Konnie – parte ventunesima

Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la ventunesima puntata di Konnie, il mio romanzo distopico.

La potete leggere anche qui.

28 agosto 2144 ore 10

Alba tiene in mano la rudimentale piantina che descrive il bunker antiatomico posto verso l’imbocco della Sarntal. È segnata anche una strada, che cerca subito sulla mappa di Bozen.

«È qui!» e con l’indice mostra a Matteo il punto. «Potremmo andarci e vedere di persona la struttura. Per la lettura del diario abbiamo tempo nel viaggio di ritorno».

«In effetti un posto vale l’altro. Non credo che troveremo nulla d’interessante qui e neppure altrove. Sembra che il bosco abbia colonizzato la città. Che percorso suggerisci? Tu sei il mio navigatore»

I due ragazzi scoppiano a ridere mentre Cucciolo li osserva curioso non capendo la loro ilarità.

Dispiegata la mappa della città sulle ginocchia segnano col dito il tragitto da percorrere. Non appare lontanissimo ma ignorano cosa incontreranno sulla loro strada.

«Ci conviene raggiungere la passeggiata lungo il torrente Talvera e da lì seguire il corso d’acqua fino all’incrocio con …» spiega Alba segnando con l’indice il tragitto.

«Pensi che troveremo i cartelli stradali?» La interrompe Matteo con tono ilare. «Comunque è giusta la tua indicazione del percorso, perché non rischiamo di perderci su strade che non conosciamo».

Raggiunto il Talvera seguono il corso d’acqua non senza qualche difficoltà a causa del ricca e folta vegetazione che in modo spontaneo è cresciuta su quella che cent’anni prima era la passeggiata.

Cucciolo è felice di correre a destra e a manca con la grande tentazione di raggiungere il greto del torrente per dissetarsi. Però ha capito che rischia di rimanere intrappolato senza possibilità di essere raggiunto dai ragazzi. Durante le sue scorribande cattura un leprottino che porta come omaggio a quelli che ritiene essere i capibranco. Inoltre mette in fuga un paio di serpenti e tiene lontani un gruppo di gatti selvatici che hanno incontrato nella boscaglia.

Fatta una sosta in una radura, dopo un paio d’ore di cammino, raggiungono il punto dove secondo Alba devono prendere la strada per raggiungere la villa di Konnie. Passati i ruderi di una chiesetta scorgono tra i filari di un vigneto inselvatichito e un bosco assai fitto una montagnola ricoperta di muschio e robinie.

«Quella dovrebbe essere la villa di Konnie» esclama Alba indicando quello che un tempo era una casa.

«Dirai quello che resta della villa» afferma Matteo con l’intonazione della voce ilare.

I ragazzi ridono, perché definire villa il disfacimento di quello che una volta era un’abitazione ci vuole molta fantasia.

Arrancando sulla salita raggiungono la sommità del poggetto dove vedono nel terreno l’ingresso d’acciaio del bunker.

«Cosa facciamo? Entriamo oppure riprendiamo la strada del ritorno?» Chiede Alba con l’intonazione della voce che suggerisce la prima ipotesi.

«Facciamo una breve visita. Forse possiamo riempire le tanichette con acqua potabile» suggerisce Matteo armeggiando con le chiavi per aprire l’ingresso.

Chiusa la porta alle loro spalle accendono una potente torcia per illuminare i gradini che portano verso il basso.

«Fai attenzione! Sono piuttosto scivolosi» suggerisce Matteo che fa da apripista, mentre Cucciolo ruzzola in basso tra guaiti e ululati di dolore.

Ai ragazzi verrebbe da ridere assistendo al capitombolo del lupetto che con troppa foga si è precipitato verso il fondo. «Speriamo che non si sia fatto nulla» esclama con tono preoccupato Alba.

Si rimette sulle quattro zampe dopo una leggera scrollata nel tentativo di togliere quel velo di muffa verdastra che ha impiastricciato il suo pelo.

Entrati nel bunker lo visitano passando in rassegna tutte le stanze compreso le due celle frigorifere.

«L’acqua è potabile. Quindi ne possiamo fare una piccola scorta che ci sarà utile nei prossimi giorni» dichiara Alba che ha misurato i valori. «È un peccato non poter prender quel pc e il contatore geiger. Sarebbe utile alla Città del Sole».

Matteo annuisce, mentre armeggia col computer che si sfila senza problemi. Poi tira con dolcezza il cavo che sembra libero. «Risalgo in superficie e libero l’altra estremità. Poi ti avverto e lo estrai con decisione senza strappi: Se tutto procede come penso possiamo portarlo con noi».

Completata l’operazione, i ragazzi mettono in una sacca di iuta trovata in un angolo pc, contatore geiger, un paio di torce, l’orologio atomico e qualche altro utensile che hanno trovato all’interno.

«E ora in marcia finché c’è luce sufficiente per attraversare il bosco cresciuto sulla riva del torrente» annuncia Matteo mentre risalgono il superficie dopo aver chiuso le due porte.

Cucciolo affronta i gradini di risalita con più prudenza. Ha fatto tesoro della caduta precedente.

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Konnie – parte ventesima

L’ultima avventura di Puzzone

Su Caffè Letterario è stato da poco pubblicato la ventesima puntata di Konnie, il mio romanzo distopico. Potete leggerlo là ma anche qui.

