Su Caffè Letterario ho pubblicato un nuovo post, che potete leggere anche qui.
La parte in corsivo era l’incipit proposto come sfida al lettore attento alle sfumature.
Era uno stimolo all’inventiva dell’aspirante scrittore, che doveva dimostrarsi abile nel calarsi in un ambiente diverso dal suo.
Ci sarò riuscito? Leggete e poi giudicate.
Nel mentre pubblico il racconto.
Quando riaprì gli occhi, Debbi vide il sole, le foglie verdi e il viso di un uomo. Non si impressionò a quella vista. “So che cos’è tutto questo” e richiuse gli occhi.
Era quello che avevo sempre sognato. Avevo sedici anni allora… In quel istante avevo raggiunto quel mondo pieno di fantasie… Tutto pareva semplice e normale, come il sentimento che provavo adesso.
Scrutavo il volto inginocchiato vicino a me e sapevo che avrei dato la vita per poterlo vedere. Era una faccia senza segni di dolore, di paura o di colpa. La bocca… sì, la bocca era un qualcosa che metteva orgoglio. Era come se sentisse la fierezza di essere orgogliosa.
Continuai a esplorare i tratti del viso. I lineamenti decisi facevano pensare all’arroganza, alla tensione, all’ironia, eppure non c’era niente di tutto questo. Era il compendio di queste sensazioni: un’espressione di serena decisione e sicurezza, un’innocenza spietata che non avrebbe chiesto né accordato pietà. In conclusione era un volto che non aveva niente da nascondere. Sembrava una casa di vetro dove tutto era trasparente…
***
Chi era Debbi? Era la domanda che Barbara si poneva. Aveva tra le mani un brandello di carta, stropicciato e consunto. Era tra le pagine di un suo vecchio diario scolastico, dove annotava con cura i suoi pensieri anziché registrare compiti da fare a casa. Quegli oggetti che le ragazze custodivano con maniacale gelosia, tenendoli sotto chiave.
Era salita nella soffitta a cercare un vecchio oggetto di cui aveva perso memoria. In effetti aveva un vago sentore della forma e non ricordava il nome. Polvere e ragnatele avevano ricoperto tutto con una patina di oblio.
Stava rovistando in un baule con metodo alla sua ricerca, quando notò tra libri ingialliti e malmessi, blocchi di carta pieni di scarabocchi una copertina di pelle blu o meglio il dorso blu di qualcosa che stonava nel contesto. Un tempo era tenuto insieme da un elastico rosso, che adesso era diventato un segno appiccicaticcio appena definito. Era malconcio con la copertina staccata dal dorso e coi fogli che si staccavano tenendolo in mano.
L’aprì con cautela. Fu un tuffo nel passato. Tornò ragazza: i primi amori, le prime delusioni. Poi trovò i disegni infantili in stile Heidi dell’amica Serena, la sua compagna di banco. Infine delle fotografie in bianco e nero dai bordi seghettati, che facevano tenerezza. Ritraevano lei con le amiche, dei ragazzi, i primi amori disperati. Tra le ultime pagine scorse piegato in quattro parti un pezzetto di carta scolorito, quasi illeggibile.
Barbara lo girava e rigirava. Era stato strappato malamente da un quaderno a quadretti, su cui erano scritte un paio di frasi, cancellate con un tratto di biro e riscritte più volte. La grafia non era la sua, perché questa era lineare e rotonda, mentre lei usava tratti più spigolosi. Chi l’aveva scritto? Un maschio? Una femmina? Per alcuni svolazzi sulla A e sulla P era quasi certa che fosse una mano femminile, ma il resto era neutro. Avrebbe potuto essere un ragazzo o una ragazza in maniera indifferente ma di una cosa era sicura: non era la sua grafia.
Lei scriveva con caratteri minuscoli, nervosi, inclinati a destra con le righe che tendevano a salire verso l’alto tutte sbilenche, come se una calamita attirasse la penna in direzione del bordo superiore.
