Leggo che Elena ha pubblicato una nuova avventura di Debora Nardi Una morte dolceamara.
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Fantasie e realtà
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Con mia grande gioia e vostra disperazione sono lieto di annunciare che il primo settembre uscirà il primo romanzo di Puzzone.
Per chi volesse prenotarlo per non rischiare di rimanere senza lo può fare su
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Può essere ordinabile in libreria dando il seguente ISBN 9781688206205
Insomma non aspettate il primo settembre per avere la vostra copia.
Marzia di Alchimie mi ha mandato questa fotografia.
È una fotografia particolare ma vi lascio alla lettura.
Buona lettura
Pippo, che in realtà si chiama Ernesto, sta svuotando la casa di zia Gina, che anche lei aveva un nome diverso: Euridice. Sembra una costante ma nessuno della famiglia Nometti è conosciuto col suo vero nome.
Il padre di Pippo era Gino che faceva di nome Olao. La sorella di Gino, nonché zia di Pippo, è la famosa Gina, che morendo gli ha lasciato in eredità il casale di campagna e diecimila pertiche di campi, coltivati a maggese.
Pippo, aprendo l’armadio di noce della camera da letto di zia Gina, si è imbattuto in una scatola per scarpe piena di fotografie che sembrano piuttosto vecchie. Sono tutte in bianco e nero, qualcuna ingiallita, altre con gli angolini, quelli che un tempo si usavano per esporle negli album di famiglia. Altre ancora avevano delle date scritte da una mano femminile.
«È la scrittura di zia Gina?» mormorò, girando il retro di una fotografia di gruppo.
‘19 agosto 1919’ legge Pippo seguito dal nome della località ‘Venusia’ e dall’elenco delle persone del gruppo ‘Gino, Michele, zia Egle, zio Loris, Anneta, Nino, nonna Tina, nonno Bricco’.
Pippo sorride, perché a parte Gino, che era suo padre, gli altri sono dei perfetti sconosciuti. Stringe gli occhi per osservare meglio il viso di suo padre, che avrà avuto sì e no dieci anni.
«Forse Anneta e Nino sono i miei nonni» ammette a malincuore Pippo, perché in effetti non solo non li ha mai conosciuti ma ne ignora pure i nomi.
Mette a parte questa immagine sbiadita e vecchia di cent’anni e continua la rassegna facendo diversi mucchietti. Le immagini di famiglia a sinistra, quelle con paesaggi al centro e i viaggi a destra. Tutte le altre non catalogate sul coperchio.
Pippo si ferma nella selezione. Ha un sussulto e torna su quella fotografia con bisnonni e nonni e la gira.
«Venusia?» ripete con tono interrogativo. «Ma che paese è? Ma dove si trova? Mai sentito nominare».
Una reazione giustificata per una località che gli è sconosciuta.
Prende il fido telefono e fa una ricerca. Pensa che zia Gina gli abbia voluto tirare un bidone, inventandosi un paese fantasma.
‘Venusia è un minuscolo paese di Ludilandia, quasi impossibile da individuare sulle carte geografiche. Solo quelle molto dettagliate in scala 1:1000 è riportato dove si trova. Abitanti 369. A zero metri sul livello del mare…’
«Ci devo andare» dice Pippo, riponendo l’immagine sul mucchietto famiglia.
Arrivato sul fondo della scatola vede una fotografia singolare, completamente diversa da tutte le altre. C’è una ragazza appesa in alto, in apparenza nuda nella parte inferiore, con la gonna che le copre il viso. La testa è in basso e le gambe in alto come se fossero a cavalcioni di un’asta.
Pippo ride. La posizione è innaturale. Guarda il retro è bianco o meglio c’è il timbro dello sviluppatore con una data. ‘19 ago 2019’.
«Mi prende in giro!» esclama basito Pippo. «Sviluppata oggi?»
Non può credere a quel timbro. Una foto vecchia, senza dubbio vista la grana del cartoncino e i bordi frastagliati, tipici di mezzo secolo prima.
Pippo l’osserva con attenzione. «Come può reggersi su quella traversa sottile col sostegno di una sola gamba?» esclama sorpreso, scuotendo la testa.
“Hanno usato Photoshop per confezionare un fake” riflette cercando di capire chi possa aver messo quest’immagine insieme alle altre.
