Buon anno 2023

Su Caffè Letterario quest’anno comincio io.

Foto di oleksandr pidvalnyi da Pexels

Beppe Gambalunga è infagottato nel giubbone nero che appare un po’ logoro sui gomiti. Impreca sottovoce, perché alle sei del primo gennaio deve recarsi al commissariato.

È successa una gran lite nel condominio Spera e gli agenti non riescono a sedare la lite che prosegue a colpi di sedie e ceffoni.

Così il commissario di turno ha richiamato in servizio chi non era di turno. «Che stronzo! Non riesce a gestire quattro gatti che si scazzottano per bene, alticci per le troppe bevute» biascica con le mani affondate nelle tasche. Se fosse per lui li avrebbe lasciati lì a picchiarsi di santa ragione. Tanto prima o poi avrebbero smesso. Però lui è l’agente scelto Beppe Gambalunga, e l’altro il commissario Ciccio Bellavista. Una bella differenza!

C’è ancora buio ma il cielo è senza stelle coperte da nuvole che sono grige. Tira una bava di vento freddo che fa rabbrividire Beppe, che ha il collo incassato nel giubbone.

Il commissariato non è proprio dietro l’angolo ma a lui non andava di prendere fuori la macchina con le strade ingombre di cocci. Gli operatori ecologici sono in azione da un paio d’ore ma prima che arrivino al suo quartiere passerà ancora del tempo. «Che mania quella di gettare le cose vecchie dalla finestra» bofonchia indispettito con l’alito che condensa per il freddo.

«Alla buon’ora!» Lo accoglie il commissario Ciccio Bellavista. «Sei l’ultimo ad arrivare! La pattuglia ti aspetta nel cortile. Sono lì al freddo da mezz’ora».

Beppe non risponde. Non gli va di incominciare l’anno male con un battibecco sterile. Incassa il rimprovero, deposita il giubbone nel suo armadietto e indossa il giubbetto imbottito d’ordinanza.

Alceo Spingarda sta fumando l’ennesima sigaretta accanto alla Punto blu che ha il motore acceso. Dentro ci sono Luca Bimbo e Dino Sperandio che discutono animatamente.

«Si parte». Alceo buttato il mozzicone si mette alla guida. «Speriamo di non trovare troppo sporca la strada».

Scansati diversi oggetti ingombranti, arrivano al condominio Spera dove ci sono diverse pattuglie tra polizia e carabinieri.

Lo spettacolo sarebbe divertente se non ci fossero una dozzina di persone che si azzuffano tra le urla di incitamento di donne e bambini col contorno dei condomini affacciati alle finestre che fanno il tifo da stadio.

Beppe guarda incredulo lo spiegamento di forze che non osano separare i contendenti. Dà di gomito a un carabiniere dal viso annoiato che nell’ombra si fuma una Marlboro. «Si sa perché si picchiano?»

«No. Qualcuno delle case davanti ci ha chiamato perché c’era una zuffa in strada. Ma il motivo non lo so».

Beppe lo osserva. Gli sembra che sia infastidito perché gli ha chiesto la causa della battaglia a suon di pugni. Però non demorde. «Perché non li separate?»

Il carabiniere lo guarda in tralice e sbuffa perché non può fumare in santa pace. A lui non gliene frega nulla di motivi e d’intervenire. «Se le danno di santa ragione senza usare coltelli o arme improprie. Alla fine qualcuno si recherà al pronto soccorso senza qualche dente o col naso rotto e tutto finisce lì». Poi gettata la cicca nel tombino si allontana borbottando qualcosa che Beppe non capisce.

È ancor più irritato col commissario. «Mi ha tirato giù dal letto per assistere a una zuffa senza intervenire» bofonchia alzando le spalle e sputando per terra.

Era andato a letto da poco dopo il veglione in casa sua con le sorelle e i loro mariti, quando è arrivata quella telefonata inopportuna. Se le prime ore dell’anno nuovo sono passate in allegria, adesso l’umore è nero.

È ormai da una mezz’oretta buona al freddo ad assistere a una zuffa da osteria senza che le forze di polizia accorse in gran numero vi ponga fine, quando sente una voce proveniente dal buio.

«Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signori, di almanacchi?»

Beppe si gira nella direzione di quella voce e e vede un Vucumprà che avanza tenendo in mano degli opuscoli.

«Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signori, di almanacchi?» Ripete con tono strascicante un corpulento clandestino dal viso nero come la pece.

Una donna, che fino a pochi istanti prima urlava e incitava qualcuno a dargliele per bene, si stacca dal gruppo e chiede: «Almanacco per il nuovo anno? Sarà buono?»

Il venditore si avvicina e in un italiano incerto afferma che il prossimo sarà di certo migliore di quello che ci ha appena lasciato.

«Ne siete certo?» Insiste la donna dubbiosa che prende l’almanacco che il Vucumprà le allunga.

«Potete scommetterci. Migliore di tutti gli anni passati».

Come per incanto la rissa cessa e poliziotti, spettatori e litiganti si assiepano intorno al venditore ambulante per comprare un almanacco.

 

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Lucrezia e il racconto erotico

Lucrezia nel suo blog mise un’immagine e avanzò la seguente proposta: ”… Che mi dite, facciamo partendo da questa immagine un racconto erotico? Liberate la vostra. fantasia, e chi arriva dopo prosegua il racconto, Vediamo cosa ne esce …”.

Il racconto si sviluppò attraverso i commenti di alcuni blogger, che avevano accettato la sfida lanciata da LU. La fotografia da cui si doveva dare origine alla narrazione era una splendida immagine in bianco e nero, come tante altre che comparivano sul suo blog e rappresentava una bella ragazza vista da tergo con una catenella che scende lungo il suo corpo nudo.

Un racconto di pura fantasia… dato che non si vede l’immagine… ” disse il primo blogger in tono di sfida.

Basta avere pazienza e l’immagine si vede…se permettete inizio io”, proseguì il secondo ed avviò il racconto.

Cosa significava quella immagine per il blogger che iniziava la narrazione? Una ragazza incatenata, da possedere e così fece, ma il racconto si era sviluppato in maniera inattesa. Proviamo a leggerlo tutto di un fiato, forse farà sorridere, forse farà incazzare qualcuna, forse diranno “Uffa! Che barba!”.
Demetra e la mattina in ufficio


Paolo aveva appena finito la doccia e stava indossando l’accappatoio, quando sentì i Bee Gees, guardò il display: era il numero di Demetra. Rimase sorpreso e indugiò un attimo a riflettere.

Era single per scelta e di sera spesso amava frequentare alcuni club molto privati e particolari, dove faceva conquiste occasionali, che con regolarità dimenticava il giorno dopo. Non si sentiva pronto per una relazione stabile o forse non aveva ancora incontrato una donna che sapesse donare qualcosa di più di un banale rapporto sessuale. Quella mattina tornò a guardare stupito il visore, mentre il telefono continuava la litania musicale che annunciava una chiamata entrante, aspettò ancora qualche secondo prima di rispondere.

“Buon giorno”.

“Ciao Demetra, tutto a posto per stasera vero?”.

“Certo, sono già pronta”.

“Bene aspettami davanti alla porta, e sai che non scherzo vero?”.

“Certamente”.
L’aveva conosciuta la sera precedente assieme al marito durante una festa in un esclusivo club privè di Milano. Loro erano una coppia complessa, perché lui non amava fare sesso con lei ma con le sue amiche, mentre lei assecondava il suo desiderio con incontri occasionali e poco stimolanti. Sentendosi trascurata, era

sempre alla ricerca di un maschio che doveva renderla felice, appropriarsi del suo corpo, della sua testa e della sua anima in modo deciso e coinvolgente. Era giovane, determinata e trasgressiva, sapeva di avere un corpo splendido da usare come arma di seduzione.

Demetra gli era piaciuta fin dal primo momento e lei l’aveva ricambiato.
Al Club, lasciato il marito al tavolino, passarono una serata splendida. Seguendo la danza della seduzione fatta di sguardi, ammiccamenti e di mezze frasi, finirono nella sala col letto comune, e fecero sesso, mentre mani e lingue degli altri toccavano i loro corpi, amplificando il piacere degli amplessi. Si erano scambiati i numeri del telefono promettendo di risentirsi il giorno dopo. Al risveglio si era sentito stanco e allo stesso tempo appagato per aver trascorso con lei una serata coinvolgente ed eccitante, pensando che non l’avrebbe mai chiamato per proseguire la storia, come era già avvenuto con altre donne in passato. Quindi era rimasto sorpreso quando aveva sentito il telefono, ma allo stesso tempo era stuzzicato dal quel contatto a casa sua per la sera. Era necessario adesso che si sbrigasse e pensasse meno a Demetra, perché il treno non l’avrebbe aspettato di certo. Saltò il rito della colazione e velocemente indossò i vestiti pronti per l’ufficio.

Il treno, come al solito, era in ritardo e affollato. Dopo due fermate scese ed esclamò “Ma chi è quella laggiù? … Mi sembra… ma si è lei! Demetra!”

Immediatamente la fantasia aveva cominciato a galoppare. Le immagini dapprima erano confuse, poi sempre più chiare. Cosa vedeva? Lei, sempre lei! Era ipnotizzato dalla sua bellezza e dai ricordi della sera prima!

Qualcuno dietro di lui disse irosamente: “Scendi o scansati!”, spintonandolo di malagrazia.

Si riscosse e scese lentamente con lo sguardo fisso su di lei. Si avviò con passo deciso per raggiungerla. Ecco che qualcosa la fece, come per magia, svanire nel nulla. La serata trascorsa gli aveva lasciato un sacco di emozioni sulla pelle, ma adesso non era il momento giusto per pensarci, quindi le avrebbe detto stasera quello che provava per lei. Aspettava in ufficio un nuovo collaboratore che avrebbe avuto alle sue dipendenze da domani. Era stato scelto dalla direzione senza che avesse potuto partecipare alla selezione: questo non gli era piaciuto per niente. Con questi dubbi che frullavano vorticosi in testa, chiese alla segretaria se era arrivato la persona che aspettava.

“Certo! La signorina è appena arrivata!” gli rispose sorridente e maliziosa.

“Signorina? Falla pure accomodare, ma non si chiamava Vittorio?” disse un po’ sorpreso e seccato di dover gestire una donna.

