Cuore

Krimhilde e le fanciulle scomparse

Il post è stato appena pubblicato su Caffè Letterario e lo ripropongo di seguito.

Il suo cuore batteva all’impazzata mentre si avvicinava alla porta della stanza in cui sapeva che l’avrebbe trovato.

Si fermò per ascoltare. Nessun rumore. Mosse un passo e si bloccò con la mano a mezz’aria come una bandiera in segno di lutto.

Sentiva il cuore battere e il rumore prodotto era più intenso perché tutto intorno c’era silenzio.

Mirna rifletté se doveva abbassare quella maniglia oppure girare i tacchi e fuggire. Però sembrava che il pavimento di lucido tek fosse vischioso come la colla da falegname. Incapace di muoversi, paralizzata nella mente restava lì a cinquanta centimetri da quella porta che sapeva d’inferno.

Devo decidermi” mormorò mentalmente, impegnata com’era tra il pensiero della fuga e affrontarlo per chiarire cosa non funzionava.

Piero era il suo capo ma anche il suo amante. E lui era lì dietro quella porta. Aveva capito in ritardo che era tutto sbagliato. Non doveva e invece l’aveva fatto. Si era lasciata coinvolgere in un gioco superiore alle sue forze e si era ritrovata sola. Tutti erano a conoscenza del legame tra lei e Piero e sorridevano ironici quando la vedevano. La scansavano come un’appestata.

Da questa relazione non ci aveva ricavato nulla, solo le frecciate velenose degli altri. Eppure lei era libera senza legami e non doveva rendere conto a nessuno. Semmai era Piero che era in fallo con la sua famiglia. Però adesso doveva decidersi ma era paralizzata.

Mosse un passo indietro riportando il braccio sul fianco, perché aveva sentito delle voci dietro quella porta. Spalancò gli occhi e increspò la fronte. Forse la tensione gli aveva giocato un brusco scherzo. “Non è possibile!” e si avvicinò cauta alla porta per ascoltare meglio. “Sì! È una voce femminile e familiare. Cosa sta a fare lì dentro?”

Udì un cigolare di molle e dei sospiri che non si prestavano a equivoci fino all’esplosione di gioia soddisfatta. «Ancora! Ancora!» Un grugnito animalesco sovrastò la voce femminile e poi fu silenzio pieno di un ansare per respiri affannosi.

Mirna era impietrita. “Devo scappare!” Però rimase lì col viso a pochi centimetri dalla porta, quando…

Il battente si aprì e vide Piero accasciato sul divano rosso e Angela scarmigliata con la gonna in mano che la travolse.

0

Miniracconto su Caffè Letterario

L’ultima avventura di Puzzone

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo post.

Per chi è pigro lo può leggere anche qui.

L’ultima cosa che ricordo è il suo sorriso, poi tutto è diventato nero.

Quando mi sono svegliato ero disteso su un marmo bianco, almeno questa è stata l’impressione ma non potrei mettere la mano sul fuoco per confermare il ricordo.

Però sentivo freddo sulla schiena. Per forza ero nudo! Ho provato a muovere una mano sinistra senza riuscirci. Pareva ancorata al marmo ma non vedevo o sentivo un qualsivoglia legaccio che me la bloccasse. Poi ho tentato con la destra ma la sensazione è stata la stessa: impossibile a muoverla.

Ho aperto gli occhi ma non ho visto nulla. Solo nero pece. Eppure le palpebre non sono incollate. Si sono mosse liberamente. Ho riprovato col braccio, sperando in miglior fortuna. Niente! Sempre aderente al corpo.

Ho cominciato a sudare perché ho capito che ero in un bel impiccio. Buio e silenzio. Solo il mio respiro rauco. Poi una tenue luce in lontananza.

Era un buon segnale oppure pessimo? Dovevo solo aspettare. Nel mentre sono tornato indietro nel tempo. Ero venuto con Nicola, una bella ragazza bionda conosciuta ai tavolini del Bunga Tavern. Tra una birra e l’altra, un sorriso malizioso e occhiate traditrici abbiamo deciso di fare una puntata nella villa del Capitano.

«C’è una festa in costume molto riservata» aveva aggiunto per convincermi. «Però le voci che girano parlano di festini a base di sesso. Vorrei immortalarli con la mia fida Leica».

Forse le troppe birre mi hanno obnubilato la mente e come uno scemo ho detto di sì.

Così abbiamo scavalcato un cancello laterale. Lei armata di macchina fotografica, io della mia incoscienza.

In silenzio ci siamo addentrati nel parco. Poi… eccomi qui immobilizzato e incapace di scappare e chiedere aiuto.

Che scemo sono stato!

0

Angela e il pertugio

Su Caffè letterario è stato da poco pubblicato un nuovo post.

anteprima copertina Un caso per tre

«Con tutti questi superbonus camminare sul marciapiede è diventato un esercizio di acrobazie e di fortuna». Angela è inviperita perché è costretta a slalom pericolosi su e giù sul marciapiede con le macchine e le moto che sfrecciano incuranti dei segnali di limitazione della velocità.

«Fossero solo loro!» Impreca per l’ennesimo ciclista che anziché condurre a mano la bicicletta corre veloce dove passano i pedoni. «Poi ci si mettono anche i monopattini che sfrecciano a cento all’ora!»

Di fronte al nuovo ostacolo Angela sbuffa e si infila nel pertugio con la carrozzina. Aggirare l’impalcatura non ci pensa. «Rischio di finire arrotata» borbotta con tono iroso. La piccola comincia a strillare. «Calma, gioia» la rabbonisce, sfoderando un bel sorriso, il migliore che possiede. Del tutto inutile. A metà del passaggio si ferma per farle una carezza. Neppure un secondo dopo si ritrova con le chiappe per terra e la carrozzina sulle gambe. Solleva lo sguardo smarrita alla ricerca di spiegazioni. Vede solo il viso di una ragazzina abbarbicata sulla capotte, che ride con le lacrime agli occhi. La piccola strilla paonazza, Angela congestionata non riesce a dire neppure «Deficiente!»

