Il Poeta al passato remoto
La nave va retrograda nella corrente
Le Muse si disposero come il giorno precedente. Calliope stava in silenzio sull’angolo destro della scrivania con fare incerto tra la soddisfazione dello snodarsi del racconto e il mantenere il viso severo. Erato con la lira abbandonata ai suoi piedi era immobile come una sfinge nell’angolo sinistro del sottocoperta, ma non era soddisfatta della giornata trascorsa. Euterpe suonava dolcemente il flauto, ingannando l’attesa e rallegrando il Poeta.
Erato desiderava più afflato amoroso nel racconto, perché si sentiva trascurata. Però per il Poeta questo era buffo, perché stava scavando dentro di sé con i sentimenti e le emozioni che affioravano come le sorgenti di un fiume. Però volle accontentarla.
Abbandonò i ricordi più vicini per lanciarsi nel mare della gioventù, quando frequentava il Liceo.
“Cosa ricordare?” si domandò inquieto, ripensando all’incontro con Marinella di qualche giorno fa del tutto fortuito ed inaspettato.
Per qualche giorno non aveva ricordato quel colloquio, che gli aveva fatto piacere e riaffiorare tanti ricordi, preso com’era dalla sistemazione della nuova casa.
Poi una sera in un angolo della scrivania ricolma di libri, oggetti e cartacce, che lasciavano un minuscolo spazio per il Poeta, trovò sepolto sotto fogli ed appunti un quaderno dalla copertina rossa, mentre nella mente cominciarono a frullare mille ricordi.
Era il quaderno delle poesie scritte tanti anni fa, quando il Poeta sperava di oscurare la fama del poeta prediletto: Leopardi.
Lui si fermò un attimo a guardare Erato, che aveva ripreso la lira in mano per accompagnare la lettura dei fogli ingialliti ricoperti dalla grafia ordinata e precisa di Lui.
Non era ancora venuto il momento di aprire il quaderno, perché era indeciso tra quali ricordi doveva cercare.
Lì c’erano i primi amori, le prime delusioni, i molti rimpianti, ma c’era una parte di sé che aveva sepolto per non ricordare, perché ora esisteva solo Lei.
Il primo pensiero fu per … non ricordava il nome delle due sorelle che aveva frequentato in un estate lunga ed assolata per poi sparire nel vortice dell’oblio. Si stava sforzando a richiamare alla memoria quel nome perso nei meandri del silenzio. A poco a poco riaffiorò dal buio dove era stato riposto la parola cercata: Pinca.
”Come si chiamavano?”, disse tra sé facendo uno sforzo per ripescare dal fondo del mare il nome, ”Una si chiamava Maria Elena. No, solo Elena, era la più grande e mi piaceva, ma io non piacevo a lei. Aveva la mia età. Ora sarà come me. Chissà dove sarà adesso? Si sarà sposata? Avrà avuto dei figli? Chissà!”
Il viso era indefinito, sfumato nei contorni senza occhi e bocca. Nemmeno era bella, almeno così gli sembrava ora, tanto da domandarsi cosa gli piaceva di lei.
Dai fogli ingialliti scaturì la poesia, che le aveva dedicato
Tu assomigli al mare
quando il vento con infinita tenerezza
ne agita la calma distesa verde
e accarezza delicatamente
la sua superficie lievemente increspata,
quasi temendo di fare del male.
(tratta da “Poesie di marzo” )
che incontrò il muto plauso di Erato.
Era la sorella che ricordava visivamente, ma non il nome. Ancora sforzi fece per estrarre dal nero pozzo dei ricordi quel nome, finché chiusi gli occhi non apparve nitido di fronte a sé “Doriana”. Non era bella anzi molto meno bella di Elena, era molto giovane, forse tredici o quattordici anni, quando in quell’estate magica la conobbe. Era magra con il naso che non era dei migliori. Aveva un bel caratterino deciso e volitivo, testarda e tenace.
A Doriana piaceva il Poeta che ricambiava senza troppi entusiasmi. Si punzecchiavano e più che due innamorati sembravano cane e gatto perché era sempre pronti a baruffare.
Pian piano nella mente si ricomponevano le immagini di quella estate: la loro casa, le feste che si tenevano sulla grande terrazza illuminta per lo più dalla luna, le passeggiate nel buio dell’enorme giardino tenendosi per mano, i primi baci furtivi.
Risuonavano nella mente le dolci note dei dei vinili a 45 giri cantate da Neil Sedaka, Paul Anka e The Platters o i ritmi indiavolati dei primi rock o delle cadenze caraibiche.
Quanti ricordi! Un autentico fiume stava sommergendo il Poeta, che a stento riusciva a tenere in linea di galleggiamento la nave, mentre Le Muse lo osservavano curiose di conoscere quello che aveva da narrare.