Alzò le spalle, mentre scuoteva la testa per il disappunto. La giornata in ufficio sembrava cominciare col piede sbagliato. Posata la borsa sul tavolo, scorse velocemente i titoli dei giornali, che tutte le mattine Anna disponeva con cura sul ripiano vicino alla finestra. Seduto alla scrivania vide aprire la porta e affacciarsi una figura femminile che si diresse verso di lui senza che distogliesse lo sguardo. Gli porse la mano.

“Demetra Di Vittorio” disse con tono deciso ma cordiale.

“Demetra Di Vittorio, spero di non deluderla…” ripeté, come se lui non avesse udito.

“Dottoressa Di Vittorio?” rispose stupito.

La fissò per qualche secondo senza riuscire a dire una parola.

Demetra che piacere rivederti” continuò Paolo, riprendendosi dallo stupore.

Di giorno era ancora più provocante, non rinunciava alla sua sensualità, che esprimeva con raffinata intelligenza. In un attimo mille pensieri e immagini avevano riempito la sua mente, mentre osservava quella figura elegante e slanciata che si avvicinava lentamente alla scrivania. Riacquistò un atteggiamento professionale, quando fu di fronte a lui.

“Bene Dottoressa, come ti è stato detto, da domani sarai a mia completa disposizione, sai bene che non ci saranno orari. Pretendo molto dai miei collaboratori. Ovviamente non ti darà fastidio se ti do del tu vero?”

“Assolutamente no” rispose calma sedendosi di fronte a lui.
Paolo leggeva nei suoi occhi paura ed eccitazione, ma nella testa aveva chiaro cosa Demetra sarebbe divenuta nei prossimi giorni.

Demetra chiudi la porta” le ordinò secco e cordiale.

Mentre lei si alzava sinuosa e elegante per chiudere la porta rimasta aperta, lui la scrutava senza tradire l’intimo tumulto che la vista della ragazza suscitava in lui. Con misurata lentezza si girò verso di lui per tornare alla scrivania.

“Ora fermati”. Lei rispose “Si”, rimanendo immobile nel centro della stanza, Demetra si chiese con un misto di ansia e desiderio, che cresceva dentro, cosa le avrebbe richiesto.

La serata precedente era stata straordinaria, perché per la prima volta non si era sentita una donna oggetto da portare a letto, ma aveva percepito che era diverso: deciso, calmo, gentile e delicato e allo stesso tempo attento a donarle il massimo del piacere.

Si era domandata perché frequentasse posti, dove l’uomo era solo alla ricerca del soddisfacimento sessuale. Prima di presentarsi all’appuntamento per il nuovo lavoro, l’aveva chiamato per capire, se la sensazione era quella giusta. Sentendo la voce, aveva capito che lo era.

Grande era stato lo stupore, quando aveva scoperto che il caso gli aveva riservato una gradita sorpresa: il datore di lavoro era quell’uomo desiderato. Quando lo vide, si eccitò agitandosi ma adesso aspettava con ansia cosa volesse da lei.

La risposta per Demetra era di fondamentale importanza: percepì che il suo desiderio era possederla.

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Dalla finestra scorgeva un ciliegio giapponese

Dalla finestra si scorgeva nel giardino vicino un ciliegio giapponese tutto rosa per i fiori sbocciati dopo il lungo inverno. Faceva contrasto con la quercia, piantata sulla pubblica via, ancora implume con piccole foglie di un bel verde smeraldo. Un piccolo uccello colorato si posò sui rami quasi nudi della quercia.
Marco si sforzò di indovinare quale fosse il suo nome, mentre c’era un via vai di gazze, che volavano intorno al ciliegio.
Era appoggiato alla testata del letto e ripensava alla sua infanzia, alle gioie ma anche ai dolori. Sogni e amori si mescolavano fra loro ma tutto rimaneva impastato come la farina nelle mani del fornaio prima di trasformarsi in un pezzo di pane.
Gli sarebbe piaciuto conoscere il mondo, viaggiare e sognare terre lontane ma viveva di lavori precari. Era un giorno senza chiamate che lo costringeva a rimanere a letto a rimuginare sulla sua vita.
Il contrasto tra l’intensa fioritura del ciliegio e il timido risveglio della quercia era uguale a quello che provava dentro di sé. Avrebbe voluto ma non poteva. Aveva amato ma adesso era solo. L’ultimo lavoro si perdeva nei ricordi mentre attendeva invano uno squillo.
«Sig. Marco Pinotti? Sono Marta del Objob. Le telefono perché ..». Era il dialogo immaginario che si aspettava ogni giorno da troppo tempo, ma quelli passavano e il telefono rimaneva muto.
Marta era una simpatica ragazza, che aveva conosciuto vagando tra gli uffici dei lavori interinali. Aveva più o meno la sua età, almeno questa era la sua valutazione. Di statura non definita, l’aveva vista sempre seduta, e una zazzera riccioluta del colore del grano maturo erano due particolari fisici che gli erano rimasti impressi. Si sorprese a pensare solo a quelli come se il resto del corpo non esistesse.
Avrebbe desiderato invitarla a mangiare una pizza ma le finanze personali gli impedivano di sgarrare dal budget giornaliero. Una pasta condita con un poco di sugo accompagnata da una verdura, quella a più buon mercato, era il pasto principale del mezzogiorno. Alla sera un frutto e qualche cracker per scacciare i morsi della fame. Il resto dei pochi risparmi era destinato al fitto del monolocale e alle bollette che puntuali, come un orologio svizzero, arrivano tutti i mesi.
Ormai stava raschiando il barile e se non arrivava una chiamata doveva dichiarare default. Questi grigi pensieri erano in contrasto con la tiepida giornata primaverile che si annunciava serena.
Non aveva nessuna voglia di alzarsi.
“Dove vado? A guardare le vetrine scintillanti di offerte e gadget che non posso permettermi? A desiderare qualcosa che rimarrà un sogno?” erano questi i pensieri dominanti.
Marco continuava a osservare quel piccolo volatile colorato che saltava di ramo in ramo beccando ogni tanto qualche piccolo insetto.
“E’ dura la vita, amico? Però almeno tu puoi volare libero e cercarti del cibo. Io dipendo invece dagli altri, dai loro umori, da altre mille limitazioni. Vorrei librarmi senza vincoli nell’aria e osservare il mondo da quel punto di osservazione ma non posso”.
Poi posò lo sguardo sulle gazze che parevano divertirsi e giocare tra loro in un balletto sfrenato e simpatico.
Un pizzico di scoramento lo avvolse tanto che l’idea di abbandonare quella città e rifugiarsi tra le vecchie mura di casa prese forma. Per lui sarebbe stata una sconfitta cocente.
Era partito con una minuscola valigia, piena di sogni, verso la grande città, convinto di spaccare il mondo. Però subito dovette combattere per mantenere il posto per pagare tutto lo stretto necessario per vivere. Lavorava molte ore, facendo economie su qualsiasi cosa.
Un giorno, arrivato davanti al cancello, lo trovò sbarrato con appeso un asettico volantino: «La società chiude per fallimento» con uno strano timbro inchiostrato.
“Come chiude?” si domandò ad alta voce osservando gli altri compagni di lavoro ugualmente sgomenti che si assiepavano attorno a lui.
“E’ fallita. Non lo sapevi?” disse uno alla sua destra.
“E adesso?”.
“Cercati un altro lavoro” replicò asciutto un operaio dalle mani grinzose.
“E i miei soldi?” continuò smarrito Marco.
“I nostri soldi? Forse qualche spicciolo tra qualche anno, se ne rimangono” disse amareggiato un omone con le mani in tasca.
Dal quel giorno cominciò il suo calvario. Un lavoro di due giorni come garzone di una panetteria, un mese come operaio a scaricare merci, quindici giorni come lavapiatti. L’elenco era lungo e non valeva la pena di rinvangarlo.
Passeggiando per una via stretta vicino al centro, lesse un cartello «Objob – Il tuo posto per trovare lavoro». Scrutò la vetrina dove erano appesi i soliti cartellini, ormai ingialliti dal tempo e dal sole che batteva spietato d’estate.
Spinse l’uscio ed entrò.
“Buongiorno” disse cortese, piazzandosi davanti alla postazione, dove una bionda riccioluta stazionava davanti a un monitor.
“Ciao, sono Marta. In che cosa posso esserti utile?” rispose alzando due splendidi occhi blu.
A Marco mancò la parola nel vederla. Deglutì in fretta, passò la lingua sulle labbra per umettarle e rispose un po’ incerto.
“Stavo cercando un lavoro ..” disse, pensando che era una risposta insulsa. Se era lì, era alla ricerca di un’occupazione. Senza dubbio Marta meritava una visita anche senza quella necessità, che stava diventando impellente.
“Sì, ho capito. Che tipo di lavoro? Cosa sai fare?” replicò con dolcezza mostrando uno splendido sorriso.
“Beh! ho lavorato per tre anni in una fabbrica di minuterie metalliche come ..” e si interruppe incantato prima di completare il discorso.
“Ero assegnato alla selezione dei pezzi. Un lavoro delicato. Poi l’azienda è fallita e ho svolto molti lavoretti. Garzone, operaio, cameriere,..”.
“Ho compreso” lo interruppe la ragazza, aggrottando leggermente la fronte.
Marco la trovò deliziosa. Quasi stava dimenticando il motivo per il quale era entrato.
“Non hai trovato niente di meglio?” chiese curiosa e sorpresa.
“No, purtroppo. Tutti, per quel lavoro, chiedevano una laurea. Sai, ho solo il diploma di un istituto professionale per l’industria e artigianato. Ero bravo ma sembra che sia servito a poco” disse Marco amareggiato.
Marta abbassò lo sguardo e cominciò a cercare qualcosa.
“Mi spiace ma non c’è nulla che possa fare al tuo scopo. Se vuoi lasciarmi i tuoi dati, nel caso che ..”.
Lui la guardò smarrito e disse che avrebbe accettato un qualsiasi lavoro perché non poteva rimanere ancora senza un’occupazione.
La ragazza gli diede alcuni indirizzi. Una piccola scintilla sembrava scoppiata tra loro, almeno questa era l’impressione di Marco. Gli lasciò i suoi dati e il numero di telefono.
“Se capita qualcosa, ti chiamo. Ciao” e si salutarono.
Lui stava aspettando questa telefonata, perché quegli indirizzi erano stati solo fonte di delusioni cocenti. Lavori umilianti, sottopagati. Però era meglio di niente. Si esaurirono in breve e adesso era in attesa. I soldi stavano finendo senza nessuna prospettiva a breve termine. Aveva cercato anche in altre agenzie di lavoro interinale ma la risposta era stata sempre la medesima «non abbiamo nulla per lei». Aveva provato a inviare qualche curriculum ma tutto era rimasto muto. La crisi stava mordendo tutti e nessuna si sbilanciava ad assumere, anche temporaneamente, qualcuno.
Continuò a guardare gli uccelli che volavano liberi da un ramo all’altro, dal ciliegio alla quercia. Era deluso e amareggiato quando risuonò una musichetta familiare, quella dei Doors. Osservo il display «numero privato» e toccò il tasto verde per rispondere.
“Ciao! Sono Marta. Ti ricordi? Quella del Objob ..” e fece una pausa.
“Ciao! Certo che mi ricordo di te!” rispose entusiasta, risollevandosi dal triste mutismo che l’aveva travolto.
“C’è una buona opportunità! Cercano una figura professionale come la tua. Contratto a progetto. Mesi sei. 1200€ al mese circa con buone prospettive per il futuro ..”.
“Oh!” fu l’unica risposta di Marco.
“Ma di questo ne parliamo dopo. Volevo invitarti a mangiare la pizza ..” continuò la ragazza.
Lui fu colto dal panico. Fece un rapido calcolo: in cassa rimanevano disponibili solo 100€. Dunque era impensabile uscire con Marta.
Stava per dire qualcosa, quando riudì la voce della ragazza.
“Volevo dirti. La pizza la preparo io. La mangiamo a casa mia, se sei libero”.
Marco guardò fuori. Sulla quercia quel piccolo uccello colorato continuava il suo banchetto, mentre le gazze stridevano felici sul ciliegio.
“Sì! Vengo volentieri! Ho due coke in frigo. Per festeggiare”.
La ragazza riassunse il suo tono professionale.
“Se mi dai l’okay, puoi cominciare domani. E’ una bellissima opportunità! Devi portarti solo il libretto di lavoro. Stasera ti spiego tutto. Alle otto”.
“Dove? Non so dove abiti” replicò prima che lei chiudesse la conversazione.
“E’ vero! In via della Vittoria, 13. Sai dove si trova?”.
“Sì. Alle otto. Ma quale campanello suono?”.
“Che sbadata! Mi sembra di conoscerci da una vita e do per scontato che tu sappia tutto! Mercuri. Terzo piano interno 15. Ciao! Ti lascio. E’ entrato qualcuno”.
A Marco sembrò di udire uno schiocco di labbra prima del segnale di libero.

