Konnie – terza parte

Su Caffè letterario è stato pubblicato la terza parte di Konnie. La potete leggere anche qui.

Alba e Matteo sono gli unici che hanno scelto di uscire di nuovo dalla Città del Sole. Col consenso di tutti decidono di fare un’escursione per esplorare un’area più vasta rispetto a quella visitata circa un mese prima. Durerà almeno tre o quattro settimane con l’obiettivo di arrivare a Bozen. Secondo la vecchia cartografia dovrebbe distare qualche centinaia di chilometri ma dall’esperienza della precedente uscita non c’è da fidarsi. Strade inghiottite dalla natura, che si è presa la rivincita sugli umani, oppure franate a valle per l’erosione delle acque dei torrenti potrebbero rendere difficile raggiungere la meta.

Le altre coppie che avevano esplorato alcune aree adiacenti all’ingresso della Città del Sole hanno deciso di non ripetere l’esperienza senza fornire spiegazioni. «Forse si sono spaventati nel osservare un mondo esterno così ostile e pericoloso» ridacchia Matteo mentre prepara con Alba la nuova sortita senza trascurare nessun dettaglio.

Loro hanno il piglio e la curiosità degli esploratori che vogliono conoscere di persona quella realtà che hanno solo intravvisto tramite vecchi video, fotografie ingiallite oppure hanno letto su vetusti libri. Il tutto però è datato cent’anni prima.

Fanno tesoro della precedente esperienza e preparano in maniera meticolosa la spedizione. Ricordano il dolore che hanno provato i loro occhi, quando la luce naturale più intensa di quella artificiale, a cui erano abituati, li ha colpiti. Questi hanno iniziato a lacrimare, perché avevano la sensazione che fosse entrata della polvere sotto le palpebre. Stavano quasi per rinunciare, quando Alba aveva scoperto casualmente che schermandosi con delle foglie piuttosto ampie sopportavano meglio la luce solare. Così hanno pregato Arturo, un vero mago con le mani e con la testa, di preparare un casco modificato, dove premendo un tasto fosse possibile schermare la parte trasparente. Hanno scoperto pure che il loro viso dapprima è diventato rosso per poi virare allo scuro. Al loro rientro gli abitanti della Città del Sole osservando i loro visi scuriti avevano tratto la conclusione che avessero contratto una malattia pericolosa per tutta la comunità. Sono rimasti in quarantena per una settimana prima di convincerli che è stato l’effetto della luce solare.

Durante l’uscita hanno perso il senso del tempo come era programmato nella Città del Sole. Qui non ci sono albe o tramonti ma si passa dal buio alla luce senza passaggi intermedi. La giornata è divisa in due spezzoni fissi e immutabili. La luce dura sedici ore, il buio otto. Le ore dell’oscurità sono dedicate al riposo, le altre alle attività lavorative o ricreative. I loro ritmi circadiani si sono adeguati da sempre a questo alternarsi del giorno e della notte. Durante l’escursione hanno compreso che non era vero. Luce e buio si alternano in modo irregolare. Tutto questo ha sconvolto il loro orologio biologico mettendoli in crisi. Matteo ricordava con vaghezza che spostandosi sulla terra si subiva un fenomeno chiamato jet lag. Al loro rientro tutto si è sistemato nel giro di pochi giorni. Però adesso erano preoccupati perché l’uscita durava due o tre volte la precedente. Tuttavia sanno come combattere quella sensazione di stanchezza e sonnolenza che li ha colpiti. Si sono preparati nei giorni precedenti con un ciclo di veglia-sonno paragonabile a quello esterno.

Una delle esperienze peggiori è stato trascorrere la notte senza riparo, perché non sempre è stato possibile trovare rifugio in anfratti naturali. Arturo seguendo i loro suggerimenti aveva ricavato da teli impermeabili una mini tenda. Nella precedente escursione hanno incontrato più volte degli animali sconosciuti che sono fuggiti vedendoli. «Non sempre sarà così» ha affermato Alba rimasta impressionata da questi incontri. Hanno scelto di portarsi appresso un coltellaccio in un fodero di cuoio. Non manca il mini contatore geiger per misurare l’intensità della radioattività.