28 agosto 2144 ore 9

Tenendosi per mano come due innamorati che passeggiano per le vie della città, Matteo e Alba si dirigono verso il punto da dove proviene la voce di Cucciolo. Clarissa e Marcello sono stati cancellati dalle loro menti.

Arrivano in quella che secondo la mappa dovrebbe essere Piazza Walther, riconoscibile dalla statua ricoperta di muschio e parzialmente sgretolata che si erge nel centro.

«Cucciolo, dove sei?» Fa sentire la sua voce Alba con una leggera intonazione preoccupata, perché non lo sente più ululare. «Che sia capitato qualcosa?» Esterna stringendo la mano a Matteo.

«No. Forse ci ha sentito arrivare e ha smesso» prova a rassicurarla con tonalità dubbiosa. «Qui pare una mini foresta» Poi trascina sulla sua sinistra Alba, perché ha visto una costruzione in apparenza ancora integra. È tutta scrostata e con molte tracce di ruggine. In qualche punto è rimasta l’antica vernice verde ma il colore rossastro indica che la struttura è di materiale ferroso.

«Ecco, dov’è Cucciolo!» Esclama Matteo indicando con il braccio il punto dove si trova il lupetto, che seduto sulle zampe posteriori li sta aspettando.

«Cosa avrà trovato?» Alba socchiude gli occhi per mettere a fuoco il punto.

Cucciolo sta accanto all’ingresso di quello che un tempo poteva essere un chioschetto, aspettando i due ragazzi, che si fanno strada tra le erbacce cresciute nelle fessure della pavimentazione.

Un forte fetore di un corpo in decomposizione mescolato al puzzo di stantio e acqua stagnante li accoglie nonostante il filtro del casco.

Alba arriccia il naso e rimane all’esterno insieme al lupetto, mentre Matteo illumina con la torcia l’interno. La vista è una desolazione. Solo le parti metalliche hanno resistito e sono in condizioni precarie. Per terra uno strato di polvere mescolate a escrementi animali che la pioggia ha reso scivolosi e putrescenti. Nella stanza più interna su un tavolo giace un corpo umano in parte deturpato dai morsi di qualche animale e in forte decomposizione. Di fianco sta una custodia in pelle che un braccio scarnificato sembra voler proteggere. Matteo con delicatezza lo sfila e lo prende con sé. “Forse dentro ci sono le informazioni su questo corpo”.

All’esterno Matteo tenta di ripulire le calzature dal lordume raccolto all’interno. Cercano un posto lontano dal chioschetto per ragionare sul da farsi.

«C’è un corpo là dentro» spiega il ragazzo. «Secondo me morto da qualche giorno, viste le condizioni del corpo. Vicino ho trovato questo» e mostra ad Alba la cartella in cuoio. «Credo che dentro contenga le spiegazioni di questo ritrovamento. Meriterebbe una degna sepoltura invece di essere lasciato in balia degli animali. Però non abbiamo i mezzi né sappiamo dove metterlo».

Alba dopo aver stretto la mano a Matteo lo abbraccia in silenzio. Anche lei ha avuto il medesimo pensiero di seppellirlo come si usa per un morto.

«Ma allora ci sono degli umani sopravvissuti al grande disastro» inizia la ragazza con l’inflessione della voce speranzosa.

Subito Matteo scuote il capo in segno di diniego interrompendola. «Dubito che sia un superstite del grande olocausto nucleare viste le condizioni della città».

«Ma allora da dove spunta visto che affermi che il decesso è recente?»

Il ragazzo stringe gli occhi come per concentrarsi prima di rispondere. «Potrebbe essere qualcuno che come noi ha costruito un rifugio sottoterra e sia uscito all’aria aperta ma la radioattività l’ha stroncato».

Ritornano davanti al Duomo dove hanno pernottato durante la notte. Si sistemano all’ombra di una quercia per controllare il contenuto della cartella. Cucciolo si sistema tra loro come se volesse ascoltare i loro discorsi.

All’interno trovano una piantina, due mazzi di chiavi e un grosso quaderno dalla copertina rossa. La mappa non suggerisce nulla ai due ragazzi e l’accantonano insieme alle chiavi. Il blocco è tenuto chiuso da un grosso elastico che rimuovono per sfogliarlo. Sulla prima pagine leggono con bella calligrafia “Diario di Konnie” e appena sotto “anno 2084”.

«Dunque il morto si chiama Konnie e questo è il suo diario».

Matteo annuisce, mentre inizia a sfogliarlo in maniera distratta.

Mi chiamo Konnie Freschthaler e sono nato nel bunker situato in via San Pietro il 21 luglio del 2064.

Ho messo a riposare mia madre, Marie, accanto a mio padre, Kurt, nella cella frigorifera 2, quella più piccola. Riposi in pace.

Da oggi agosto 2084 sono solo e resterò così fino alla fine dei miei giorni.

Il perché sono qui riporto i racconti di Kurt e di Marie, i miei genitori. Quindi potrebbero essere inesatti o inficiati da cattivi ricordi.

Correva l’anno 2024 e le turbolenze mondiali minacciavano guerre atomiche. Così il nonno Marko in quell’anno ha venduto tutto tranne la villa che sta sopra le nostre teste e il parco che la circonda. Con il ricavato ha costruito questo bunker che è stato la casa dei miei genitori prima e poi nel tempo anche la mia. Quando nel 2044 è successo l’irreparabile, sono stati costretti a rifugiarsi qui. Nonno Marko se ne era già andato qualche anno prima.

