Continental OP

Leggendo “Leggere Lolita a Teheran” di Nazar Nafisi mi sono imbattuto in questa raccolta di gialli polizieschi che è stata esaminata e valutata dalla scrittrice e le sue allieve. Mosso da curiosità l’ho comprato, perché di Dashiell Hammett avevo letto molti anni fa “Il falcone maltese“, che fu portato sul grande schermo con la superba interpretazione di Humphrey Bogart nel ruolo del detective Sam Spade.

In questi giorni ho finito di leggere Contintal OP volume 1 di Dashiell Hammett, una voluminosa raccolta dei racconti scritti per la rivista Black Mask tra 1923 e 1930. Sono ventotto racconti più una storia incompleta. “Black Mask” è stato all’epoca il faro delle riviste pulp e Hammett lo scrittore che ha ispirato le prime storie “hard-boiled”.

Forse come autore è meno famoso di Raymond Chandler e del suo detective Philip Marlowe, che è comunemente associato a questa tipologia di romanzi polizieschi.

Un piccolo inciso per spiegare i due termini hard-boiled e pulp. Hard-boiled, intraducibile in italiano, è la storia di un detective che bada al sodo, che lavora da solo e con mezzi non convenzionali. Pulp sono quelle riviste che pubblicano i racconti hard-boiled.

Adesso parliamo di questa raccolta, piuttosto corposa.

OP è un agente dell’agenzia Continental, senza volto e senza nome, personaggio cinico e stanco, ma non disumano né del tutto invulnerabile. Si basa sulle esperienze personali nell’agenzia Pinkerton dello stesso scrittore. Un detective completamente diverso da quelli che eseguono le indagini secondo le tecniche deduttive, come Philo Vance di Van Dine oppure Ellery Queen dell’omonimo autore.

OP può sembrare a un lettore del ventiduesimo secolo un personaggio fuori dalla realtà. Invece rappresenta una persona reale con tutte le ambiguità morali tipiche del periodo in cui sono ambientate le storie. Può apparire strano che OP indichi la strategia alla polizia, patteggi con i criminali le condanne o le fughe. Insomma sembra sostituirsi al giudice o al poliziotto. Però tutto questo descrive la realtà degli anni venti del secolo scorso. Il grande pregio di questa raccolta è la scrittura semplice ma efficace di Hammett che senza troppi fronzoli narra le sue storie, complice anche il limite imposto dalla rivista Black Mask. Leggendo i vari racconti il lettore si immerge nell’atmosfera del periodo, vede i personaggi e gli ambienti descritti con puntiglio così da essere l’ombra di OP.

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La bambina senza nome – parte settima

Prosegue la storia Di Lorenzo e della bambina raccolta per strada. La trovate su Caffè Letterario e anche qui.

Copertina Daniele

Secondo Samuele l’edificio, che ospitava la trattoria, era del quindicesimo secolo quando Monteacuto delle Alpi era un importante snodo di passaggio tra Bologna e Pistoia.

Per Lorenzo invece era più recente e avrebbe avuto circa trecento anni. Duecento in meno. «Una bella età comunque» dichiarava, «e li porta bene!» E non aveva cambiato idea nemmeno quando durante i lavori di ristrutturazione erano state trovate tracce di un incendio nella parte superiore del sottotetto.

Samuele un paio di anni dopo aver preso la residenza decise che era venuto il momento di rendere l’edificio più moderno e sicuro. Chiese l’aiuto di Lorenzo, che era tornato da Milano piuttosto ammosciato, per ristrutturare l’intero complesso formato da un corpo principale e una struttura secondaria accostata sul retro.

L’edificio di forma rettangolare con il lato più lungo si affacciava davanti su un ampio spazio suddiviso in due parti: una tenuta a prato e l’altra a parcheggio per i clienti della trattoria. Sul retro stava addossata una struttura più bassa che sembrava più vecchia del corpo principale. Lorenzo ipotizzò che fosse il nucleo originale della struttura, dove i viandanti diretti a Pistoia potevano sostare con le loro cavalcature. Le due ampie rimesse assomigliavano molto a scuderie, mentre sopra stavano delle stanze che il nonno Checco aveva strutturato in appartamento per Eleni e sua figlia. Dopo questo intervento la parte superiore aveva perso la struttura originale.