Caricati sulle spalle di Matteo due zaini colmi di vettovaglie, appende alla cintura il fodero col coltellaccio. Alba in uno zaino più leggero mette la tenda, ricambi di indumenti, due tablet, un altro mini geiger, una ricetrasmittente e una webcam per la registrazione del viaggio.

Studiando la cartina hanno deciso di raggiungere Bozen attraverso la val di Fassa e il Karersee. A Matteo e Alba sembra più corta e praticabile della val Gardena. L’escursione precedente ha dato un responso positivo per entrambi. La condizione fisica è eccellente e la gamba pure. Quindi possono affrontare un percorso più lungo senza temere la stanchezza. I primi due giorni resteranno nei dintorni della Città del Sole per abituare il loro orologio biologico ai nuovi ritmi veglia-sonno, a verificare che le attrezzature funzionino, a orientarsi nel mondo esterno.

[continua]

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Tautogramma in M

Oggi è lunedì e come di consueto Eletta Senso propone un gioco linguistico.  Per la giornata odierna è un tautogramma in M.

Ecco il mio striminzito.

Mille miglia misurano mastodontiche meraviglie, mia Mila. Meglio se moderi i movimenti in misere mosse marciando con meticolose movenze.

La madre manda migliaia di moine a Marcella che macera nella malattia mortale, mitigando il male.

Per Luisa ho composto questo non molto più ricco di quello di Eletta.

“Mese magnifico ma mai la meraviglia di maggio”. Michela medita sul misero messaggio mandato a Marco.

«Mia madre mi mormora melliflua che mostro miseria di maestria malgrado il maestro migliori i metodi».

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Konnie – seconda parte

Su Caffè letterario potete leggere la seconda parte di Konnie.

21 luglio 2114 ore 8

immagine dal web

Konnie si avvia a passo lento con un moto di rabbia verso la postazione accanto alla porta d’acciaio che lo separa dal mondo esterno. Apre lo sportello inox con un colpo secco dell’indice destro. Una minuscola tastiera scivola silenziosa fuori e uno schermo al plasma si illumina. Tocca il tasto in alto a sinistra, ESC. Fa una smorfia di disappunto corrugando la fronte. Il contatore geiger posto all’esterno della struttura manda il suo responso. “4,5 Sievert” compare sul display. Le labbra si muovono nervose per far uscire un’imprecazione: «Merda!»

Gli verrebbe voglia di sferrare un pugno sullo schermo ma si limita a chiudere la tastiera con un colpo secco della mano sinistra.

Ripercorre il breve corridoio nudo che lo porta nella stanza centrale arredata con un tavolo di legno scolorito dal tempo e quattro sedie di acciaio una volta lucide cromate. Il neon sul soffitto sfrigola esausto. «Devo sostituirlo» impreca con tono stizzito, andando verso la cucina.

La sua vita da cinquant’anni è monotona. Alle otto sveglia e colazione. Mezz’ora di esercizi nella palestra di fianco alla sua stanza da letto. Poi una doccia idromassaggio per rilassare i muscoli. A metà mattina, da quando sua madre Marie è morta, si deve occupare del pranzo e della cena. La sua salma è da trent’anni nella cella freezer insieme a suo padre Kurt, deceduto dieci anni prima di sua moglie. È rimasto solo da quando ha vent’anni e vive da recluso nel bunker antiatomico sotto la villa di famiglia all’imbocco di Sarntal alla periferia di Bozen. Come gli ha spiegato sua madre, finché il contatore geiger non scende sotto due Sievert, uscire dal bunker vuol dire morte quasi certa nel giro di poche ore.