Mi sento sperduto mentre mi aggiro tra la cucina, il salotto e la mia camera. Devo parlare da solo per non impazzire e imparare tutto quello che Marie faceva prima.

Matteo dopo aver letto questa pagina, chiude con l’elastico rosso questo blocco di carta che contiene la vita di quella persona che hanno trovato nel chioschetto. Lo ripone con deferenza nella cartella e prende quel foglio dove è disegnata la piantina del bunker.

«Via San Pietro» legge con tono sicuro. Poi fa tintinnare le chiavi.

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Konnie – parte diciannove

nuova copertina Un caso per tre

Su Caffè Letterario è stato da poco pubblicata la parte diciannove di Konnie.

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28 agosto 2144 ore 8

Le prime ore della giornata tingono di rosa le cime delle Torri del Vajolet e del gruppo del Catinaccio, mentre nubi rosate volano leggere come piume nel cielo di un azzurro slavato.

Questa meravigliosa vista sorprende i due ragazzi al loro risveglio all’alba del nuovo giorno, mentre Cucciolo è già fuori alla caccia di improbabili prede.

I due ragazzi, dopo aver ammirato questo spettacolo che la natura riserva agli amanti del bello, ragionano sulle prossime mosse.

«Credo che ci sia poco da osservare qui a Bozen. A parte i ruderi ricoperti di erica e muschio e come l’assenza umana ha spinto la natura a riappropriarsi di quello che era suo» esordisce Alba con tono serio.

«Hai ragione» concorda Matteo, annuendo col capo.

«Quindi se sei d’accordo. Oggi lo dedichiamo all’esplorazione di quello che è rimasto. Domani mattina all’alba prendiamo la via del ritorno» aggiunge la ragazza, proseguendo nel suo ragionamento. «La salita al Karersee è ostica affrontata col tempo buono. Diventa pericolosa in caso di pioggia o vento. Siamo stati fortunati negli ultimi giorni. Sole e qualche nuvola ci hanno fatto compagnia».

«Sì, l’inizio è stato poco promettente con pioggia e neve. Poi per fortuna il tempo si è stabilizzato al bello. Inutile sfidare la buona sorte. Domani si ritorna».

Chiacchierando, si sono dimenticati dell’assenza di Cucciolo. Mentre riempiono gli zaini con gli oggetti usati nella notte, Alba si accorge che il lupetto è scomparso. «Il nostro portafortuna» ridacchia mentre lo dice, «non c’è. Pare sparito nel nulla. Stanotte era con noi sotto la tenda ma al risveglio non c’era. Dobbiamo cercarlo».

Matteo si guarda intorno alla ricerca visiva del lupetto. «Dove si è cacciato?» borbotta aggrottando la fronte. «È un giovane in cerca di guai!» Sbuffa infastidito, perché può essere in un qualsiasi posto. Prova a chiamarlo inutilmente.

Si sono affezionati a questo giovane lupo molto affettuoso. Sembra un talismano, perché da quando è con loro la buona sorte pare avere avuto un occhio di riguardo per loro. Sanno che prima del rientro alla Città del Sole dovranno fare una scelta: o sfidare le regole portandolo all’interno oppure abbandonarlo nel bosco. Gli animali all’interno del loro mondo non sono molti ma sono tutti utili alla comunità per quello che possono offrire. Cani e gatti sono banditi. Cucciolo sarebbe una bocca in più da sfamare e poi di certo sarà contaminato.

I ragazzi si erano fermati per la notte nelle adiacenze di quello che resta del Duomo, decidono di andare verso la ferrovia, sperando di rintracciare Cucciolo. «Chissà dove si è cacciato» borbotta Matteo tenendo per mano Alba. Quando sono usciti dalla Città del Sole la prima volta non c’era nulla tra loro. Una semplice amicizia e neppure troppo stretta. Lui faceva gli occhi dolci verso Clarissa senza che lei ricambiasse il suo interessamento. Alba invece faceva coppia fissa con Marcello ma senza che fosse sfociato in qualcosa di più di una calda amicizia. Poi il destino sotto forma di un sorteggio li aveva messi in coppia. Da quel giorno hanno imparato a conoscersi meglio e apprezzarsi a vicenda. Così hanno compreso che poteva esserci qualcosa di più di una banale compagnia dovuta all’essere insieme. Come il germoglio cresce e si sviluppa sul ramo sotto l’effetto del sole, della pioggia e del vento, così è sbocciato tra Matteo e Alba un tenero affetto che diventa un giorno dopo l’altro più solido. Hanno scoperto delle affinità che ignoravano che esistessero: la curiosità di scoprire il mondo e come vivevano i loro genitori. Entrambi si riconoscono diversi dai coetanei che sono rimasti nella Città del Sole. A loro l’ignoto non fa paura, anzi li stimola. Gli altri preferiscono il caldo rifugio della città sotterranea. Matteo in modo discreto tende a proteggere la compagna ma non prende mai una decisione senza ascoltare il suo parere che tiene in grande considerazione. Lei avverte sicurezza perché è certa che in qualsiasi situazione può contare su di lui.

Anche questa mattina la direzione da prendere è stata presa dopo che hanno vagliato i possibili obiettivi. Vogliono stimare lo stato della rete ferroviaria. Il ponte è messo piuttosto male ma i restanti binari sono da valutare.

Mentre si dirigono verso la stazione sentono in lontananza la voce di Cucciolo.

