I fantasmi esistono

Una notte magica San Giovanni

 

Il vento di novembre non è così freddo, come ci sembra. Si rabbrividisce quando camminiamo per la strada stringendoci nella giacca o nello spolverino. Il tempo in questa stagione è uggiose e nebbioso. L’umidità e la tristezza dell’anno che sta morendo gela i nostri pensieri. A novembre tutto ti avvolge in un’atmosfera che paralizza il nostro calore e la mente.

La mia amica Carlotta comincia a sentire freddo dalla sera del trentuno ottobre, e continua a tremare fino a Natale. Non ci sono vestiti o coperte abbastanza pesanti da riuscire a scaldarla, si lamenta di avere i piedi ghiacciati. Ovunque vada non si toglie mai il cappotto. Credo di non aver mai visto quali abiti indossi durante quel periodo. I suoi sentimenti entrano in un completo stato d’ibernazione tale da trasformarla in un’altra persona, del tutto irriconoscibile. Non esce più di casa. Ignora gli amici. Trascorre il Natale aspettando che l’anno muoia. Dal primo di gennaio torna alla vita di tutti i giorni, uscendo di casa e parlando con gli amici. Rinasce alla vita come il nuovo anno.

«La maggior parte delle persone non crede ai fantasmi, ma io so che esistono.» Carlotta mi ha fatto questa confidenza in una mattina di maggio, soleggiata come può esserlo in questo mese. Il tono di voce è allegro, e i suoi capelli lunghi si muovono seguendo il ritmo del vento. Siamo sedute al tavolo di un bar all’aperto con due granite al limone davanti a noi. Mi dice che vede i fantasmi ogni giorno. «Ma è a novembre che li percepisco con chiarezza

Carlotta è una strana ragazza, difficile da comprendere. Cosa vedono i suoi intensi occhi neri non si capisce dalle sue parole. Il suo sguardo sembra trapassare i corpi perdendosi in immagini percepibili solo da lei, quando parla con le persone. Non rivela quello che percepisce nel suo animo con nessuno, forse solo con me riesce ad aprirsi un po’. Tuttavia quello che nasconde, lo indovino interpretando le ombre che le attraversano gli occhi. Quella è stata la prima volta che mi ha parlato di fantasmi. Non vi ho prestato attenzione, perché era la prima volta che faceva discorsi strampalati. Solo chi la conosce molto bene riesce a seguire il filo invisibile delle sue sensazioni senza perdersi nel groviglio delle sue idee.

Le ho chiesto a cosa è riferita quell’affermazione, riscuotendomi dall’apatia di ascoltarla. So che spesso ha dichiarato che non crede in una qualsiasi forma di esistenza dopo la morte.

«I fantasmi sono dappertutto!»

La sue parole mi hanno lasciato basita, mentre rideva aggiustando una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

«È solo che la gente li ignora, o finge di non vederli. Io invece li ascolto.»

Un’ombra indefinibile passa nei suoi occhi, mentre Carlotta lascia cadere il discorso. Io non ho voluto approfondire il discorso. La conosco troppo bene per capire che non voleva parlarne.

In una grigia sera di novembre si è aperta con me, parlando dei suoi fantasmi. Aveva piovuto tutto il giorno e l’umidità restava appiccicata sull’asfalto e sulle macchine come una patina lucente. Sul telefono è arrivato un suo messaggio ‘I fantasmi sono tornati.e nient’altro. Non sono rimasta stupita, perché mai telefona e non ama ricevere telefonate. Usa solo i messaggi e la posta elettronica, perché è il suo modo di parlare senza comunicare, togliendo all’altra persona la responsabilità della risposta. Conosco lo stato d’animo di Carlotta durante quel periodo dell’anno, quindi mi sono precipitata a casa sua. È raro che in questo periodo tenti una qualsiasi forma di contatto con gli altri, e se lo ha fatto significa che ha bisogno di aiuto.

Quando arrivo da lei, la trovo pallida, di un pallore che non ispira tranquillità. Tuttavia non sembra infelice, anzi mi accoglie con affetto, offrendomi una tazza di caffè. Si muove come se abbia pensato che sia passata per caso. Mi chiedo se non ricorda il messaggio inviato o crede di non averlo spedito. Dopo aver chiacchierato del più e del meno, mentre lava le tazze del caffè mi dice: «Sandra è morta il quindici novembre di cinque anni fa.»

