Il racconto sotto l’ombrellone

nuova copertina Un caso per tre

Un racconto

Qualche settimana fa ho proposto questo racconto che parteciperà al contest dell’estate di navigazione con zero probabilità di vincere qualcosa ma De Coubertin insegna anche a gareggiare. Il precedente non andava bene perché mancavano due tasselli: le parole impreviste. Adesso è completo. Quindi quattro parole chiave: ondivago, bardo, clafoutis e brillante più due parole misteriose che non rivelerò nemmeno sotto tortura. Non si scherza mica. Non sono bruscolini.

Adesso basta, leggete, dite la vostra. L’ombrellone vi aspetta.

Arrivati a marzo si pone il problema di come superare lo spartiacque estivo, come se poi tutto il resto dell’anno filasse liscio.

È questo il pensiero di Emilia che non sa come organizzare i tre mesi estivi. Qualcuno strabuzza gli occhi. «Tre mesi di vacanza?» «Sì, proprio così. Giugno, luglio e agosto. Per settembre si torna a casa per riprendersi dalla sbornia vacanziera».

Un pensiero ondivago si fa strada nella mente di Emilia che non sa decidersi quest’anno. L’anno scorso è stato un viaggio a piedi per l’Europa del sud. Tanti i chilometri e tantissimi i posti visitati. Quello precedente si è affidata al treno che l’ha portata in giro per la Russia. L’anno ancora prima partendo da Milano ha raggiunto il nord America e da lì è iniziato un viaggio verso la Patagonia. Per gli altri anni non ricorda dove ma sono stati bellissimi.

Però il problema è adesso. L’entropia del sistema vacanze non ammette deroghe. Il disordine regna sovrano nella testa di Emilia. Il passaggio dallo stato ordinato del metronomo casa, lavoro, casa a quello disorganizzato di un viaggio lungo tre mesi racchiude tutta la sua insicurezza.

Giugno è vicino e gli amici con i quali condivide le vacanze estive premono per sapere dove. Però Emilia non riesce a decidere né il mezzo né le località da toccare. Viaggiare a piedi è stancante. Ricorda le piaghe dello scorso anno. Il treno è bello perché durante gli spostamenti si può chiacchierare in santa pace ma è limitato alle sole tratte ferroviarie. L’aereo è costoso e poi i viaggi low-cost sono snervanti. Barca? No, grazie! Bicicletta? Auto? Tanti mezzi ma non tutti graditi dai compagni di viaggio: Sara, Michele e Marietto.

È un nucleo adamantino il loro, difficile da scalfire ma pronto a incidere nella scelta delle vacanze. Sembrano due coppie ma in realtà sono quattro amici legati dalla stessa volontà di divertirsi, di fare qualcosa fuori del comune.

“No, devo trovare qualcosa di originale? Ma cosa?” riflette Emilia, legando i lunghi capelli con un elastico. “Siamo a marzo ma fa già caldo ma zero idee”.

Sono dieci anni che fanno questa scorpacciata di vacanze e quindi le ipotesi sui luoghi diventano sempre più complicate. “Ma loro vengono a rimorchio. Mai una volta che suggeriscano un itinerario da esplorare. Devo fare tutto io. Tappe, prenotazioni e organizzare ogni dettaglio” mormora un po’ infastidita ma al tempo stesso soddisfatta, pensando alle esperienze passate.

In realtà non è così. A lei piace fare tutto da sola e poi presentare il tour seduti a tavola con grandi slide proiettate sul soffitto. ‘Con la pancia piena si ragiona meglio’ è sempre stato il suo motto ma adesso si trova un po’ in difficoltà.

“Ma quest’anno dove li porterò?” si domanda aprendo Google map sull’Europa.

Seduta davanti al suo computer gira gli occhi per la stanza. Di fronte sta la libreria con sotto il divano. Alla sua destra un mobile dei primi del novecento in radica e borchie di rame in stile liberty. Alle sue spalle l’impianto hi-fi. Però per terra ci sono libri accatastati alla rinfusa.

“Un viaggio solo acqua? Oppure un mix?”

Niente, nessuna idea viene in soccorso, quando l’occhio cade su un volume dei Meridiani mescolato insieme ad altri testi. ‘Teatro completo. Testo inglese a fronte. Vol. 4: Le tragedie’ di William Shakespeare. Un vecchio volumetto un po’ malmesso. Lampadina.

«Ecco la destinazione. Stratford-upon-Avon e al ritorno Limoges» esclama entusiasta. «Con quale mezzo?» L’entusiasmo si sgonfia come un palloncino bucato.

Tre sere più tardi sono attorno un tavolo pieno di briciole e gocce di vino. Con un colpo di mouse srotola sulla parete un’immensa carta dell’Europa occidentale che pare animata di vita propria.

«Ecco questo è l’itinerario proposto».

Sara rimane interdetta. Pare un serpente che si morda la coda.

