Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo post del racconto Konnie, pensando di far cosa paicere lo ripublico anche qui.
10 agosto 2144 Bozen
Konnie si deve fermare ogni venti passi. Fatica a respirare, tossisce. Avverte stanchezza con le gambe che gemono per il dolore. Cerca riparo dalla luce troppa intensa. Gli occhi lacrimano e faticano a rimanere aperti.
Quello che intravvede attraverso la visione opaca dello sguardo è tutto nuovo. I suoi ricordi basati sui filmati visti nelle lunghe serate nel bunker non collimano con quello che osserva intorno. Nemmeno le montagne che contornano la città sono le stesse. Sembra che abbiamo un altro aspetto. «Come?» Rantola col cuore che batte all’impazzata.
Carcasse arrugginite di qualcosa che battezza come auto sostano ai bordi di quello che un tempo era una strada. Ruderi o montagne di macerie sono ricoperte di verde.
Ascolta il rumore tipico di acqua che scorre sulla sua destra. «Dove sono?» Ricorda che suo padre gli ha descritto tre fiumi che passano per la città. «Quale dei tre?» La curiosità lo spinge ad avvicinarsi. Dalla sponda osserva che un fitto bosco gli preclude quasi per intero la vista. Intravvede un rigagnolo d’acqua in basso. «Forse è solo un’illusione ottica» Prosegue il suo cammino sulla sponda che lascia intuire che un tempo c’erano dei sentieri che a fatica sono percorribili.
Si allontana sempre più dal suo rifugio e capisce che non vi farà più ritorno. Non ha il senso dell’orientamento e tutti i posti sembrano uguali. Non saprebbe riconoscere da dove è passato. Questo lo spinge a proseguire.
Il sole è alto sull’orizzonte e fa molto caldo. Suda copiosamente. Si ferma all’ombra di imponente abete per detergersi il sudore e bere qualcosa dalla borraccia.
Alza verso il cielo lo sguardo e rimane affascinato: un azzurro così nitido non lo ricorda. Ride scuotendo la testa. Il suo occhio per ottant’anni ha visto solo grigio e nero, i colori unicamente nei film e nelle illustrazioni dei libri. «Dovrebbe essere mezzogiorno». L’ha dedotto dal fatto che il sole è alto nel cielo. La calura è insopportabile ma vuole spostarsi in città alla ricerca di un riparo per la notte.
«In città?» Ride, alzandosi a fatica. «Ma sono già in città! Forse in centro».
La fitta boscaglia nata sulla sponda del fiume rende l’aria ancor più rovente e afosa. S’incammina mentre sta sudando copiosamente. Si gira più volte. Gli pare di udire dei latrati alle sue spalle. «Lupi o cani?» Non vede nulla. «Se mi assalgono, per me è finita». Anche volendo non riesce accelerare il passo. Vede la traccia di un sentiero che scende dolcemente verso il basso. «Forse mi porta in centro città» borbotta mentre lo segue.
L’intuizione è corretta. Case crollate, selciato divelto è l’immagine che si presenta alla sua vista. Si ferma a rifiatare mentre studia il percorso da seguire. Non si fida infilare quelle stradine strette dove a fatica potrebbe procedere. Una desolazione è quello che vede. Preferisce proseguire in quella più ampia perché la parte centrale sembra meno ostruita.
Arriva in uno slargo dove alla sua destra osserva la facciata di una chiesa. Si ferma appoggiandosi al tronco di albero. Fatica a respirare, gli manca l’aria.
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