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.. E lei fu lì..

..E lei fu lì. All’improvviso. Comparve dal nulla con il suo volto, il suo sorriso e quegli occhi che lui adorava. Non era la prima volta e non sarebbe stata nemmeno l’ultima ma ogni volta gli pareva che uscisse dal bianco della carta o che affiorasse come se infrangesse una leggera crosta di ghiaccio. Doveva solo inclinare la bacinella affinché il liquido portasse a termine il miracolo: come per magia dove prima non c’era nulla, adesso c’era qualcosa. Poi lei compariva e lo fissava. Era l’istante impalpabile tra il vuoto e il pieno che gli rimaneva appiccicato a dosso come il miele sulle mani..
Marco spense la luce nell’anticamera prima di entrare nella camera oscura. Una tenue luce rossastra illuminava debolmente la stanza. Sembrava quei film di una volta, in bianco e nero, dove il protagonista sviluppava in un’atmosfera torbida negli aspetti. Si muoveva con sicurezza adattandosi alla scarsa luminosità con naturalezza. Una fila di cartoncini gocciolanti erano appesi a un filo che attraversava la stanza.
Li ignorò mentre riempiva la bacinella col liquido di sviluppo. Aveva un’altra serie di negativi da stampare con un unico soggetto: lei, la donna dei suoi sogni. Infilò il rullo nell’ingranditore senza tentennamenti. Si fermò un attimo a respirare prima di procedere con la stampa. Verificò che tutto fosse in ordine: bacinella, carta, filtri, rullo.
Marco odiava le moderne macchine digitali, perché diceva che perdonano tutti gli errori. Era rimasto fedele alla vecchia Fuijca Az1, un reperto archeologico nel mondo del digitale. Faceva sempre più fatica a trovare la pellicola giusta, specialmente quella in bianco e nero. Gli amici ridevano per le sue fissazioni. Però lui scuoteva la testa come per scacciare insetti fastidiosi. Per lui la fotografia era rimasta ai tempi di Frank Capa.
Ormai faceva tutto da solo dallo sviluppo del negativo alla stampa delle fotografie che riteneva ottimali. Non poteva sopportare la stampa meccanica, quasi industriale che ormai tutti praticavano. Aveva comprato per questo scopo un’attrezzatura di seconda mano, dismessa da uno studio fotografico, che si era convertito alle moderne teconlogie. L’aveva pagata pochissimo, qualche centinaio di euro, ma era come se fosse una Rolls Royce. Qualcosa di straordinario, di gran lusso dal valore inestimabile.
“Stampano anche l’aria” bofonchiò arrabbiato mentre lavava la pellicola dopo il procedimento di sviluppo, facendo attenzione che non rimanesse nemmeno una goccia di solvente.
“Non c’è il minimo pathos. Tutto meccanizzato con il prodotto finale inscatolato nella busta col solito CD delle miniature e delle foto in formato jpeg”.
Odiava quel mondo asettico e privo di anima, dove contava solo la velocità e la quantità di materiale trattato. Lui voleva trattare i singoli fotogrammi uno per uno, soppesandone le qualità. La fotografia doveva essere un’opera d’arte da lasciare in eredità a chi sarebbe venuto dopo di lui.
Appese la pellicola al filo e con phon la seccò con cura e delicatezza come se stesse asciugando i capelli dell’amata. Eva aveva una morbida cascata rossa, ondulata come il mare sotto la spinta di una leggera brezza. Marco si fermò un istante pensando a lei. Poi riprese a passare il getto caldo con attenzione, affinché non vi rimanesse una stilla di umidità.
Lei gli riempiva la mente con il suo sorriso, il suo corpo morbido e minuto, con quella chioma vaporosa e intrigante. Però erano soprattutto gli occhi, quelli che lo ammaliavano di più.
Con questi pensieri si avvicinò all’ingranditore, mettendo un nuovo fotogramma tra l’obiettivo e la luce. Si concentrò sulla messa a fuoco, anche se l’immagine della donna continuava a galleggiare eterea e impalpabile dinnanzi agli occhi.
Dopo aver armeggiato cautamente e pazientemente con l’obiettivo, coi filtri, si sentiva pronto a stampare la prima foto. Era ancora una volta il viso di Eva, colto mentre faceva una dei suoi sorrisi mozzafiato.
Un flashback apparve all’improvviso nell’osservare quel viso.
Era una domenica, qualche settimana prima per la precisione. Loro si trovavano nella pineta di ritorno dall’escursione domenicale al mare. Era una giornata ventosa che mitigava la calura di luglio. Un tipico giorno popolato dal quel turismo mordi e fuggi che ormai era diventato una costante in tempo di crisi. Mentre le ombre giocavano a rimpiattino con suo viso, Marco puntò l’inseparabile reflex verso di lei.
“Oh! No!” esclamò spalancando gli occhi in quel momento in ombra.
“Oh! Ancora una! Non ti stanchi mai?”
“No.” replicò dopo una serie di scatti in rapida sequenza.
L’abbronzatura dorata del corpo veniva valorizzata dal pareo azzurro che l’avvolgeva come un fascio di rose.
Eva si strinse a lui, facendogli sentire il profumo del suo corpo: un misto di crema solare e odore pungente che emanava sensualità. Marco inalò quell’effluvio di aromi che lo eccitarono. Si sarebbe fermato in quel tratto di pineta per fare all’amore con lei incurante delle persone che stavano intorno a loro ma proseguì.
Marco scacciò questi pensieri per concentrarsi sulla stampa della fotografia. Il timer suonò e spense la luce, mentre lui afferrò il cartoncino bianco e si avvicinò alla bacinella per lo sviluppo.
Ricominciava la magia del non c’era e del c’era.

