla dallo studio. Arrivati sul portone, Goethe prese la mano di Angelica baciandola con passione. “Posso accompagnarvi per un tratto di strada?” disse guardandola negli occhi
No. Vi ringrazio per la cortesia ma preferisco camminare un po’ in solitudine coi miei pensieri. Vi auguro una serena serata e Vi aspetto domani” rispose la donna, incamminandosi per rincasare. Non doveva percorrere molta strada per arrivarci.
Buona notte, mia Signora” la salutò con un profondo inchino. “Domani non mancherò di farvi nuovamente visita”. Rimase fermo, guardandola mentre si allontanava inghiottita dalle tenebre incipienti.
Era deluso dall’atteggiamento della donna, che l’avevano descritta come gaudente e passionale, mentre con lui si era mostrata fredda e distaccata con un’aria di sufficiente superiorità. Indubbiamente aveva uno charme che lo aveva colpito, mentre era sicuro che il suo l’avrebbe impressionata maggiormente ma l’evidenza era che aveva sopravalutato il suo fascino, sbagliando i calcoli su questo punto.
Rifletté che forse aveva messo troppa irruenza nell’invito e nel corteggiamento, costringendola a rimanere sulla difensiva. Poi lentamente si avviò a cercare compagnia femminile per la serata non molto soddisfatto da come era terminata la giornata.
Angelica, mentre percorreva la strada per rincasare pensò che era un giovane interessante tanto da non provare nessun imbarazzo, quando si era seduto sulla poltrona a osservarla in silenzio. Anzi aveva provato piacere e sensazioni positive.
Mille fantasie e mille pensieri si agitavano nella mente, mentre entrava in casa dove l’aspettavano per cena.