Visto che Beatrix avrebbe traslocato da Samuele, decisero di trasformarlo in un bed and breakfast, mentre una delle due rimesse era diventata un mini appartamento per aumentare la capienza e valorizzare l’intero complesso.

Come in tutte le vecchie dimore, la soffitta era il posto dove dormiva la servitù. La vecchia scala ripida e scomoda venne sostituita con una più comoda a chiocciola. La soffitta venne suddivisa in due parti. Una avrebbe funto da ripostiglio e l’altra parte sarebbe stata destinata a Lorenzo.

Arrivati nel sottotetto c’era un disimpegno disadorno, che prendeva luce da una piccola finestra a lato. Qui si aprivano due porte. Quella di destra conduceva al minuscolo appartamento occupato da Lorenzo, mentre sulla sinistra si accedeva al ripostiglio vero e proprio.

Lorenzo entrò con la ragazza in una stanza che fungeva da salotto o angolo relax. Una vecchia ottomana di cotone color écru a disegni floreali era addossata alla parete con un tavolino rotondo di ciliegio alla sua sinistra. A sinistra una minuscola libreria in legno laccato nero e sulla destra un mobile basso in radica. A completare l’arredo un tavolino con sopra un televisore. Era mobilio restaurato, in parte recuperato dal vecchio sottotetto. Due velux filtravano la luce per illuminare la stanza.

Lorenzo proseguì nella seconda stanza, arredata in modo minimale. Un letto matrimoniale in ferro battuto con testiere laccate a simboli floreali. Un comodino col piano di marmo accanto. Un armadio di ciliegio verde chiaro e una cassettiera bassa completavano gli arredi. Tre minuscole finestre e due velux la rendevano luminosa.

La ragazza lo seguiva docile. Si lasciò condurre nel bagno, dotato di una vasca con seduta e di una comoda doccia oltre agli altri sanitari. L’ambiente era abbastanza spazioso e un velux consentiva di arearlo e dare luce.

Lorenzo rimuginava che doveva dare un nome a questa fanciulla. «Visto che non vuoi dirmi come ti chiami. Per me e per gli altri sarai Esmeralda. Dunque ti chiamerò Esme per semplificare il nome».

Per un attimo lei sollevò il viso e lo guardò negli occhi come per confermare che avrebbe risposto a questo nome.

Da un armadietto bianco estrasse due teli da bagno e un paio di salviette, un guanto di juta grezza e due ciabatte di spugna.

Aperto il rubinetto dell’acqua calda riempì la vasca. La saggiò con un gomito come si fa per i bambini, vi versò senza economie dei sali profumati e invitò Esme a togliersi il sacco che indossava da quando l’aveva raccolta alla Fonte Vecchia.

Lei rimase immobile nel centro del bagno. Lorenzo sbuffò innervosito e mormorò «Fa resistenza passiva».

Stizzito afferrò dal basso il sacco e con un colpo deciso glielo tolse. Lei rimase nuda come aveva ipotizzato ma senza dare segni d’imbarazzo. Lorenzo distolse lo sguardo da quelle nudità, anche perché nel basso ventre appariva una leggera peluria nera e il seno era appena pronunciato. Con l’indice dalla mano la invitò a entrare nella vasca che emanava un impercettibile vapore profumato alle rose.

Non dovette forzarla perché di sua spontanea volontà si immerse nell’acqua, che al contatto col suo corpo si intorbidì subito.

Adesso veniva la parte più imbarazzante: sfregare con vigore il sapone sulla sua pelle compresi i genitali e il seno. Era la prima volta che lo faceva con una donna e si percepiva il suo disagio nell’adempiere a questa azione.

Un tocco delicato sulla spalla lo fece voltare. Un sorriso gli spianò le rughe dalla fronte. Aveva di fronte Bea sorridente e ironica. Le lasciò sollevato il guanto insaponato senza troppo dispiacere.

Seduto pensoso sull’ottomana Lorenzo, sorreggeva la testa sul palmo della mano appoggiata sulla sponda. Non sentiva nulla, il tempo volava e lui tremò per Bea. “Quella ragazza sembra diabolica e per nulla umana” e ricordò l’esclamazione di Otello. Abbassò leggermente le palpebre corrugando la fronte.