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Amanda 48

Il Consiglio delle A era riunito al gran completo sotto un tetto di stel-le. Pietro sedeva a capotavola affiancato da una donna, che si stringe-va a lui felice. Non era più tanto giovane ma non sfigurava con le altre commensali. Ai lati stavano Amanda e Alessandra sulla destra e sulla sinistra Alice, Angelica e Arianna. Il tavolo era lunghissimo: tutti i po-sti erano occupati dalle altre A. Ognuna di loro indossava una tunica di lino bianca stretta sotto il seno con una corda alla quale era appeso il simbolo di una A in oro massiccio. Solamente Amanda e la donna accanto a Pietro vestivano in maniera differente, forse per sottolineare la diversità di provenienza. Lui si era chiesto il motivo per il quale tut-te le ragazze vestivano con una tunica bianca. Però il tempo delle do-mande sarebbe arrivato presto.
C’era un vociare allegro che riempiva la radura senza interrompere il silenzio della notte. Il soffitto era un cielo nero punteggiato da punti luminosi di stelle, che parevano dipinti. Nonostante l’autunno fosse ormai avanti con i rigori notturni, nessuno avvertiva freddo. Era il ca-lore di tutti quei corpi a riscaldare l’aria.
A Pietro questa visione ricordava un’altra tavolata che aveva vissuto tra sogno e realtà all’interno della baita qualche tempo prima. “Quanti giorni sono passati da allora?” si chiese, osservando questo consesso allegro e ciarliero. Gli pareva  che le giornate fossero volate vie e fos-sero molto lontane ma forse erano solo sensazioni.
Quella volta gli era sembrato un qualcosa di irreale con la stanza che si allargava o rimpiccioliva senza una logica apparente tanto che aveva dubitato delle sue facoltà sensoriali. Aveva anche pensato di essere in preda alle allucinazioni di qualche misteriosa droga, perché la visione variava in continuazione. Però questo convivio, assolutamente reale per la presenza di due donne che lo riempivano di gioia, gli faceva comprendere che allora non era stato un sogno ma pura realtà. Aveva perso la cognizione temporale coi giorni che si mescolavano con la notte in un vorticoso caleidoscopio di eventi e situazioni che sembra-vano un continuum senza soste. Anche gli ultimi avvenimenti, nei quali era rimasto coinvolto, testimoniavano questo tourbillon di sen-sazioni ed emozioni senza riscontri temporali.
“Quanti giorni o settimane sono trascorse dalla passeggiata nel bosco che ha originato la sequenza di episodi che mi hanno trascinato in questa avventura? Gli eventi si sono susseguiti a un ritmo talmente incalzante che mi domando se il sogno sta continuando tuttora oppu-re se questa è una bella realtà”.
Alice gli strinse un braccio come per rassicurarlo nel caso che ce ne fosse stato bisogno. La muta domanda di Pietro era una maniera mol-to umana per esprimere le sensazioni che stava provando immerso in questa atmosfera serena e tranquilla.
“Questa visione, che ti avvolge, è realtà! Tutte noi siamo reali come lo siamo sempre state. Tu, in quel momento, non sembravi propenso a credere a quello, che ti circondava” aggiunse la ragazza.
Pietro scosse il capo.
“Non è questo il tempo per discutere se ho sognato oppure no. Ci sono troppe domande inevase che meritano una risposta esauriente per perdere tempo su un aspetto marginale di quello che mi ha visto coinvolto”.
La mente era confusa perché tutti gli interrogativi si affollavano caoti-camente insieme e volevano la primogenitura. Doveva metterle ordine per venire a capo di tutti i suoi dubbi.
Innanzitutto voleva domandare a Amanda il perché se ne era andata senza lasciare traccia, lasciandolo nel dubbio e nell’affanno.
La figlia alzò un sopraciglio e increspò la fronte con una ruga. Le co-stava un filo di sofferenza rispondere, avrebbe voluto dirlo in privato, mentre parlarne di fronte a tutte quelle A la faceva soffrire.
Lui percepì il messaggio segreto che lei gli trasmetteva ma oramai l’aveva costretta a replicare.
“Volevo tornare alle origini, qui in questo bosco magico. Ma in parti-colare desideravo affrontare la vita senza nessun tutor. Sbagliare e im-parare. Commettere errori e migliorarmi. Questa è stata la molla. L’abbandono della tua casa confortevole e comoda è stata una prova, un sacrificio per me. Però ora sono consapevole che andava fatta. So-no cresciuta”.
Amanda fece una breve pausa prima di riprendere il discorso, perché voleva evitare l’argomento sugli attriti che l’avevano costretta ad ab-bandonare il bosco, che sentiva suo.
“Però non ti ho mai dimenticato. Mi ero ripromessa di venirti a trova-re dopo la vacanza a Londra con le amiche ma le circostanze hanno forzato la volontà. Sono felice di essere qui insieme a te, a Elisa e a tutte le altre. Ovunque andrò avrete un posto privilegiato nel mio cuore e non mancherò di venirvi a trovare con regolarità” concluse il ragionamento, ascoltato in silenzio da tutte le altre.
Pietro allungò una mano per stringere quella di Amanda. Una stretta che valeva molto di più di tante parole.
L’uomo si rivolse a Alice per capire i motivi del rapimento di Ales-sandra. Aveva notato la straordinaria somiglianza con la figlia, tanto che solo lui, che era il padre, poteva intuire quei minuscoli particolari che le differenziavano. Il naso leggermente più affilato, i lobi delle o-recchie più tondi, un sorriso più smagliante. Erano dettagli insignifi-canti ma non potevano sfuggirgli, perché era la sua sensibilità paterna che sapeva coglierli.
“Il rapimento di Alessandra è stato un errore da parte loro. Non sa-pevano che Amanda non viveva più nel bosco degli elfi da diverso tempo ..”.
“Ma perché proprio lei? E non un’altra?” la incalzò deciso.
Un sorriso illuminò il viso della ragazza che spiegò che l’obiettivo era proprio lei, perché era la figlia del Signore del bosco degli elfi.
“Io? Il Signore del bosco degli elfi?” esclamò stupito.
Alice gli illustrò che lui era stato designato da Marco come il succes-sore nella conduzione del bosco dimostrandosi in più di una occasio-ne all’altezza del compito. Amanda avrebbe dovuto prendere il suo posto, sempre che lei lo avesse desiderato, quando lui avesse deciso di passare la mano.
“Le spetta di diritto, anche se Alessandra è ..” concluse lasciando in sospeso il discorso.
Pietro corrugò la fronte, osservò ora Alice, ora Amanda, ora Alessan-dra e stava per formulare l’ennesima domanda, quando fu interrotto nei suoi pensieri.
“Amanda e Alessandra sono gemelle. Ecco perché sembrano due gocce d’acqua”.
La voce lo sorprese perché fino a quel momento era stata in silenzio. Si stringevano la mano come se avessero timore di perdersi una se-conda volta.
“Avrei voluto parlarne in privato ma ora si impone anche questo chia-rimento. Sei Amanda o Elisa?” chiese con forza alla donna seduta al suo fianco.
“Sono entrambe”.
“Come?” ribatté un Pietro esterrefatto.
“Si. Sono una donna elfo e come tutte ho un nome che comincia per A..”
Lui scosse il capo. Tutto quello che ascoltava sembrava un groviglio inestricabile. Doveva mettere ordine.

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Il ritorno

Angie aveva trovato a fatica una stanza presso Black Wharf’s dopo aver pregato una vecchia arpia a lungo. Non era stato facile convincerla, ma dopo molte insistenze aveva ceduto.
“Però il bagaglio non entra” aveva detto la proprietaria dopo l’estenuante battaglia per l’accettazione.
“Non posso lasciarlo sulla banchina!” aveva replicato Angie, tentando di moderare la voce e le parole senza riuscirci in maniera convincente.
“E’ troppo ingombrante! E poi non ho nessuno che possa trasportarlo in camera!”.
“Non mi dica che non ha nessuna stanza al piano terra da usare come deposito! Io riparto con postale delle dieci di domani mattina. Non mi interessa portarlo in camera”.
Dopo una lunga discussione dai toni accesi, finalmente il baule e le due grandi borse trovarono ospitalità nel sottoscala buio e umido.
“Fanno 20$ da pagare in anticipo” aggiunse acida la vecchia megera, che assomigliava più alla maitresse di una casa di appuntamento piuttosto che alla gerente di un albergo.
“Mi sembra una rapina! Venti dollari per una notte senza la colazione è esagerato” disse veemente Angie che stava perdendo le staffe.
“Prendere o lasciare! Se lei vuole la stanza, questo è il prezzo! Né un cent di più, né di meno. Il prezzo lo faccio io. Questa è la cifra che ricaverei per tutto il tempo che lei occupa la stanza”.
Angie ebbe un moto di smarrimento, interrogandosi in quale bettola era capitata. Si guardò intorno impacciata e sentì un brivido correrle lungo la schiena. Non era di freddo ma di sottile paura, perché i visi degli altri ospiti non erano del tutto rassicuranti.
“Dunque l’impressione che sia un albergo a ore è giusta! Ma io non posso girare Wenona alla ricerca di qualcosa di meglio!” rifletté in un attimo, prima di riprendere la schermaglia con la donna.
“Almeno mi può servire qualcosa in camera?” chiese dubbiosa sul buon esito della domanda.
La gerente la guardò di sbieco come se avesse pronunciato una bestemmia sull’altare maggiore al cospetto dei fedeli.
“Vuole la cena servita in camera? Non ho il ristorante, ma se lei è disposta ..”.
Spazientita Angie scosse la testa come se fosse infastidita da tutte quelle discussioni. Era nervosa perché Dan aveva mancato l’appuntamento, era impaurita perché era finita in posto non molto raccomandabile, era affamata perché erano molte ore che non mangiava nulla. Insomma aveva un diavolo per capello.
“Senta, quanto vuole ancora?” chiese quasi rassegnata ma incollerita.
“Non lo so. Dipende da quello che mi chiede Bob”. Il tono della voce era distaccato, mentre allargava le spalle in segno di incertezza.
“E Bob chi sarebbe, di grazia?”.
“E’ il cuoco del ristorante accanto alla mia pensione. Poi dipende da cosa vuole mangiare. Che ne so cosa vuole ordinare”.
“Ho capito! Ho capito! E’ meglio che faccia un salto nello store qui accanto. Mi pare essere finito in un covo di ..” e tacque per non compromettere una situazione al limite dell’assurdo, prima che la maitresse cambiasse idea sbattendola sul marciapiede innevato.
“E’ ancora in tempo se vuole andarsene. Io non la trattengo. Alle sue spalle c’è la coda che aspira alla sua camera! Ci sono altre pensioni in città. Non esiste solo la mia. Dunque paga questi venti dollari o le devo buttare i bagagli nella neve?” ringhiò la vecchia inferocita.
“Tenga i suoi venti dollari e che ..” e mise sul bancone due banconote da dieci prima di tacere per sempre.
Salita in camera furente e col sangue in ebollizione, depositò la borsa da viaggio nella stanza al primo piano. Senza darsi una rinfrescata ridiscese immediatamente per andare nello drugstore adiacente alla pensione per acquistare qualche genere alimentare. Con una borsa di carta piena di cibo e bevande si avviò con passo deciso, senza salutare la vecchia, per le scale oer raggiungere la stanza.
Si barricò dentro mettendo una sedia sotto la maniglia per quello che poteva servire. La camera era ampia con un letto matrimoniale di fattura scadente, un armadio in cattivo stato e in un angolo un portacatino rugginoso con annesso catino scrostato, il piattino, la brocca e un minuscolo asciugamani. Sotto il letto c’era un pitale dall’aspetto poco invitante per l’uso intenso e la scarsa pulizia.
“Tutto questo per venti dollari! E poi dove sono finita? Credo che difficilmente riuscirò a prendere sonno stasera. La stanza è gelida. Se non mi copro per bene, domani sono un pezzo di ghiaccio. Adesso diamoci da fare con questa minuscola stufa. Speriamo che l’arpia abbia messo legna a sufficienza. Con venti dollari mi compro una legnaia intera!”.
Accesa la stufa e controllata la scorta di legna, prese un po’ di pane e formaggio dalla busta per calmare la fame.
Ricapitolò tutte le disgrazie capitate, ma era inutile recriminare. Un tempo così inclemente avrebbe scoraggiato tutti meno lei. Dunque era colpa sua se si trovava in questa situazione sgradevole.
Dalla borsa da viaggio estrasse uno scialle di morbida lana e dei guanti di foderati di agnello, che indossò per proteggersi dal freddo. Spostò un dondolo di vimini vicino alla stufa, che era il punto più caldo della stanza. Recuperò dal letto e dall’armadio con le ante pericolosamente in bilico tutte le coperte utilizzabili che depose sul dondolo. Si sarebbe ricoperta con queste durante la notte, mentre adesso ricevevano quel poco di calore che la stufa emetteva. Sperò solo che non contenessero ospiti sgraditi, vista la scarsa pulizia che regnava ovunque. Le lenzuola, un tempo bianche, adesso erano di un colore che virava tra grigio sporco e il giallo opaco e non odoravano di sapone.
Guardò fuori dalla finestra senza vedere nulla: uno strato denso e sporco di ghiaccio impediva qualsiasi visuale esterna.
“Sarà un pomeriggio e una notte lunga quello che mi aspetta. Il tempo non passerà mai”.
Mise la busta con gli acquisti su una sedia vicino al dondolo, perché era sicura che il gelo li avrebbe conservati perfettamente nonostante la stufa producesse il massimo del calore possibile, equivalente a poco più di un alito appena fuori dal freddo.
E si preparò alla lunga veglia.
Un’alba lattiginosa e fredda l’accolse avvolta nelle coperte dopo una nottata popolata da incubi e rumori provenienti dalle stanze contigue.
Le era sembrato di ascoltare quel continuo scalpiccio di scarpe rumorose che salivano e scendevano le scale, come se fosse un pellegrinaggio di devoti. Quello che l’aveva terrorizzata maggiormente erano stati i gemiti e le bestemmie per nulla dissimulate che era stata costretta a udire con una certa frequenza. Più di una volta aveva avuto la percezione che qualcuno avesse provato a forzare la maniglia della porta d’ingresso senza successo.
Non meno angoscianti erano stati nelle pause di silenzio i sogni nei brevi dormiveglia nei quali cadeva stremata dalla stanchezza. Però assomigliavano maggiormente a incubi che a visioni oniriche. Quello più ricorrente era che uno sconosciuto entrava e la possedeva brutalmente nel letto senza che lei potesse opporre resistenza. Nessun piacere ma sensazioni dolorose pervadevano il corpo mortificando sia il fisico sia la mente.
Al risveglio queste impressioni erano talmente vivide che si domandava se fossero state realtà oppure no, mentre un debole chiarore illuminava la stanza e lei avvolta nelle coperta accanto alla stufa.
“Tra non molto potrò riprendere la via di casa. Questa esperienza marchierà a fuoco la mia carne. Sarà molto difficile dimenticarla. La delusione provata è talmente grande che non ho più parole per descriverla e valutarla. Non mi sarei aspettata un simile comportamento da parte di Dan! Se vorrà, sarà lui a venire a Holland Island! Mai più affronterò un viaggio con tutte queste incognite!”.
Era immersa nei suoi pensieri, quando sentì un bussare deciso e una voce che diceva «Miss Fairbanks! La sveglia. Sono le nove!».
Era talmente intorpidita dal freddo che le parole rimasero dentro di lei. Mangiò le ultime porzioni di cibo rimaste, si sistemò alla belle meglio, poi discese nella reception per chiedere un aiuto nel trasporto dei bagagli.
Alle dieci e mezza il postale si staccò dal molo per prendere la direzione verso Holland Island.
La giornata minacciava nuova neve e l’aria era tagliente come una lama del coltello.
“Mi è sufficiente arrivare a casa e poi può scendere tutta la neve del mondo che non me ne interessa nulla”.
Osservava Chesapeake Bay e il grigiore delle acque gelide solcate da qualche lastra di ghiaccio.
Alle undici e trenta il postale scaricava il suo carico di essere umani e di derrate alimentari. Angie scese a terra alla ricerca di un facchino per i bagagli, ma scoprì la presenza di Dan che attendeva l’approdo dell’imbarcazione.
Non sapeva se essere contenta o mostrare il disappunto perché non era al molo di Wenona ad attenderla.
“Angie! Dov’eri? Sono arrivato ieri per venire a prenderti, ma non ti ho trovata. Ho saputo che eri partita per Deal Island e quindi ho atteso con impazienza il tuo arrivo. Finalmente posso stringerti!”.
Lei si abbandonò a un pianto liberatorio e disse «Troviamo un facchino per i bagagli e poi andiamo a casa. Non vedo l’ora di rifugiarmi tra le mura amiche!».