0

In corteo

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo post che ripropongo anche qui.

anteprima copertina Un caso per tre

Il corteo si snoda tranquillo tra le vie di Dog City. I cittadini del paesino li guardano divertiti. Sono quattro gatti e per di più patetici con i loro cartelloni di protesta contro i cambiamenti climatici.

Lo slogan è scandito al ritmo di una pentola. «Basta fossili! Basta auto! Basta emissioni nocive».

Tom seduto sui gradini del saloon grida di andare a lavorare tra gli sghignazzamenti triviali degli altri compari.

Alla testa del corteo c’è Jane, una ragazza rotondetta col viso butterato dall’acne. Accanto a lei c’è Fred, un ragazzone dal viso roseo come un porcellino.

Jane smette di urlare gli slogan e si guarda intorno. Ha sentito cadere qualcosa dal cielo.

«Oh! Mio Dio! Proprio a me?» Sospira ad alta voce, fermandosi.

Fred, che le sta accanto, sghignazza divertito. «Non lo sai che sei fortunata?»

Jane si gira inviperita tutta rossa in viso, mentre riprende a marciare per non intralciare il resto del corteo. «Di che fortuna vai cianciando, stupida creatura?»

Lei si ferma di nuovo e abbassa il cartello con la foto dell’artico che si quaglia per il caldo.

Ora tutti le sono intorno. La guardano. Alcuni sorridono. Altri ridono a crepapelle.

Jane allarga le braccia verso l’alto e ruota lo sguardo dalla terra al cielo come dire “che sfiga!”. Poi con tono stridulo grida: «No, non è possibile». Ha l’occhio umido pronto a una crisi isterica. «Ma come è possibile che tocchi proprio a me?»

Gli altri le fanno cenno di riprendere a marciare, perché il corteo non si può fermare.

Fred ripete prendendola sotto braccio. «Sei fortunata, Jane».

«Sarò fortunata» biascica arrabbiata con amarezza. «Ma sono scagazzata!»

0

La guardia

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo post.

copertina Una notte magica San Giovanni

La potete leggere anche qui.

La guardia aveva capito, subito s’era resa conto di tutto. Quanto al signore grasso, la faccenda era naturalmente chiarissima. Restava la ragazza. L’agente si chinò su di lei per esaminarla più da vicino e una sincera compassione gli si dipinse sul viso.

Il signore grasso era appoggiato con le spalle alla parete e la testa reclinata di lato. Un filo rosso scendeva dalla bocca e lo sguardo era assente. Non poteva essere differente da così. Era evidente che il suo stato mostrava che era morto.

La guardia, un omino smilzo, non lo degnò di uno sguardo in più. Era la ragazza l’oggetto delle sue attenzioni. Stava rannicchiata con la gonna scivolata in su che mostrava l’intimo bianco.

Il viso candido, illuminato dalla lampada sul tavolo della conferenza, non mostrava segni di terrore. Anzi appariva sereno e disteso.

La guardia si avvicinò ancora di più. Non capiva se respirava oppure no. Le mani in grembo sembravano indicare che si fosse addormentata appoggiando le spalle alla scultura di un cavallo.

Strizzò gli occhi per mettere a fuoco quella figura che ispirava tenerezza. Non doveva avere più di sedici anni. Un viso senza rughe, un caschetto di riccioli biondi, due fossettine sul mento. La corporatura minuta dimostrava che era ancora acerba nel fisico.

Era decisamente morta, dedusse la guardia dopo averla attentamente osservata. Trovava inutile chiamare i soccorsi.

Si allontanò dalla stanza che chiuse a chiave e se ne andò a casa.

1

Buon anno 2023

Su Caffè Letterario quest’anno comincio io.

Foto di oleksandr pidvalnyi da Pexels

Beppe Gambalunga è infagottato nel giubbone nero che appare un po’ logoro sui gomiti. Impreca sottovoce, perché alle sei del primo gennaio deve recarsi al commissariato.

È successa una gran lite nel condominio Spera e gli agenti non riescono a sedare la lite che prosegue a colpi di sedie e ceffoni.

Così il commissario di turno ha richiamato in servizio chi non era di turno. «Che stronzo! Non riesce a gestire quattro gatti che si scazzottano per bene, alticci per le troppe bevute» biascica con le mani affondate nelle tasche. Se fosse per lui li avrebbe lasciati lì a picchiarsi di santa ragione. Tanto prima o poi avrebbero smesso. Però lui è l’agente scelto Beppe Gambalunga, e l’altro il commissario Ciccio Bellavista. Una bella differenza!

C’è ancora buio ma il cielo è senza stelle coperte da nuvole che sono grige. Tira una bava di vento freddo che fa rabbrividire Beppe, che ha il collo incassato nel giubbone.

Il commissariato non è proprio dietro l’angolo ma a lui non andava di prendere fuori la macchina con le strade ingombre di cocci. Gli operatori ecologici sono in azione da un paio d’ore ma prima che arrivino al suo quartiere passerà ancora del tempo. «Che mania quella di gettare le cose vecchie dalla finestra» bofonchia indispettito con l’alito che condensa per il freddo.

«Alla buon’ora!» Lo accoglie il commissario Ciccio Bellavista. «Sei l’ultimo ad arrivare! La pattuglia ti aspetta nel cortile. Sono lì al freddo da mezz’ora».

Beppe non risponde. Non gli va di incominciare l’anno male con un battibecco sterile. Incassa il rimprovero, deposita il giubbone nel suo armadietto e indossa il giubbetto imbottito d’ordinanza.