Quando comparve Esme avvolta in un telo bianco che lasciava scoperte due gambe snelle e slanciate e la parte superiore del petto, si raddrizzò. Un turbante azzurro avvolgeva la testa, mettendo in risalto gli occhi gialli che splendevano come oro zecchino.

Con lo sguardo la fissò come non era mai accaduto da quando l’aveva raccolta. Lorenzo sobbalzò a quella vista, ma si ricompose avvertendo fastidio per le occhiate insistenti che Esme gli lanciava.

Aspettò impaziente che comparisse Bea che tardava a mostrarsi. “Che le sia capitato qualcosa di spiacevole?”

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La bambina senza nome – parte sesta

Copertina Daniele

Su Caffè Letterario è stata pubblicata da poco la sesta parte del racconto La bambina senza nome.

Per i pigri la ripubblico anche qui.

Buona lettura.

Samuele e Lorenzo avevano la stessa età: trentasei anni e si conoscevano da trenta. Avevano percorso insieme l’intero iter scolastico dalle elementari alla laurea, che conseguirono lo stesso giorno. Poi le loro strade si erano divise. Samuele era salito in montagna, Lorenzo aveva tentato la fortuna a Milano senza molto successo. Però anni dopo si sono di nuovo incrociate.

Checco, il nonno di Samuele, aveva gestito fino al 2006 la trattoria. Era frequentata d’estate dai turisti di Corno alle Scale e d’inverno dai pochi abitanti del borgo. In quel periodo era diversa dallo stato attuale. Giù alla buona con arredi rustici, che necessitavano di essere sistemati, e coi muri perimetrali scrostati, che mostravano mattoni rossi e blocchi di pietra anneriti dal tempo. Nel dicembre del 1991 Checco aveva accolto una profuga, Eleni, e sua figlia, Benkhuse, in fuga dall’Albania come altri sventurati sbarcati a Bari dal mercantile Vlora. Il nonno era rimasto vedovo l’anno precedente e l’arrivo di questa donna era stato per lui provvidenziale. Oltre a essere una bravissima cuoca Eleni gli aveva scaldato il letto per oltre quindici anni, finché non era passato a miglior vita.

Alla sua morte Samuele non aveva avuto nessuna intenzione di subentrargli nella gestione della trattoria, né aveva pensato di cederla. Con Lorenzo aveva progettato dopo il conseguimento della laurea in Ingegneria di andare a Londra e girare il mondo. Affidò a Eleni la guida della Trattoria del Duca, lasciandole mano libera sia nella conduzione del locale sia nella gestione dello stabile senza pretendere un centesimo ricavato dai proventi. Eleni affittò in estate e in inverno il suo appartamento, nella parte posteriore dell’edificio, a famiglie per le vacanze estive o invernali. Per circa cinque anni lei aveva guidato con abile mano la trattoria, fino a quando una brevissima malattia non l’aveva ricongiunta a Checco. Samuele, nonostante la fresca laurea in ingegneria e i grandi progetti per sfruttarla, scelse di salire a Monteacuto delle Alpi per prendere possesso dell’eredità, iniziando la sua attività di oste.

Di fianco al bancone della sala c’erano due porte su cui si notava in quella di sinistra una mano, che intimava l’alt e proibiva l’ingresso, e nell’altra i disegni stilizzati di un uomo e una donna. La prima portava nell’appartamento privato di Samuele, la seconda era quella dei servizi.

Lorenzo, tenendo per mano la bambina, anzi la ragazza, aprì la porta di sinistra e si trovò immerso nella penombra. A tentoni cercò l’interruttore della luce. Conosceva quella parte dell’edificio, perché spesso ne era stato ospite. Anzi nella zona di mansarda aveva un paio di stanze tutte per lui.

A passo spedito si avviò per la scala in mattoni che portava al primo piano. La foto del nonno di Samuele campeggiava, appesa al muro. Un viso dall’aspetto bonario e sorridente con due baffoni alla Francesco Giuseppe.

Nel corridoio, che conduceva alla scala per salire in mansarda, Lorenzo incontrò Bea, come chiamava la moglie di Samuele, e l’abbracciò con calore.