«Non ti pare di essere stata un po’ ondivaga?»

«Cosa c’è di male andare per mare?» replica divertita Emilia.

Arriva giugno e si parte.

«Oh, Bardo del mio cuore, stiamo arrivando!» esclama Emilia salendo sul treno per Varazze, dove un Oceanis 48 li sta attendendo.

Quest’anno non si è badato a spese. Una bella barca da crociera comoda e sicura per affrontare l’Oceano Atlantico e le sue insidie.

Nessuno di loro sa governare un’imbarcazione ma hanno ingaggiato un skipper per i tre mesi. Non hanno fretta e chi ne avrebbe con oltre novanta giorni a disposizione? Con lo skipper hanno concordato il piano di navigazione. Quello ambizioso in assenza di tempeste traiettorie diritte. Quello prudente se il tempo non sarebbe stato clemente veleggiare sotto costa.

Dopo venti giorni di navigazione siamo a Brest per il meritato riposo. Un giorno solo ma camminare sul solido terreno è una sensazione appagante. Un vento gagliardo ci ha spinto verso Gibilterra e poi in direzione nord. Sono stati venti giorni di allegria con lo skipper che ci ha torchiato per bene, perché di miglia marine ne abbiamo dovuto macinare molte. Ora so che il cockpit non è un dolce e il genoa non è l’altra squadra di Genova. Marietto sa come alzare una vela senza aggrovigliare i cavi. Passi da gigante senza dubbio. Ci rimane un tratto insidioso quello che sta davanti alla Cornovaglia, che doppiata ci fa arrivare a destinazione.

«Bardo, aspettaci che stiamo arrivando».

La gita a Stratford-upon-Avon è stata magnifica. Dieci giorni per la vallata del Severn e dell’Avon in barca, in bicicletta e a piedi sotto il sole e la pioggia che non può mancare da queste parti. Questa bella cittadina vive nel ricordo del suo illustre antenato e ogni angolo ce lo ricorda. Adesso dopo la circumnavigazione della perfida Albione con una puntata a visitare le Orcadi siamo a S. Nazaire pronti per raggiungere Limoges attraverso la valle della Loira e dei suoi castelli. Ho promesso loro la clafoutis più invitante della loro vita. Non sanno cosa li aspetta! Pensano a tutto: porcellane, vino, luoghi misteriosi. Non sanno, i poverini, che si mangeranno una fetta di torta con dentro le ciliege nere ma forse con altra frutta di stagione, perché le ciliege a fine luglio sono un pallido ricordo. Abbiamo due settimane per raggiungere Limoges e puntare su La Rochelle dove il nostro skipper impaziente ci aspetterà per riportarci il 31 agosto a Varazze. La Loira appare un fiume sonnacchioso che scorre su un letto sabbioso in questo periodo. Quest’anno è ancora più magro perché un inverno mite e asciutto l’hanno prosciugato. Tuttavia noi non demordiamo. Qualsiasi mezzo è buono e poi siamo in perfetta forma e rilassati. Il colorito scuro ci fa sembrare dei vu’ cumpra’ se non fosse per i capelli che variano dal rossiccio di Marietto al biondo cenere di Sara con tutte le sfumature intermedie. Ci muoviamo come un sinuoso serpente allungando la strada pur di visitare i vari castelli che sono in zona.

«Limoges!» è il grido di tutti noi coi piedi piagati dalle vesciche, quando arriviamo in centro città. Affamati, distrutti ma felici ci sistemiamo sotto un ombrellone della ‘brasserie Le Cap’tain’ di fronte a les Halles. Mangiamo di tutto ma la sorpresa arriva alla fine. Una torta intera di clafoutis alle pere, che non è la stessa cosa di quella alle ciliege ma per mangiarla dovevamo fare come prima tappa questa magnifica città fondata da Augusto nel 10 d.C. Però non era possibile e una bella risata mi sfugge dalla bocca.

Da La Rochelle riprendiamo il viaggio di ritorno con la pelle cotta dal sole e dalla salsedine. Siamo tutti stanchi ma felici. Un’esperienza favolosa, frutto di una brillante idea. Un po’ ci dispiace tornare all’ovile ma dopo tre mesi su una barca abbiamo voglia di calpestare la terra e non ballare sul ponte di legno di un Oceanis 48. Per fortuna non abbiamo dovuto affrontare tempeste ma solo mare mosso. Una cosa accettabile tutto sommato, da firmare prima della partenza. Il vento ha spirato nella giusta direzione gonfiando le vele e facendoci correre veloci sull’acqua.

Adesso siamo qui sul terrazzo della mia casa a vedere le immagini più significative della vacanza, a gustarci uno spritz con tartine al prosciutto ma in particolare a ridere per qualche disavventura capitata nei tre mesi di viaggio.

Non credo di avere mai avuto un’abbronzatura così perfetta. Sembro proprio una marocchina.

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