Alceo Spingarda sta fumando l’ennesima sigaretta accanto alla Punto blu che ha il motore acceso. Dentro ci sono Luca Bimbo e Dino Sperandio che discutono animatamente.

«Si parte». Alceo buttato il mozzicone si mette alla guida. «Speriamo di non trovare troppo sporca la strada».

Scansati diversi oggetti ingombranti, arrivano al condominio Spera dove ci sono diverse pattuglie tra polizia e carabinieri.

Lo spettacolo sarebbe divertente se non ci fossero una dozzina di persone che si azzuffano tra le urla di incitamento di donne e bambini col contorno dei condomini affacciati alle finestre che fanno il tifo da stadio.

Beppe guarda incredulo lo spiegamento di forze che non osano separare i contendenti. Dà di gomito a un carabiniere dal viso annoiato che nell’ombra si fuma una Marlboro. «Si sa perché si picchiano?»

«No. Qualcuno delle case davanti ci ha chiamato perché c’era una zuffa in strada. Ma il motivo non lo so».

Beppe lo osserva. Gli sembra che sia infastidito perché gli ha chiesto la causa della battaglia a suon di pugni. Però non demorde. «Perché non li separate?»

Il carabiniere lo guarda in tralice e sbuffa perché non può fumare in santa pace. A lui non gliene frega nulla di motivi e d’intervenire. «Se le danno di santa ragione senza usare coltelli o arme improprie. Alla fine qualcuno si recherà al pronto soccorso senza qualche dente o col naso rotto e tutto finisce lì». Poi gettata la cicca nel tombino si allontana borbottando qualcosa che Beppe non capisce.

È ancor più irritato col commissario. «Mi ha tirato giù dal letto per assistere a una zuffa senza intervenire» bofonchia alzando le spalle e sputando per terra.

Era andato a letto da poco dopo il veglione in casa sua con le sorelle e i loro mariti, quando è arrivata quella telefonata inopportuna. Se le prime ore dell’anno nuovo sono passate in allegria, adesso l’umore è nero.

È ormai da una mezz’oretta buona al freddo ad assistere a una zuffa da osteria senza che le forze di polizia accorse in gran numero vi ponga fine, quando sente una voce proveniente dal buio.

«Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signori, di almanacchi?»

Beppe si gira nella direzione di quella voce e e vede un Vucumprà che avanza tenendo in mano degli opuscoli.

«Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signori, di almanacchi?» Ripete con tono strascicante un corpulento clandestino dal viso nero come la pece.

Una donna, che fino a pochi istanti prima urlava e incitava qualcuno a dargliele per bene, si stacca dal gruppo e chiede: «Almanacco per il nuovo anno? Sarà buono?»

Il venditore si avvicina e in un italiano incerto afferma che il prossimo sarà di certo migliore di quello che ci ha appena lasciato.

«Ne siete certo?» Insiste la donna dubbiosa che prende l’almanacco che il Vucumprà le allunga.

«Potete scommetterci. Migliore di tutti gli anni passati».

Come per incanto la rissa cessa e poliziotti, spettatori e litiganti si assiepano intorno al venditore ambulante per comprare un almanacco.

 

0

Le mummie – seconda parte

Su Caffè Letterario è stata pubblicata da poco la parte conclusiva di questo breve racconto.

foto personale

Breve riassunto della prima parte.

Luigi e Lisa son in vacanza. Lui vede uno strano corteo funebre e decide di visitare il camposanto dove sono conservate delle mummie. Lisa vorrebbe mettersi in viaggio per tornare a casa ma alla fine acconsente alla sua richiesta. Al rientro preparano i bagagli per partire.

Giuseppi, il proprietario della locanda, era dispiaciuto che i suoi ospiti lasciassero la stanza con un giorno di anticipo, mentre li osservava a caricare i bagagli.

Lisa seduta sul lato passeggero aveva il viso più disteso e osservò Luigi che chiuso il bagagliaio si sedeva al posto di guida.

Girò la chiave e premette a fondo la frizione. Dal motore non arrivò nessun gemito. Riprovò senza ottenere un risultato migliore.

Lisa, irrigidita per il contrattempo, era seduta sul lato passeggero e osservava il marito che aveva la fronte imperlata di sudore e biascicava degli improperi.

«Riprova, caro» disse con voce suadente come a spronarlo a far partire l’auto che invece non ne aveva voglia.

Luigi alzò le spalle e girò la chiave. Il motore rimase muto senza segni di vita. Poi girò e rigirò con furia ma nessun segnale proveniva da sotto il cofano.

«Caro, ti vedo nervoso. Provo io che sono più calma». Lisa scese e si sedette nel posto del conducente. Girò con dolcezza la chiave e affondò con decisione il piede sulla frizione. Nessun borbottio. Silenzio assoluto.

«Smettila o la batteria sarà da cambiare» urlò Luigi di fianco alla macchina. Lisa alzò le spalle spostandosi sul lato passeggero.

Lui vide tre ragazzini che arrivavano calciando un sasso. Fece loro un segno di avvicinarsi perché voleva convincerli a spingere la macchina nella discesa distante pochi metri da dove era parcheggiata.

Loro allegri si misero di buona lena per far avanzare l’auto che imboccata la strada, che conduceva a una officina con annessa stazione di servizio, scese senza difficoltà.

Luigi con perizia la fermò davanti alla pompa di benzina, mentre un meccanico dal viso unto di olio gli chiese come poteva servirlo.

Lui spiegò a parole e gesti che il motore aveva un problema all’accensione. L’uomo tuffò la testa sotto il cofano e armeggiò nel tentativo di capire il motivo.

Lisa seduta in modo composto non udiva nessuna parola che riuscisse a interpretare. Si agitò in preda all’ansia dimenandosi sul sedile.

