Questo piccolo pezzo l’avevo preparato per stare al gioco della costruzione di un romanzo a più voci. Non è stato accettato perché c’era già un pezzo sullo stesso argomento. Anziché lasciarlo lì, visto che avevo fatto la fatica di scriverlo ve lo propongo.
Il gestore dello chalet sul lago
Sento suonare furiosamente alla porta.
“Chi sarà mai quell’imbecille? Vaffa…”. Alzo le chiappe dalla poltrona dove ci sto divinamente. Metto il libro che sto leggendo sul tavolino di fronte.
Mi domando che fretta c’è a suonare in questo modo. Indugio ancora guardando fuori dalla finestra. La vista mi calma un po’ e l’umore migliora. Vedo il bosco che sta cambiando colore. “È l’autunno”. Starei ore a contemplarlo ma qualcuno sta rompendo. Infatti…
Il campanello squilla di nuovo.
Sono Sandro, il gestore dello chalet L’aquila solitaria dove se capita qualcuno per sbaglio vuol dire che ha smarrito la strada.
Il lago è uno sputo d’acqua e le rive sono quasi a strapiombo. “A chi verrebbe in mente di passare una giornata lì? Solo un mentecatto!” L’unico posto pianeggiante è questo e mio nonno ha costruito con le sue mani questo chalet. Mio padre non ne ha voluto sapere niente e così è toccato a me gestirlo.
Può sembrare strano ma meno clienti vedo e meglio sto. Sono un orso da questo punto di vista. Mi piace il silenzio che il bosco fa pervenire alle mie orecchie. Adoro il profumo dei funghi in questa stagione. Insomma avete capito sono un solitario. Quando ho preso la gestione, mia moglie ha fatto fagotto e se ne è andata. Non so dove, né mi interessa saperlo. Non smetteva mai di lagnarsi, di frignare, perché lei voleva fare sempre bisboccia e io mi scocciavo. “Beh! Adesso nessuno glielo impedisce”. Rido, anzi sorrido a questo pensiero, mentre mi avvio verso la porta.
Il campanello squilla ancora in maniera sconcia.
«Arrivo! E la smetta di suonare» urlo tirandomi su le braghe che come al solito sono scese. Non è bello mostrarsi a un possibile cliente mostrando parte delle mutande. Non è che siano sporche ma non è lo stesso un bel vedere.
Tiro il catenaccio che blocca la porta di abete con un frastuono che mi perfora le tempie. “Dovrò oliarlo, perché tutte le volte produce un suono sinistro e acuto”.
Metto il naso fuori per vedere chi è lo scocciatore. Faccio un “ah!” di sorpresa. Un omone grande e grosso infila la punta della scarpa tra lo stipite e il battente per impedirmi di chiudere la porta.
«Che vuole?» Il mio tono è sgarbato quasi infastidito vedendo un possibile cliente.
«Mi manda la barista».
Mi scappa un «fanculo». Devo dirle di smettere di mandarmi dei clienti.
Anni fa, credo il 2012, alla formazione del governo delle grandi intese i Wu Ming lanciarono una sorta di contest che aveva per tema le larghe intese e un asteroide che le distrusse. Io con molti altri ho partecipato e tutti i vari racconti sono stati raccolti in pdf. Quello che segue è il parto della mia testa.
Buona lettura
Dopo aver valicato monti, disceso valli, guadato fiumi e disarcionato altri presunti cavalieri che temerari l’avevano sfidato, Ser Lancilotto del Lago continuava la sua ricerca. Voleva proseguire l’avventura, anche se ormai era vecchio e le forze venivano a mancargli.
Era nel territorio del Galles, o forse lì vicino, ma non aveva molta importanza il luogo, perché gli avevano detto che c’era nei paraggi un convento di suorine molto graziose, allegre e servizievoli.
«Questa avventura non me la voglio perdere!», disse al suo fido consigliere, Ser Johnnie di Lothian, che scuoteva la testa.
«Ormai sei vecchio. Prenditi il riposo del guerriero».
«Starei fresco!».
«Perché?».
«Perché? E me lo domandi?».
«E io te lo richiedo».
«Oziare è il padre di tutti i vizi».
«Hai tanti nipoti con i quali puoi giocare alla guerra».
«Non è la stessa cosa che fare una ricerca».
Così si armò, lucidò corazza e scudo, affilò la spada e partì tutto solo senza manco il fido scudiero Ser Jon Greenish.
All’uscita del castello un soldatino di vedetta gridò: «Un uomo solo al comando», ma il ser Cavaliere finse di non aver udito.
«Tutta invidia» esclamò, facendogli un marameo.
Cavalcava da molti giorni senza trovare l’indicazione giusta. Chi gli diceva «È dietro quel boschetto», chi «Avanti cento passi, svolta a destra. Lì al centro c’è il convento», chi dalla cima del Colle lo benedisse «Se trovi le larghe intese, lì sta il convento».