 

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Konnie – parte diciottesima

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Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la parte diciottesima del racconto Konnie.

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20 agosto 2144 Bozen

Per tre giorni nubi nere basse hanno avvolto le montagne intorno a Bozen e hanno scaricato acqua sulla città.

Konnie è rimasto in uno stato di sonnolenza nell’unica stanza asciutta del chioschetto, ascoltando la litania cacofonica delle gocce sul tetto metallico. Avverte debolezza nelle gambe e respira a fatica. Sente che la morte si sta avvicinando e non reagisce. Brividi di freddo contrastano la fronte calda. Per lui sono sensazioni nuove, mai provate prima.

La mattina del venti agosto lo accoglie in tutta la sua luminosità. Il cielo pulito sgombro di nuvole.

Konnie si avventura fuori ma i brividi non cessano anzi crescono. Osserva le montagne e nota un qualcosa d’insolito. Di solito ha visto le cime grigie e sotto il verde dei boschi. Adesso sono più luccicanti e bianche. Come se qualcuno le avesse spolverate con lo zucchero. Uno spettacolo che lo lascia a bocca aperta per la sorpresa, tanto che si dimentica della sua condizione fisica. Muove qualche passo incerto, barcolla, sente le gambe piegarsi sotto il suo peso. Si appoggia alla struttura esterna del suo rifugio per non cadere a terra.

La mente gli comanda di tornare dentro ma l’istinto gli consiglia di restare fuori a godersi la bellezza del panorama. Vuole gustarsi ogni istante di quello che la natura gli offre. Intuisce che non avrà ancora molti giorni davanti da lui. Avverte una sensazione di piacevolezza, respirando l’aria frizzante del mattino. Non sa spiegarselo ma è così. Scivola lentamente con la schiena lungo la parete senza avvertire dolore come se fosse anestetizzato. Si sente euforico per quello che lo circonda. Si siede sul terreno e allunga le gambe, anche se sa che non riuscirà ad alzarsi. «Troppo meraviglioso lo spettacolo offerto dalla natura» sussurra con un filo di voce.

Una lacrima scende sulla guancia. È l’emozione per quello che lo circonda. Rimpiange non essere uscito prima dal bunker ma è consapevole che avrebbe resistito meno al contatto con un ambiente contaminato dalla radioattività.

La borsa di pelle con il suo diario e le chiavi del rifugio antiatomico sono al sicuro dentro il chioschetto. «Chissà se qualche umano è ancora in vita!» Scuote la testa, anche se in queste notti ha sognato due persone vestite con una foggia strana accompagnate da un cane che zoppica. Percorrevano strade a lui sconosciute, dirette verso una località ignota. È stato il sogno ricorrente ogni volta che assopiva. Al risveglio si poneva la domanda se fossero persone oppure extraterrestri provenienti dallo spazio. Però nonostante tutti gli sforzi non è riuscito a dare una risposta convincente alla sua curiosità. Nella notte appena passata li ha intravvisti vicino a un ponte della ferrovia ma poi l’immagine si è spezzata e ignora se siano riusciti a passarlo. Nessuna delle immagini ha rievocato in lui dei ricordi o di averle intravviste nei libri o video nel bunker. Nemmeno la visione delle montagne che circondano la città gli sono familiari. Gli occhi si muovono frenetici per cogliere questi ultimi scampoli di vita. Si sente in pace anche se sa che è qualcosa di effimero.

Il respiro si fa via via più affannoso e gli occhi si chiudono. Con lentezza scivola nel dormiveglia e poi alla fine si addormenta per sempre.

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Konnie – parte diciassettesima

La bambina senza nome

Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la diciassettesima puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.

27 agosto 2144

I due ragazzi hanno quasi terminato la discesa dal Karersee. Hanno impiegato più di quanto avevano programmato.

Nella giornata precedente al loro risveglio si sono persi. I sentieri erano stati cancellati dalla vegetazione che era cresciuta incontrollata. Le strade non erano messe molto meglio. Non ricordavano il percorso della sera precedente. Insomma un vagare in circolo col terrore di finire in un dirupo. Poi con calma hanno raccolto tutte le informazioni dalla carta e sono riusciti a imboccare la via che conduce a Bozen.

Però nemmeno la discesa è stato un viaggio di piacere, perché in più punti il costone di roccia era franato sulla carreggiata e da lì era finito nel corso d’acqua che scorre di fianco alla strada. Queste rocce hanno costretto il rio a cercare nuove strade per fluire a valle, erodendo le sponde su entrambi lati. Questo ha ridotto in diversi punti il percorso simile a strette cenge in bilico sul baratro.

Durante la sosta notturna Alba ha espresso le sue preoccupazioni per il viaggio di ritorno. «Matteo pensi che riusciremo a rifare questa strada?» Il tono della voce era serio e allarmato. A fatica ha trattenuto le lacrime e l’agitazione.

«Ci sono alternative?» Ha replicato Matteo cercando di infondere sicurezza alla compagna. «Questa via presenta due salite che conosciamo. La prima è quella che abbiamo percorso oggi. Se il tempo ci assiste, conosciamo le difficoltà e non dovremmo incontrare spiacevoli sorprese. La seconda è Passo Pordoi, faticosa ma tutto sommato più agevole perché i punti critici sono pochi e superabili. L’unica incognita è il meteo».

Alba non si sentiva rassicurata dalle parole di Matteo. Ha compreso che in montagna il tempo muta velocemente e in modo imprevedibile. Quindi contare sulla fortuna è come gettarsi nel vuoto con la speranza di atterrare sul morbido.

