Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo racconto. Lo potete leggere anche qui.
Dal nevaio addossato alla parete rocciosa spuntava un luccichio bruno simile a quello di un oggetto di rame esposto al sole.
Jacques Philpott si fermò un istante per osservare meglio.
“Le rocce non luccicano” si disse, mettendo a fuoco il punto da dove provenivano i riflessi.
Si spostò di lato rispetto alla posizione iniziale ma osservò che la coltre di neve fresca adesso era tutta uniforme. Non notava più nessun bagliore dalla nuova ubicazione.
«Eppure qualche istante fa…» borbottò scuotendo il capo.
Jacques era un bel ragazzone di Les Houches, un sobborgo di Chamonix, un po’ orso ma mai scortese. Amava la montagna e in particolare il Mont Blanc, che vedeva tutti i giorni dalla finestra della sua stanza. Quando compì sedici anni, eseguì la prima escursione sul massiccio che si ergeva in tutta la sua imponenza davanti ai suoi occhi. Adesso che di anni ne aveva ventuno lo conosceva come le tasche dei suoi jeans.
«È una montagna infida anche se appare benevola» era solito confidare agli amici. «Non ci si può dare confidenza, perché subito ti tradisce. Una donna è più fedele». La sua era una battuta maschilista ma di elementi femminili ce ne erano pochi nel giro delle sue amicizie e le poche, che erano tutte più maschi di quelli autentici, ridevano a quella boutade.
Era il 20 luglio del 2013, quando di mattina presto era uscito di casa per compiere l’ennesima escursione sul Mont Blanc. Portava con sé un paio di corti sci, le racchette da neve, dei ramponi da ghiaccio e uno zaino con vivande e qualche indumento pesante qualora il tempo virasse improvvisamente al brutto. In montagna non c’era mai da fidarsi che il tempo rimanesse stabile.
La giornata si preannunciava bella e senza vento. Il cielo senza una nuvola cominciava a schiarire e le stelle brillavano ancora nitide, quando avviò il suo 4X4 a inerpicarsi verso il Mont Blanc.
Voleva essere all’inizio del ghiacciaio del Bossons, quando albeggiava per affrontarlo con la luce del sole. Era immenso, bello ma estremamente infido e pericoloso da affrontare con un’illuminazione incerta: crepacci e seracchi erano sempre in agguato. Era la sua intenzione iniziare l’escursione presto per raggiungere la base del Mont Blanc du Tacul per mezzogiorno.
Lasciata l’auto vicinissima alle ultime propaggini del Glacier des Bossons, Jacques mise sulle spalle gli sci, le racchette, i ramponi da ghiaccio e lo zaino. Si avviò verso la lingua di ghiaccio che scendeva dal Mont Blanc come un lungo serpente candido.
Facendo attenzione a dove poneva gli scarponi, saggiando il terreno davanti a lui, si muoveva con cautela, perché i grossi cumuli di neve fresca nascondevano insidie e pericoli.
«Quest’anno è caduta neve anche poche settimane fa» mormorò tenendo gli occhi ben aperti. «Quindi devo stare vigile e attento».
Erano le undici quando arrivò alla base rocciosa del Mont Blanc du Tacul, uno sperone che si erge a più di 4200 metri, di poco più basso della cima del Mont Blanc.
Non era sua intenzione scalarlo, lo aveva già fatto altre volte, ma voleva ammirare la spettacolare vista della vallata sottostante. Era fermo a rifiatare prima di riprendere la via del ritorno, quando notò lo strano luccichio. Non riusciva a localizzarlo con esattezza, perché era sufficiente spostarsi e il candore del nevaio diventava immacolato.
«Devo fare attenzione nel muovermi per non provocare una valanga che sarebbe fatale» affermò avanzando a piccoli passi, tenendo sotto controllo il nevaio.
Il tempo passava, mentre Jacques era alla ricerca dell’oggetto che mandava bagliori a intermittenza.
«Forse affiora appena dalla neve. Cambia l’angolo della luce che lo illumina, quando mi sposto» borbottò fermo sugli sci osservando intorno.
Non perdeva d’occhio la massa nevosa addossata alla parete del Mont Blanc du Tacul, pronto a cambiare veloce la direzione, se vedeva qualche impercettibile movimento.