«Cara, il motore ha un guasto non riparabile su due piedi».

Lei sbiancò e chiese quanto tempo sarebbe servito per la riparazione.

«Dice che in due o tre giorni la macchina è pronta».

Riportati i bagagli Al gras’ nat, Giuseppi li accolse con un gran sorriso. Quella era l’unica locanda del paese, anche se Lisa avrebbe voluto cambiare.

«Chiedi un’altra stanza. Non voglio tornare in quella che abbiamo lasciato» affermò con forza Lisa decisa a non tornare nella vecchia camera.

«Cara, ma perché?»

«Non voglio vedere quella piazza». La donna si chiuse nel mutismo.

Il proprietario sorrise. Nessuno voleva quelle stanze che davano sul retro, su un vicolo poco illuminato e un tantino maleodorante. Quindi non ebbe difficoltà a esaudire la richiesta di Lisa.

Disfatti i bagagli, si distesero sui letti accaldati e sudati. La giornata piena di imprevisti aveva lasciato il segno.

«Cara, quelle mummie sono veramente orribili con quelle bocche aperte che gridano il loro dolore».

Lisa non rispose. Immersa nel suo sudore si era addormentata. Sognò che anche lei era diventata una mummia ed era stata aggiunta alle cento trenta. Avrebbe voluto urlare la sua rabbia ma dalla bocca non usciva nessun suono. Strinse i pugni conficcandosi le unghie nei palmi che sanguinarono. Aprì gli occhi col cuore che batteva a mille e il respiro mozzo. Allungò una mano ma non trovò quella di Luigi. Aspettò che facesse giorno per calmare l’ansia.

Luigi dopo aver fatto colazione propose di visitare le pietre dondolanti in cima alla collina.

«Va pure. Io resto nella stanza. Lasciami degli schei per comprarmi qualche rivista».

Lui rabbuiò in viso. Era a corto di contante e non c’era rimasto molto nella carta. «Non spendere troppo. Dobbiamo arrivare a casa» disse uscendo dalla stanza.

Lisa rimase sul letto stanchissima per la notte insonne popolata da terribili incubi. Poi con lentezza fece una doccia prima di uscire alla ricerca di un’edicola. Ricordava che ce ne erano tre. Una in piazza e le altre due nelle vie adiacenti. La prima non aveva riviste italiane. La seconda le teneva ma erano esaurite. Alla fine nella terza trovò due vecchi rotocalchi, Tempo e Bellezze, che comprò anche se non erano di suo gradimento.

Tornata in stanza si impose di leggere tutti gli articoli per passare la mattinata, ma dopo una mezz’ora di uno sfogliare frenetico le gettò in un angolo della camera.

Al rientro di Luigi lo implorò di andare all’officina a controllare che il meccanico lavorasse alla loro macchina. «Questi sono degli sfaccendati. Se non stai col fiato sul collo, se la prendono comoda».

Luigi sbuffò ma promise di andare nel pomeriggio a controllare.

Lisa era terrorizzata per la nuova notte che doveva affrontare. Aveva dinnanzi agli occhi i volti trasfigurati delle mummie e il cuore cominciò a battere con furia.

Si distesero sul letto e Luigi si addormentò subito nonostante il caldo insopportabile della stanza. Non c’era nemmeno un ventilatore a mitigare l’afa. Il suo respiro era regolare, quasi un soffio. Lisa invece rimase con gli occhi aperti con la speranza di non vedere quelle facce urlanti.

Il campanile del duomo batteva con regolarità le ore ma per lei il tempo era fermo. Non voleva addormentarsi. Non voleva vedere quelle facce contorte. Non voleva ascoltare le loro urla. Non voleva e basta.

Un raggio di sole si insinuò tra le imposte chiuse per annunciare una nuova giornata soleggiata e calda.

Luigi propose una passeggiata nel vicino bosco di querce ma Lisa oppose un netto rifiuto. «Va pure, caro. Io resto qui a leggere le mie riviste». Una pietosa bugia perché in effetti non aveva nulla da leggere.

Rimasta sola, dopo una veloce doccia si precipitò fuori alla ricerca di qualcosa da sfogliare. Tornò in camera con un fascio di riviste americane. “Non conosco l’inglese ma guarderò le figure”. Le consultò con rabbia mentre avvertiva un groppo alla gola come se una mano la soffocasse. Aprì la finestra ma l’unico effetto fu una ventata di aria calda umida e maleodorante. Aspettò il rientro di Luigi per spronarlo a partire.

«La macchina?» Fu il benvenuto.

Lui scrollò le spalle e non rispose.

«Non ho fame. Vai pure da solo ma passa dall’officina per sollecitarli a fare presto».

Lisa sudava copiosamente e il respiro era affannato. Sarebbe stata meglio solo dopo essere partita da questo piccolo paese di cui non ricordava il nome.

«L’auto sarà pronta domani o dopodomani. Me lo hanno garantito» disse Luigi, mettendosi in bermuda.

Lisa era terrorizzata: doveva affrontare una nuova notte. All’una si alzò per fare una doccia fredda. Il respiro era corto. Sembrava un mantice asfittico. Il cuore rallentava e faticava a pompare il sangue.

Luigi dormiva beato nel suo letto e non udì nulla, nemmeno lo scroscio dell’acqua nella doccia.

Lisa uscì dal bagno barcollante, ancora umida per non essere riuscita ad asciugare il corpo. Si distese sul letto. La sinistra provò a sentire il battito del polso. Tum. Un silenzio. Tum. Un secondo intervallo. Si spaventò e strizzò un seno nella speranza che il cuore riprendesse a battere con regolarità. Per qualche istante le sembrò che avesse avuto un’accelerazione ma poi non sentì più nulla.