Konnie è nato sottoterra cinquant’anni prima. Era il 21 luglio 2064. La sua nascita è stata casuale, perché Marie pensava di essere entrata in menopausa precoce a quarantacinque anni. Invece era incinta. Lui non ha mai visto il sole o la luna con un’osservazione diretta ma solo attraverso i filmati di TouberMeg, che conosce a memoria. Per lui l’alternanza del giorno con la notte è un fenomeno ignoto, come l’alba o il tramonto. Non ha mai visto la villa dei genitori e non sa se sia ancora in piedi oppure crollata. La telecamera esterna ha smesso di funzionare da oltre vent’anni. L’unico contatto col mondo di fuori è il contatore geiger che consulta tutti i giorni.

Correva l’anno 2024 e soffiavano venti di guerra, quando Marko, il padre di Kurt, decise di costruire un bunker atomico sotto la villa e attrezzarla per resistere almeno ottant’anni. Kurt all’epoca era un ragazzino. Aveva solo quindici anni. C’erano due accessi: uno all’esterno qualora la costruzione sotto cui era posto fosse collassata e l’altro all’interno della villa attraverso una scala a chiocciola. Kurt e Marie si sono sposati nella cappella di famiglia all’interno del parco che circondava la casa nel 2039. Marko non ha avuto la possibilità di sfruttare il suo bunker perché un paio d’anni dopo la costruzione è deceduto in seguito a una breve malattia. Nel marzo del 2044 la situazione è precipitata in maniera irreversibile. Solo chi è stato previdente si è salvato. I pochi bunker pubblici sono collassati subito. Il disastro ha preteso il suo tributo di morti. I genitori di Konnie si sono rintanati nel loro privato e hanno iniziato la vita da reclusi. Tutto questo Konnie l’ha ascoltato innumerevoli volte dalla voce di Kurt prima e Marie dopo. Lo conosce a memoria.

Apre un registro appeso in cucina e segna il valore letto della radioattività esterna. È un valore eccessivo per tentare una sortita all’esterno. Scuote i riccioli biondi striati di bianco deluso, mentre ripone nello scaffale il registro. «Potrò un giorno uscire all’aria aperta prima che la morte mi colga qui?» Borbotta sedendosi sulla sedia. È sfiduciato. I genitori sono deceduti relativamente giovani. Avevano poco più di sessant’anni.

Si guarda intorno. Lo spazio nel bunker non manca. Oltre alla cucina, la sua camera, la palestra e il bagno ci sono altre tre stanze. La stanza matrimoniale molto più ampia della sua, il deposito dei cibi e la cella freezer dove in un angolo riposano i suoi genitori. Oltre a queste c’è un’area di servizi da cui dipende la sua vita. Il generatore di corrente, che assicura l’elettricità a tutto il bunker, è un mini reattore atomico. Suo padre gli ha assicurato che fornirà energia per almeno trecento anni. Il suo unico cruccio sono le scorte di cibo che dovrebbero esaurirsi all’incirca nel 2124. Con qualche economia potrebbero durare per una dozzina di anni o forse più ma poi dovrebbe uscire all’aria aperta se non è morto prima.

Konnie si annoia e la solitudine gli pesa. I libri, i filmati, i contenuti televisivi li conosce a memoria avendoli visti oppure letti innumerevoli volte. Gli manca il contatto umano con altre persone. I suoi genitori sono scomparsi troppo presto.

Parla da solo per non impazzire e per ascoltare una voce umana. Cammina, fa piegamenti. Si ferma davanti a uno specchio. «Chissà se gli altri uomini mi assomigliano!» Esclama con tono asciutto, socchiudendo gli occhi, mentre si avvia verso la palestra. Fare esercizio fisico gli serve per mantenere tonico il corpo.

Un’altra giornata da recluso è iniziata.

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Acrostico per maggio

Eletta Senso ha proposto un acrostico per maggio. Ecco il mio doppio

Mentire per

amore,

giusto

giudizio,

incerte

offerte

ordinano

intimo

gesto,

galleggiano tra

amare

Medicine.