La grafia dell’ignota scrittrice era perfettamente dritta, come le cancellature e le riscritture. I caratteri allineati della medesima grandezza mostravano una precisione e un ordine che lei non aveva mai posseduto.
Barbara teneva in mano quel pezzetto di carta ingiallito con delicatezza. Faceva attenzione perché non si sbriciolasse, prima di essere in grado di conoscere l’autore e comprendere il senso delle poche frasi riportate.
«È il riassunto di un libro letto?» Scosse la testa, perché non ne aveva lo stile. «Forse è una frase tratta da un romanzo che l’aveva colpita. Ma quale romanzo? Eppure è così particolare che lo ricorderei se…». Strinse gli occhi e corrugò la fronte per concentrarsi nel tentativo di ricordarne il nome. «Ma forse è l’incipit di un racconto…». Chiuse le palpebre e si appoggiò al vecchio canterano coperto da un telo bianco. Il foglio planò con delicatezza accanto a lei. «Ma quale racconto? Io non ci ho mai provato. Basta leggere poche righe di questo diario per capire il perché. Non è il mio stile».
Riaprì il diario alla ricerca di qualche indizio. Si accoccolò sui talloni, appoggiando la schiena al baule aperto mentre teneva il diario sulle gambe.
Lunedì 6 maggio 1974
Oggi ho conosciuto Roby, finalmente! Gli ho parlato o meglio ho farfugliato qualcosa mentre le orecchie diventavano rosso fuoco e non solo loro! …
A quella lettura un sorriso compiaciuto le comparve sulle labbra. «Che imbranata ero a diventare rossa come un peperoncino. Oggi di sicuro sarei più aggressiva verso chi mi piace o mi attira». Però rise perché in verità mentiva a se stessa. Non era cambiata più di tanto da quegli anni.
Ricordò chi era Roby: il ragazzo più ricercato del liceo scientifico Roiti. Fece un rapido calcolo di quanti anni doveva avere nel 1974: ne aveva solo sedici. Lui frequentava la V C. Lei era in III A. Non era stato il primo ragazzo, né sarebbe stato l’ultimo. Eppure era arrossita come una ragazzina al primo amore.
«Sì, era un vecchio per me con i suoi diciotto anni». Chiuse gli occhi ritornando sedicenne. «Arrivava a scuola su una rombante Fiat Abarth 500 rossa dagli scarichi cromati lucidi ed enormi e il motore truccato». Li riaprì e scoppiò in una fragorosa risata. «Sì, tutte noi ragazze avremmo fatto carte false pur di sederci accanto a lui».
Poi una smorfia di tristezza le velò gli occhi al pensiero di quegli anni. Erano ricordi che bruciavano, ripensando come era cambiata da quegli anni.
«Allora ero timida e imbranata coi possibili morosi. Faticavo a spiaccicare due parole in fila senza diventare rossa dalla punta dei capelli ai piedi. Sembrava che tutti i pensieri si fossero volatilizzati, quando dovevo parlare con un ragazzo che mi piaceva. Si creava un vuoto nella testa e mi bloccavo».
Con Roby il copione non era mutato. Proseguì nella lettura di quegli appunti scritti venti anni prima.
Arrivata a trentasei anni, era ancora single perché non era mai riuscita a domare il suo carattere spigoloso e aggressivo. Eppure era in sostanza una timida che rappresentava la molla, che attirava i ragazzi allora e adesso gli uomini. In quegli anni la timidezza si palesava nel suo goffo agire tramite un gesticolare nervoso, con le parole che non uscivano dalla bocca, dal suo arrossire quando un ragazzo le parlava. Però ben presto loro si stancavano delle sue indecisioni e del suo mutismo e l’abbandonavano al suo destino. La situazione non era cambiata di molto nemmeno adesso che era una giovane donna in carriera.
Barbara ricordò come avesse timore del suo corpo che secondo lei era sgraziato e poco interessante. In realtà non era vero, perché era la seconda molla che attirava gli sguardi maschili. La sua figura era slanciata e ben proporzionata coi fianchi stretti e il seno sodo. La statura era superiore rispetto alle coetanee tarchiate e formose col viso deturpato dall’acne giovanile. La sua pelle bianca liscia senza i segni della pubertà valorizzava gli occhi blu e i capelli biondi appena mossi. Eppure si sentiva a disagio all’interno del suo fisico.
