Perché?

Perché?
La domanda
è lì, che affiora
tra le mie labbra.
Non prende consistenza,
ma rimane muta
appesa al filo della memoria.
Si, perché?
I ricordi affiorano
prepotenti e nitidi
dinnanzi agli occhi,
che vedono
lo scorrere senza tempo
della vita.

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Il giorno dopo

Goethe s’aggiustò il mantello ed ad ampie falcate si diresse verso Angelica, che era rimasta lì come pietrificata. Non sapeva se era contenta che lui fosse lì oppure se desiderava non incontrarlo.
“Solo pochi istanti fa ho sperato che lui fosse qui ad aspettarmi, ma ora sono presa dal panico di vederlo! Cosa devo fare? Sono in confusione. No so che cosa fare! Mein Gott! Cosa debbo fare? Helfe mir, du lieber Gott!”
Mentre lei colta dal panico e in stato quasi confusionale era lì incapace di muovere un solo muscolo del corpo, il poeta arrivò e presale una mano la baciò con passione dicendole “Mia cara amica, sono veramente felice di incontrarVi! Oggi è una giornata radiosa per me, vedendoVi così splendida! Avete trascorso una serena notte?”
Tacque per un istante osservando la donna, che aveva gli occhi un po’ smarriti ed appannati dall’ansia.
“Mi dovrete scusare se sono stato così impulsivo senza lasciarVi il tempo di respirare dopo la passeggiata verso il Vostro studio”.
Angelica si riprese e tratto un profondo sospiro rispose cautamente ma con la voce velata dalla passione: “Sono io che sono stata scortese con Voi, perché non ho risposto al Vostro nobile saluto. Non è rispettoso lasciare un ospite così illustre fuori dall’uscio. Venite ed entrate con me. Voi siete il benvenuto in questa casa!”
Prese per mano il poeta e lo condusse su per le scale, dopo avere attraversato il grande portone aperto sulla via.
Lo studio era stato rigovenato e uno splendido sole illuminava la tela appoggiata sul grande cavalletto. La figura della donna, sia pure appena abbozzata, risplendeva sotto i raggi del sole.
Goethe si fermò sulla porta ammirando il quadro incompleto e disse: “Voi siete veramente abile nel ritrattare i volti delle persone. Siete riuscita con pochi tratti di pennello rappresentare la Vostra radiosa bellezza.”
Poi entrò con passo deciso nella stanza, aiutando Angelica a togliersi il mantello che l’avvolgeva e che lasciava visibile il solo viso.
Si sedette sulla poltrona di raso rosso, mentre la pittrice si apprestava a mescolare i colori che avrebbe usato ed a scegliere i pennelli pù adatti al quadro.
Angelica si muoveva con leggerezza come se nessuno fosse lì intento ad osservarla, aveva ripreso il controllo di sé ed era raggiante per il corteggiamento discreto, ma evidente di Goethe.
Aveva 45 anni e aveva il timore che i giovani uomini non la degnassero più con sguardi maliziosi, preferendo le donne più giovani di lei. Sentiva che la passione lentamente svaniva, perché sempre meno il desiderio si faceva strada dentro di lei. Non mancavano i corteggiatori, spesso petulanti ed insistenti, ma erano sempre più anziani, mentre lei preferiva i giovani, che erano sempre più radi.
Ora aveva dinnanzi a lei un giovane uomo, famoso e amante delle belle donne, con cui si accompagnava spesso, ed era lì a corteggiarla, a lusingare la sua vanità di femmina  Sentiva il desiderio che saliva verso il suo viso e aveva la certezza che era ancora invitante.