Aggiorno inserendo l’acrostico per Luisa.

Mirabolanti

allegorie

giocano

gioiose

intorno a

orribili

obelischi.

ingenue

giovanette

girano

attorno ai

Mausolei.

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Nuovo post su Caffè Letterario

Su Caffè Letterario ho pubblicato un nuovo post che replico anche qui.

21 Luglio 2144 – Sarntal

Sono passati cento anni da quando il mondo si è autodistrutto con’insensata guerra atomica. Era tutto cominciato vent’anni prima, nel 2024, con guerre regionali in Europa, in Medio Oriente, in Africa. Poi le scaramucce hanno innescato altri incendi in Asia e in America centrale. E il fuoco è divampato ovunque. L’industria della guerra prosperava sfornando munizioni, armi sempre più letali, droni guidati da quella che con grande pompa chiamavano Intelligenza Artificiale, AI per tutti. Pochi si arricchivano col sangue di molti innocenti.

Poi è stato un tutti contro tutti esiziale. All’inizio è stata qualche atomica tattica, che di tattico ha avuto solo il nome, perché le aree contaminate sono cresciute mese dopo mese, anno dopo anno. Alla fine il botto finale ha chiuso la partita nel 2044. La contaminazione radioattiva ha raggiunto valori insopportabili. Dieci e oltre sievert in ogni parte del globo terrestre senza eccezioni di sorta. La gente ha cominciato a morire tra atroci sofferenze, gli animali a sparire. I più ricchi si sono rifugiati nei propri bunker atomici per non morire come mosche sulla carta moschicida. I meno fortunati invece sono morti. Le città sono diventate luoghi spettrali dove la natura ha ripreso il sopravento, cominciando a sgretolare tutte le opere umane.

Amelia con Alfredo e un gruppo di amici pacifisti dopo essersi sgolati invano contro le scelleratezze di una guerra globale hanno deciso di costruire una città sotterranea per salvare un nucleo di uomini accomunati da un unico ideale: pace e concordia. Hanno realizzato una specie di Città del Sole sotto terra, simile a quella idealizzata da Tommaso Campanella molti secoli prima. Il posto individuato è sotto le montagne tra Veneto e Alto Adige. Sono riusciti appena in tempo a finirla e rifugiarsi lì, quando il mondo è collassato auto distrutto dall’insensatezza di chi stava al potere.

Cento anni dopo gli eredi di quel nucleo di visionari, che avevano compreso il pericolo che stavano correndo, hanno deciso di uscire dalla loro Città del Sole. La radioattività è ancora alta ma con le protezioni adeguate è possibile cominciare a muoversi all’esterno con cautela.

Quando si sono rifugiati sotto terra erano diverse centinaia di coppie con bambini e qualche anziano. Adesso sono cresciuti a un migliaio di persone tra giovani e adulti e ogni spazio della Città del Sole si è saturato nel tempo. La convivenza non è mai stata minacciata dagli egoismi personali. Però è arrivato il tempo di mettere il naso fuori per osservare cosa è rimasto della civiltà umana con la visione futura di ripopolare un mondo che a tutti appare ignoto.

Il loro modello non è verticista ma tutti sono alla pari. Le decisioni vengono prese dopo una pacata discussione che valuta tutti gli aspetti. Quando hanno pensato di uscire nel mondo di sopra, in modo collegiale hanno stabilito che solo gruppi di volontari si sarebbero avventurati all’esterno, tenendosi in contatto tra loro e con la Città del Sole. Ignorano cosa avrebbero trovato nell’ambiente esterno e come si presenta in questo momento il vecchio mondo che hanno conosciuto solo attraverso vecchi video e fotografie e dai racconti dei genitori o nonni. Nessuno di loro l’ha mai visto di persona. Il muoversi fuori dalla Città del Sole è un salto nel buio. Ignorano quali pericoli avrebbero affrontato.