Lei era la figlia di Eleni, che Checco aveva accolta quando aveva due anni con l’arrivo della madre. Per lui era una figlia adottiva e come tale l’aveva sempre trattata. La chiamò Beatrix, perché il suo nome per lui era impronunciabile.

Lorenzo ricordò di averla vista la prima volta ai funerali di Checco. L’aveva notata accanto a una donna vestita di nero con un fazzoletto che le fasciava la testa come molte mussulmane. Lui stava dietro l’amico ma quella ragazza, a cui non dava più di quindici o sedici anni, ogni tanto si girava verso di loro. Ignorava chi fosse e per quali motivi si trovava lì.

Lorenzo era stato curioso di scoprire chi fosse. Samuele non gli aveva mai confidato che ci fosse anche una ragazza nella casa del nonno. Aveva sentito accennare alla presenza di una donna albanese e basta. Al termine della funzione la curiosità aveva avuto il sopravento e si era informato chi fosse quella fanciulla dai capelli lunghi e neri che incorniciavano un viso ovale con un incarnato leggermente abbronzato. Samuele gli aveva spiegato che era la figlia della compagna di Checco e l’aveva conosciuta una dozzina di anni prima, quando passava le vacanze estive qui a Monteacuto delle Alpi da bambino. Si chiamava Beatrix e aveva quattro anni di meno di loro. Durante i suoi soggiorni l’aveva ritenuta troppo infantile e piccola per giocare con lei e quindi l’aveva ignorata. Poi a quattordici anni aveva smesso di venire dal nonno e l’aveva persa di vista. Era stato il testimone di nozze di Bea e Samuele. Aveva presente il suo viso radioso e come fosse una bellissima coppia. Lui alto un metro e novanta e lei poco più bassa. Un metro e settantacinque. Quella era stata la seconda occasione per vederla. Poi le opportunità d’incontrarla divennero più numerose, perché Samuele si faceva aiutare da lui per qualche piccolo o grande guaio o per sfruttare la professione di Lorenzo.

Lui guardò Bea che sembrava non invecchiare mai. La pelle del viso liscia. Solo qualche impercettibile ruga sulla fronte. Però erano quegli occhi misti marrone e verdi che l’avevano affascinato allora come adesso.

Bea arricciò il suo naso dritto e guardò con un misto di disgusto chi stava accanto a Lorenzo.

«Chi è?»

La domanda non lo colse di sorpresa. Ricordava l’accoglienza ricevuta nella sala e i commenti acidi. L’odore che la fanciulla emanava non era un olezzo di pulito e il sacco che la infagottava non aiutava a vederla di buon occhio.

«L’ho raccolta alla Fonte Vecchia che camminava sulla provinciale» spiegò con un sorriso forzato. «Ha bisogno di fare una bella vasca per provare i vestiti che ho comprato» e alzò le due borse che aveva posato per terra, quando l’aveva abbracciata.

La ragazza teneva lo sguardo rivolto verso terra in silenzio.

Bea fece un passo avanti e con la sinistra tentò invano di sollevare il viso. «E chi la dovrebbe lavare?» Chiese con un tono caustico a indicare la sua indisponibilità.

Il sorriso morì sulle labbra di Lorenzo al pensiero che fosse lui a occuparsene. Aveva sperato che come donna fosse disposta a farle il bagno. Lui si sentiva imbarazzato a doverle strofinare il corpo. Non l’aveva mai fatto a una donna e neppure a una adolescente.

«Ma almeno sai come si chiama, da dove viene?» Incalzò con tono inquisitorio Beatrix.

Lorenzo deglutì in modo rumoroso. Non l’aveva mai percepita così ostile. Scosse solo la testa per negare di conoscere le risposte. Non poteva inventarsi qualcosa per rabbonirla.

Beatrix strinse gli occhi e corrugò la fronte. Avrebbe voluto replicare con ironia ma si limitò a un laconico «buona fortuna» e girò i tacchi per rientrare nella sua stanza.

A Lorenzo non rimaneva altro che portarla nel alloggio che occupava quando soggiornava lì.

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Aggiornamento

Aggiornamento al post di lunedì. Ecco il mio lipogramma per Luisa.

Cari amici, venite a me in santa pace!”

Questi semplici lemmi stampigliati sul limitare della casa, appesi nella parte centrale del battente.