La sua uscita mi fa sgranare gli occhi, come se non sappia che in effetti è morta. Conosco Carlotta dalla scuola elementare e ricordo l’incidente di moto a causa del quale Sandra, la sorella maggiore, è deceduta mentre stava tornando a casa dall’università. Carlotta ne è rimasta sconvolta, ma benché abbia ripreso a condurre una vita normale, ho avuto il presentimento che quell’evento le sarebbe rimasto conficcato come una spina per sempre. In fondo è normale, ma non lo è, quando lei crede di vedere il fantasma di Sandra, ammesso che questo sia il senso del messaggio inviato. Comincio a preoccuparmi. Cerco il modo di affrontare l’argomento, quando lei prosegue: «Vorrei rivederla, anche per pochi attimi. Ormai non ricordo neanche bene il suo viso. Vorrei che fosse vero che le anime di quelli che amiamo e che sono morti prima di noi tornino a trovarci ogni tanto. Non sarebbe meraviglioso? Ma non è possibile, perché i morti restano morti. In realtà sono i vivi che ci perseguitano. Ieri stavo facendo la spesa al supermercato. E indovina chi mi sono trovata davanti? Monica! Te la ricordi? Sto avvicinandomi per salutarla, quando all’improvviso è svanita!»

Ascolto senza stupore il suo racconto e non so bene se stesse scherzando o se parlasse sul serio. Mi ricordo bene di Monica. Siamo state amiche inseparabili ai tempi del liceo, soprattutto Carlotta era molto legata. Però un giorno hanno litigato per un motivo futile che non ricordo affatto, e da allora non si sono più parlate. Carlotta non ha saputo più nulla di lei. Monica è viva. Amici comuni mi hanno riferito che si è trasferita a Parigi e lavora in una casa di moda.

«Stamattina invece,» proseguì Carlotta interrompendo il flusso dei miei pensieri, «nello specchio mi è apparsa la faccia di Marco. Abbiamo chiacchierato un po’, poi è sparito anche lui.»

Marco è stato il ragazzo di Carlotta per tre anni durante l’università, poi lei lo ha lasciato perché non sopportava più il suo carattere oppressivo e geloso. Pur non essendoci state liti, non si sono più rivisti, e nessuno dei nostri amici sa che cosa faccia adesso.

«Ma, Carlotta, stai parlando di persone che fanno parte del tuo passato, perché ci pensi proprio adesso?» Sono ancora più preoccupata della piega del nostro colloquio.

«Ma io non ci penso, io le vedo!» È sorpresa per la domanda tanto sciocca.

«Cosa significa che le vedi?» Sono ormai decisamente agitata.

«Le vedo.» E guardò al di fuori della finestra. «Come ti vedo ora. Li vedo tutti. Spesso e dappertutto. A volte mi parlano, oppure si limitano a fissarmi in silenzio. Non solo Marco e Monica, ma tutte quelle persone che ho incontrato e che hanno fatto parte della mia vita per un po’. Magari l’hanno anche cambiata, migliorata forse, comunque mi hanno resa quella che sono adesso. Poi a un certo punto sono scomparsi, come se fossero morti, alcuni perché gli eventi ci hanno allontanati, ma altri solo per pigrizia, paura o rancore. Qualcuno forse p ancora darmi qualcosa, e io a loro, ma non ci sono più.» Parla con calma serena, ma le ombre tornano ad affollarsi nei suoi occhi. «A volte vedo anche te, Paolo, i miei… Tutti voi che siete con me ogni giorno e vi posso toccare, parlare, e che non mi lasciate sola. Ma non ci siete sempre. A volte perdo il contatto anche con voi. Forse un giorno vi perderò perché ci sono molti aspetti nella vita compresa la morte. E non vi avrò detto quello che voglio dirvi davvero.»

Per un attimo ho creduto di cadere dentro i suoi occhi scuri e insondabili senza riuscire a emergere. Poco dopo me ne sono andata, ma sono turbata da quello che mi ha detto. Quando apro la porta di casa la trovo lì, sulla soglia. È lei, con i suoi capelli neri dagli occhi incredibili, non ho dubbio. Sto per chiederle cosa ci faccia a casa mia, ma quando apro la bocca, all’improvviso svanisce.

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