A mezzogiorno fatta una curva, si presenta dinnanzi ai loro occhi la piana di Bozen e il contorno delle montagne alla sua destra.

Quello che osservano li lascia di stucco. La natura ha ripreso possesso di quello che era suo, una volta che l’uomo ha smesso di antropizzare l’ambiente in cui vive. Questo si nota in dettaglio sulle pendici della montagna ricoperte da una fitta foresta ma anche nella piana e lungo l’asta del fiume che scorre dinnanzi a loro. Anche quel poco di autostrada che si vede è quasi sepolto sotto il verde. Questa rivincita sulle attività umane l’avevano già assaporata nel tratto pianeggiante tra passo Pordoi e il Karerpass. Però quello che si presenta ai loro occhi stupiti supera di gran lunga l’immaginazione.

«Rimettiamoci in marcia» suggerisce il ragazzo, prendendole la mano seguiti da Cucciolo. «Speriamo di trovare un ponte per passare il fiume ma anche questo». Con lo sguardo indica il rio che scorre alla loro destra.

Come ha supposto la strada si interrompe quando deve scavalcare il corso d’acqua. Seguono la sponda finché non trovano un sentiero che li conduce a quello che un tempo era l’autostrada. La passano e raggiungono una via in buone condizioni e si dirigono verso sinistra. Consultano la vecchia piantina di Bozen. «Tra non molto dovremmo incontrare un ponte che scavalca l’Isarco e arrivare in città» suggerisce Alba, alzando gli occhi dalla cartina.

Sentono il rumore dell’acqua che scorre sulla loro destra.

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Konnie – parte sedicesima

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Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la parte sedicesima di Konnie, il mio romanzo distopico. Lo potete leggere anche qui.

12 agosto 2144 Bozen

Konnie si sveglia, perché una lama di luce lo colpisce sugli occhi. Raggi di sole illuminano l’interno passando attraverso i buchi del soffitto.

Ha ancora davanti agli occhi quella visione che lo ha perseguitato durante la notte. Due persone imprigionate in uno scafandro argentato come l’alluminio e un cucciolo di cane dal pelo tutto arruffato. Camminano su strade a lui sconosciute, stanno scendendo dalla montagna. Si sforza a ricordare altri dettagli. La testa gli duole, pare scoppiare per la forte emicrania.

Si mette ritto e si bagna la bocca con la borraccia. Altri spezzoni del sogno ritornano a galla. Sono diretti a Bozen. «Sono degli umani oppure degli extraterrestri?» Si sfrega gli occhi e prova ad alzarsi. Traballa e ha la vista appannata. Prova a mangiare qualcosa ma lo stomaco è chiuso. Rinuncia. Mette lo zaino sulle spalle ed esce all’aria aperta. La temperatura è fresca e l’aria gli accarezza il viso svegliandolo.

Cammina non troppo saldo sulle gambe ma deve fare un po’ di moto per riattivare la circolazione. Ricorda che sua madre gli aveva parlato di una piazza con un monumento al centro dove alla sera si radunavano tutti i giovani. «Forse è questa» borbotta ruotando lo sguardo circolarmente. Però adesso è una desolazione. Palazzi crollati, la pavimentazione spaccata in più punti che hanno fatto emergere alberi ed erbacce.

Cammina con lentezza e raggiunge la stazione di cui è rimasto solo uno scheletro annerito. Ritorna indietro ma avventurasi in quel dedalo di strade anguste alle spalle della piazza non ci pensa nemmeno: troppo pericoloso. Il porticato è semi crollato e quello che resta sembra più un miracolo di equilibrio precario piuttosto che la sicurezza di non rimanere sotto un crollo.

Torna verso quello che un tempo era una chiesa. La osserva dallo spiazzo antistante. A parte la facciata che per miracolo è rimasta integra il tetto è franato in più punti. Ci gira intorno e in più punti i muri laterali lasciano intravvedere altari e quadri ridotti in pessime condizioni. L’abside sembra miracolosamente integra ma Konnie scuote il capo. «Non credo che l’interno sia messo in buone condizioni».

Si allontana vagando per le vie più ampie. Evita quelle più strette ingombre di rottami. Ogni tanto ascolta il rumore sordo di calcinacci che rovinano a terra.

Arrivato vicino a un corso d’acqua, la cui portata lascia intravvedere rocce e sassi, decide di ritornare al suo rifugio. Avverte stanchezza e il sole sta declinando dietro ai monti illuminando la pianura.

«Forse domani provo ad attraversare il ponte e spingermi verso le montagne».

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Konnie – parte quindicesima

L’ultima avventura di Puzzone

Su Caffè letterario è stata da poco pubblicata la nuova puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.

25 agosto 2144

Il tempo è rimasto stabile con una temperatura gradevole. Questo ha favorito la marcia dei due ragazzi.

«Fino a questo momento non abbiamo fatto cattivi incontri» afferma Matteo, mentre prepara la colazione dove un tempo era l’abitato di Vigo di Fassa che adesso è ridotto a un ammasso di pietre sgretolate.

«Forse la presenza di Cucciolo li ha tenuti lontani» replica Alba con tono sicuro, mentre il lupetto alza la testa, sentendosi chiamato in causa. «Dobbiamo decidere quale strada prendere per arrivare al Karersee. Quella più diretta e corta o quella più facile ma lunga?»