«l casale di zia Gina è chiuso da almeno cinque anni» dice Pippo, infilando il cartoncino nella tasca interna della giacca. «Un burlone sapendo che venivo ha voluto tendermi un tranello».
C’è una nuova entrata tra le muse ispiratrici per disegnare una storia che ha come sfondo Venusia. Sabry ha pubblicato sul suo blog questa immagine e mi è piaciuta.
Buona lettura
Carola è una ragazza, si fa per dire visto che ha venticinque anni, che sogna osservando gli oggetti che la circondano.
Lo era da piccola, che rimaneva per ore a guardare le nuvole in cielo sospinte dal vento che soffia da levante.
È cresciuta ma non ha smesso di sognare.
D’estate quando il vento toglie la calura da Venusia e rinfresca l’aria si avvia verso la fortezza che si erge sulla montagna come un blocco grigio contornato ai suoi piedi dal bosco degli spiriti. Definire montagna quel dosso appena pronunciato sulla piana di Venusia è un bel azzardo. Avrebbe la stessa valenza di considerare quel gruppo di case che compongono il paese una metropoli. Però per i venusiani è la montagna.
Carola nel periodo estivo fa ogni pomeriggio quella passeggiata di tre quarti d’ora attraverso il sentiero che taglia il bosco degli spiriti fino a raggiungere la fortezza.
Si siede sui gradini di ardesia grigia che portano all’ingresso e osserva la pianura. Una piana che si perde sull’orizzonte senza case o strade degne di questo nome.
Osserva il sole che tinge di rosso il cielo e imporpora le nuvole che da bianche cambiano colore. Dapprima rosate poi sempre più rosse. Una meraviglia. Allunga una mano per cogliere quel colore che assomiglia alla sua gonna.
Indugia mentre sogna un mondo diverso ricco di sfumature e di pensieri positivi. Si alza sospirando. Deve tornare prima che le ombre della sera rendano disagevole il sentiero nel bosco.
Non ha paura come la maggioranza dei venusiani ad attraversarlo. Per lei non ci sono spiriti. Né buoni, né cattivi. C’è solo il bosco con i suoi rumori e le sue ombre, gli animali che osservano il suo passaggio e il canto degli uccelli nel folto degli alberi.
La discesa è più rapida della salita e deve arrivare a casa prima che Riccardo, il suo compagno, ritorni da Ludi, dove lavora come grafico.
I raggi del sole filtrano tra le chiome degli alberi e ogni tanto un’apertura tra i rami mostra le nuvole che corrono nel cielo.
Si ferma, solleva il capo e osserva. Sogna di essere sul quel destriero bianco che galoppa nell’azzurro verso mete lontane.
«Chissà dove arriverà?» esclama a bocca aperta con l’aria sognante. «Verso il mare che non ho mai visto ma so che c’è oppure la montagna che qualche volta dalla fortezza ne scorgo le cime più alte?»
Carola riprende a camminare di passo svelto, perché l’oscurità infittisce e la strada da percorrere è ancora lunga.
Giusto con omaggio ferragostano vi delizio – ma sarà vero – con questa storia. L’immagine è di Etiliyle ed è splendida.
https://etiliyle.files.wordpress.com/2019/04/img_20190407_11204021278689794752291104..jpg?w=685
Buona lettura.
Pino ha sempre la testa fra le nuvole e si perde con la fantasia a rincorrerle nel cielo.
Sì, insomma, ha una bella immaginazione. Non che sia un difetto ma qualche volta lo è. Fantasticare fa bene ma non deve esagerare, perché potrebbe capitare, come è capitato, di rischiare di farsi male.
Pino è il figlio di Roberto, che non ha mai sopportato Venusia, senza trovare la forza di tornare a Ludi. Non ci sono molti bambini a Venusia, anche perché quei pochi che nascono, quando cominciano a frequentare le superiori a Ludi, non vedono l’ora di crescere un po’ e abitare là.
A Venusia non esiste nessun tipo di scuola o di asilo, perché sarebbe uno spreco. Bambini in età scolare sono in media una dozzina ma tutti spaiati con l’età. Quindi si radunano in casa dell’uno e dell’altro dove alcuni venusiani, quelli più istruiti, impartiscono le lezioni. Li preparano da privatisti per l’esame di quinta elementare e quello di terza media. A quattordici anni un scuola bus li viene a prendere per condurli a Ludi a frequentare le superiori. Quelli più bravi frequentano anche l’università, ma gli altri cominciano a lavorare.