Luigi li legge e ride. «Santa pace?»

Carla gli rimprovera di essere infantile. «Devi amare la pace insieme agli altri. Basta guerre! Ama i vicini».

Lui abbassa la faccia e chiede venia. «Sì, si deve amare chi sta nelle tue vicinanze!»

Abbraccia Carla e canticchia allegramente. «Serenità per tutti!»

Ha ragione Carla. Basta guerre!

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Ottobre senza o

Eletta Senso ha fatto perdere la O a ottobre. Vediamo cosa faccio perdere io.

Copertina Daniele

Lentamente scende le scale Gaia. Tiene le mani giunte e guarda avanti simil a un Gesù al femminile. Arrivata a terra, si ferma, gira la testa e piange calde lacrime senza riserve. Cammina spedita e raggiunge Andrea. Rivela a lui che avverte malessere, si sente in crisi. Lui la stringe e le prende le mani. «Guardami! Pensa a tutte le sere che vivrai insieme a me».

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Acrostico doppio

Per il gioco linguistico proposto da Eletta Senso è il turno di un acrostico doppio: autunno ottobre.

Copertina Daniele

Ecco cosa ho proposto.

autunno

Arriva

Un

Tramonto

Ubertoso,

Nulla

Nasconde

Occaso

ottobre

Ormai

Trascorrono

Tempi,

Obliano

Brutali

Ricordi

Eterni

Per Luisa ho proposto questo.

autunno

Attiva

Una

Trepida

Umiltà,

Nessuno

Nasconda

Orgoglio.

ottobre

Orbene

Trascorri

Tranquillo

Ottobre,

Breve

Ristoro

Estivo.

 

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La bambina senza nome – parte quinta

Copertina Daniele

Su Caffè Letterario ho pubblicato la quinta parte del racconto La bambina senza nome. La potete leggere anche qui.

 

Quello che apparve a Lorenzo era qualcosa di straordinario e inconsueto. Sette persone erano concentrate su quella figura minuta appollaiata sullo sgabello.

Sul tavolo, dove i quattro giocatori erano impegnati in una serrata partita a briscola e tresette, erano sparpagliate le carte come se una folata di vento le avesse rimescolate. Otello aveva il busto ruotato di 180 gradi ed era a bocca aperta.

Gli altri due avventori occupati in una furiosa discussione sulla formazione del Bologna sembravano impietriti nell’osservare quella bambina silenziosa accostata al bancone. I loro petti si muovevano come stantuffi impazziti. Sul piano del loro tavolino spiccavano gocce rosse fuoriuscite dal bicchiere adagiato su un fianco.

Samuele aveva gli occhi spalancati e la bocca aperta e pareva una statua di sale. Teneva a mezz’aria un fiasco impagliato di vino rosso da versare nel calice appoggiato sul bancone.

Il fermo immagine colpì Lorenzo al suo ingresso nella sala. Sembrava che si fosse verificata una magia che aveva bloccato tutti gli astanti nelle loro posizioni attuali. Un moscone ronzava indisturbato tra il bancone e il vino versato. Il rumore prodotto era l’unico che si percepiva.

La sua entrata ebbe il potere di sbloccare la situazione. Otello e gli altri si girarono verso di lui tirando un sospiro di sollievo. Samuele riempì il calice e depose il fiasco sotto il bancone. Solo la bambina rimase immobile con lo sguardo fisso verso il pavimento.

Però c’era qualcosa di anomalo che all’inizio non era riuscito a focalizzare, impegnato a osservare la scena che si era presentata al suo ingresso. Adesso era chiaro. Guardò affranto le due borse che reggeva. Scrutò la bambina che non dava segni di percepire la sua presenza. Tornò a posare gli occhi su quello che teneva in mano. C’era qualcosa che non tornava rispetto a quando era uscito per andare dalla Giannina. La bambina sembrava una ragazza. Sbatté le palpebre come se si volesse accertare che era sveglio e non stava sognando.

Quel sacco di juta marroncino che presentava tre fori per permettere alla testa e alle braccia di fuoriuscire, adesso appariva ridicolamente insufficiente a contenere il corpo. Se avesse fatto un movimento brusco si sarebbe aperto in mille pezzi.