Nonostante un’intelligenza pronta e reattiva che esprimeva attraverso la scrittura brillante e asciutta, si ingarbugliava non poco quando doveva parlare. Si chiudeva a riccio impedendo ai coetanei di capire la sua vera essenza.
Questo era stato il suo limite durante il percorso scolastico. I professori l’avevano ritenuta una mediocre, anche se otteneva dei voti superiori alla media.
Come per contrappasso per superare questa timidezza innata aveva assunto col passare degli anni una personalità spigolosa e urticante che aveva tenuto lontano da lei i possibili corteggiatori. Non solo quelli.
Finita l’università aveva affrontato il mondo del lavoro con molte difficoltà. L’ingresso non fu facile, perché, quando affrontava test attitudinali e colloqui di assunzione, lasciava nello sconcerto gli esaminatori. Erano incapaci di decifrarne la personalità e comprenderne le potenzialità. Anche se mostrava una mente pronta e acuta nel rispondere alle domande più insidiose, non era in grado di esprimere con chiarezza una frase di senso compiuto tenendo atteggiamenti talvolta irritanti.
Ricordò che, se voleva essere indipendente, doveva trovare un lavoro dignitoso. Ebbe la fortuna di trovare un posto dove non le si chiedeva di parlare ma di scrivere. Una casa editrice importante era alla ricerca di una persona che doveva analizzare il contenuto dei manoscritti. Non doveva parlare ma scrivere se era meritevole di essere pubblicato. Le sue grandi capacità di analisi furono ben presto apprezzate. Aveva selezionato sempre il romanzo vincente senza mai sbagliare una valutazione. I libri da lei scelti finivano sempre in cima alle vendite. Le bastavano poche pagine per capire se manoscritto era in fieri un bestseller oppure sarebbe stato un fiasco colossale. In breve tempo aveva scalato le gerarchie interne e tutti i testi prima di essere stampati passavano dalla sua scrivania per il parere definitivo.
Ben presto si sparse la notizia che se un autore voleva pubblicare il suo testo doveva passare il giudizio di Barbara. Era diventata lo spauracchio di tutti gli scrittori, che cominciarono a tempestarla di inviti e omaggi con la speranza di ottenere una valutazione positiva. La vita sotto i riflettori non era adatta a lei.
Seduta sui talloni si riscosse e interruppe il fiume dei ricordi e riprese la lettura del diario.
«Dove ero rimasta? Ah! Stavo leggendo di Roby. Mi domando dove sarà in questo momento».
Lui era stato l’unico che, invece di ridere delle parole arruffate, le aveva chiesto: «Esci con me?». Non era molto cambiata, perché il suo viso diventò rosso incandescente a questo ricordo.
Barbara rise. Era stata una scena quasi fantozziana. Lei tra l’interdetto e la sorpresa rispose con un sì appena percettibile prima di scappare in aula. Ignorava dove e quando, mentre lui meravigliato era rimasto a bocca aperta per la sua fuga.
L’incontro fu un fiasco colossale, come era certificato dalla sua grafia ormai scolorita dal tempo. Rammentò che non era riuscita a dire tre parole di fila senza farfugliarne altre tre incongruenti tra l’ilarità e lo sconcerto di Roby. In compenso le scoccò un bacio mozzafiato da lasciarla tramortita per i resto della serata.
La relazione durò qualche mese finché lui stanco della timidezza di Barbara in tutti i sensi non la scaricò senza troppi rimpianti per Eleonora, meno bella e intelligente, ma in compenso molto più disinibita.
Barbara chiuse il vaso dei ricordi, riponendo il diario dove l’aveva trovato, mentre portò con sé il foglio per rileggerlo.
Ebbe un flash e capì che il destino aveva scritto quel pezzo di carta in cui si specchiava amaramente.