Si volse verso il poeta, che non staccava lo sguardo dal suo viso, dicendo: “Voi siete molto paziente con me, che ieri sera sono stata fredda. Oggi sarà un giorno diverso e se il Vostro invito a pranzare è ancora valido, sarà per me un vero piacere seguirVi nell’osteria indicata.”
Tacque ed aspettò con ansia che Goethe dicesse qualcosa, mentre il cuore in tumulto batteva a mille per la passione.
Il poeta in silenzio s’alzò e prese fra le braccia Angelica, dopo avere tolto il pennello e la tavolozza dalla sue mani, baciandola con passione.
La donna lasciò fare e rispose con analogo slancio assaporando il lungo bacio, mentre il viso pallido acquistava colore sulle gote.
I due amanti erano in piedi nel centro della stanza e un silenzio carico di tensione aleggiava a mezz’aria. Erano una splendida coppia e sembravano fatti uno per l’altro.
Si staccarono e guardandosi negli occhi scoppiarono in un riso allegro e festoso, mentre Angelica diceva. “Maestro, Voi siete abile anche nell’arte amatoria e sapete come cogliere i fiori della bellezza”.
Goethe di rimando rispose “Voi siete una splendida rosa che matura sotto il sole di Roma! E’ piacevole cogliere così abbaglianti fiori in questo giardino rigoglioso e curato. Io sarò un servo devoto per Voi e se mi farete compagnia, Vi condurrò per mano in quella osteria di cui Vi ho accennato ieri sera”.
La donna, che non aspettava altro che l’invito fosse rinnovato, disse prontamente: “Siete galante e discreto e non posso non accettare una lusinga così ben presentata. Sarà un vero piacere farVi compagnia a pranzo per conversare amabilmente con Voi così abile nell’eloquio. Quando vorrete, io sono pronta”.
Si pulì le mani in uno straccio, si sistemò il vestito, mentre osservava le reazioni di Goethe, che non si aspettava tanta arrendevolezza.
Però la donna gli piaceva e desiderava che diventasse la sua amante segreta.
Dopo aver riflettuto per un attimo disse con un dolce sorriso. “Voi siete la benvenuta al mio fianco e non aspettavo altro che il Vostro consenso. Quindi mettiamo i mantelli e incamminiamoci verso il Tevere, mentre osserviamo lo splendido paesaggio di Roma.”
Indossati i mantelli e richiusa la porta alle loro spalle, si incamminarono uno accanto all’altro verso l’osteria vicino al Tevere, parlando allegramente.
Così iniziò la felicità sognata da entrambi.

(parte quarta)