Deglutì in modo vistoso e rumoroso. Quella che aveva comprato di certo non sarebbe andato bene alle nuove dimensioni. Prenderla per un braccio e accompagnarla dalla Giannina per sostituire gli acquisti era fuori discussione. La commessa, che aveva arricciato il naso perché lo riteneva incapace di comprare le taglie giuste, lo avrebbe deriso con un sorrisino di compatimento. Poi era talmente sudicia che si sarebbe rifiutata di farla entrare. Si trovava in un cul de sac. Se poteva pensare di metterla in vasca e verificare che si lavasse nella versione bambina, non poteva pensare di farlo adesso che appariva sviluppata. “Serve una donna!” Pensò cercando di fare mente locale. “Ma chi?”

Per quanto si sforzasse non ne trovava una. Forse in città ma non di certo lì. Chiedere a Sam di prestarle Bea, la moglie, per compiere l’operazione lavaggio non era all’ordine del giorno. E poi bisognava vedere se lei era disponibile.

Mentre Lorenzo era alle prese con i suoi deliri e dubbi, nella sala tornò il solito frastuono. Il sibilo delle carte gettate sul tavolo, i litigi tra i componenti delle coppie di gioco perché aveva sbagliato la giocata, il ringhiare amichevole se era meglio Orso piuttosto che Sansone sulle fasce.

Però Lorenzo era incerto se sedersi sullo sgabello o tornare dalla Giannina, finché Samuele non l’apostrofò. «Cosa tieni nelle borse?»

Queste poche parole ebbero il potere di riscuoterlo dalla palude dei suoi dubbi. «Del vestiario ma…». Non osava proseguire perché temeva la derisione dell’amico ma poi prese coraggio.

«Quando sono uscito, era una bambina ma adesso…» Nuova pausa mentre guardava con l’occhio sorpreso chi aveva raccolto per strada.

«Ma è sempre rimasta lì. Buona buona» replicò Samuele, mettendo il calice di vino sul vassoio. «Sopra c’è una stanza vuota. Così li può provare se vanno bene. Lì trovi anche Bea, che, se le va, può darti una mano a vestirla».

Col vassoio in mano andò al tavolo di Al Pâg’.

«Vieni» e le afferrò una mano trascinandola giù dallo sgabello. Lei docile si mise al suo fianco. Lorenzo trasalì. “Cielo! È proprio cresciuta! E ha sviluppato anche dei pomini acerbi!” Se prima gli arrivava appena sotto l’ascella, adesso la testa era all’altezza delle spalle. “Eppure sono un metro e ottanta!” E deglutì vistosamente.

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Abbecedario per Luisa

Per Luisa ho costruito questo abbecedario.

Zaffate

Ventose

Ululano

Tempestose

Sopra

Ricordi

Quando

Pronunci

Orribili

Nomi.

Menziona

Lucide

Idee.

Hai

Grandi

Fenomeni

Entrando

Direttamente

Come

Base

Avanzata.

Copertina Daniele
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Abbecedario

Questo lunedì Eletta Senso propone un gioco interessante costruire una frase o altro usando parole che iniziano con le lettere dell’alfabeto a, b, c, d, e,… Io l’ho fatto partendo dalla zeta. Questa volta ho lasciato fuori le cinque lettere straniere.

Copertina Daniele

Ecco cosa ho strologato.

Zuzzurelone,

Vaghi

Ubiquo

Tra

Sterpi

Ruvidi.

Quindi

Piangi

Oppure

Nascondi

Male

Lucida

Invidia.

Hai

Gettato

Fresche

Erbe.

Davanti

Canti

Brutti

Auguri.

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La bambina senza nome – parte quarta

È stato appena pubblicato su Caffè Letterario la quarta parte de racconto ‘La bambina senza nome’ che ripropongo anche qui.

Copertina Daniele

Lorenzo si alzò con lentezza dallo sgabello mentre la bambina rimaneva assorta e con gli occhi bassi verso terra come se fosse alla ricerca di qualcosa che aveva perso.