Alba e Matteo, due giovani di vent’anni di terza generazione, si offrono volontari insieme a un’altra dozzina di coppie per esplorare l’ignoto. Con l’ausilio degli anziani pianificano le aree da esplorare con l’aiuto di vecchie cartografie dell’Istituto Geografico Militare molto dettagliate. Vengono caricate su vecchi tablet a colori che serviranno loro come guida per orientarsi. Dovranno camminare a piedi in assenza di altri mezzi di locomozione. Avranno scorte alimentari per circa dieci giorni. Quindi dovranno regolarsi per il rientro alla Città del Sole. L’unica arma di difesa sarà un alpenstock che servirà loro per aiutarsi a camminare nei sentieri di montagna. Per ripararsi nella notte dovranno arrangiarsi.

Indossate le protezioni e caricati sulle spalle gli zaini Alba e Matteo salutano la comunità e si avviano guidati dal GPS solare verso il mondo esterno.

La luce del giorno acceca i loro occhi abituati a quella artificiale della Città del Sole. Devono schermarsi per abituare la loro vista a qualcosa di insolito. Quello che vedono è molto diverso dai video osservati sotto terra. La natura appare di un verde più intenso e lascia filtrare debolmente delle spire di luce attraverso il fogliame fitto di alberi che non riconoscono. Si muovono con cautela nel sottobosco costituito da piante basse e spinose costellate da fiori dai colori vivaci, quasi violenti. È un mondo tutto nuovo quello che appare ai loro occhi curiosi. Anche i rumori sono delle novità per le loro orecchie abituate ai suoni ovattati e leggeri della Città del Sole. Devono abituare i loro sensi a sensazioni diverse di quelle vissute per vent’anni. Non possono sperimentare il gusto e il tatto per ragioni di sicurezza, né le diversità del mondo che stanno scoprendo.

Dopo dieci giorni ritornano al loro caldo nido. Descrivono un ambiente selvaggio dove è difficile muoversi perché non esistono più sentieri o strade come sono segnate sulle mappe. Hanno rischiato di finire in fondo a burroni perché il terreno è franato a valle. Hanno incontrato animali strani che li hanno osservati come intrusi. Hanno percepito suoni mai ascoltati. Quando le chiome degli alberi si sono diradate per mostrare il cielo, hanno visto figure bianche correre sullo sfondo azzurro, lasciandoli basiti. Ai loro occhi ingenui è apparso un mondo fantastico che hanno faticato a descrivere al loro rientro.

Anche gli altri gruppi hanno parlato di un ambiente che ha superato la loro immaginazione. Tutti hanno concordato che per le prossime esplorazioni bisogna migliorare l’attrezzatura da portare per rendere più comodo il trascorrere della notte e difendersi dai pericoli che si possono incontrare.

Tuttavia la curiosità di esplorare quello che sta fuori la loro Città del Sole è troppo forte per rinunciare a capire se sarà possibile riemergere dal sottosuolo. Così in accordo col resto della comunità Alba e Matteo decidono di eseguire un’escursione molto più lunga nel tempo verso la città più vicina: Bozen.

[fine prima parte]

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Tautogramma in L

Eletta Senso per il gioco del lunedì propone un tautogramma il L.

Lieto libero

libellule di legno,

lancio lucidi

libri.

Lei lacera

labili labirinti di lacca.

Lacrime limpide

si litigano i ladri.

Lady L.

lavora e si lagna.