«Luigi, sto male. Sto morendo» sussurrò sperando di svegliarlo.

Era nuda sul letto a occhi aperti e con la destra strizzava il seno sinistro.

Luigi aprì gli occhi e la vide. «Cosa c’è?»

«Sto morendo» Un filo di voce usciva dalla bocca. «Sto morendo».

Luigi si sedette accanto a lei stringendole la mano.

«Mi prometti che quando sono morta non mi seppellisci in quel camposanto?»

«Non dire sciocchezze. Un po’ di aria fresca e tutto passerà».

Lisa scosse il capo. «Promettimi che non mi lascerai il quel camposanto. Promettimelo».

Luigi scosse il capo e non promise nulla.

Lei sentì che il cuore batteva sempre più piano, finché non smise del tutto.

Nel pomeriggio Luigi si mise in viaggio per tornare in Italia. Fischiettava ascoltando la radio della macchina e sul lato passeggero svolazzano delle riviste americane.

0

Le mummie – prima parte

Su Caffè Letterario è stata pubblicata da poco la prima parte del racconto Le mummie. La seconda e ultima parte sarà pubblicata domenica 19 dicembre.

La prima parte la potete leggere anche qui.

La piazza circolare contornata da lecci a forma di pino era battuta da un vento gagliardo che sollevava polvere e carta.

Luigi la guardava dal terrazzino della locanda Al gras’ nat, mentre fumava il sigaro toscano. Pensò per quale bizzarria qualcuno si era divertito a trasformare la larga chioma di un leccio in quella di un pino. Però qualcosa lo distrasse da questo pensiero e la sua attenzione fu catturata da un vociare garrulo che proveniva dalla sua destra. Un piccolo corteo procedeva attraversando la piazza. Erano uomini donne e bambini vestiti in una foggia a lui sconosciuta. Colori sgargianti che si notavano. Rossi, gialli, arancioni e verdi. Mangiavano frutti e cantavano delle nenie cantilenanti. Aguzzò la vista per mettere a fuoco chi conduceva quel gruppo di persone. Aveva qualcosa di bianco sulla testa che reggeva con entrambe le mani.

«Lisa, corri! Vieni a vedere!»

Dal bagno sentì dei rumori sordi e una voce simile a un ruggito. «Non posso! Mi sto asciugando!»

Luigi ripeté l’invito in modo perentorio. «Non puoi perderti lo spettacolo!»

La donna a piedi nudi lasciò una scia umida sul pavimento e si posizionò dietro a lui. «Coprimi. Sono nuda». E poi seguì con lo sguardo il suo braccio che indicava quello strano corteo. «Non spostarti altrimenti mi vedono. Ma…» Si interruppe ed esclamò stupita: «Ma è un funerale! Quella cosa bianca è una bara di una bambina».

Luigi si spose in avanti per vedere meglio, mentre Lisa gli rimase appresso tenendo in mano l’asciugamano rosa. «Sì, sì!» Confermò con tono convinto. «È proprio il funerale di una bambina».

La donna ritornò sui suoi passi rifugiandosi nel bagno.

Luigi finì di fumare, gettando il mozzicone di sigaro sulla strada. Si chiese come era morta quella bambina di cui aveva visto il funerale, assai singolare, perché invece di piangere ridevano e mangiavano. Era convinto che in quella piccola bara bianca ci fosse una bambina ma forse, pensò, era una neonata morta prematura. Comunque il sesso era di sicuro femminile. Rientrato nella stanza si avvicinò alla porta del bagno. «Lisa, se ti sbrighi, facciamo in tempo a visitare il camposanto che custodisce delle mummie».

Come risposta udì un grugnito che voleva dire molte cose: dal sì al no.

«Luigi, facciamo le valigie e torniamo a casa» disse in modo intellegibile la donna dalla porta chiusa del bagno.

«Ma abbiamo ancora una notte per restare qui. E poi ci sono ancora angoli suggestivi del paese da visitare».

«Luigi ti prego, facciamo le valigie».

«Forse il camposanto ti mette paura?»

La porta si aprì mostrando Lisa coi capelli umidi e una vestaglietta trasparente. Aveva quarant’anni portati non troppo bene. Il seno quasi flaccido si adagiava sull’addome. I capelli rossi, una volta luminosi, apparivano smorti. Le rughe intorno agli occhi verdi erano pronunciate. «No, non mi mette paura ma voglio tornare a casa. Non mi sento bene».

Luigi le prese la mano ancora bagnata. «Cosa ti senti?»

«Non mi sento bene» ripeté monotona.

«La passeggiata fino al camposanto ti farà bene. Vedrai che tutto passa» affermò con finta premura.

Faceva caldo anche se il sole era basso sull’orizzonte, quando giunsero davanti al cancello in ferro battuto del camposanto. Due angeli montavano la guardia a fianco dell’apertura che era socchiusa. Chi fossero, era difficile da capire: il tempo e il guano degli uccelli li avevano resi irriconoscibili.

Luigi spinse il battente che si mosse silenzioso sui cardini ben oliati.

C’erano solo tre uomini tra le lapidi del camposanto, tutt’altro che grande. Un omino che sembrava controllare l’attività degli altri due che brandivano una pala.

Il sorvegliante si mosse incontro a Luigi e Lisa come a sincerarsi delle loro intenzioni.

«È vero che sono conservate delle mummie?» Domandò Luigi all’omino che era di fronte a lui.

«Certamente» fu la risposta pronta.

«Si possono vedere?»

Lisa si strinse al suo braccio con la fronte madida di sudore. «Ma Luigi…»

«Se mi seguite ve le mostro» e girò i tacchi verso una costruzione bassa in mattoni rossi.

Luigi stringendo la mano di Lisa lo seguì.