Samuele con lo straccio umido passò e ripassò più volte il bancone di rovere pieno di segni e bruciature. Erano gesti meccanici che ripeteva tutti i giorni. Però pensava a quella bambina tanto strana quanto inquietante. A pelle sentiva che avrebbe portato guai ma non poteva intimare all’amico di allontanarla. Aggrottò la fronte e fermò la mano con lo straccio. “Il bancone è già pulito” ammise osservandolo. In effetti era lucido come mai lo era stato prima. Sorrise storto, arricciando il lato destro della bocca.

Lorenzo osservò la bambina, mentre gli avventori avevano interrotto le loro attività per scrutarlo. Si chiesero che intenzioni aveva quel ragazzo, seppur giovane, leggermente stempiato e con qualche ciocca di capelli grigi. Speravano che allontanasse quella cinna dagli occhi gialli che parlava poco ma mangiava molto.

Samuele appoggiò il mento sul palmo della mano col gomito posato sul bancone. Con un soffio cercò di scostare una ciocca unta dei capelli scivolata sulla faccia. Anche lui era curioso di conoscere le mosse dell’amico.

«Vado dalla Giannina per comprare qualcosa per lei» e indicò con lo sguardo la bambina. «Così non è presentabile».

Poi Lorenzo si avviò verso la porta.

Otello alzò il suo metro e ottanta dalla sedia. «La cinna la pues via cun tè» urlò con voce stentorea.

Lorenzo finse di non aver udito nulla e uscì all’aperto, chiudendo alle spalle la porta. “Sarebbe stato meglio portarla con me, così da non rischiare di comprare qualcosa che non le va bene”. Tuttavia scosse il capo. Non poteva portarla in quelle condizioni. I capelli neri avevano un diavolo per capello ed erano tutti attorcigliati. Rise sommessamente perché in effetti pareva proprio un diavolo. Piedi neri con croste di sudiciume che forse nemmeno un bagno avrebbe estirpato. Il naso moccioso colava sulla bocca. Le unghie erano incrostate di un colore scuro la cui natura era di difficile interpretazione. «No, no!» esplose con un filo di voce. «Compro qualcosa e poi la getto in vasca sotto l’acqua. Speriamo che Sam abbia acceso lo scaldabagno».

Il glin glon del campanello sopra la porta annunciò il suo ingresso e una giovane donna dai capelli biondo ossigenati gli venne incontro.

«Buon giorno! Posso esserle utile?»

Lorenzo si guardò intorno alla ricerca della Giannina, la proprietaria senza trovarla.

«Dovrei vestire una bambina…». Però si bloccò, pensando se in effetti era una bambina oppure una ragazza minuta oppure… Scosse il capo. Ignorava la sua età.

«La bambina non la vedo» chiosò garrula la commessa, scrutando alle spalle di Lorenzo se fosse entrata senza che l’avesse vista oppure fosse rimasta fuori.

«Infatti non c’è». Lorenzo controllò circolarmente in senso orario quello che c’era in esposizione. Un tempo la Giannina vendeva solo merceria ma poi aveva aggiunto sempre nuove mercanzie e adesso c’era un po’ di tutto, scarpe comprese. Insomma uno entrava nudo e usciva vestito. D’altra parte il borgo aveva perso abitanti e negozi. C’erano rimasti la Giannina con articoli per la persona e la casa, un mini market per gli alimentari, tabacchi e giornali e basta.

«Ma com’è?» Chiese curiosa la donna con tono leggermente sarcastico, pensando che un uomo non sarebbe stato in grado di comprare nulla.

«Mi serve dell’intimo, un vestito, calze e scarpe» ribatté con voce calma, ignorando la domanda e la velata ironia.

La commessa perse il sorriso e aggrottò la fronte ma fu preceduta da Lorenzo che proseguì. «La taglia è small. Le scarpe un trentasei o forse meglio un trentacinque. Per l’intimo mutandine di cotone e una canotta bianca. Ah! Il vestito intero con maniche corte».

La donna spalancò gli occhi ma non spiaccicò parola, girando sui tacchi per raggiungere uno stand dove erano appesi vestiti.

Lorenzo la seguì e indicò un vestitino a fiori molto grazioso. Poi scelse delle ballerine nere adatte ai colori dell’abito. Per il resto lasciò fare alla commessa.

Con due voluminose sporte di carta tornò alla trattoria.

Quello che lo lasciò di stucco fu la vista al suo interno. Rimase senza parole.

 

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