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La festa di Ognisanti

« Venite con me
    È la festa di Ognissanti
    Faremo tremare tutti quanti.
    Gli scherzi, stavolta, son giustificati
    le risa e i lazzi perfino aumentati. »
(Ray Bradbury, L'albero di Halloween, XX secolo)
 
Ellie e Matt sono impegnati nel preparare la cena di Halloween, mentre Annie e Dashiell si occupano delle decorazioni e della tavola.
“Esco” dice all’improvviso Dashiell affacciandosi sulla porta.
“Dove vai?” chiede Ellie sorpresa dall’annuncio mentre sta preparando Walnut Dip with Garlic (una vellutata di noci con aglio).
“Sorpresa! Aspetta il mio ritorno” replica serafico, indossando un giubbotto imbottito e foderato di pelliccia.
Lei rimane perplessa perché, facendo mente locale, non le pare che manchi nulla in casa.
“Le zucche intagliate ci sono. Le ho approntate io. Il dolce lo sta finendo Matt. Sono già pronti dolcini e antipasti. La vellutata è quasi finita, mentre per il secondo ci sono tutti gli ingredienti. La lista è stata spuntata più volte e non manca nulla. Gli addobbi ci sono tutti comprese le candele. Cosa non c’è da spingere Dashiell a uscire?” scuote la testa dopo aver elencato mentalmente tutto il necessario per la serata.
Si gira verso Matt, che terminata la preparazione della torta, si sta riposando, mentre controlla la cottura nel forno.
“E’ strano tuo fratello. O sta muto come un pesce o è loquace come un pappagallo. Non sono ancora riuscita a prendergli le misure. Sembrano tutte sbagliate! Secondo te cosa è andato a comprare? Ho provato a pensarci, ma non ho trovata nessuna risposta valida”.
Lui alza le spalle e allarga le braccia sorridendo.
“Non saprei! A volte è talmente misterioso da ingannarsi da solo tanto che alla fine non riesce a capirsi! Durante questa vacanza ho scoperto dei lati dei quali non ero al corrente. Eppure credevo di conoscerlo bene. Diciamo che sono rimasto sorpreso anch’io. Pazientiamo e vediamo con che cosa tornerà. E’ talmente imprevedibile che anche l’improvvisata mi affascina ogni volta che la fa. La stranezza è che si muove per Princess Anne come se avesse abitato sempre qua. Se qualcuno mi lascia a tre isolati da qua, entrerei nel panico perché non saprei dove andare”.
Ellie che aveva interrotto la preparazione della vellutata riprende in silenzio avvolta nei suoi pensieri. Ritiene inutile pensarci troppo e si concentra sulla preparazione del piatto.
Annie si unisce a loro, adesso che ha terminato la sistemazione della tavola, e comincia a chiacchierare con Matt.
“E’ stata una vacanza veramente piacevole”. E rivolgendosi all’amica soggiunge: “Sei una padrona di casa perfetta! Ciascuno di noi si è sentito perfettamente a proprio agio. Sei riuscita perfino a trasformare un orso in un essere umano!”
Ellie arrossisce senza rispondere. Gli apprezzamenti le fanno piacere ma non desidera dire le solite parole di circostanza. E poi sarebbe come ammettere che si interessa a lui.
“Sarà anche vero, ma è più prudente muoversi con cautela”.
E’ immersa nei suoi pensieri, quando sente del trambusto all’ingresso. Interrompe nuovamente la preparazione del primo e va a vedere cosa sta succedendo.
“Oh!” esclama stupita, “Ma è bellissima!”.
“Cosa?” urla Annie dalla cucina.
“Venite! Dashiell è tornato!”.
Annie e Matt accorrono all’ingresso, attirati dalle grida di Ellie e osservano Dashiell che con grande fatica sta piazzando proprio sull’ingresso un enorme vaso di coccio con dentro una splendida pianta di Limequat.
“Sei in gran forma, fratellino!” esplode sbalordito, “Ma hai fatto una fatica del diavolo a trasportare questo vaso! Potevi chiamare aiuto”.
Dashiell sbuffa e ansa, guardandolo di sbieco per nulla socievole.
“Anziché commentare per prendermi per i fondelli e stare impalato a guardare mentre lavoro, alza il culo e vieni a darmi una mano!”.
Ellie si fa avanti, ma lui vigorosamente accenna di no col capo. Lei sarebbe solo di intralcio e di nessuna utilità.
“Ehi, dico a te che si ricorda del fratellino solo per sfotterlo! Aiutami a sistemarlo per stasera. Poi domani Ellie ci dirà dove piazzarlo! Accidenti! Pesa come un macigno!”.
 “Come pensi di usarlo?” chiede premurosa Annie.
“Ci appendiamo qualche dolcetto e lo lasciamo all’aperto. Però adesso dobbiamo trovare la posizione giusta”.
La serata promette bene. Tutti aiutano a sistemare la pianta e ad appendere dolcetti e qualche moneta sui rami in un’atmosfera calma e rilassata.
La cena è un gran successo per Ellie, che riceve molti complimenti, e si svolge in un clima di grande cordialità e distensione. Lei che aveva molti timori adesso è rinfrancata e gongola non troppo vistosamente.
Verso mezzanotte sentono del trambusto fuori della porta e comprendono che qualche ragazzino ha raccolto le monetine e fatto incetta di dolcetti. Tutti sorridono e pensano a quando avevano la loro età. Sciamavano da un portone all’altro col solito “Dolcetti o scherzetti” sempre sulla bocca. E non sempre erano accolti in allegria.
“Bei tempi!” sussurra Annie.
“Non siamo poi così decrepiti! Volendo lo possiamo fare ancora” rimbecca Dashiell.
“Però è passato il nostro tempo! Ora sono loro che si divertono questa sera” ribatte Annie con malinconia, mentre si trasferiscono nel salotto a bere un bicchierino di cherry come suggello alla cena.
“Alla tavola ci pensiamo domani” dice Ellie accortamente “Ora concludiamo in allegria questa piacevole serata”.
Dashiell, seduto accanto a lei, le prenda una mano, mentre con l’altra sorseggia lo cherry.
“Che ne dici di leggerci qualche pagina del diario della trisavola?” le chiede all’improvviso.
Lei trasale visibilmente alla richiesta. Non se l’aspettava mostrando un accenno di irritazione alla domanda.
“Angie è la mia bisnonna..” lo corregge la ragazza.
“Non fa differenza. Trisavola o bisnonna è comunque una persona del passato. A me è sufficiente ascoltare quello che ha scritto” replica serafico e calmo.
Lei non demorde nel negarsi, mentre lui è come un martello pneumatico che continua a fare «Pum! Pum!».
“Hai detto che allora la società era libertina nella sostanza, ma puritana e impeccabile nelle apparenze. E le persone non erano disposte a coming out finché non scoppiava lo scandalo. Ora mi sembra che ci sia un clima diverso…”.
“In verità non ho detto questo. Angie non si nascondeva, né aveva nascosto che Dan dormiva con lei. Ho affermato che la gente allora riteneva sconveniente e non vedeva di buon occhio che si desse pubblico scandalo senza salvare le apparenze. Più o meno quello che sta avvenendo la società nella quale viviamo”.
“Uffa! ma quanto sei puntigliosa e pignola! Alla fine abbiamo espresso il medesimo concetto con parole differenti. Se a lei stava bene andare a letto con Dan, non ci trovo nulla di disdicevole .. Allora ci leggi qualcosa? Sono curioso di conoscerla meglio questa eroina ante litteram che viveva in una società bigotta e ipocrita”.
Ellie non ha nessuna intenzione di leggere delle pagine del diario di Angie e di avviare una nuova discussione su quello che ha scritto. Le sembra di mancare di rispetto alla bisnonna, di mettere in piazza i pensieri e le azioni.
“Il mondo non è cambiato da allora a oggi: c’erano molti stravizi come ora, ma le trasgressioni delle persone vengono sempre nascoste sotto il tappeto come se non siano mai esistite. Le persone sono disposte a tutto, pur di mettere a tacere gli scandali, almeno fino a quando non scoppiano tra le mani. Sono pronti a mistificare senza pietà sbandierando etica e valori morali e si scagliano contro quelli che non riescono a nascondere l propri vizi, veri o presunti. Se pensiamo alla sessualità di Rock Hudson, che fino alla morte è stato un idolo per le casalinghe americane, l’immagine dell’uomo da amare. Eppure era un gay sotto copertura, quando tutti sapevano bene di quale pasta era fatta l’uomo! Cosa è cambiato ora di quel finto bigottismo? Non mi pare molto, Anche se talvolta sembra di andare di moda l'eccesso opposto: dall'ipocrisia si è passati alla pioggia di confessioni, rivelazioni, auto gossip. Però la sostanza cambia poco”.
Dashiell sbuffa e insiste finché Ellie non cede e prende il diario di Angie.
“Solo poche righe” precisa la ragazza “Non credo che a Annie e Matt interessi molto la sua storia. Fatico a comprendere i motivi di tanta attenzione da parte tua..”.
“La gita a Holland Island ha stimolato la mia curiosità, quando hai affermato che quei ruderi erano stati di proprietà della tua famiglia. Poi quando…”.
“E va bene. Mi hai convinta. Poche pagine e poi chiudiamo l’argomento. Siete qui per divertirvi e non per annoiarvi con i pensieri della mia bisnonna”.
Dashiell, tenendole sempre la mano, annuisce come conferma, ma prima vuole aggiungere ancora qualcosa.
“Lascia giudicare a noi se la tua trisavola… perdonami, bisnonna… scrive cose noiose oppure no”.
Annie e Matt, seduti di fronte, sorridono al gustoso siparietto di Ellie e Dashiell.
“Sono sicura…” bisbiglia Annie “sono sicura che ha fatto breccia nel cuore di tuo fratello la mia amica. Serviva proprio questa vacanza per metterlo al tappeto”.
Il marito replica solo con la mimica del viso che esprime quanto sia d’accordo con le sue affermazioni.
E tutti aspettano che Ellie cominci a leggere.