Aperta una vetrata colorata, l’omino fece strada verso il basso. «Fatte attenzione ai gradini. Sono fatiscenti».

Arrivati sul fondo la stanza appariva ben illuminata dalle grandi finestre sul soffitto. A destra e a sinistra stavano rispettivamente su ogni parete sessanta mummie e altre dieci su quella di fronte. Ben centotrenta fissate con ganci metallici perché non cadessero.

Luigi rimase sorpreso. Sembravano ancora vive anche se la carne era incartapecorita e le vesti ridotte in brandelli mostravano le loro nudità.

«Ma…».

«Il posto è asciutto e conserva bene le salme» affermò l’omino anticipando la domanda di Luigi.

Nel mentre Lisa passava in rassegna le mummie contandole. Uno, due, tre… E osservandone i lineamenti stravolti dalla morte. Pareva che urlassero con la bocca aperta e storta e gli occhi bianchi rivolti verso l’alto.

I due uomini si fermarono dinnanzi a una donna che appariva diversa dalle altre mummie. Questa aveva i lineamenti contratti in una smorfia di terrore e le mani chiuse a pugni rivolte verso l’alto. L’omino spiegò che questa soffriva di catalessi e quando un giorno la trovarono irrigidita nel suo letto pensarono che fosse morta. «Evidentemente la sua morte era apparente e si è svegliata nella bara. Una morte orribile picchiando sul coperchio».

Luigi ebbe un brivido. «Ma come sono finite qui?»

L’omino spiegò che per un anno il costo della sepoltura era di dieci schei e con cento potevano rimanere cent’anni.

«Ma voi cosa fate? Le disseppellite e le portate qui?»

L’omino rise. «Sappiamo chi non ha gli schei per l’anno dopo e la bara resta a un metro dalla superficie per fare meno fatica».

«Ma se paga?»

«La torniamo a seppellire».

Mentre Lisa continuava la sua macabra conta, Luigi osservava quelle bocche urlanti che gridavano il loro terrore per la morte.

Ritornati alla locanda, cominciarono a riempire le valigie con un gran rumore delle chiusure.

«Si parte» annunciò Luigi scendendo verso la reception.

– La seconda è ultima parte sarà pubblicata domenica 19 dicembre –

0

Krimhilde – 39

Con questa parte si conclude il racconto di Krimhilde e le fanciulle scomparse che è stato pubblicato pochi minuti fa su Caffè Letterario.

Una notte magica San Giovanni

Per i pigri lo trovano anche qui.

Markus di buon mattino si reca da Mechthilde per ascoltare le sue parole. I suggerimenti dell’ultimo incontro gli sono stati molto utili per affrontare gli avvenimenti dei giorni precedenti.

Arrivato in prossimità della piccola casetta di legno e pietra si ferma. C’è qualcosa di strano. Un silenzio irreale aleggia nell’aria e manca quel filo di fumo biancastro che ha sempre notato venendo qui. La porta sbatte mossa dal vento di occidente. Affretta il passo presentendo che sia successo qualcosa d’irreparabile.

«Mechthilde!» Fa affacciandosi nello spiraglio del battente. «…Mechthilde…» Replica l’eco della stanza vuota.

Markus entra pronto a lottare nel caso che ci fosse un intruso. Tutti sanno che l’anziana donna non chiude mai la porta d’ingresso. Però quello che gli appare è la grande sala vuota, che come un unico grande spazio occupa l’intera casetta. Tuttavia nota che sembra in ordine come se fosse stata rassettata da poco. Sotto la lampada posata sul tavolo svolazza un biglietto.

Con le mani tremanti lo afferra.

Markus, so che mi verrai a cercare ma non mi troverai più. Il mio tempo è trascorso ed è giunto il momento di lasciare questa terra di mezzo. Chi doveva raccogliere la mia eredità…

Il foglio gli scivola di mano. “Dunque se ne è andata. Dove?” Raccoglie lo scritto e si siede su una sedia.

Chi doveva prendere la mia eredità, mi ha tradita ma è finita male perché ambiva a prendere il posto della strega Ampfel. La sua conoscenza del sapere è andata perduta perché chi ha sfidato l’ha trasformata in un blocco di ghiaccio. Di lei sono rimasti solo i libri che ha portato via da qui ma è stato meglio così.

Markus tu hai un compito: ridurre in cenere la strega Ampfel che nel suo delirio di onnipotenza vuole dominare tutta la Terra di Mezzo, le montagne innevate e l’intero creato. Tuttavia è sola perché ha creato il vuoto intorno a sé. Dopo di lei ci sarà il nulla. Ci riuscirete, lo so, anche senza la conoscenza del sapere perché le vostre menti sono immacolate, pure e sapete come si usa il cervello. Quello che conosci è sufficiente per il compito che dovete assolvere. Devi aggiungere solo un potente talismano: il giglio de gliglis. Questo si trova laddove il Ginestro scorre nel bosco e ha creato una marcita. Fiorisce solo una volta ogni cento anni e questo è il suo anno. Questo fiore impedirà alla strega Ampfel e ai suo draghi di colpirvi, rendendovi immuni dalle loro magie. Rinunciate alla lettura dei libri proibiti. Non vi servono per raggiungere lo scopo della vostra missione ma possono creare nelle persone solo dubbi di voler riesumare le megere e sostituirvi alla strega Ampfel. L’ombra della diffidenza è la peggior malattia ed è senza un rimedio. Il dubbio è come un tarlo che vive e prospera nel legno fino a ridurlo in polvere.

Un solo avvertimento. Resta lontano da Krimhilde che si è invaghita di te. È una mantide pronta a divorare il maschio. Lascia il Castello con la tua fedele compagna e vivrete felici fino al termine del vostro periodo.

Se vorrai, questa casa è tua.