Matteo sembra riflettere ma dentro di lui punterebbe a quella più corta. Vuole arrivare in fretta a Bozen e prendere la via del ritorno il prima possibile. L’esperienza del maltempo al Passo Pordoi ha lasciato il segno in negativo.

«Se sei d’accordo, prenderei il Karerpass, cercando di fare tappa sul lago prima di scendere su Bozen. Un paio di giorni di riposo prima di intraprendere il percorso di ritorno. Da una settimana non riusciamo a contattare Città del Sole».

Alba annuisce perché il crono programma è lo stesso che ha pensato lei. «Sì, in effetti non abbiamo dato notizia di noi. Pensi che ci sia una ragione per cui non riusciamo a contattarli?»

Il ragazzo scuote la testa in segno di diniego. «No. D’altra parte non abbiamo mai testato le comunicazioni a lunga distanza».

Stanno raccogliendo tutte le loro attrezzature per sistemarle negli zaini, quando sentono ringhiare Cucciolo in posizione di difesa. Mostra i denti minaccioso puntando verso un gruppo di alberi alla loro destra.

Alba sbianca e si sistema al riparo di un muretto miracolosamente ancora in piedi. Matteo si gira per osservare quale pericolo incombe su di loro.

Dal boschetto vede spuntare una sagoma imponente: un orso, anzi un’orsa seguita dei due piccoli.

«Buono Cucciolo. Se non li minacciamo, se ne vanno per la loro strada» sussurra Matteo, accarezzando la testa del lupetto, che sembra aver compreso il suggerimento del ragazzo. Il ringhio si smorza ma la postura rimane quella di prima: pronto ad attaccare se l’orsa si avvicina troppo con intenzioni bellicose.

Con calma Matteo raccoglie le ultime cose senza perdere di vista l’orsa. I due orsacchiotti giocano fra loro sotto lo sguardo vigile della madre che in apparenza pare disinteressarsi dei due ragazzi e del lupetto.

«Vieni Cucciolo» ordina Matteo avviandosi con Alba verso l’imbocco della strada che li dovrà condurre a Karersee.

«Ho avuto paura» ammette Alba arrancando su una strada alquanto dissestata. «Ho letto che le orse sono particolarmente aggressive quando sono con i loro cuccioli. Poi il ringhiare feroce di Cucciolo mi ha fatto pensare male».

Il lupetto sentendo il suo nome solleva la testa con la lingua rossa a penzoloni per la salita e la sete. Negli ultimi giorni ha integrato la sua dieta andando a caccia di piccole prede nei boschi lungo la strada. Però nella giornata odierna preferisce rimanere vicino ai due ragazzi. Non gli sembra un luogo adatto per allontanarsi. Ci sono solo roccia e dirupi e la vegetazione è scarsa.

Arrivati in cima al passo, lo spettacolo è desolante: non c’è nulla che sia rimasto in piedi. Il bosco ha ricoperto quasi tutto quello che un tempo era il paese. Il lago s’intravvede a malapena e si confonde con l’abetaia. Vanno alla ricerca di uno spiazzo dove piantare la tenda. Lo trovano dove un tempo era un’area di ristoro attrezzata, di cui non ne è rimasta traccia, sommersa da erba secca e rovi di more. Matteo col coltellaccio crea una zona libera, dove sistemano la tenda.

La sera è stellata e fredda. Accendono un piccolo fuoco usando rami e arbusti secchi. Non li riscalda ma possono tenere lontano dei predatori notturni in collaborazione del fine udito di Cucciolo.

«Proviamo a stilare un bilancio dei nostri dieci giorni» suggerisce Matteo, mentre mastica un pezzo di formaggio.

«Pensavo meglio ma anche peggio» replica Alba distendendo le gambe. «L’inizio è stato duro con tutto il maltempo che abbiamo subito ma poi il tempo stabile ci ha consentito di procedere più spediti».

Il ragazzo annuisce ma il suo pensiero è su come hanno trovato il mondo esterno. «Credo, se un giorno l’aria sarà respirabile senza protezioni, la situazione richiederà molti lavori. Le vie di comunicazione sono in pessimo stato e non rimane nulla dei paesi. La natura si è ripreso tutto quello che era suo».

«Ma non siamo arrivati a Bozen. Potrebbe esserci lì una situazione migliore…».

Matteo ride. «Sei una ottimista inguaribile» la interrompe. «Dubito che la situazione sia migliore. In questi dieci giorni non abbiamo incontrato nessun essere umano. Temo che siamo rimasti solo noi». Osserva il minigeiger che segnala valori ancora elevati e pericolosi per l’uomo. Scuote la testa al pensiero dell’ottimismo della compagna.

Alba non si dà per vinta. «Dobbiamo esplorare la pianura prima di trarre delle conclusioni negative».

Matteo sorride per non smorzare i pensieri positivi della ragazza. Le prende la mano e gliela stringe con vigore. «Ora pensiamo a riposarci per essere in forma domani mattina. Se siamo fortunati, possiamo raggiungere in serata Bozen».

Poi si distendono dentro la tenda mentre il fuoco divampa allegro con l’ultima legna che lo alimenta. Cucciolo tra di loro sembra già nel mondo dei sogni perché le zampe tremano. Tuttavia sanno che un minimo rumore lo svegliare all’istante.

Le ombre rossastre guizzano attraverso il telo a formare immagini fantastiche.

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Konnie – quattordicesima parte

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Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la quattordicesima parte del romanzo Konnie.