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Tra lazzi e scherzetti

Le schermaglie, che c’erano state durante la navigazione, sembrano sopite nella serata al ristorante Beach Bay’s, trascorsa in un clima disteso e allegro. Le chiacchiere indugiano sul passato tra ricordi di scuola e aneddoti di vita, mentre le battute nervose del pomeriggio sono dimenticate.
Le giornate volano mentre arriva la vigilia di Halloween in un clima grigio di pioggia. In casa però regna il sole e la distensione.
Ellie e Matt si mettono ai fornelli, mentre Annie e Dashiell osservano divertiti. C’è un’atmosfera dal sapore goliardico tra lazzi e scherzetti. Tutti sono rilassati discorrendo piacevolmente di argomenti frivoli, degni della vigilia.
“Invece di stare lì impalato come uno stoccafisso allungami quella zucca!” grida Ellie a Dashiell.
“Io sono l’ospite. Che padrona di casa sei, se lo costringi a lavorare per te?” replica tra il serio e il faceto l’uomo.
“Devi guadagnarti la cena!”.
“Esistono anche i ristoranti, dove stai seduto e vieni servito e riverito!”.
“Questa me la devo segnare! Ah! Ah! Crede di essere riverito, il signorino! Ah!”.
Matt interrompe la preparazione della torta Jack O’Lantern per ascoltare il battibecco tra i due litiganti.
“Stento a riconoscere mio fratello” sussurra in un orecchio a Annie.
“Pensavo di conoscerlo a fondo, ma in questa vacanza ha mostrato lati che mi erano sconosciuti. Introverso, musone, di poche parole e per contro …lo trovo litigioso, ciarliero, pronto alla battuta, … Una bella differenza …”.
“Evidentemente la bella e battagliera rossa ha colpito e affondato il nostro irriducibile single” replica sorridente “Tu sei sicuramente informato meglio di me sul fratellino. Se dici questo…chissà quanto ancora dobbiamo scoprire di lui nei prossimi giorni! Sinceramente ero un po’ perplessa quando gli hai proposto di unirsi a noi. In realtà dentro di me non volevo crederci che tu trasformassi una vacanza per noi due in una col terzo incomodo, ma ora mi devo ricredere positivamente. Senza la sua presenza sarebbe stata una vacanza moscia e noiosa. Invece è diventata divertente e allegra …”.
Ellie rossa in viso come la chioma si gira per osservare l’amica e il marito, intenti a parlarsi sottovoce. Ha percepito solo qualche frase smozzicata senza capirne il senso.
“Battiamo la fiacca! Di questo passo per mezzanotte non c’è pronto nulla!” borbotta con voce stridula la ragazza, visibilmente infastidita dalle loro parole.
“Beh! Non abbiamo fretta! E poi mancano ancora otto ore alla mezzanotte!” replica sorridente Matt nel tentativo di disinnescare la tensione che si sta creando.
“Non ti scaldare più di tanto! Ci stiamo divertendo tantissimo, Ellie! Non mi sono mai trovato a mio agio come in questi giorni! Poi, male che vada, una telefonata a Pizza Hulk e arrivano quattro enormi pizze Halloween!” aggiunge ironicamente Dashiell.
“Ma dove hai letto che vendono la pizza Halloween? Non sapevo che conoscessi così bene Princess Anne! Quando l’hai frequentata?” chiede stupita Annie.
“Ci siamo passati dinnanzi quattro volte. E fuori, sul marciapiede, era appeso un enorme cartello con tanto di numero di telefono che ho memorizzato. Sembrava una pizza spaventosa dalla foto! Degna della serata”.
Lei rimane a bocca aperta dallo stupore e non riesce a trovare le parole giuste per replicare.
“E’ vero che non osservo nulla quando sono in giro. Però il cognato non lo facevo così osservatore! Altro punto a suo vantaggio. E’ proprio certo che gli aspetti delle persone sono come la cipolla. La sfogli e non vedi mai il cuore” riflette Annie rimanendo in silenzio.
“Dovrai perdonarmi, fratello, ma non ricordo di aver osservato nessun cartello con la foto di una pizza spaventosa. Penso che l’avrei notato. E questo quando sarebbe avvenuto?”.
Dashiell lo guarda ironicamente prima di rispondere. E’ ben conscio che Matt sia uno scarso osservatore, perché, quando guida, ha sempre la necessità che qualcuno gli dia le indicazioni giuste altrimenti chissà dove finisce.
“La prima volta l’altro ieri, quando siamo andati a Wenona. La seconda volta ieri mentre passeggiavano per Main Street”.
“Wenona? Non ricordo di essere andato in quella località”.
“Guidavi tu mentre Ellie di dava le imbeccate giuste per arrivarci. Ti ricordi il porto dove è ormeggiato Rebecca?”.
Matt osserva il fratello sgranando gli occhi. Non rammenta che lo skipjack di Ellie si chiama Rebecca, né tanto meno che la località dell’ormeggio sia Wenona. Sono due nomi che non gli dicono niente come se non li avesse mai uditi.
“Matt, lo sappiamo tutti che quando guidi o cammini non osservi nulla perché sei concentrato nella guida. Non è una novità” lo rassicura Annie, stringendogli la mano.
“Matt!” lo canzona Dashiell “Non crucciarti. Non è colpa tua se non guardi dove stai andando e non memorizzi nomi e insegne. Non ti ricordi come da piccolo ti infuriavi quando si faceva quel gioco dove si dovevano indovinare le posizioni delle foto? Non ne azzeccavi una che una! E vincevo sempre io!”.
Il fratello non vuole dargli la soddisfazione, ammettendo che da piccolo non riusciva a vincerlo. Lo sa perfettamente che non memorizza nulla. Questo è una limitazione che ogni tanto affiora e qualche volta con effetti dirompenti.
“Nessun cruccio fa parte mia. Semplicemente non ricordavo il nome della località” ribatte calmo.
“Però ora diamoci da fare. Ellie ha ragione che di questo passo a mezzanotte possiamo andare a letto senza aver mangiato nulla”.
Tutti e quattro decidono di collaborare senza polemiche.
 