Pino è uno dei pochi bambini nati a Venusia. Gli altri sono d’importazione. Non sorridete al pensiero che i bambini assomiglino alle mercanzie, perché arrivano coi genitori quando hanno quattro o cinque anni e poi restano lì finché non fuggono a Ludi.
Ci sono due cose che i venusiani faticano a digerire: i neonati e gli animali.
Di animali non ce ne sono molti. Giusto un paio di cani. Di gatti ce ne è uno solo che vive la sua indipendenza con sussiego. Va e viene e difficilmente accetta qualche carezza. Per i neonati la situazione è leggermente complicata, perché coppie disposte a mettere al mondo prole ce ne sono poche e le poche nicchiano alquanto.
Quindi quando Pino è nato da Roberto e Andrea c’è stata una piccola rivoluzione. Non nel senso di rivolta ma di cambio di abitudini. Erano anni che non si festeggiava una nascita e così fu festa grande. Venusia quasi non si riconosceva perché le feste erano abolite da un pezzo.
Tornando a Pino e alla sua fervida immaginazione, bisogna dire che la fantasia lo porta lontano inseguendo le anatre che si fermano nello stagno. Una sera di fine settembre, è appostato tra i canneti a sbirciare il moto delle anatre. Si levano in volo per poi tornare eleganti a posarsi sulle acque placide. Immergono la testa mettendosi a perpendicolo con la superficie. Tutte attività che Pino ha sempre osservato. Però questa sera sembra che ci sia più movimento e le anatre appaiono inquiete come se avvertissero un pericolo.
Il ragazzino si avvicina ancora di più verso l’acqua per osservare meglio i movimenti, quando… Splash cade in acqua e le anatre volano via starnazzando “Quac, quac, quac”.
Pino annaspa cercando di riguadagnare la riva, quando una mano robusta lo agguanta riportandolo sulla terra gocciolante.
«Pino, ti è andata bene» dice una voce familiare, mentre lui arrossisce sputando l’acqua ingoiata.
Il post che pubblico era stato pensato per un contest che scade domani. L’unico vincolo posto era che il racconto di 3500 battute doveva finire con la frase “Domani nella battaglia pensa a me”.
Oggi ho deciso di non partecipare per un dettaglio del regolamento che riporto integralmente.
DIRITTI D’AUTORE: gli autori, per il fatto stesso di partecipare al concorso, cedono il diritto di pubblicazione in ogni tipo di formato al promotore del concorso senza aver nulla a pretendere come diritto d’autore. I diritti rimangono comunque di proprietà dei singoli autori. Eventuale materiale inviato non sarà restituito e resterà a disposizione degli organizzatori per l’utilizzo a fini promozionali.L’ammissione al concorso implica infatti l’accettazione dell’utilizzo, della pubblicazione e della diffusione della propria opera sia in luoghi pubblici che privati con ogni mezzo attualmente conosciuto (a mero titolo esemplificativo: tv, radio, internet, telecomunicazioni, sistemi analogici e/o digitali, on line e off line) o che verrà inventato in futuro, in tutto il mondo, sia unitamente al contest contest “PODCASTORY –Domani nella battaglia pensa a me” (anche al fine di attività di comunicazione e promozione dell’evento delle edizioni successive) sia collegata a future attività degli organizzatori a favore della propria utenza. Tutto ciò senza ricevere e/o pretendere alcun corrispettivo a proprio favore, essendo ogni pretesa dell’utente soddisfatta dall’opportunità di partecipare.
In pratica conservo i diritti ma non li posso sfruttare.
Quindi ho pensato bene di pubblicarlo qui.
Buona lettura.
tratta da wiki commons – licenza Creative Commons 4.0 – riproduzione in scala della piana di Waterloo. autore Chris Mckenna
A Venusia le feste non sono mai gradite, diciamo sopportate. Quindi il Carnevale passa quasi inosservato ma neppure Natale o Capodanno sfuggono alla regola.
A Venusia ognuno fa gli affari suoi senza mischiare il diavolo e l’acquasanta. I venusiani sono personaggi strani ma Roberto lo è doppiamente.
Quando qualcuno si chiede il motivo, dovete sapere che Roberto è arrivato per sbaglio a Venusia. Aveva solo cinque anni e da allora è sempre rimasto a Venusia. Solo per sbaglio? Calma e gesso se avete la pazienza di leggere le spiegazioni, altrimenti fate come volete.