La potete leggere anche qui. Buona lettura

11 agosto 2144 Bozen

Dopo un peregrinare lento con le gambe, che faticano a obbedire ai suoi comandi, prova a centellinare in qualche modo le forze per cercare qualcosa che possa offrire riparo per la notte. Gli edifici ancora in piedi sembrano sbriciolarsi da un momento all’altro e hanno i tetti collassati all’interno. Il selciato è esploso in più punti sotto la spinta di alberi ed erbacce. Una statua corrosa dalle intemperie svetta tra tanto sfacelo. Solo un qualcosa assomigliante a un chioschetto, che mostra segni evidenti di ruggine, sembra offrire un solido riparo. I vetri sono ridotti in polvere, le parti di legno al tocco si disgregano. Le uniche parti che resistono sono quelle in ferro, intaccate e ricoperte da uno strato di polvere rugginosa. Il tetto, pur presentando qualche buco riesce a garantire un buon riparo. Il pavimento è ricoperto da un po’ di tutto. Cent’anni alle intemperie e all’abbandono mostrano il loro biglietto da visita.

Konnie spinge a fatica quella che un tempo è stata una porta che cigola strisciando sul fondo. A parte qualche sedia rovesciata c’è lo scheletro di un divanetto in ferro ampio a sufficienza per ospitare una persona sdraiata.

Per il momento si siede per riposare e bere un po’ d’acqua dalla borraccia. «La devo centellinare con parsimonia. Ignoro se potrò trovarne altra di potabile» borbotta appoggiando la schiena.

«È stato molto faticoso arrivare fin qui» aggiunge con un filo di voce, mentre si deterge la bocca bagnata. Si sente stremato, osserva delle piccole emorragie cutanee sulle braccia. Il respiro si fa affannoso. Prova sensazioni di nausea e vertigini. Prende qualcosa dallo zaino per placare quella che gli sembra fame ma poi la rimette via. Lo stomaco è chiuso e non vuol ricevere nulla. Rischia solo di vomitare. «È meglio conservare il cibo per un’altra occasione senza sprecarlo».

Si distende sul divanetto. Non è molto comodo ma la stanchezza prevale sul disagio. Chiude gli occhi e sogna.

Il suo è un sogno in bianco e nero. Vede due giovani con un cane che pare un cucciolo. Ignora di quale razza sia ma gli appare molto giovane. Sono vestiti in modo strano ma ben diverso da lui. Il sogno continua ma si sveglia. È tutto intorpidito e sente freddo ma non ha nulla con cui coprirsi. Nel bunker non ha mai provato queste sensazioni. La temperatura era mite e non variava mai. Quello è stato per tutta la sua vita la zona comfort, una calda cuccia che l’ha cullato per ottant’anni. Però ricorda il bianco candore e il freddo pungente di sei mesi prima.

Intuisce che ha commesso un errore lasciando il bunker ma la curiosità di conoscere il mondo esterno e il terrore che quello sigillasse la sua vita è stato il detonatore della sua uscita.

Con lentezza scivola nel dormiveglia e ricomincia a sognare.

3

Konnie – parte tredicesima

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Su Caffè Letterario è pubblicato la nuova puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.

22 agosto 2144

La notte non è stata semplice da superare, perché il vento ha imperversato con violenza: c’è stato il rischio concreto che la tenda fosse strappata e volasse via. Poi si è aggiunto una bufera di neve che per fortuna è durata poco ma accumulato altri centimetri sul suolo.

Matteo e Alba hanno dormito come i gatti: un occhio chiuso e uno aperto, pronti a far fronte alle intemperie. Da quando una settimana prima sono partiti dalla Città del Sole non sono stati fortunati col tempo. Hanno pensato che sarebbe stata una scampagnata raggiungere Bozen ma invece pare un miraggio. Però hanno conosciuto aspetti del mondo esterno di cui ignoravano l’esistenza come la neve e il vento. Hanno compreso che non assomigliano per nulla alla calma piatta della Città del Sole e nemmeno ai video che hanno visionato più volte. La realtà è assai differente.

La mattina li accoglie splendida con un cielo di un azzurro intenso senza un alito di vento, mentre il sole fa scintillare la neve caduta nella notte che crocchia sotto di loro. La temperatura è rigida, mentre il respiro tende a condensare all’interno del casco. Devono azionare più volte un piccolo interruttore per disappannare l’interno.

«Riusciremo a tornare indietro tra qualche settimana?» Domanda Alba con tono preoccupato, quando al mattino si rimettono in marcia per scendere a valle. Ha lo sguardo allarmato con una profonda ruga che le solca la fronte.

«In estate non nevica» prova a rassicurarla Matteo, procedendo in discesa con passo guardingo, mentre Cucciolo rimane accanto a loro senza correre avanti e indietro come nei giorni precedenti. Sa d’aver pronunciato un’eresia, perché è evidente che non è vero.

Alba sorride perché tra qualche settimana l’autunno sarà alle porte. Quindi per quelle che sono le sue conoscenze il tempo dovrebbe virare al brutto, ma come lo ignora. Però un primo assaggio l’ha avuto. Matteo non l’ha convinta per nulla ma tace.

Scendono con cautela sulla strada ricoperta di neve. A malapena riconoscono sotto il velo bianco pietre e altri ostacoli. Lasciano alle spalle le orme dei loro piedi.