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L'attesa

Il giorno seguente Goethe si alzò di buon’ora, perché voleva tornare là. Era rimasto colpito dalla delicata bellezza di Angelica e dalla naturale modestia della più famosa pittrice di Roma.
Uscì dalla locanda, dove alloggiava, nei pressi di Castel Sant’Angelo e con passo svelto s’incamminò verso via Sistina.
Le vie erano già animate da molti carrettieri, che portavano le loro merci al mercato, e dovette fare attenzione per non finire sotto le ruote dei loro carri.
La giornata era bella, come poteva esserlo solo a Roma in quel periodo:un cielo terso con qualche nuvola sparsa in qua e in là, un tiepido sole autunnale, l’aria frizzante del mattino.
Si fermò lungo il tragitto ad ammirare qualche vestigia dell’antica Roma, fece qualche schizzo sul blocco che portava sempre con lui.
La camminata gli aveva messo appetito ed allegria, perché tra non molto sarebbe tornato lì, nello studio di Angelica. Sostò ad un angolo per comprare qualche rossa mela da mangiare prima di arrivare in via Sistina.
Ripensava all’incontro di ieri che aveva accesso dentro di lui la passione.
“Lei,” disse a sottovoce “ lei … è una giovane donna attraente e famosa, che è desiderata da tanti uomini ed invisa a tante donne. Lei gradisce la mia compagnia? Lei…” continuava a parlare da solo mentre di tanto in tanto mordeva la mela che aveva in mano, “Lei ha accettato il mio invito perché io sono Goethe o perché le piaccio?”
Parlava ormai ad alta voce e i passanti guardavano quello straniero avvolto nell’ampio mantello e con un capello a falde larghe in testa come se fosse un matto scappato dal manicomio. Non capivano nulla di quello che diceva.
“Sie ist eine junge Dame. Sie ist eine beruehmte und bekannste Malerin ihrer Zeit….” Scuotevano la testa e commentavano in romanesco quello strano individuo.
Goethe continuava come se quei passanti ignoranti fossero dei fantasmi, parlando in tedesco sempre più ad alta voce.
“Mein ist das getraeumtes Glueck. Agelica, wo ist Sie? Warte mir, ich komme frueh!..”
Più parlava, più affrettava il passo, più attirava gli guardi incuriositi della gente per strada.
Angelica, come al solito, indugiava nel letto, dove dormiva ormai da tempo da sola, ripensando all’incontro con il grande poeta.
Lei era famosa e ricercata e non c’era nobile o ricco o prelato che non desiderasse essere ritratto da lei. Molte donne giovane e vecchie venivano al suo lussuoso atelier per essere dipinte sulla tela, provando una sincera invidia verso quella donna non ancora sfiorita dall’età. Aveva innumerevoli corteggiatori tra cui poteva scegliere a suo piacimento, ma ora era sola e Goethe era un bel uomo giovane e famoso.
Quella notte aveva dormito in preda all’agitazione sognando lui, che le era accanto nel letto. Più di una volta aveva allungato una mano sperando di trovare il suo corpo, ma si era svegliata stringendo solo il lenzuolo. La voglia, il desiderio era cresciuto di pari passo con la stanchezza della notte insonne rimpiangendo di avere rimandato al giorno dopo l’invito.
“Perché sono stata così sciocca? Perché non ho accettato l’invito all’osteria? Perché …” si domandava mentre sentiva il leggero fruscio delle lenzuola sulle braccia e sul viso, “Perché ho avuto paura di andare? E se oggi non venisse, come potrei fare? Se non venisse più, perché io l’ho respinto, come potrei richiamarlo vicino a me?”
Quanti perché Angelica ripeteva ad alta voce, quando sentì un bussare discreto alla porta e disse  “Avanti. Vieni pure Maria.”
“Signora, la porta è chiusa a chiave”. Angelica uscì dal caldo abbraccio del cuscino e rabbrividendo apri la porta, lasciando entrare la donna che aveva in mano un vassoio con la colazione. Si avvicinò al tavolino nel centro della stanza posandolo,mentre liberava le finestre dai pesanti tendaggi. Un bel raggio di sole inondò la stanza, costringendo Angelica a chiudere gli occhi, mentre rapida tornava al caldo del letto.
Ormai l’incanto della notte era strappato e a malincuore doveva uscire dalla lenzuola per affrontare la nuova giornata.
Maria l’aiutò ad infilare la pesante vestaglia ricamata colore cremisi, a mettere le pantofole di panno foderate con morbido pelo di agnello, a sistemarsi sulla sedia sul tavolo apparecchiato con la colazione.
Non aveva fame, non provava gioia nel sorseggiare il latte caldo, né il pane dolce sembrava dolce, insomma non c’era nessun piacere nel consumare la colazione. La mente riandava di continuo alla giornata precedente, a quell’incontro tanto stimolante, al timore che lui non venisse nello studio, al pensiero di quello invito non accettato prontamente.
Maria premurosa le chiese se avesse dormito male nella notte senza ricevere risposta. Cominciò a preparare la stanza da bagno accendendo il fuoco nel camino per riscaldare l’ambiente, a portare brocche di acqua calda e fumante per lavare la sua signora.
Era ormai quasi mezzogiorno, quando Angelica si avviò verso lo studio di Via Sistina, che distava pochi passi dalla sua bella casa posta un poco più in alto da dove si poteva osservare quasi tutta la città.
E lo vide avvolto nel suo mantello che camminava avanti e indietro davanti al portone che nascondeva al suo interno l’atelier.
Ebbe un piccolo mancamento e stava per girarsi e tornare sui suoi passi, quando lui la vide.

(parte terza)

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La relazione segreta di Goethe

Uno degli aspetti meno conosciuti al grande pubblico su Wolfang Goethe sono le lettere tra Angelica Kauffmann e il poeta e il rapporto d’amicizia tra i due, durato oltre due anni
Uno studio di Ursula Naumann, uscito in Germania e un bel articolo di Paola Sorge su R2 Cultura del 7 Novembre 2007 ci descrivono le relazioni tra questi due personaggi, che si sono conosciuti a Roma durante il famoso “Viaggio in Italia” di Goethe.
Lei era una famosa pittrice, che operava a Roma nella seconda metà del 700. Di nascita svizzera ma cittadina del mondo, la sua fama internazionale largamente affermata non era dovuta solamente a meriti artistici ma era anche il risultato di una personalità interessante sotto il profilo culturale e sociale.
"Nessuno ha mai indovinato che il mio corpo era intento e teso, nessuno ha mai indovinato il bisogno che provavo di offrire il mio essere, completamente, ad un altro essere". Era lo sfogo di Angelica Kauffmann, ammirata da re, principi, personaggi famosi, che frequentavano il suo atelier a Roma. Era bella, di una bellezza rara tanto da attirare verso di lei tanti uomini, compreso Goethe, quando soggiornò a Roma.
Si era parlato di amicizia tra lo scrittore e la pittrice, ma qualcuno sta insinuando che fosse amore. Lei aveva 45 anni e lui 8 anni di meno, ma lei, come narrano le cronache, era ancora meravigliosamente bella. Gli fece un ritratto, di cui Goethe non fu particolarmente entusiasta.
 