Venusia è un piccolo puntino anonimo nella vasta pianura di Ludilandia. I suoi abitanti vivono nel loro minuscolo mondo e oltre alle feste non amano i bambini ma nemmeno gli animali. Ne nascono pochi, perché non sopportano i loro pianti da neonati, dover cambiare i pannolini e tante altre amenità del genere.
«Inquinano» affermano in coro i venusiani per giustificare il loro ostracismo. «E poi costano una fortuna mantenerli».
Così quei pochi che nascono, più per un errore materiale che per l’amore tra una coppia, una volta adulti scappano a Ludi, la capitale della regione. Non tutti per amor di verità ma gran parte. Alcuni restano, qualcuno arriva al seguito dei genitori.
Sembrerà strano ma se i giovani scappano, gli adulti arrivano. I rari viaggiatori che tornano da Venusia, una volta a Ludi ne decantano i pregi.
«È un posto da favola» spiegano convinti. «Si vive tranquilli. I ritmi sono lenti. Niente stress».
Non solo questo. Aggiungono: «Con poca spesa si vive molto meglio che a Ludi».
Quindi qualche famiglia, stanca dei rumori di Ludi e delle difficoltà di vivere, decide di trasferirsi a Venusia. Dapprima prendono in affitto una casa e se si trovano bene con pochi venusi la comprano. Non mancano le buone occasioni e l’offerta supera di gran lunga la domanda, facendo rimanere basso il prezzo. Sono case basse di legno e mattoni col giardino davanti e l’orto sul retro.
Quando Roberto è arrivato a Venusia, anche se aveva solo cinque anni si è messo di traverso, perché doveva giocare senza compagni. Questo lo scocciava non poco. Era felice perché fino a quattordici anni la scuola era in casa. Non esistono scuole a Venusia per mancanza di materia prima. Poi se qualcuno vuol continuare, deve fare il pendolare con Ludi dove si trovano le superiori e l’università.
«Quando sono grande» aveva promesso Roberto col cipiglio dello scontento, «me ne torno a Ludi. Qui pare di essere in prigione».
Roberto è diventato grande: lo scontento non è mai passato ma non è mai andato via da Venusia. Ha trovato l’anima gemella che sopporta la sua malinconia e le sue paturnie. Lui col muso lungo e lo sguardo torvo, lei solare e sempre allegra. Come abbiano potuto fare coppia, è un mistero per tutti i venusiani. Da loro è nato un bel bambino, Pino, che adesso ha dieci anni. Roberto, tanto per mostrarsi diverso dagli altri, adora il figlio e gli ha trasmesso la curiosità di conoscere la natura. A differenza degli altri venusiani non frequenta Sghego, l’unica osteria del paese. Odia giocare a carte ed è astemio. Preferisce curare l’orto e lavorare il legno con molta abilità. Intaglia mobili e altri oggetti, che vende ai venusiani per pochi venusi. Il costo della materia prima. Da qualche mese sta lavorando a creare un esercito di legno. Man mano che comandanti e soldati sono pronti, li dispone con cura su un tavolaccio che riproduce la piana dove si è svolta la battaglia di Waterloo con l’esatta disposizione dei due eserciti contrapposti.
Roberto ha lasciato per ultimo Napoleone, che sistemato sul campo di battaglia urla soddisfatto: «Domani nella battaglia pensa a me».
Su Caffè Letterario un nuovo post. Per leggerlo cliccate qui.
Da due giorni WordPress ha dichiarato sciopero. Non mi notifica più i post pubblicati da chi seguo via mail come da impostazione. In pratica dovrei spazzolare oltre settecento blog per vedere chi ha pubblicato qualcosa nelle ultime ventiquattro ore.
Ieri ci ho provato ma oggi no.
Conclusione. Se non leggo i vostri post la colpa è di WordPress che ha smesso le notifiche giornaliere come da impostazione. Non è la prima volta che capita. L’ultima volta, era agosto, la situazione è durata quasi un mese. Però i numeri erano decisamente minori. Evidentemente la calura fa male a WordPress che accusa il caldo.
Ho letto due libri della Gabaldon sulla saga Outlander. Il quarto, Il cerchio di pietre, e il primo, La straniera, per la precisione.
Naturalmente non letti nella sequenza giusta. Ma sono fatto così. Non cambierò mai. Leggere un sequel di libri non è nelle mie corde. Al limite li leggo tutti ma in ordine sparso. Forse non sarà così in questo caso ma non si sa mai che decida la lettura degli altri otto.