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Il disertore di Loris Vian

 
da pexels
Dal blog https://chiedoaisassichenomevogliono.wordpress.com/2024/04/24/dissertando prendo e rilancio questo testo In piena facoltà egregio presidente le scrivo la presente che spero leggerà la cartolina qui mi dice terra terra di andare a far la guerra quest’altro Lunedì Ma io non sono qui egregio presidente per ammazzar la gente più o meno come me io non ce l’ho con lei sia detto per inciso ma sento che ho deciso e che diserterò Ho avuto solo guai da quando sono nato e i figli che ho allevato han pianto insieme a me mia mamma e mio papà ormai son sotto terra e a loro della guerra non gliene fregherà Quand’ero in prigionia qualcuno mi ha rubato mia moglie, il mio passato la mia migliore età domani mi alzerò e chiuderò la porta sulla stagione morta e mi incamminerò Vivrò di carità sulle strade di Spagna, di Francia e di Bretagna e a tutti griderò di non partire più e di non obbedire per andare a morire per non importa chi Per cui se servirà del sangue ad ogni costo andate a dare il vostro se vi divertirà e dica pure ai suoi se vengono a cercarmi che possono spararmi io armi non ne ho» (Il disertore, di Boris Vian, trad. G. Calabrese, nell’album di Ivano Fossati Lindberg) bella vigilia del 25 aprile
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15 ottobre 1950

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo articolo che potete leggere anche qui.

La Maharani Gayatri Devi osservava gli alberi del giardino interno nel palazzo di Japur e provava un filo di nostalgia per essere lì e non altrove. Avrebbe desiderato stare a Londra, dove aveva studiato prima del matrimonio con il Maharaja Sawai Man Singh II. Con l’indipendenza dell’India nel 1947 aveva perso lo status regale pur conservando il titolo di principessa.

Era di una bellezza misteriosa come molte delle maharani. Aveva lasciato alle spalle un’infanzia felice trascorsa lontano dall’India. Dapprima a Londra, poi a Losanna. Erano i ricordi londinesi quelli più felici anche se erano lontani nel tempo.

Si domandò se Lord David Mounbatton si ricordava di lei. Erano coetanei, entrambi nati nel 1919 a distanza di pochi giorni. David era nato il 12 maggio e Gayatri il 19 dello stesso mese a Londra. Lei era restata nella capitale inglese fino all’età di dodici anni, prima di ritornare a Cooch Behar nel West Bengal, dove il padre era il principe Jitendra Narayan di Cooch Behar. La madre Indira Raje di Baroda, una principessa della casta Maratha, era innamorata dell’Europa. Ritornò con la figlia quasi subito a Londra, dove la iscrisse in un college esclusivo, il Monkey Club, per avviarla alla professione di segretaria.

Lord David era il figlio cadetto di un Sea Lord inglese, legato alla corona inglese. Si incontrarono al ballo delle debuttanti che tutti gli anni si teneva in febbraio presso il Monkey Club. Gayatri avrebbe compiuto diciott’anni qualche mese più tardi. Ballarono tutta la sera senza stancarsi mai. Parevano una coppia affiatata. Impeccabili nei movimenti, sempre sorridenti con tutti. Lui alto e biondo, lei più bassa e dalla capigliatura corvina. C’era contrasto nei visi: lord David dal pallore chiaro, Gayatri dalla carnagione olivastra. Anche gli occhi erano del tutto diversi. Lui un azzurro ceruleo, lei scuri quasi neri. Però era un gradevole accostamento.

Si frequentarono fino a giugno, quando il padre le ordinò di ritornare senza indugi in India. Si salutarono scambiando la promessa di non perdersi di vista. Gayatri non sapeva che era stato combinato il suo matrimonio con quello che sarebbe diventato, qualche anno più tardi il Maharaja di Japur. Una fastosa cerimonia suggellò le nozze e l’anno successivo divenne la Maharani.

Lei però non aveva dimenticato quel lord inglese alto e biondo dal sorriso dolce, che aveva popolato i suoi sogni di diciottenne. Questo ricordo rimase confinato dentro di lei, anche se ogni tanto riaffiorava il desiderio di conoscere la sua sorte.

Gli anni trascorsero lieti e spensierati, appena lambiti dalla seconda guerra mondiale, che percepiva lontana dai fasti della corte di Japur. Poi arrivò l’indipendenza dell’India e la perdita del suo status regale, senza che questo incidesse minimamente nella sua vita.