Markus mette il foglio su tavolo con le mani tremanti. Mechthilde se ne è andata lasciandogli un compito gravoso ma gli ha dato preziosi suggerimenti. Ne parlerà con Baldegunde ma ha già preso la sua decisione. Sconfitta la strega Ampfel, si ritirerà nella casetta di Metchthilde. Qui si sentirà al sicuro, lontano dalle sirene del Castello e della regina.

Prima di tornare va a raccogliere i due gigli de gligis che sono in piena fioritura. Splendidi per il bianco che brilla e magici per il profumo che emanano. Stanno sul palmo della mano e trasmettono pace e serenità.

Krimhilde convoca nella sala delle udienze Baldegunde e si raccomanda che venga solo lei. Si è invaghita di Markus e sente crescere dentro di lei il desiderio di accoppiarsi con lui. “Devo resistere”. Però sa che non sarà così.

La regina seduta sul suo trono prova gelosia nei confronti della sua capitana che sta di fronte a lei. «Potete leggere i libri proibiti a una condizione che allontaniate dal vostro fianco Markus. Lui potrebbe diventare pericoloso con la conoscenza del sapere».

Baldegunde rimane impassibile. Conosce il motivo di questa richiesta e si era preparata mentalmente a conservare la calma. «Mia regina, vi ringrazio di questa opportunità ma riteniamo di sconfiggere la strega Ampfel con le sole nostre forze senza ricorrere a magie o incantesimi. Ho individuato la rete delle traditrici e presto sarà distrutta. Quindi rinunciamo alla richiesta della lettura della conoscenza del sapere».

Krimhilde sobbalza nell’ascoltare la risposta di Baldegunde che manda in fumo il suo piano. Gioca la carta Aglaja. «La ragazza insiste nel definire Markus uno stregone. Sono stata troppo precipitosa nel condannarla l’altro giorno…».

Baldegunde scuote la testa. «Mia regina, Markus al ritorno dalle montagne innevate si rimetterà al vostro giudizio come ha sempre fatto. Se sarà riconosciuto colpevole delle accuse assurde di una ragazzina in preda a una crisi ormonale, seguirà le regole accettando il vostro verdetto».

Poi si alza e fa con il capo un inchino profondo. Per lei il colloquio è terminato.

***

La strega Ampfel sente che la fine è prossima. Quell’incubo che sta minando la sua volontà è diventato reale. Maledice quel giorno di tanti anni prima quando ha condannato Annaberga, la figlia di Mechthilde, a diventare una statua di ghiaccio e roccia. “Ora sarebbe lei in grado di combattere quei due umani e succedermi alla guida dei nerd di montagna”. Però ritiene inutili queste recriminazioni, perché il nemico è sulla porta di casa e lei ha le armi spuntate.

Si agita sul divano divorata dal veleno, incapace di uscire da questa situazione, quando irrompe l’apprendista strega Rotapfel.

«Signora, c’è agitazione fuori. I nerd guerrieri si muovono come le formiche a cui hanno distrutto il formicaio!»

La strega Ampfel si raddrizza e sta per replicare, quando il drago Michele appare sulla soglia. Sta trattenendo l’agitazione e gli sbuffi di fuoco. «Due umani in sella a dei cavalli bianchi stanno salendo per giungere qui».

Il drago Michele descrive le ultime vicende. Hanno superato indenni i posti di blocco all’inizio e lungo il sentiero. «I nerd guardiani sono molto impressionati. Raccontano storie non credibili. Le frecce li attraversano senza ferirli. I cavalli sembrano dotati di poteri magici. Il fuoco non scalfisce la loro andatura».

La strega Ampfel con questo racconto rivive le scene del suo incubo che da molti giorni l’accompagna durante la notte.

«Qualcuno afferma che sono illusioni ottiche create con tecniche sconosciute. Altri parlano di fantasmi risalenti a migliaia di anni fa. Però tutti concordano che è un nemico dai contorni imprevedibili. Tutto questo sta generando uno scompiglio difficile da gestire».

La strega Ampfel socchiude gli occhi. Scorrono le immagini dell’incubo notturno. Non è mai riuscita a vedere come finisce ma fra non molto lo conoscerà.

«Ho disposto i nerd guerrieri intorno alla casa per proteggervi».

La strega Ampfel è divorata dalla febbre per il veleno che sta invadendo il suo corpo. L’apprendista strega trema vedendola così prostrata. Non si sente pronta a prendere il suo posto, deve imparare ancora tantissimo ma forse non ha lo stigma della leader. Sobbalza quando vede comparire due umani. Un uomo e una donna. Lui alto e massiccio, dal viso franco. Lei non meno alta rispetto al compagno, col viso bruciato dal sole. Apre la bocca ma la richiude subito. Non riesce a capacitarsi come possano essere entrati saltando il dispositivo del drago Michele. Alza le mani per lanciare degli strali elettrici.

«Non serve a nulla» ammonisce la strega Ampfel. «Quelli che vedi sono una proiezione della realtà nella tua mente. Quindi sprechi tempo e risorse come hanno fatto i nerd guerrieri».

Il drago Michele irrompe nella stanza e rimane scioccato nel vedere quelle due figure che sorridono beffarde nel centro. “Come hanno fatto?” E si prepara a lanciare uno sbuffo di fuoco dalle narici.

«Fermati! Metti a fuoco l’intera stanza» e poi si rivolge a queste due figure di cui una gli è familiare. «Cosa volete?»

«Vogliamo neutralizzarti per sempre».

La strega Ampfel scuote la testa. «Sto morendo. Il veleno ha preso possesso di me. Datemi una morte rapida con la verga e così smetterò di soffrire».

Stringe le labbra per non lasciarsi sfuggire nessun lamento. Dopo pochi istanti di lei non rimane che un mucchietto di cenere.