«Hai visto come è ingrossato Cucciolo? E come è morbido il suo pelo?» esterna Matteo osservando il lupetto che trotterella accanto a loro.

Alba lo scruta e sorride. Annuisce perché anche lei ha notato questo cambiamento. Però non è in grado di giustificarlo. Nella Città del Sole non ci sono cani e nemmeno gatti. Qualche altro animale è presente ma sono mucche e pecore. Si domanda se al loro ritorno sarà permesso di introdurlo ma rimanda la questione a più avanti.

La discesa sembra meno disastrata rispetto alla salita ma comunque impegna i due ragazzi a non scivolare sul sottile strato di ghiaccio che si è formato durante la notte. Notano che sui costoni che contornano la strada il bosco presenta delle cicatrici che non si sono ancora chiuse per bene.

Man mano che scendono la neve si trasforma in acqua e piccole cascatelle scivolano da un tornante su quello più in basso. Camminano in silenzio facendo attenzione a dove posano i piedi. Cucciolo si avventura ogni tanto nel bosco che ha guadagnato spazio sulla strada, ridotta a stretto sentiero. Però ritorna in fretta al loro fianco.

Sono stanchi e le ombre della sera cominciano a calare. Lungo il tragitto non hanno trovato ruderi o altro e non sono arrivati a valle. Finalmente arrivano in uno spazio in piano con i resti di una costruzione, che accanto presenta una fossa rettangolare. Adesso è una buca colma di acqua scura maleodorante. Ignorano cosa poteva essere in origine.

«Non mi piace questa zona. C’è un odore malsano» afferma con tono categorico Alba. «Cerchiamo un altro posto».

Matteo annuisce con decisione. L’ubicazione, dove pernottare, non lo convince.

Si muovono, perlustrano, saggiano la solidità delle pareti rimaste in piedi, finché non decidono di sistemare la tenda in un luogo vicino a una struttura che contiene dei macchinari corrosi dalla ruggine.

3

Konnie – parte dodicesima

I tre cunicoli – carteaceo

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo post del racconto Konnie, pensando di far cosa paicere lo ripublico anche qui.

10 agosto 2144 Bozen

Konnie si deve fermare ogni venti passi. Fatica a respirare, tossisce. Avverte stanchezza con le gambe che gemono per il dolore. Cerca riparo dalla luce troppa intensa. Gli occhi lacrimano e faticano a rimanere aperti.

Quello che intravvede attraverso la visione opaca dello sguardo è tutto nuovo. I suoi ricordi basati sui filmati visti nelle lunghe serate nel bunker non collimano con quello che osserva intorno. Nemmeno le montagne che contornano la città sono le stesse. Sembra che abbiamo un altro aspetto. «Come?» Rantola col cuore che batte all’impazzata.

Carcasse arrugginite di qualcosa che battezza come auto sostano ai bordi di quello che un tempo era una strada. Ruderi o montagne di macerie sono ricoperte di verde.

Ascolta il rumore tipico di acqua che scorre sulla sua destra. «Dove sono?» Ricorda che suo padre gli ha descritto tre fiumi che passano per la città. «Quale dei tre?» La curiosità lo spinge ad avvicinarsi. Dalla sponda osserva che un fitto bosco gli preclude quasi per intero la vista. Intravvede un rigagnolo d’acqua in basso. «Forse è solo un’illusione ottica» Prosegue il suo cammino sulla sponda che lascia intuire che un tempo c’erano dei sentieri che a fatica sono percorribili.

Si allontana sempre più dal suo rifugio e capisce che non vi farà più ritorno. Non ha il senso dell’orientamento e tutti i posti sembrano uguali. Non saprebbe riconoscere da dove è passato. Questo lo spinge a proseguire.

Il sole è alto sull’orizzonte e fa molto caldo. Suda copiosamente. Si ferma all’ombra di imponente abete per detergersi il sudore e bere qualcosa dalla borraccia.

Alza verso il cielo lo sguardo e rimane affascinato: un azzurro così nitido non lo ricorda. Ride scuotendo la testa. Il suo occhio per ottant’anni ha visto solo grigio e nero, i colori unicamente nei film e nelle illustrazioni dei libri. «Dovrebbe essere mezzogiorno». L’ha dedotto dal fatto che il sole è alto nel cielo. La calura è insopportabile ma vuole spostarsi in città alla ricerca di un riparo per la notte.

«In città?» Ride, alzandosi a fatica. «Ma sono già in città! Forse in centro».

La fitta boscaglia nata sulla sponda del fiume rende l’aria ancor più rovente e afosa. S’incammina mentre sta sudando copiosamente. Si gira più volte. Gli pare di udire dei latrati alle sue spalle. «Lupi o cani?» Non vede nulla. «Se mi assalgono, per me è finita». Anche volendo non riesce accelerare il passo. Vede la traccia di un sentiero che scende dolcemente verso il basso. «Forse mi porta in centro città» borbotta mentre lo segue.

L’intuizione è corretta. Case crollate, selciato divelto è l’immagine che si presenta alla sua vista. Si ferma a rifiatare mentre studia il percorso da seguire. Non si fida infilare quelle stradine strette dove a fatica potrebbe procedere. Una desolazione è quello che vede. Preferisce proseguire in quella più ampia perché la parte centrale sembra meno ostruita.

Arriva in uno slargo dove alla sua destra osserva la facciata di una chiesa. Si ferma appoggiandosi al tronco di albero. Fatica a respirare, gli manca l’aria.

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