Fatto sta, fatto non si sa, il ser Cavaliere brancolava nel buio, perché la notte era scesa senza che lui l’avesse autorizzata a presentarsi.
Trovava irriverente che non gli avesse chiesto il permesso.
«Ohibò!», disse addocchiando un bel fico ombroso.
«Se fosse un fico femmina sarebbe stato meglio ma accontentiamoci».
Detto e fatto. Si fermò lì sotto la chioma verde.
«Qui mi ficco», e messo lo scudo sotto la testa si addormentò.
Nei paraggi girava Morgana, la fata, una bella tipetta dispettosa e poco riguardosa nei confronti di Ser Lancilotto, col quale aveva più di un conto in sospeso. Cambiava mille aspetti ma la capigliatura rossa restava sempre rossa.
Dicevano le malelingue che era una strega e produceva mille incantamenti per distorcere la verità. «Tutte maldicenze! Io ricerco solo la mia verità», urlava ai quattro venti senza che nessuno la cagasse.
Oddio, quando si incaponiva sul serio, si metteva di traverso ed erano dolori, soprattutto per Ser Cavaliere, che minacciava di metterla ai ferri, sulla brace a bruciare. Lei rideva e sgusciava via come un folletto.
«Prendimi, se ci riesci!», gli gridava con ghigno feroce.
Comunque Morgana, la fata, sembrava guidata dal radar, che ai tempi di re Artù era ancora da inventare. Per finzione poetica fingiamo che ci fosse, e piombò sull’incauto Ser Lancilotto del Lago, che dormiva alla grossa, pensando di essere unto dal re Artù.
«To’! Chi si vede. Il ser Cavaliere addormentato!», e senza pensarci su due volte fece un bell’incantesimo. Una gabbia dorata, larga e comoda ma dotata di solide sbarre.
«Mentre dormi il sonno dell’ingiusto, vado alla ricerca del nipotino Ser Henry di Lothian e lo ficco lì insieme a te».
In uno svolazzo di piume e di ciocche rosse sparì nella notte.
«Ma torniamo a Ser Lancilotto del Lago», disse la voce narrante che si accoccolava bene davanti al pc, altra invenzione del demonio che ai tempi di re Artù manco si sognavano che esistesse.
Dunque il prode ser Cavaliere dormiva alla grossa, e sognava la sua regina che faceva evoluzioni nella sala del trono tra musici e cantori abbarbicata attorno a una pertica. Era un burlesque ante litteram, tra un codazzo di dolci damigelle che gli allietavano la vista e non solo quella.
Urlava a squarciagola: «Bunga, bunga» senza conoscerne il reale significato. Gli aveva fatto colpo quel grido ma ignorava che era un grido degli aborigeni australiani. Quindi ser Cavaliere l’aveva fatto diventare il suo grido di guerra durante le interminabili notti invernali.
Lasciamo il nostro Ser Lancilotto del Lago dormire e sognare, ignaro di quello che la terribile Morgana, la fata, aveva in mente e progettato.
Il giovin Ser Henry viaggiava ignaro del suo destino seguendo quel vecchio marpione di Ser Pier Bears di Sanah, che aspirava a fare le scarpe a re Artù.
«Ditemi, Maestro, dove stiamo andando».
«Seguimi e taci».
«Però vorrei sapere».
«Il troppo sapere fa male».
«Non lo sapevo».
«Ora lo sai».
Ser Pier, armato di lente, era alla ricerca di whim, quei fastidiosi insetti che facevano cri cri quando il caldo si fa atroce, e stavano ai margini del monte che voleva scalare.
«Dove si sono nascosti?».
«Chi, Ser Pier?».
«Ma chi vuoi che siano?».
«Io non lo so».
«Sei troppo giovane e ingenuo».
«Dunque Ser Pier non volete dirmelo?».
«Uffa, quanto siete petulante!».
Ser Henry mise il broncio e se ne stette lontano da Ser Pier, offeso e indignato.
«Forse faceva meglio a stargli accanto, ma si sa che la gioventù morde il freno e vuole sopravanzare i vecchi», continuò petulante la voce narrante.
Era tutto ingrugnato a braccia conserte, quando gli apparve una bellissima fanciulla bionda dagli occhi azzurri e dal fisico avvenente. Una bella topa, pensò Ser Henry.
«Mio signore, perché ve ne state in disparte tutto solo soletto?».
«Ma chi siete, mia dolce damigella?» e le fece gli occhi dolci.
«Sono Siren, della casata di Broad Agreements».
«Che bel nome Siren».
«Anche voi siete un bel giovine».
Ser Henry arrossì al complimento ma strinse gli occhi pensieroso.
«Ma questa casata mi è sconosciuta».
«Ma no, non può essere».
«Ma dico di sì!».
«Vengo come messaggero di mio padre, il valoroso Ser Menhult».