Roma, il 5 Agosto 1788, martedì

Lei dirà ancora una volta dei sogni, ma io so che Lei mi perdonerà. La notte scorsa mi sono sognata che Lei era tornato. La vedevo arrivare da lontano e Le sono corsa incontro sino alla porta di casa, ho afferrato entrambe le sue mani e le ho premute sul mio cuore così forte che mi sono svegliata, me la sono presa con me stessa per avere sentito la mia felicità sognata con troppa violenza tanto da abbreviarmi così il piacere. Ma sono contenta di questa giornata perché oggi ho ricevuto la Sua cara lettera del 19 luglio. Il fatto che Lei nonostante le tante distrazioni, gli affari e gli amici ritorni con lo spirito a Roma, non mi meraviglia,che Lei si ricordi di me è un segno della Sua bontà per la quale Le sono infinitamente grata. Mi rallegra il fatto che Lei stia bene e Le auguro una ininterrotta serie di giorni piacevoli.Io vivo la vita con la speranza di una migliore. Caro amico, quandoci vedremo di nuovo? Vivo sempre tra timore e speranza è purtroppo è più timore che speranza, ma debbo tacere, a che serve lamentarmi. Lei vuole sapere  a cosa sto lavorando. Ho finito le seguenti opere: il ritratto di Lady Harvey, il ritratto del cardinale Rezzonico per il senatore e oggi ho terminato il Virgilio. Sono molto contenta della preparazione in chiaroscuro, il pezzo ha molta forza e i colori sono riusciti molto diafani. Ho lavorato abbastanza e cerco di fare del mio meglio – per fare questo devo immaginare che è domenica e che Lei viene nel mio studio – ah, i bei tempi! La lettera del suo giovane amico mi ha molto rallegrato, mi fa piacere anche sapere che il signor Keiser tornerà e che conoscerò anche il signor Heider. Ma Lei non verrà,questo è il eterno dolore e la mia angoscia. Stia bene e non si dimentichi di me.
La onoro e La adoro con tutto il cuore.
Angelica.

 

Così Angelica scriveva a Wolfang che era Weimar.
Una lettera traboccante di pathos e di amore represso, una delle dodici che si salvarono dalla distruzione dopo che nel 1789 si sono interrotti i contatti epistolari tra loro.

(parte prima)

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Il pettirosso

Il pettirosso

E’ lì
posato lievemente
sul davanzale,
e si guarda intorno.
Quel minuscolo amico
dal pettino rosso
è tornato
per mendicare
qualche briciola di pane.
Aspettavo
con ansia
il suo ritorno
che annuncia
l’inverno imminente.

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Serata magica

E’ una sera magica,
in cielo brilla la luna,
le stelle danzano
intorno al carro.
Tu vaghi
nelle tenebre
alla ricerca
del perduto amore.

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Vola libera

Apri le ali,
spicca il volo.
Librati nel cielo azzurro
di questa estate calda.
Sei forte,
sei dolce
e alla fine
arriverà!
E potrai posarti
serena
sul tuo nuovo ramo.

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La memoria

Nella fresca mattina di settembre
relitti fumanti
affiorano
dalla memoria,
come frammenti
del passato.
Nella nebbia del mattino
si ricompongono
lentamente
come mosaico della vita.
Sono lì,
vividi e lucidi
che aspettano
un nome.

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La tempesta

Nuvolaglia nera,
vento impetuoso e freddo,
le gocce di pioggia
grosse e violente
s’infrangono
con fragore sul tetto,
sulla strada,
sul mio capo.
Un ribollire di suoni,
come musica cacofonica,
si sparge intorno.
Poi tutto tace,
non si ode più nulla,
la tempesta è finita?
Un timido sole s’affaccia
e appare alla vista.
Il cielo si sgombra,
è pulito, è vestito a festa.

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