Lei era sempre la Maharani, rispettata con deferenza dai suoi concittadini. Continuava a vivere in un’ala del palazzo reale, come se non fosse successo nulla nel 1947.

Il 15 ottobre del 1950 era una giornata soleggiata e calda nonostante fosse la stagione dei monsoni. Gayatri osservava il giardino da una finestra dei suoi appartamenti. In un angolo della stanza stava la dama di compagnia più fidata, che lavorava su un piccolo telaio. Era bassa di statura e coi capelli corvini. La Maharani lo guardò incerta se chiamarla oppure no. Si alzò e si diresse verso la camera da letto.

Da un secretaire aprì un cassettino, nascosto da una ribalta, e prese un sacchetto di pelle. Lo aprì e controllò il contenuto. Erano i gioielli indossati tredici anni prima durante il ballo delle debuttanti. Un collier di diamanti e rubini, un paio di orecchini a goccia, un bracciale d’oro tempestato di rubini e smeraldi. Li ripose nel sacchetto e richiuse il cassetto.

Tornò nella stanza dove Amrisha aveva continuato a lavorare al telaio. L’osservò e rifletté. Aveva saputo che tra quindici giorni un fratello della donna, un cadetto della ‘marine de commerce’, si sarebbe imbarcato su un aereo con destinazione Londra. Qui doveva armare una nave alla fonda a Newcastle upon Tyne in Inghilterra. Di lei poteva fidarsi sia per la discrezione sia per la fedeltà. Sarebbe stato il vettore più sicuro per trasmettere quello che per anni aveva conservato con gelosa segretezza.

Si avvicinò, mentre la ragazza sollevava il viso. Un viso ovale incorniciava due grandi occhi scuri.

«Vieni, Amrisha. Ho bisogno di parlarti» le susssurò con tono autoritario, accennando col capo di sedersi accanto a lei.

«Mi dica, Maharani» rispose con voce deferente.

«Devo trasmettere un cofanetto a Londra in assoluta segretezza. Nessuno deve sapere che proviene da me».

La ragazza strinse le labbra, perché aveva intuito chi doveva trasportarlo.

«Mio fratello, Banshidhar, partirà per Londra il due novembre insieme ad altri suoi compagni. Lui potrebbe portare con sé il suo pacchetto».

«È una persona fidata?» Le domandò, conoscendo già la risposta.

«È la discrezione fatta persona. Sapendo che è lei, Maharani, lo sarà ancora di più» ribattè di slancio con tono sicuro.

«Quando lo vedi?»

«Lo saluterò tra quindici giorni, quando passerà dall’abitazione dei miei genitori a Baroda» rispose abbassando gli occhi.

«Prima che tu parta per Baroda, ti consegnerò il pacchetto e una lettera. Grazie, Amrisha. Puoi tornare alle tue occupazioni» e la congedò.

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Haiku per oggi

Il cofanetto di Puzzone

Oggi è di turno l’haiku che Eletta Senso propone per il gioco del lunedì.

Ecco il mio

Cielo coperto,

pioggia inarrestabile,

vento gelido.

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Crescendo e decrescendo con stile

Questa settimana Eletta Senso ci vuol far crescere ma poi decrescere. Spero di crescere con stile e decrescere con gusto.

da Pexels – Foto di Marc Schulte:

E

Io

Tra

Poco

Lecco

Gelato

Gustoso

Vaniglia,

Kiss bacio.

Cioccolato,

Croccantino,

Cream Caramel,

Stracciatella,

Zuppa inglese,

Fiordilatte,

Pistacchio,

Tartufone,

Nocciola,

Miriadi

Sapori,

Gusti

Sono

Per

Te.

P.

Ecco cosa ho pensato.

da Pexels

Per Luisa

E

Tu

Hai

Pura

Magia,

Mentre

Agitano

Danzanti,

Polverose,

Frenetiche

Piroettanti

Danzatrici.

Ballerini

Andalusi

Ballano

Fluidi

Tempi.

Fila

Per

Me

G.

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