L’apprendista strega vorrebbe fuggire ma i piedi sembrano inchiodati al pavimento e non riesce a muoversi e osserva con gli occhi terrorizzati la mutazione del drago Michele in un grosso lucertolone squamoso.

Poi come sono comparsi così scompaiono, mentre loro non tornano allo stato iniziale.

Superato il torrente Ginestro Markus prende il sentiero di destra diretto alla casetta di Mechthilde, mentre Baldegunde raggiunge il Castello di Mezzo.

Dinnanzi a Krimhilde mostra un sacchetto con delle ceneri grigie. «Ecco cosa rimane della strega Ampfel» e le comunica la sua volontà di non essere più la capitana delle dragonesse a cavallo.

«Dove andrete?»

«Nel bosco del non ritorno».

Con un inchino si congeda, lasciando basita la regina.

FINE

1

Krimhilde – puntata 38

Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la puntata 38 di Krimhilde e le fanciulle scomparse.

La puntata la potete leggere anche qui.

Krimhilde rimane seduta sul trono assorta, perché non si riconosce. Ha prestato fede a un uomo, l’ha ascoltato e l’ha trovato affascinante. “No. Non affascinante ma dotato di un’empatia che mi ha stregata”. Ricorda che quando diciotto anni prima s’è accoppiato con Baldegunde senza aspettare il matrimonio non ha trovato il coraggio di giustiziarlo come da prassi, né a punire lei per la trasgressione alle leggi. A lui è toccato il taglio della mano destra, a lei è stato negato il matrimonio senza precludere il suo ingresso nelle dragonesse a cavallo. Eppure… “Eppure già allora c’era qualcosa in questo uomo alto e massiccio che mi aveva convinto a non rispettare le regole. Oggi si è ripetuto la stessa malia”.

Riflette sul comportamento di Markus. Lui ha intuito che lei gli avrebbe prestato fiducia, quindi ha ammesso senza tentennamenti di aver infranto una sua disposizione: la lettura di testi proibiti. Questa confessione di colpevolezza l’ha spiazzata. Le sarebbe stata impossibile ignorare la sua buona fede su quello che ha letto. Le fanciulle, a parte quell’immatura di Aglaja, hanno parteggiato per lui, negando qualsiasi stregoneria. Però le era chiaro adesso che hanno taciuto sulla pozione che le hanno rese invisibili per timore di danneggiarlo.

Quindi le è più chiara quella strana richiesta di Baldegunde di studiare i libri della conoscenza del sapere. È un modo per rendere lecito il loro accesso alla biblioteca segreta. “Può essere un modo per acquisire delle conoscenze da usare contro di me?” Scrolla il capo perché deve riflettere su questo punto.

Quella coppia è dotata di un’intelligenza superiore alla media ma è anche affidabile come le suggerisce il suo intuito. Ha notato che nonostante siano passati diciotto anni il loro rapporto è sempre lo stesso. In simbiosi e un affiatamento perfetto. Non le è sfuggito quello sguardo d’intesa, complice che li fa mettere in sintonia senza la necessità di parlarsi, quando ha chiesto a Baldegunde il parere sul messaggio della strega Ampfel. In un primo momento le è apparsa strana quella missiva. Senza il loro aiuto forse avrebbe accettato quella dichiarazione ma hanno intravvisto un tentativo di guadagnare tempo e nessuna sincerità in quelle parole. In effetti a rifletterci bene hanno avuto ragione. “Perché chiedere scusa, quando io ignoravo il loro proposito di attaccare il castello?”

Appoggia il gomito sul bracciolo del trono e il mento sul palmo della mano. «È chiaro che il messaggio puntava a neutralizzare Markus. Se io avessi accettato, lo avrei bloccato impedendogli di accrescere le conoscenze del sapere».

Torna sulla richiesta di Baldegunde. “Acconsento oppure no?” Una parte del suo io dice di sì, ma l’altra parte ha il timore che le streghe cacciate dalla porta possano rientrare in modo camuffato dalla finestra.

È tempo di lasciare la sala delle udienze e tutti i dubbi che sono sorti. Ci sono altre urgenze da sistemare.

***

La strega Ampfel si torce le mani. È la prima volta che si trova in difficoltà. Mille dubbi la assalgono e sente che la sua vita sta volando via. Le ferite continuano a purgare umori putridi e il veleno a circolare nel suo sangue. Tisane e unguenti sono solo un palliativo. La sensazione di star meglio è effimera.

Aspetta con trepidazione che Belfagor le porti una risposta positiva. Però sono passati due giorni e non è arrivato nulla né in un senso, né nell’altro. Quel Markus o come si chiama il compagno della dragonessa a cavallo ha messo in agitazione le acque ferme del suo stagno. Vede dietro di sé il vuoto qualora lei morisse. Nessuno è in grado di sostituirla e tutto il suo impero si sfarinerebbe in un amen. Questo rappresenta una sconfitta che le brucia più delle ferite.

Si abbandona sul divano reclinando la testa e socchiudendo gli occhi. Non vuole osservarsi allo specchio di fronte. Il suo aspetto grigio la terrorizza.

«Belfagor è tornato» annuncia l’apprendista strega Rotapfel entrando senza bussare.

Si solleva, apre gli occhi e lo sguardo corre alle mani di Rotapfel. Un moto di rassegnazione esce dalle sue labbra. Non c’è nessun messaggio in arrivo. “Vuol dire che non ha accettato la mia finta disponibilità a non attaccare il castello”.

Adesso deve organizzare la difesa del suo territorio contro un nemico invisibile. “Non è solo invisibile ma riesce a eludere il nostro olfatto. Inoltre possiede quello strumento mortale che ha già colpito”. Il pensiero corre subito al mucchietto di cenere di Krienhilde e al suo stato.

Si rassegna e chiude gli occhi.

1