0

Prologo – Malcesine 15 settembre 1786

La vena poetica si è inaridita, seccata come i torrenti d’estate. Le immagini sono diventate acquerelli sfocati dai colori impastati. La parole muoiono prima ancora di essere scritte. Percepisco l’urgenza di respirare aria nuova, di conoscere nuovi mondi, nuove persone, di allacciare nuove relazioni amorose per sentire dentro di me stimoli innovativi e creativi che si sono esauriti nell’atmosfera ovattata di Weimar, dove sono stato in una gabbia dorata tra gli obblighi di governo e di corte e la gelosia di Charlotte. Come l’usignolo imprigionato nella voliera desidera cantare libero e volare senza vincoli nel cielo così anch’io voglio riacquistare la mia libertà. Perciò sono partito sulle orme di mio padre, Johann, e sto ripercorrendo le medesime strade alla ricerca del tempo perduto come tutti i grandi viandanti che mi hanno preceduto“.
Erano i pensieri amari di Goethe, ponderati nel buio di una cella, appena rischiarata dagli ultimi raggi del sole di fine settembre. «Le guardie veneziane mi hanno sorpreso a disegnare il castello di Malcenise. Non sapevo che fosse vietato e mi hanno trattato come se fossi una spia, rinchiudendomi in questa cella umida e buia del carcere di Verona». In attesa di comparire dinnanzi al magistrato di giustizia il poeta meditava sulla sua decisione repentina e inaspettata di lasciare Weimar e la corte ducale qualche settimana prima, ai primi di settembre del 1786, senza un saluto di commiato o un avviso della partenza. Si era avviato sotto falso nome verso Roma, accompagnato solo dai suoi ricordi giovanili. Anche se era incerto su come sarebbe finita questa imprudenza, era sempre più convinto che quella fosse stata una scelta saggia. «Dovevo cambiare aria. Ormai ero ripiegato su me stesso senza avere la forza di cambiare il mio quotidiano».
Con la testa appoggiata sulle mani e seduto su un pagliericcio sporco e puzzolente, aveva ben presente i racconti del padre, che venticinque anni prima aveva intrapreso un lungo viaggio in Italia arrivando fino a Napoli. Li aveva ascoltati da bambino tante volte. Il diario, scritto in un italiano approssimativo, era stata una lettura giovanile, che conservava in maniera nitida nella mente. Aveva ben presente dove andare e cosa visitare. Una mappa precisa e dettagliata del percorso da intraprendere era chiara nella sua mente.
Sperava che questa peregrinazione gli permettesse di riprendere il filo del discorso poetico ormai ridotto nei minimi termini. Molte erano le opere rimaste incompiute o appena abbozzate, mentre languivano e si ricoprivano di polvere, perché potesse accettare questo stato di inedia ancora a lungo. Nei dieci anni trascorsi a Weimar aveva scritto ben poco, perché era stato assorbito da altri impegni e distratto dall’amore verso Charlotte.
Assorto e con lo sguardo, che osservava inscurire quello spicchio di cielo che la bocca di lupo permetteva di vedere, Goethe ripercorse una fetta della sua vita.
“Avevo 25 anni quando ho conosciuto la notorietà con l’opera “Die Leiden des jungen Werthers”. La fama è arrivata troppo presto e ha rischiato di travolgermi. Sono cresciuto in un ambiente dove l’arte e la cultura erano di casa, respirandole come aria inebriante per la mente. Ho amato il bello e la raffinatezza delle opere classiche, che hanno nutrito la mia anima. Però la mia attenzione era rivolta anche verso altre forme di bellezza, che hanno rubato la mia libertà. Ma l’essere libero da vincoli cogenti è da sempre una componente del mio essere. A questa non ho mai rinunciato”.
Rammentava che aveva mostrato fin da subito questi due lati del proprio carattere: la passione per le donne e l’insofferenza verso un qualsivoglia legame. Qualsiasi novità lo attraeva come la calamita col ferro ma sbollito il primo impulso, quando questa diventava routine o obblighi costrittivi, sentiva la necessità di recidere drasticamente questi lacci e tornare di nuovo libero.
“Ricordo con piacere la chiamata a Weimar come precettore e guida del duca Karl August, col quale ho condiviso il governo del piccolo stato sassone. L’iniziale entusiasmo di partecipare al consiglio segreto che dirigeva la città-stato è stata per me, appena trentenne, come toccare il cielo con un dito. Mi sentivo forte e potente. Credo di non sbagliare ma per questo motivo sono stato corteggiato da molte donne. Loro sono state sempre al centro dei miei pensieri, ovunque mi trovassi. Però l’incontro con Charlotte è stato travolgente sotto ogni punto di vista. Lei si era impegnata a trasformarmi da un giovane insofferente alle regole in un perfetto cortigiano rispettoso degli obblighi di corte. Ben presto il nostro rapporto si è tramutato in sodalizio amoroso. Questa relazione mi ha lasciato un segno profondo, una traccia che è rimasta indelebile nel mio animo”.
Governare uno stato non era per lui il massimo delle aspirazioni, tanto che presto cominciò a dare segni di insofferenza. Si sentiva come un animale in gabbia, perché non amava avere vincoli sia nella vita quotidiana sia nell’amore, e la cura dello stato e la passione per Charlotte rappresentavano proprio quei legami che doveva recidere senza tentennamenti per non cadere nell’inedia e nell’apatia.
Nel settembre 1786, avviandosi in segreto da Karlsbad sotto falso nome, decise di intraprendere il viaggio in Italia per completare il suo bagaglio intellettuale e per toccare con mano la cultura classica, come aveva fatto il padre molti anni prima e tanti altri artisti prima di lui.
Era stato proprio quel ricordo a risvegliare in lui il desiderio di ripercorrere le stesse strade e rifare la medesima esperienza paterna. Però la vera molla fu la voglia di interrompere il sodalizio amoroso con Charlotte von Stein, che ormai lo stava opprimendo, togliendogli il respiro. Lei era la dama di compagnia della duchessa Anna Amalia di Saxe-Weimar, tramite la quale lo aveva conosciuto. La donna si sentiva molto infelice e soprattutto sola prima dell’incontro col poeta, perché il marito era spesso lontano da Weimar al seguito del duca o in lunghe missione all’estero per conto dello stesso. Una passione travolgente li accomunò fino al momento della partenza per l’Italia che mise fine alla loro relazione turbolenta e appassionata.
Condotto qualche giorno dopo dinnanzi ala magistrato si difese con ardore dall’accusa di spionaggio, cercvando di fare leva sulla fama del suo nome.
“Sono Joahnn Wolfang von Goethe” esordì nel suo italiano stentato. “Sono un poeta e uno scrittore che ama viaggiare alla ricerca del bello. Mi piace associare i disegni delle località visitate ai resoconti dei miei viaggi. Sto ripercorrendo le strade battute da mio padre, che mi ha sempre decantato la loro bellezza. Non era mia intenzione infrangere una legge di questa repubblica ..”.
Il magistrato lo ascoltava in silenzio e prendeva nota di quel effluvio di parole, che con tanta foga cercavano di spiegare e di illustrare chi era. Ogni tanto lo interrompeva per porgergli qualche domanda.
“Messer Goethe credo che voi abbiate agito in buona fede senza intenzioni dolose nel dipingere il castello di Malcesine” disse al termine dell’udienza. “Pertanto vi lascio libero di uscire dal carcere con l’impegno di uscire entro due giorni dai confini della repubblica veneta. Qualora non rispettiate questa sentenza, sarete condannato a trascorre molti anni nelle nostre galere”. Con queste parole chiuse il processo, aprendo le porte del carcere al poeta.
Dopo l’esperienza del carcere veronese, che nonostante tutto segnò in maniera positiva il suo umore, affrontò una lunga peregrinazione che sarebbe durata quasi tre anni. Goethe percorse la penisola da nord verso sud, toccando molte città lungo il cammino prima di giungere a fine ottobre a Roma.
Sono Philippe Moeller, commerciante e pittore in cerca del bello e del classico” si presentò così non appena era giunto alle porte daziarie di Roma. E in effetti sul biglietto da visita era proprio scritta questa frase.
Sistematosi in una locanda vicino a Castel Sant’Angelo, diede libero sfogo subito alla sua natura, partecipando alle feste popolari e frequentando osterie e donne di strada, comportandosi come un autentico popolano romano, intrecciando un rapporto amoroso con una serva dell’osteria dove abitualmente trascorreva le serate.
Quando ho scritto ‘Rõmische Elegien’, ho riletto la mia esperienza romana con gli occhi dei ricordi delle visite, delle feste e degli amori effimeri” diceva a chi gli chiedeva il senso di quelle liriche, piene di esuberante sessualità, che scandalizzarono il mondo chiuso e bigotto dell’epoca alla loro pubblicazione.
Pochi giorni dopo il suo arrivo a Roma iniziò a frequentare lo studio di Angelica, stringendo subito un solido rapporto di amicizia o forse qualcosa di più.
Lui era alto, di bell’aspetto e molto giovanile, lei era minuta e bassa di statura, ma proporzionata nella corporatura, dagli occhi mobili e vivi che le permettevano di parlare in modo eloquente attraverso lo sguardo.
L’atelier di Angelica era ormai diventato, per tutti i viaggiatori in transito nella città eterna, il punto di passaggio obbligato e di osservazione privilegiato per conoscere le ultime novità del mondo e non solo quelle.
Anche Goethe, come molti altri artisti e viaggiatori tedeschi, non seppe resistere al fascino e al richiamo misterioso, che quel posto esercitava. Voleva conoscere questa donna la cui fama si estendeva in tutta Europa sia per la bellezza sia per la bravura artistica.

0