Dal diario di Samantha

Foto tratta dal sito della Nasa

Su Caffè Letterario è apparso un nuovo articolo che potete leggere anche qui

11 febbraio 2104 – ore 8:30 P.M.

Quello che vi andrò raccontando non è nulla di eccezionale oggi ma quasi novant’anni fa è stato straordinario.

Voglio che anche le generazioni future possano leggere dell’impresa folle fatta nel 2019, perché, quando non ci saremo più né io, né Chioma né Davide, possa essere ricordata.

Chioma è il mio compagno storico che è al mio fianco dal lontano 2019. Con lui ho condiviso tutto nel bene e nel male e abbiamo cresciuto il nostro cucciolo nato dal nostro amore.

Questa narrazione mio figlio, Davide, l’ha ascoltata molte volte, quando seduto accanto a noi voleva conoscere dov’era nato.

Mi chiamo Samantha Fugetti e sono nata a Venusia il 21 luglio 1990. Avrei tecnicamente cento e quattro anni ma in realtà il mio corpo ne ha solo ottanta. Miracoli della scienza? No, gli effetti di quel lungo viaggio che vi andrò a raccontare.

Venusia non esiste più, sparita oltre cinquant’anni fa per la follia del mondo. Sommersa dalle acque del mare non è più riemersa. Dicono che è ricoperta di fango e, io aggiungo, di oblio. Era un paese della pianura Ludiana, una piana senza alture, della regione Ludilandia. Ne sento la mancanza ma non voglio apparire una vecchia malinconica.

Avevo dieci anni quando lessi un articolo sulla missione Apollo sulla Luna e il relativo viaggio dei tre astronauti sbarcati sul nostro satellite. Dopo quella lettura mi sono detta che avrei fatto l’astronauta.

Nell’anno 2000 un miliardario visionario Warren Vergin, ricordo bene il suo nome, ha comprato nello stato dell’Arizona un’intera vallata nel deserto di Gila dove ha costruito l’astrodomo Serenity. Questo sarebbe servito per lanciare nello spazio l’astronave Last Horizons destinata a esplorare il sistema solare.

Un progetto folle e costoso ma è stato realizzato. Subito la mia fantasia si è accesa e ho sognato di essere al centro di quel progetto.

Così da quel momento ho avuto un unico pensiero: essere tra i sei membri dell’equipaggio. Mi sono detta che dovevo farcela a tutti i costi. È stata un sfida verso chi non ha creduto che sarei riuscita.

Finito il liceo scientifico a Ludi, la capitale di Ludilandia, mi sono iscritta all’università ma ho capito che non era la laurea in ingegneria aeronautica a interessarmi. Il mio chiodo fisso era diventare astronauta. Come? Non lo sapevo ma dovevo raggiungere l’obiettivo.

Un giorno del 2010, non ricordo con esattezza la data precisa, è apparso su Tribuna, il giornale di Ludi, un annuncio per me sensazionale che mi avrebbe cambiato la vita.

“È aperta per Ludilandia la selezione di un posto di astronauta. Destinazione Astrodomo Serenity – Arizona U.S.A.”.

Non ci ho pensato nemmeno due volte. Mi sono iscritta e ho sbaragliato il campo. Non avevo nessun dubbio perché erano dieci anni che mi preparavo sia mentalmente che culturalmente. Il passo successivo sono state le selezioni europee. Lo ammetto: non è stata una passeggiata come a Ludi. La selezione è stata dura e più di una volta la mia voglia di arrivare fino in fondo è stata a un passo dalla rinuncia. La preparazione dei miei competitori era a livelli pari o superiori alla mia. Il mio inglese non sempre era fluido. Una battaglia di nervi e di conoscenze ma alla fine sono arrivata prima, battendo francesi e tedeschi.

I miei genitori non erano d’accordo ma alla fine l’ho spuntata io e sono partita con la speranza di coronare il mio sogno. Un lungo balzo fino a Tucson dove una limousine mi ha portato fino all’astrodomo. Qui ho trovato altri ventuno aspiranti astronauti divisi equamente tra maschi e femmine.

Io avevo vent’anni come tutti gli altri più o meno. Ci hanno iscritti presso l’università di Tucson a un corso di astrofisica gestito da un’italiana. Il raggiungimento del PH.D in cinque anni avrebbe permesso di proseguire l’avventura. In sostanza avrebbe costituito il primo discrimine della selezione. Partenza alla mattina presto per Arizona University dove si restava fino alla tre del pomeriggio. Ritorno all’astrodomo per le esercitazioni fisiche e psicologiche in preparazione al gran viaggio di cui era noto a grandi linee il programma.

È stata dura per cinque anni fare questa vita ma alla fine l’ho spuntata, anzi sono risultata la migliore delle ragazze. Molti non hanno resistito al logorio psicologico, abbandonando il campo. Altri non ce l’hanno fatta con gli studi, che sono stati impegnativi.

Mentre noi ci siamo fatti un mazzo così per arrivare in fondo al percorso di studi senza tralasciare quanto era necessario alla preparazione fisica e psicologica, a Serenity si progettavano vettore e astronave.

A disastri si sono alternati successi ma Vergin non ha mai ammesso sconfitte e ha stimolato tutti a dare il meglio di se stessi.

Nel 2015 terminata l’università siamo rimasti quattro donne e quattro uomini di culture e nazionalità diverse. Un’americana, una cinese, un’indiana e io, italiana, era il manipolo al femminile. Gli uomini erano un russo, un nigeriano, un australiano e un malese. Un uomo e una donna sarebbero stati esclusi nei due anni successivi anche se avrebbero meritato di partire con noi.

Questo ha stimolato una sana competizione senza colpi bassi e ci ha permesso di maturare nel carattere. Ha rappresentato il modo migliore per creare un gruppo coeso per la missione che ci avrebbe aspettato. Così non c’è stata nessuna tragedia o invidia quando l’indiana e il malese sono rimasti esclusi dopo l’ultima selezione.

Abbiamo fatto una grande festa per salutarli prima della partenza del loro rientro in patria nel 2017. Non si sono sentiti sconfitti ma semplicemente hanno riconosciuto che noi abbiamo meritato più di loro.

Così alla fine di questa spietata selezione siamo rimasti in sei: tre uomini e tre donne. Quelli che avrebbero partecipato alla grande missione.

Il lancio è previsto per fine gennaio del 2019. In questi due anni abbiamo lavorato duro sia affinando le nostre specializzazioni, sia a conoscere anche quelle dei colleghi in modo di essere intercambiabili tra noi.

L’obiettivo era ambizioso: raggiungere i confini dell’universo e ritornare a casa.

Un viaggio di trentacinque anni all’interno del sistema solare fino all’Ultima Thule.

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