Erano state le prime esperienze d’amore per entrambi, i primi baci strappati di nascosto, anche se era certo che i genitori li osservano non visti e in un certo senso contenti perché metteva le briglie al puledrino inquieto di Doriana.
Però il Poeta si sentiva attratto verso Elena, sorniona e tranquilla, che aveva occhi solo per un ragazzo più vecchio di loro, e soffriva.
Nelle orecchie di Lui risuonavano “Oh! Carol” di Neil Sedaka, che ballava stretto stretto nella terrazza debolmente illuminata da una piccola lampada in un angolo. Non era mai stato un gran ballerino: non sentiva il tempo ed era scoordinato nei movimenti. Si era sempre sentito fuori dal suo elemento durante le feste domenicali, perché era ben conscio che le ragazze erano atterrite quando Lui le invitava.
Quali sensazioni stava provando mentre riascoltava ‘Diana’ o ‘The great pretender’, che aveva trovato su vecchie cassette, retaggio di un tempo che non c’è più. Il brivido maggiore l’aveva avuto quando aveva sentito il mitico Paul Anka cantare la canzone che cominciava così “You are my destiny, you are …”.
Non minore era stata l’emozione nell’udire il ritmo indiavolato di “Speedy Gonzales” che era cantata da … Un vuoto era nella memoria, perché non ricordava il nome del cantante. Un attimo di panico prese il Poeta per quella amnesia, poi la frenetica ricerca per rintracciare il nome: Pat Boone, il bello degli anni sessanta.
Si rilassò e riprese a vagabondare coi ricordi di quei giorni e le poesie dedicate a Doriana.
Tu sei selvaggia e spinosa,
tu sei indomita e fiera:
non t’appassire ora,
perché bella è per te la vita ora.
Fiore di serra incolto,
fiore di campo disadorno
rifiorisci alla dolce aria
della fresca e odorosa primavera.
(tratta da “Poesie di marzo” )
Erato annuiva mentre pizzicava la lira, ascoltando la poesia con la quale iniziava il quaderno rosso.
Passarono tutta l’estate insieme tra piccole feste e passeggiate romantiche nella via alberata, tenendosi per mano.
Il Poeta era stato sempre romantico, gli piaceva sussurrare parole dolci, che sgorgavano dal cuore, ma era difficile che dicesse ‘Ti amo’. Si sentiva impacciato come nel ballo, perché gli sembrava retorica.
Così si affidava ad un fiore, ad un complimento, allo sfiorare con delicatezza il viso, a guardarla negli occhi per trasmettere quel messaggio ‘Ti amo’.
Scrisse poesie senza mai dirlo in incognito. Aveva degli strani pudori, era per certi atteggiamenti timido ed impacciato.
Poi con l’autunno cominciarono a calare le prime nebbie sul loro rapporto e si persero di vista.
Di Doriana restarono solo le poesie e qualche brandello di ricordi sbiaditi dal tempo, che il Poeta aveva riposto in un qualche angolo della mente senza troppi rimpianti.
Un’altra giornata volgeva al termine col sole declinante sull’orizzonte, tingendo di rosso l’oceano che scorreva retrogrado.
(altro frammento da Il Poeta e il Clandestino)
Ultramarine
Ultramarine
Vola leggera
la mente
come la piuma
sospinta dal vento.
Ora sale,
ora scende,
come le emozioni
dentro di me
nel vedere te.
Impalpabile ed eterea
appare
in lontananza
il blu oltremare
dell’ignota meta,
il cui approdo
sembra lontano.
Tuona
On the road
Senza titolo
“Non passava giorno che lo scoiattolo se ne andasse in giro. Al mattino si lasciava cadere sul muschio giù dal faggio, oppure, a volte, dalla punta di un ramo finiva nello stagno proprio sul dorso di una libellula, che poi senza fiatare lo portava sull’altra riva. Prendeva sempre la prima strada che gli si parava davanti. Ma se poi gli capitava un viottolo laterale lo imboccava, e se gli riusciva di scordarsi dei progetti che aveva per la giornata, se li scordava. Così un giorno stava andando dall’elefante, che traslocava e aveva bisogno di aiuto, quand’ecco che vide un sentiero sabbioso tutto pieno di curve. Lo prese. C’era un cartello che diceva: STRADA VERSO IL LIMITE. E’ lì che voglio andare!, pensò lo scoiattolo. Ma con grande dispiacere incontrò subito un’altra deviazione…”
Laura rileggeva l’inizio della fiaba, che aveva scritto tanti anni fa, quando aveva appena sedici anni, almeno così risultava dalla data in fondo ai fogli.