Nonostante le condizioni climatiche favorevoli ogni muscolo del suo corpo era in tensione, molto di più del normale.
La perlustrazione dell’area circostante assorbì le sue energie mentre il tempo passava inesorabile. Ricominciò a muoversi con estrema cautela. «Altri cinque minuti e poi riprendo la via di casa. Ho perso mezz’ora in ricerche inutili e infruttifere. Potrebbe essere un gancio perso da chi sa chi».
Immerso in queste riflessioni, notò una piccola massa scura, sommersa da un velo di neve, a qualche decina di metri alla sua destra.
«Ecco la cerca è terminata. I riflessi che avevo notato provenivano da qui».
Prima di avvicinarsi si assicurò che nessun distacco di neve fosse presente nelle vicinanze.
«La prudenza non è mai troppa» affermò muovendosi con circospezione.
Passò una mano per togliere la neve ghiacciata e mise a nudo un coperchio brunito. Con lentezza scavò intorno con gesti misurati e calmi, finché una piccola cassetta non apparve dal candido nulla. La sollevò con un po’ di sforzo. Non pesava molto. Quindi decise di prenderla con sé, assicurandola con la corda che teneva nello zaino. Ridiscese di qualche centinaia di metri, allontanandosi dal nevaio per osservarla meglio.
«Ha strani simboli sul coperchio» notò con un misto di curiosità e stupore. «Forse sono cinesi… oppure no».
Scorse questi simboli “मेड इन इंडिया”, scritti sul coperchio, sbiaditi ma leggibili.
“È inutile sprecare tempo nel tentativo di decifrarne il significato” rifletté osservando il contenitore che presentava una chiusura insolita. “Non pesa molto ma come l’ho legato è solo d’impiccio per i movimenti”.
Si inginocchiò per controllare se poteva metterla nello zaino.
“Togliendo le vivande e la giacca, ci sta. Mangio qualcosa e quello che non sta nelle tasche, lo getto. La giacca la indosso sopra questa più leggera”.
Guardò l’orologio. «Porca miseria! Già l’una! Il tempo è volato via. Devo sbrigarmi. Il Glacier des Bossons con le ombre lunghe del pomeriggio è assai pericoloso» esclamò avviandosi a valle.
Come previsto la discesa non fu agevole. Anche se lo aveva percorso molte volte, il ghiacciaio pareva essere vivo, cambiando fisionomia a ogni istante. I crepacci che aveva evitato nella mattinata adesso parevano essersi spostati. Alcuni erano più larghi, altri quasi chiusi. Alcuni seracchi erano crollati per effetto del rialzo termico di mezzogiorno. Era quasi giunto al termine, quando avverti sotto gli scarponi un tremolio. Si bloccò, facendo un balzo indietro. A pochi centimetri si era aperto un baratro senza fine dinnanzi a lui. Ebbe un moto stupore e si lasciò scappare un «Merde! Per poco non finivo in fondo a questo crepaccio!».
Sentiva le gambe pesanti e una certa rigidità nel corpo, quando alle cinque uscì dal Glacier, dopo aver rischiato più di una volta di finire male. La luce ingannevole del sole ormai più basso delle cime l’aveva tratto in inganno sovente ma si era salvato unicamente perché i riflessi erano pronti. Lasciata la lingua ghiacciata e tornato sul terreno nudo, tirò un sospiro di sollievo.
«Anche stavolta è terminata bene» esclamò incamminandosi verso il suo fuoristrada, che l’aspettava tra il termine della carrareccia e il ghiacciaio. Si diresse verso Les Houches.
Arrivato a casa, estrasse dallo zaino la cassetta.
«Chissà quali tesori contiene» esclamò, osservando la serratura.
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Da quando ho visto “La società della neve” le escursioni in montagna mi mettono la giusta ansia per non strafare di troppa sicurezza… oggi comunque con lo scioglimento dei ghiacciai tutti i versanti nevosi restituiscono oggetti seppelliti. Sempre piacevole leggerti!!!
Verissimo. La prudenza non è mai troppa e lo scioglimento dei ghiacciai restituisce di tutto.
Grazie per avermi letto.