«Non sapevo che questo prode cavaliere avesse una figlia così avvenente».
Con gli occhi la spogliava e avrebbe desiderato darle un morso sul quel collo bianco e lungo.
«Venite con me. Il Ser Cavaliere vi aspetta».
«Ser Lancilotto del Lago?»
«Sì, mio signore».
«Dov’è? Vi seguo subito».
«E abbandonate Ser Pier?».
«Ma chi se ne frega!» e fece una fragorosa risata.
«Ben detto, mio signore. La nostra casata è lieta di avervi con noi».
Balzato a cavallo, galoppò furiosamente verso il fico, dove stava ancora dormendo Ser Cavaliere.
Morgana, la fata, rideva sotto i baffi, anche se non c’erano o almeno non erano ancora cresciuti.
«Corri, sciocco, corri in braccio a Ser Lancilotto del Lago! Vedrai cosa ti aspetta».
Arrivati al fico, Ser Henry vide un bellissimo palazzo. Era una pura illusione ordita dalla terribile strega. Entrò accolto da servitù ossequiante, che erano topi e lucertole travestiti da uomini e donne. Altra magia di Morgana, che continuava a tormentare i propri baffi inesistenti, ridacchiando.
Ser Henry si precipitò ad abbracciare Ser Cavaliere.
«Finalmente possiamo giostrare insieme».
«Certamente», rispose stiracchiandosi.
«Quando si comincia?».
«Cosa?».
«La ricerca».
Ser Lancilotto del Lago strinse gli occhi.
“La ricerca? Eh no, caro giovanotto! Tu sei giovane e mi freghi tutte le suorine. Mica mi faccio fottere da uno sbarbatello! Adesso ti depisto”.
«Quale ricerca?».
«Ma quella per la quale sei partito».
«Ah! Ho capito».
«Dunque quando partiamo?».
«Eh! Uhm!».
«Dicevate?».
«Quella è già finita».
«Allora quale?».
«Ci devo pensare… Sì, sì…».
«Vi sto ascoltando».
«Dobbiamo ricercare la germanica e metterla con le spalle al muro…».
«E poi…».
«E poi si vedrà!», concluse Ser Cavaliere.
Morgana, la fata, proruppe in una gran risata.
«E lei chi è?».
«Siren».
«Una gran bella gnocca».
La strega si avvicinò ai due e disse loro: «Una risata vi seppellirà!».
«Cosa?», domandò interdetto Ser Henry.
«Aspettate e vedrete», e sparì.
Ser Lancilotto del Lago ci rimase male.
«La gnocca dov’è volata?».
«Non la vedo più, Ser Cavaliere».
Mentre si guardavano intorno alla ricerca di Morgana, la Fata, sentirono dei botti sopra la testa.
«Pare che grandini».
«Però sono grossi i chicchi».
«Pare anche a me».
Poi una musica demenziale dei Punk a Rock dei Mahones cominciò a percuotere le loro orecchie.
«Ser Cavaliere…».
«Dimmi…».
«È il terremoto. Ci muoviamo?».
«Non ci capisco un cazzo».
«Cosa?».
«Spegni la radio, per Dio!».
«Perduti?».
«Non capisci un cazzo… spegni la musica!».
«Ue’! Stiamo ballando!».
Ser Cavaliere scosse la testa ma tutto traballava minacciosamente mentre la musica saliva di tono. Il rombo si avvicinava sempre di più.
«Ser Cavaliere, mi pare di…».
«Ser Henry, cosa ti pare?».
«Vedo una basilica con degli stendardi bianco e gialli…».
«Già brillo di prima mattina. ’Sti giovani, pappemolli».
«C’è anche un fiume sporco…».
«Il cervello in pappa… se non ci fossi io… tutto a puttane…».
«E un palazzo…».
«Ma che dico? Puttane? No, dolci damigelle…».
Un bel botto, uno scossone con rumore di fondo che cresceva.
«Ma spegni quella cazzo di tv!».
«Cos’è la tv?».
Non avevano finito di dire queste parole, quando un rumore furibondo e una fiammata allucinante li avvolse in un sudario di morte.
«Ser Cavaliere, cosa abbiamo fatto?».
«Le larghe intese, Ser Henry».
«Ma che male abbiamo fatto?».
«Non l’hai ancora capito?».
«No!».
Ma non ci fu più tempo per ulteriori spiegazioni, perché fumo e fiamme, rombo e sibili li seppellirono. Un asteroide aveva centrato quel palazzo artificiale costruito da Morgana, la fata, per prendersi una rivincita su di loro.
Dopo il boato assordante, con le orecchie che fischiavano, sentivamo ancora quella musica.
Dove fino a un istante prima si trovava Ser Henry, capo del governo di larghe intese, si apriva una spaventosa voragine. Dall’enorme cratere si levavano nubi di fumo nero.
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