Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la decima parte del racconto ‘La bambina senza nome’ che potete leggere anche qui.
Samuele maledì dentro di sé quel impiccione di Otello con le sue uscite fuori tempo.
«Lore, Esme è una tua amica che deve arrivare da Bologna?»
«Ma di ben so. Non vuoi rispondere!» esclamò ancora una volta Otello col suo vocione sgraziato alto più di tre ottave del normale. Aveva sovrastato tutte le altre voci presenti nella sala.
Samuele si appoggiò coi gomiti sul bancone e fissò l’amico. Aspettava una risposta che tardava a venire.
Lorenzo inspirò un bel po’ di aria prima di rispondere. Si diede dello sciocco. Nessuno poteva associare quel nome alla bambina che aveva portato lì, perché solo lui e Bea conoscevano che l’aveva battezzato così.
«Scusa Sam. Mi ero dimenticato che l’ho chiamata Esmeralda, come quella del gobbo di Parigi, perché non vuol dire come si chiama. Quindi la stanza è per lei».
Samuele stava per dire qualcosa, quando udì un perentorio «Cammina» che proveniva dall’esterno. Una voce che non riuscì attribuire a nessuna delle sue conoscenze.
Come telecomandati si volsero verso la porta che rimaneva chiusa. Però fuori si sentiva uno strascicare di piedi e delle imprecazioni colorite.
Samuele uscì sullo spiazzo anteriore ma non vide o ascoltò nulla. Solo lo zirlo, il verso del tordo nascosto tra il fogliame della quercia, che durante la stagione estiva offriva un po’ d’ombra alle macchine parcheggiate. In quel momento c’era solo l’Audi A3 di Lorenzo. Sul prato alla sua sinistra che aveva necessità di essere falciato non c’era nulla. Nemmeno il solito merlo impertinente che veniva a elemosinare delle briciole. Sotto il gazebo, dove nelle giornate calde d’estate sedevano i clienti della trattoria, lui cercava l’origine dei rumori percepiti.
Poi girò intorno all’edificio fino all’ingresso del bed and breakfast, al momento deserto, seguendo la striscia che consentiva alle macchine, la sua e di Beatrix, di entrare e uscire dalla rimessa. Nulla. Allungò lo sguardo fino al bassocomodo, piuttosto malmesso, senza vedere nessuna persona. A quella vista Samuele ricordò il motivo per cui aveva chiamato Lorenzo. Dovevano valutare se ristrutturarlo oppure demolirlo per costruirne un altro con il forno a legna. In entrambi i casi l’amico doveva fare disegni e calcoli per il progetto da consegnare all’ufficio tecnico del comune. Anche lui sarebbe stato capace di produrre quanto serviva ma non si era mai iscritto all’albo, al contrario di Lorenzo. Per lui era vitale, perché era la sua professione. «Non appena rientro gliene parlo» mormorò a filo di labbra proseguendo verso l’ultimo lato dell’edificio dove c’era il suo ingresso privato e quello del ricevimento merci.
Nulla.
Deluso e inquieto, perché avvertiva che qualcosa di strano si stava verificando o tra poco sarebbe avvenuto, si avviò per rientrare nella sala. Un nuovo segnale lo colse.
Un brivido di freddo scese lungo la schiena. “Non è freddo ma qualcosa che non so governare”.
L’aria era immobile, neppure un refolo di vento. Nessun uccello cantava o volava nonostante la mangiatoia fosse ricca di leccornie per loro. “Di solito c’è movimento! Oggi tutto sembra fermo. Quella cinna non ha portato fortuna alla trattoria”. Riprese a camminare lentamente e col capo che guardava in basso. Si fermò ancora un istante fuori dalla porta della trattoria come se sperasse di trovare la soluzione a tutti i suoi malesseri. Rimase di stucco perché anche il brusio dei clienti era sparito.
«No. C’è una malia cattiva nell’aria» borbottò spingendo con decisione il battente della trattoria.
Tutti guardavano verso la porta su cui era scritto ‘privato’ con la mano che diceva ‘alt’ ai non autorizzati.
«Ecco il motivo del silenzio!» affermò con voce per nulla dolce.