Però ho anche il grave vizio di leggere i numeri e che questi siano in sequenza giusta. Ci faccio molta attenzione e sbuffo quando l’autore o l’autrice combina qualche pasticcio. Con pignoleria segno date e orari e verifico che siano coerenti tra loro.
La Gabaldon in effetti ha combinato qualche errore.
Senza fare uno spoiler della storia, per questo vi lascio alla lettura delle sinossi, faccio un breve riassunto del primo e del quarto libro per inquadrare meglio i miei dubbi.
Claire Randall in vacanza col marito nella Scozia nell’ottobre 1945 si trova risucchiata dal tempo nell’anno 1743. Qui comincia la sua straordinaria avventura sposando uno scozzese, Jamie Fraser, una specie uomo di ferro che non si piega mai, resistente alle frustrate, alle ossa spezzate, ai chiodi piantati nelle mani. Dunque la nostra è bigama con la benedizione di tutti, ma non è questo l’argomento del pezzo. Nel primo volume la storia si snoda fino ai primi mesi del 1745. Quello che avviene nel secondo e nel terzo lo ignoro, non avendoli letti. Il quarto la storia ci proietta dopo la battaglia di Culloden, 16 aprile 1746, con Claire incinta che ritorna nel mondo reale nell’anno 1948. Tralascio tutte le avventure e disavventure di Jamie, anche se nutro qualche dubbio sulla loro sequenza. Claire ricompare vent’anni dopo, anno 1968, tanti sono gli anni di Brianna, la figlia nata dall’amore tra Claire e Jamie dopo il suo ritorno nel mondo reale. Decide di tornare indietro nel tempo alla ricerca di Jamie. Cosa che le riesce benissimo. Nuove avventure e disavventure della coppia.
Qualcuno potrebbe pensare che non ci sono stranezze in tutto questo.
Vediamo qualche numero e situazione.
Nel 1945 Claire, infermeria di guerra, ha trentacinque anni e fa da svezzatrice a un giovane Jamie, vergine di sesso e la cui età è di difficile diagnosi. Potrebbe avere diciassette o diciotto anni, da come è presentato a letto la prima volta, perché ignora tutto di come è conformata una donna, ma forse ne ha quattro o cinque anni di più. Quindi nel 1968 gli anni diventano cinquantotto, anche se non sono mai detti esplicitamente. Basta fare una semplice differenza e poi una somma. L’abbiamo lasciata infermiera e la ritroviamo dottoressa e baby pensionata. Non male come carriera in vent’anni.
Una donna a cinquantotto anni non è vecchia ma neppure giovane. Però ha ancora gli ormoni in fibrillazione visto l’impegno, l’intensità e la passione che mette nel fare all’amore con Jamie quando lo ritrova. In certi momenti fa concorrenza a un adolescente in preda a una tempesta ormonale. Dimostra di avere un fisico notevole, perché cammina per decine di miglia a piedi con qualsiasi tempo.
Insomma dà dei punti a tutte le giovincelle in calore.
D’accordo. La storia richiede anche questo ma in effetti fa un po’ sorridere l’ardore di Claire.
Nel primo libro non ho capito bene se si tratti di un refuso oppure di altro. Geillie Duncan, da tutti ritenuta una strega per la vaccinazione antivaiolosa ricevuta, prima di essere bruciata dice ‘uno, nove, sei, sette’ che Claire, sua amica, interpreta come 1967. Claire ha intuito che Geillie ha fatto il suo stesso percorso risucchiata dal tempo. Ammesso che sia una data, che senso ha quell’anno, quando in realtà era il 1946, essendo passato un anno da quando Claire era piombata nella Scozia del 1743? Non può essere quello reale, né quando Geillie era finita nella Scozia di inizio settecento, si presume almeno quattro o cinque anni prima di Claire. Neppure l’anno del ritorno di Claire nella Scozia post battaglia di Culloden, come abbiamo visto è il 1968. Insomma un numero sparato a caso e un’arbitraria interpretazione di Claire.
Credo che la Gabaldon bari cinicamente giocando su due fattori. Il primo è che i libri sono distanziati temporalmente e quindi al lettore possano sfuggire questi dettagli. Il secondo è che il lettore preso dalla storia e dai colpi di scena non bada a questi particolari, bevendosi tutte le incongruenze temporali.