Era una mattina fredda, ma soleggiata di Marzo, quando salì nel sottotetto alla ricerca del vestito rosso dismesso alcuni anni prima. Non sapeva nemmeno lei perché aveva intrapreso quella ricerca tanto stramba quanto insolita.
Aveva trovato una fotografia di gruppo dove indossava quel vestito e disse: “Accidenti! Stavo veramente bene con quel vestito rosso. Ero la più bella tra le mie amiche e poi c’era anche Marco! Chissà dove l’ho cacciato!”
Era una fotografia dei tempi dell’università, quando formavano un bel gruppo affiatato: erano sempre insieme, spensierati ed allegri.
La vista di Marco, del vestito rosso riaccese dentro di lei un fuoco mai spento, che covava da mesi sotto le ceneri, così che decise di intraprenderne la ricerca.
Rovistando nei cassetti di un vecchio cassettone dismesso molti anni, aveva trovato dei fogli un po’ ingialliti, stropicciati e scritti a mano, di cui aveva perso la memoria. Si fermò a leggerli, mentre ritornava l’adolescente che sperava di diventare un giorno una famosa scrittrice.
Aveva sognato di scrivere romanzi, racconti e fiabe di successo, emula di J.K. Rowling oppure famosa come Virginia Woolf. Insomma c’era in lei l’illusione di ottenere denaro e fama scrivendo, ma ben presto abbandonò ogni velleità letteraria, perché aveva capito che non era la strada giusta o forse non ne aveva le capacità. Chiuse tutti gli scritti in una cartellina gialla a copertina rigida chiusa con una clip mandandoli in soffitta come i sogni di adolescente.
Dopo il ritrovamento di quei fogli la sua mente cominciò a divagare ed a ripercorrere gli ultimi sette mesi. Pensò con amarezza a Marco, al suo “ADDIO” tanto angosciante quanto misterioso ed incomprensibile, al lavoro che le stava dando molte soddisfazioni, alla corte assidua ma discreta di Paolo, all’amica Sofia, che aveva trovato l’amore in maniera casuale, alla vita di tutti i giorni vuota senza amore.
Marco era stato il suo ragazzo durante gli anni di università, ma poi lui un brutto giorno le disse senza lasciarle scampo: “Laura, tu sei una cara ragazza con cui sono stato bene in tutti questi anni, ma il tempo ha spento il fuoco dentro di me e non voglio ingannarti. Ormai siamo adulti, ci siamo laureati con ottime votazioni, stiamo cercando lavoro per dare un senso al nostro futuro, ma le nostre strade si devono per forza separare. Sono certo che troverai il ragazzo che cerchi e con cui potrai condividere gioie e dolori della tua vita. Quello non potrò essere io! Mi sembra giunto il momento di dirci addio ed augurarci tutto il bene del mondo”.
A Laura sembrò che il mondo le fosse caduto addosso, rimase in silenzio e non riusciva nemmeno a piangere.
Stava per aprire bocca per dire qualcosa, quando Marco le pose un dito sulla bocca: “Non dire nulla. Non serve. Diciamoci solo ADDIO e poi ognuno vada per la sua strada”.
Detto questo si voltò allontanandosi senza aggiungere niente di altro, mentre lei era rimasta lì muta e pietrificata.
Quanto tempo rimase su quella panchina all’ombra del grande cedro del Libano, che aveva visto ed ascoltato tante storie come questa?
Laura non ricordava, ma le sembrava che fosse passato un secolo tanto aveva indugiato lì incapace di dare un senso compiuto ai pensieri e alle azioni.
Tornata a casa, aprì l’armadio e tolse il vestito rosso, che conservava come ricordo del primo bacio con Marco, quando quattro anni prima aveva dichiarato con solennità ed dolcezza: “Laura, ti amo!”
Lo impacchettò, ripiegandolo con cura, e lo mise in una custodia trasparente. Salì nel sottotetto e lo nascose accuratamente, perché le ricordava troppo l’amore per lui.
Del vestito rosso se ne dimenticò in fretta, ma Marco era sempre lì presente di giorno e di notte nei suoi pensieri, nei suoi sogni, che assomigliavano più ad incubi che a visioni oniriche.
Non riusciva a darsi pace, né a capacitarsi del perché Marco le avesse detto ‘addio’. Tutto sembrava filare liscio, senza intoppi, né litigi o motivi di attrito. A lei sembrò che fosse scoppiato in temporale senza che nessuno avviso fosse piovuto dal cielo, tutto all’improvviso, gettandola nello sconforto.
Per diversi giorni non volle vedere nessuno, nemmeno Sofia, la più cara amica, la confidente a cui affidava tutti i segreti più riposti, si negava al telefono e non rispondeva né agli SMS né ai messaggi di posta. Insomma sembrava sparita dalla terra, inghiottita da un buco nero con grande disperazione dei genitori, che cercavano di consolarla e sostenerla psicologicamente.