Martedì 6 dicembre si avvicinava sempre più, mentre pareva che non volesse smettere la nevicata che era copiosa da diversi giorni. Holland Island era letteralmente ricoperta da uno strato di neve di almeno di cinquanta centimetri che in alcuni punti per effetto del vento diventava una muraglia. Nonostante il lavoro incessante di cento spalatori, ingaggiati a Deal Island, era molto difficoltoso muoversi sia a piedi sia col calesse, perché le strade si erano trasformate in pericolose piste di ghiaccio. Enormi cumuli di neve grigiastra e sporca si ammassavano ai lati delle strade. Con l’aiuto di diversi volenterosi tra enormi difficoltà erano tenuti sgombri gli accessi alle abitazioni. I collegamenti con la terraferma erano a singhiozzo, tanto che i rifornimenti alimentari diventavano sempre più proibitivi. Ormai anche le scorte di legna e carbone erano ridotte al lumicino. Qualcuno faceva osservare se avesse continuato a nevicare tra un paio di giorni sarebbero rimasti sicuramente al freddo e avrebbero dovuti contingentare anche le vivande.
Angie osservava con molta apprensione questo continuo cadere di neve dall’unica finestra, che rimaneva aperta giorno e notte, chiusa solo dagli scuretti interni. Era seriamente preoccupata, perché reputava che recarsi all’approdo con un baule pieno di vestiti e due enormi borse non sarebbe stata una passeggiata.
“Mi domando se troverò un volenteroso che trasporterà il mio bagaglio fino al postale. Ma a cosa serve preoccuparsi di questo, quando mi domando se sarà in grado di svolgere il suo servizio? Pericolose lastre di ghiaccio attraversano Chesapeake Bay, così da rendere pericolosa la navigazione. Le strade sono praticamente impraticabili. Non credo che la situazione a Deal Island sia migliore di qui. Al ritardo ci mancava solo una nevicata coi fiocchi e controfiocchi. Riuscirò a raggiungere il mio Dan?”
Erano questi i pensieri o meglio le preoccupazioni di Angie che vedeva sempre più problematica la partenza. Meg erano diversi giorni che non si faceva vedere, ma era comprensibile l’assenza.
“Chi osa avventurarsi sulle strade di Holland Island senza una specifica e inderogabile urgenza? Però devo lasciarle delle incombenze per i quaranta giorni di assenza. Tenere riscaldata la casa, fare le pulizie settimanali, procurare la legna da ardere e il giorno del mio rientro provvedere al rifornimento delle provviste alimentari” rifletteva scrutando ora il cielo ora il giardino non più riconoscibile.
“Come faccio?” si domandava sconsolata, “Come posso lasciarle le istruzioni da seguire durante la mia assenza?”.
Un altro giorno stava passando lentamente senza che il tempo accennasse a migliorare. Si allontanò dalla finestra scendendo in cucina, pensando se era opportuno iniziare i preparativi dei bagagli.

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La nevicata

La tensione è scemata, mentre le due coppie chiacchierano tra loro. Le scintille tra Ellie e Dashiell si sono spente senza però diventare fredde del tutto. Sotto la cenere qualche brace cova pronta a riprendere veemenza non appena un alito di vento la riaccende.
Lo skipjack scivola silenzioso sulla via del ritorno sotto la guida attenta e precisa del Capitano Krantz.
“E’ molto confortevole questa imbarcazione” esordisce Dashiell che pare interessato all’argomento.
“Dicevi che l’hai comprata un anno fa a prezzo di occasione…”.
“No, no! Molto prima! L’ho vista tre o quattro anni fa. Sembrava una balena spiaggiata, corrosa dal vento e dalla salsedine. Ho pensato subito di acquistarla ma ero frenata dal fatto che ero una perfetta sprovveduta in merito! Di imbarcazioni non ne capivo un accidente e mi sarebbe seccato gettare dei dollari dalla finestra. Per fortuna o per un curioso caso del destino il capitano Krantz era seduto a pochi metri di distanza da me, intento a fumare la pipa. Osservando il mio viso contrariato, ha capito il dilemma che mi stava dilaniando. «Signorina – mi ha detto avvicinandosi – lo acquisti senza remore! Farà l’affare della vita una volta che tornerà a veleggiare nel Chesapeake Bay. Lo vede malmesso, ma il fasciame è integro e sano. Il restauro non sarà molto costoso. E’ un’imbarcazione eccezionale. Gliela posso garantire!» e così col suo aiuto l’ho comperata e sistemata. Devo convenire che senza quell’imbeccata provvidenziale non avrei mai avuto il coraggio di farlo. Non sono pentita, anzi ho la certezza di essere felicissima dell’acquisto. Lui si è offerto di guidarla quando io avevo voglia di fare un giro. E così è stato. Mi domando come farò quando il Capitano non sarà più in grado di governarla…”.
“Non ti preoccupare! Ci penserò io!” replica Dashiell tutto serio.
Annie e Matt si guardano sorpresi: stentano a riconoscerlo. Ai loro occhi appare trasformato. Un’autentica metamorfosi.
“Non sapevo che tu fossi in grado di manovrare una barca” esclama il fratello sorpreso.
“Infatti, non lo sono. Però si può sempre imparare!” replica divertito.
La cognata lo osserva sbalordita: per lei è un’altra persona, una vera rivoluzione copernicana per come l’ha conosciuto fino a quel momento.
“E’ da quando hai deciso di prendere lezioni di vela?” chiede con garbata ironia Annie.
Dashiell guarda sorpreso il fratello poi la cognata prima di sorridere.
“E’ sempre stata una passione che ho coltivato in segreto. Ma oggi ho deciso che la prossima primavera voglio apprendere i segreti della navigazione a vela. Questa imbarcazione è una vera meraviglia. Così se Ellie …” e fa una pausa osservandone le reazioni.
Lei sta per rispondere, quando il Capitano avverte che stanno per entrare in porto.
Dashiell senza attendere la risposta si precipita in coperta per studiare le manovre.
Annie stringendo il braccio di Matt sorride all’amica, che è rimasta senza parole.
“Se questa non è una dichiarazione… poco ci manca!” afferma decisa.
“Dashiell è un buon partito. E poi quando prende una decisione, la persegue fino in fondo. Vero, Matt?” prosegue scrutando ora Ellie ora il marito.
Il Capitano con una manovra perfetta accosta alla banchina, mentre la voce di Dashiell risuona dal boccaporto.
“Ragazzi, la gita è finita!”.
“Complimenti per l’ottima manovra, timoniere!” rimbecca Matt.
La compagnia è allegra, mentre il sole radente le acque illumina debolmente la loro discesa a terra.
“Capitano, grazie ancora per la cortesia di averci accompagnato in questa escursione non prevista” gli dice Ellie col coro di ringraziamenti degli altri.
Sulla via del ritorno la ragazza propone di fermarsi a Dames Quarter, un minuscolo paesino di Deal Island oppure proseguire fino a Princess Anne.
“Veramente… preferisco tornare a casa” dice Dashiell, “e uscire più tardi”.
“Va bene. Visto che da Gino’s ci siamo già stati. Suggerisco Beach Bay’s, dove possiamo mangiare una zuppa di granchi e gamberi veramente deliziosa. Se siamo fortunati possono esserci anche ostriche della baia. Ormai sono diventate una rarità. Non ci sono più pescatori che escono a cercarle. Un vero peccato!” afferma decisa Ellie.
In meno di mezz’ora sono di ritorno, mentre le prime ombre calano sulla casa. Ognuno sale nella propria camera.
Ellie, dopo essersi sommariamente rinfrescata, legge qualche pagina del diario di Angie.
 
La mattina sembrava essere più silenziosa del solito, mentre pochissima luce filtrava dalle finestre chiuse. Non aveva un’idea dell’ora perché tutti gli orologi erano concentrati al piano terra. Il ticchettio delle pendole le era fastidioso.
Angie era al caldo sotto un bello strato di coperte, ma rimpiangeva l’assenza di Dan, che era in grado di scaldarla meglio. Sospirò e nicchiò a uscire dal dolce tepore del letto, ma doveva farsi forza se voleva riscaldare la stanza. Il fuoco notturno era morto da molto e senza l’intervento umano sarebbe rimasto spento.
Rabbrividendo infilò una pesante vestaglia da camera e cominciò ad armeggiare nella stufa dietro al letto. Al camino si avrebbe pensato più tardi.
Dopo qualche tentativo infruttuoso la legna iniziò a crepitare con lentezza.
“Ci vorrà tempo prima che la stanza si riscaldi un poco. Nel mentre scendo in cucina per prepararmi qualcosa di caldo. La casa è gelida e i vetri sono incrostati di ghiaccio. Brrr..”.
Sul vassoio si notava una cuccuma di caffè nero e un bricco di latte fumante accompagnato da un pezzo di torta e qualche galletta abbrustolita. Questa sarebbe stata la sua colazione. Depose il tutto sul letto e accese il fuoco nel camino. Sentiva brividi di gelo in tutto il corpo. La lunga permanenza fuori dal letto si faceva sentire con insistenza, convincendola a tornare rapidamente sotto le coperte.
“Fa veramente freddo. La casa è gelida. Anche se alimento il fuoco prima di coricarmi, la notte è troppo lunga per conservare un minimo di calore alla mattina. Quest’anno l’inverno sembra aver anticipato la sua discesa” disse tremando. Ne aveva immagazzinato un bel po’ in cucina.
Aperti gli scuretti interni, si sforzò inutilmente di schiudere i vetri. Il ghiaccio li aveva cementati sugli infissi e questo l’aveva preoccupata non poco.
“Fuori l’aria è talmente gelida che non riesco neppure aprire le finestre. Ieri sera nevicava copiosamente, ma ora?” e si rifugiò sotto le lenzuola.
L’aria della stanza cominciava a intiepidire, mentre concludeva la colazione.
“Speriamo di riuscire più tardi a vedere fuori!” rifletteva mentre sorseggiava una tazza di caffè leggermente schiarito col latte.
“Dal silenzio che si percepisce devo dedurre che c’è stata una bella bufera stanotte. Pazienza. Spero solo che fra due settimane il postale riesca a raggiungere Holland Island”.
I vetri erano appannati dalla condensa dell’aria umida interna a contatto col gelo esterno. Le pareva di percepire il sibilo del vento che si incuneava tra le fessure delle imposte, mentre il silenzio era rotto solo dal crepitare del fuoco.
Il calore della stanza aveva consentito l’apertura del vetro dopo i tentativi infruttuosi di prima, ma aveva faticato moltissimo a spalancare l’imposta.
Il vento fece precipitare all’interno un nugolo di fiocchi di neve che si dissolsero in acqua. Ellie come una bambina appoggiò il naso alla finestra per osservare stupita lo spettacolo esterno.
Ogni cosa era ricoperta da un fitto strato di bianco che per effetto del vento tendeva ad accumularsi in determinati punti. Faticava a scorgere l’acqua della baia che era solcata da leggere lastre di ghiaccio. Solo qualche uccello infreddolito si aggirava alla ricerca di qualche briciola lasciando le impronte delle zampe sul manto di neve compatta.
“Oggi dovrò starmene chiusa qua dentro! Non ho nessuna intenzione di togliere la neve dal vialetto di accesso. Per diversi giorni ho delle provviste di cibo. Di sicuro non morirò di fame”.
Dal cielo color latte continuavano a scendere fiocchi che ben presto si accumularono sul davanzale arrivando al bordo del vetro.
Tornata a letto riprese la lettera di Dan e cominciò a riflettere.
“Ho fatto bene a scrivergli? O dovevo aspettare che si facesse vivo lui? Forse ho sbagliato, mettendolo in difficoltà e costringendolo a invitarmi. Però non riuscivo a resistere all’idea di raggiungerlo e stare accanto a lui. Ormai quel che è fatto, è fatto. Ho scritto e mi ha risposto. Il pensiero di trascorrere un mese intero con Dan mi rende impaziente ma devo controllarmi maggiormente. Non devo mostrare troppa fretta, devo governare con più freddezza le mie azioni, ma al cuore non si comanda! E’ via da pochi giorni ma percepisco un gran vuoto nella mia esistenza e vorrei colmarlo al più presto. Dan, conto i minuti che ci separano. Aspettami!”.
Per due giorni e due notti cadde incessante la neve, mentre lo strato nevoso assumeva proporzioni preoccupanti. Un gelido vento spazzava la baia che era percorsa da lastre di ghiaccio sempre più numerose.
Angie se ne stava rinchiusa in casa, osservando dalla finestra della camera da letto, rimasta sempre aperta, lo spettacolo della nevicata.
Doveva decidersi a uscire, ormai le scorte si erano ridotte pericolosamente. Mentre rifletteva sul da farsi le parve di udire delle voci in lontananza. «Miss Fairbanks! Miss Fairbanks!» gridavano alcuni uomini armati di pale e picconi, agitando le mani.
Lei aprì la finestra per ringraziarli, perché l’avrebbero liberata dalla morsa della neve.
Erano passati tre giorni e il sei dicembre le pareva lontano una vita.