Poi lentamente uscì dal limbo in cui era precipitata, una caduta senza paracadute e senza fine, riprendendo a vivere e mangiare. Rispose finalmente al telefono: era Sofia preoccupata per il lungo silenzio, anche se sapeva il perché.
“Laura! Finalmente! Sei uscita dal letargo?” disse tutto d’un fiato e, senza darle modo di rispondere, riprese: “Stasera sei a casa mia! Niente se, niente ma! Ho preparato una cenetta solo per noi due e poi rimani a dormire da me! Hai capito? Ci sei ancora?”
“Sofia, “ riuscì a dire prima di scoppiare in un pianto a dirotto.
“Laura! Non piangere! Non riesco a sentire quello che mi vuoi dire! Inoltre non sopporto le donne che piangono per niente! Allora alle sei sono a casa tua e fatti trovare pronta! Sai che non tollero aspettare! Ciao e a dopo”.
La comunicazione si interruppe bruscamente mentre Laura con il telefono in mano e grossi lacrimoni che le rigavano il viso era ancora inebetita e sconvolta.
Si riscosse, guardò l’ora e trasalì. Erano già le cinque passate e se voleva essere puntuale aveva pochissimo tempo a disposizione. Doveva sbrigarsi perché sapeva che Sofia avrebbe fatto una sfuriata delle sue, se non era già sull’uscio alle sei in punto.
Depose la cornetta e si precipitò nella sua camera per cercare qualcosa di carino da indossare per la serata e per preparare una borsa con gli indumenti per la notte e quanto poteva servirle a casa di Sofia.
Quella telefonata l’aveva fatta rinascere e non voleva sprecare l’occasione per dimenticare tutti i dolori accumulati nell’anima in quei giorni.
Quel pianto era stato proprio liberatorio.
(Capitolo iniziale del racconto "Non passava giorno .." )-
Profumo di fieno
Vista dall'oblò
Il Poeta rimase un po’ di tempo sottocoperta, anche dopo la partenza delle tre Muse. Aveva necessità di raccogliere le idee sparse tra la nave che andava seguendo il filo dei pensieri e l’etereo web, che virtualmente lo immaginava come un orso bianco di aspetto e candido di pelo.
Si domandava incerto e dubbioso se la sua vita virtuale doveva cessare con l’eutanasia del suo blog oppure no. L’eutanasia – letteralmente buona morte (dal greco ευθανασία, composta da ευ-, bene e θανατος, morte) – era la pratica che consisteva nel procurare la morte nel modo più indolore, rapido e incruento possibile a un essere umano ipotetico, che desiderava sparire dal web e dal mondo non reale del blog.
“Perché?” si domandava Lui “Perché devo rimanere blog? E se rimango, quale gioia ne trarrò?”
Domande e risposte, che evocavano altre domande, frullavano nella testa del Poeta, che per oltre un anno aveva allevato il proprio avatar, mentre lo guidava tra i meandri ora stretti ora larghi del mondo immaginario di Internet.
Era un bel rompicapo, perché lì aveva conosciuto altri fantasmi come lui desiderosi di parlare, di scrivere, di immaginare mondi e persone che prendono forme e sembianze fantasiose e reali.
Tutto questo accendeva la fantasia del Poeta mentre veniva stimolata la vena poetica per emulazione e raffronto con tanti altri.
Lui poteva lasciare libera la mente di vagare senza mete precise e di cullarsi nei suoi pensieri, ora che la severa Calliope se ne era andata.
Non si sentiva libero di esprimersi come avrebbe voluto, perché lo spirito della Musa aleggiava minaccioso sottocoperta. Si aggirò come animale in gabbia osservando lo spettacolo visto dall’oblò. Cosa vedeva di tanto interessante? Spruzzi di acqua salata simili a lacrime che copiose rigavano il viso, squarci di vita che avevano visto lui come protagonista, gli amori giovanili dei quali aveva scordato il viso.
Era un caleidoscopio di ricordi che si componevano colorati davanti agli occhi della mente, per poi sparire un istante dopo e ricomparire in altre forme.
Il poeta doveva mettere ordine ai pensieri che fluttuavano liberi per la stanza per essere pronto domani a riprendere il filo del discorso interrotto dalla pausa notturna. Quale argomento doveva trattare, quando le Muse si sarebbero presentate dalla scala che attraverso il boccaporto conduceva sottocoperta.
Doveva parlare del presente o del passato prossimo remoto? “Bella domanda!” si disse Lui pensando alla risposta che sicuramente gli avrebbero chiesto. “La risposta è incerta” proseguì Lui nel dialogo immaginario con Calliope, che reggeva sempre il libro che stava scrivendo.