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La delusione

Angie aspettava con ansia l’arrivo del martedì per poter partire, quando arrivò una lettera di Dan che la gettò nello sconforto.
 
Deal Island, 18 novembre 1910
 
Angie, carissima!
Leggo la tua ansia che traspare dalle parole della tua lettera. Ed è anche la mia! La partenza può esserti sembrata frettolosa, ma impegni urgenti e inderogabili mi hanno costretto a lasciarti sola, anche se avrei voluto rimanere ancora.
Purtroppo questi non sono stati ancora sciolti e mi angustiano ancora, assorbendo ogni mia energia. Sono oberato da doveri e responsabilità che non mi concedono tregua. Mi sento prosciugato nel fisico e nella mente, ma devo resistere e portare a termine positivamente questi affari ancora sospesi prima di permettermi un momento di riposo. Di questo avremo modo di parlarne. Ora non posso dire nulla di più.
Ti chiedo perdono perché al momento della partenza ho acceso dentro di te il fuoco dell’impazienza chiedendoti quando saresti venuta a trovarmi. A malincuore ti prego di rimandare la partenza di almeno dieci giorni, senza per questo che sia pentito di quelle parole pronunciate salendo sul postale. Quello era il mio pensiero e lo è tuttora.
Avrei voluto trascorrere con te Thanksgiving day col tacchino, patate dolci e torta di zucca e festeggiare il Black Friday andando a fare shopping a Princess Anne. Però tutto ha congiurato contro di me e i miei buoni propositi.
Se tu sei d’accordo vorrei celebrare le festività natalizie nella nostra casa di Deal Island. Un mese tutto dedicato a noi!
Dunque ti aspetto lunedì 5 o al massimo il giorno dopo, anche se i miei impegni non fossero cessati!
Non vedo l’ora di poterti tenere tra le mie braccia e sciogliere quel ghiaccio che ti sta ricoprendo.
Sarò sul molo ad attendere l’arrivo del postale.
Tuo devotissimo
Dan
 
La rilesse più volte, mentre gli occhi si riempivano di lacrime. Ancora due settimane di supplizio l’attendevano.
“E’ vero che poi ci sarà stata una lunghissima vacanza che finirà nel 1911. Ma il desiderio di stare accanto a Dan è talmente forte che rinviare di dieci giorni la partenza è come una pugnalata alla schiena. Dunque dovrò portare con me molti indumenti per coprire un mese. Cosa mi conviene fare? Preparare un baule oppure riempire molte borse? Ma ora rispondiamo con la conferma del giorno della partenza”.
 
Holland Island, 20 novembre 1910
 
Mio carissimo Dan!
 
Leggo con dispiacere che sei sommerso da impegni gravosi che impediscono il nostro incontro.
Anche se già pregustavo di essere nella nostra casa di Deal Island tra qualche giorno, dovrò pazientare fino a martedì 6 prima che possa essere stretta a te e riscaldarmi con il tuo affetto.
Pazienza! Poi un lungo periodo ci vedrà uniti. Sarà la prima volta che le feste natalizie non le trascorro nella nostra casa di Holland Island da quando sono nata. Però sarà una gioia immensa festeggiare con te in qualunque posto del mondo.
Dunque martedì 6 sarò sul postale con un bel po’ di bagaglio e spero che la traversata sia tranquilla.
Non vedo l’ora che le giornate passino e che domani arrivi il giorno della partenza.
Un grandissimo abbraccio
Tua
Angie
 
Asciugò l’inchiostro con calma, indossò una mantella blu pesante e un copricapo di lana per proteggerla dal freddo, prima di avviarsi all’ufficio postale. Non c’era nessuna urgenza questa volta. Aveva davanti a sé ancora molti giorni prima della partenza.
Un cielo grigio coperto da spesse nuvole che promettevano neve faceva da sfondo mentre si recava a spedire la risposta.
Alzò gli occhi come per sfidarlo, mentre una folata di vento gelido si insinuò sul collo, facendola rabbrividire.
“E se nevicasse come lo scorso anno, riuscirò a prendere il postale?” si interrogava dubbiosa mentre si arrotolava nel mantello per impedire che il gelo penetrasse dentro di lei.
Camminò in fretta, salutando con un breve cenno del capo i rari passanti che avevano osato sfidare il freddo.
Uscendo dal Post Office, osservò che il cielo era schiarito diventando bianco mentre minuscoli fiocchi scendevano verso terra.
“Brrr! Se non fosse stato per la lettera a Dan, oggi era la classica giornata da rimanere rintanati in casa accanto al camino. Ora è meglio che mi sbrighi a rientrare prima che la strada si ricopra di neve”.
Alzò il bavero della mantella per coprire parte del viso, lasciando scoperti solo gli occhi. Camminò più svelta che le era possibile, mentre faceva attenzione a non scivolare sul velo di ghiaccio che si stava formando.
“Miss Fairbanks! Si fermi!”.
Era la voce del reverendo White che risuonava stridula nel silenzio, mentre la nevicata infittiva. Finse di non udire quel suono indisponente, perché non aveva la minima intenzione di fermarsi e ascoltare quello che le voleva dire.
“Sa dove abito! Se vuole viene a bussare al mio portone! Ora voglio riparare a casa e scaldarmi col fuoco del camino” rifletté accelerando ulteriormente il passo.
Il richiamo si perdeva tra i sibili del vento come un eco lontano, finché Angie non aprì il portone, chiudendolo rapidamente.
Il mantello era diventato bianco ricoperto da un lieve strato neve, che depositò nell’androne.
“Domani ci penserà Meg a raccogliere l’acqua e a pulire. Ora corriamo nella sala per riattivare il fuoco”.
Deposto mantella e copricapo su una panca, si diresse dapprima verso la camera da letto per accendere la stufa e il camino.
“Stanotte si gelerà! E’ meglio tenere il fuoco allegro per riscaldare la stanza!” si disse mentre infilava una pesante vestaglia da camera.
Prese il libro che stava leggendo e si sistemò su una poltrona accanto a camino, da dove poteva osservare la finestra.
Il ghiaccio aveva orlato il vetro, mentre il vapore lo aveva reso opaco. Però si intravvedevano minuscoli fantasmi bianchi aleggiare oltre l’apertura.
La nevicata stava assumendo il carattere di una tormenta, che in breve aveva ricoperto ogni cosa di un candido manto. Mulinelli di cristalli di ghiaccio si alzavano sospinti dalle raffiche di vento andando ad addensarsi sui tronchi degli alberi, sulla staccionata che divideva il giardino dalla strada, su ogni ostacolo che incontrava nel suo cammino.
“Nevica presto quest’anno! E l’inverno sembra essere arrivato in anticipo. Forse è stato provvidenziale il ritardo nella partenza perché non so se fra tre giorni riuscivo a partire! E’ una magra consolazione la mia. Avrei preferito essere sul postale piuttosto che starmene rinchiusa fra queste quattro mura!”.
Si coprì con una coperta di pecora e aprì il libro.
“Ho letto qualche pagina, ma mi conviene ripartire dall’inizio. Trovo deprimente questo libro della Eliot, Middlemarch. Troppo lento e dal tono vagamente didattico. No, no! Questi inglesi sono veramente senza fantasia. Ma adesso che lo preso, facciamoci forza e leggiamolo”.
Aprì il libro dalla solida copertina in pelle con fregi d’oro dell’edizione inglese di Blackwood e cominciò a leggere, accorgendosi ben presto che la sua mente era altrove a Deal Island.
“E’ inutile. Non riuscirò a leggere nemmeno un rigo. Penso ad altro e poi questa Eliot è una palla!” e richiuse per l’ennesima volta il primo volume i quest’opera monumentale.
E tornò a guardare fuori.
Nel buio della sera vide solo fiocchi di neve che vorticosi si avvitavano nell’aria e sospirò.

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