La bambina senza nome – seconda parte

La prima parte la trovate qui.

Ricordo che il primo settembre termina la promozione del mio nuovo romanzo Daniele in occasione del preordine a €0,99. Da quella data il prezzo sale a €3,99.

Copertina Daniele

[Seconda parte]

La sala non era grande come può esserlo in un posto di montagna che raccoglie gli abitanti del paese per l’immancabile partita a carte o discussione sulla squadra del cuore. Qui si tifava per il Bologna. Alla domenica si animava con qualche turista che voleva mangiare salciccia e polenta oppure pappardelle alla lepre che erano le specialità della trattoria.

Era una giornata feriale e quindi gli avventori erano del luogo. Quattro assorti in una partita a briscola e altri tre che litigavano sull’allenatore del Bologna. Un leggero odore di tabacco aleggiava nell’aria, anche se alle spalle di Samuele stava un bel cartello “VIETATO FUMARE”. Lui chiudeva un occhio se qualcuno fumava una cicca. Apriva l’unica finestra di fianco al bancone per arieggiare ma l’odore restava perché gli arredi ne erano impregnati, quando non era vietato e l’azzurrino del fumo si poteva tagliare col coltello.

Dietro al bancone stava Samuele con l’aria annoiata e impegnato a far mente locale perché aveva chiesto l’aiuto di Lorenzo. Alzò gli occhi sentendo aprire la porta. Mostrò tutto il suo stupore attraverso la mimica facciale. La bocca aperte, la pupilla dilatata e la voce afona. “Chi è quella bambina che Lorenzo tiene per mano?” Era stato il primo pensiero.

«L’è na frataccona!» urlò interdetto Sandro rimanendo con la mano in aria e la carta tra le dita.

Gli occhi della bambina brillarono per un istante e nessuno se ne accorse o almeno diede da vedere di aver scorto questo brillamento.

Il grido di Sandro raggelò l’ambiente e per una frazione di tempo piccola si cristallizzarono i movimenti delle persone.

Il primo a riprendere la parola fu Samuele che con il gesto della mano dal basso verso l’alto esplose con un «Ma che cazzo stai dicendo!»

Lorenzo era fermo sulla porta e si guardò intorno con aria disgustata. L’accoglienza non era stata delle migliori.

Sandro continuava a guardare i nuovi entrati e si era dimenticato che stava giocando a carte in coppia con Otello.

«Repit! É ‘n diaul vestîda da sgurina! Al so benissim! Di ben so!» Ribadì convinto Sandro.

«Vå! Cåda la curta» lo incitò Otello, vedendolo con la mano alzata.

Però Sandro continuava a fissare la bambina che teneva gli occhi bassi come a nasconderli agli astanti.

Lorenzo, superato il primo momento di fastidio, avanzò incurante dei sedici occhi che lo guardavano fisso.

«Ciao Sam! Non so chi sia ma l’ho raccolta per strada vicino alla Fonte Vecchia. Coi banchi di nebbia rischiava di essere arrotata da un automobilista che non la vedeva».

Lorenzo doveva in qualche modo giustificarla e motivare perché era lì con lui. Però quel grido del giocatore l’aveva scosso. “Forse ha ragione! Quel colore degli occhi non è usuale! Sembrano quelli di un gatto”.

Sandro non disse più nulla ma la carta rimase a mezz’aria incurante degli incitamenti del compagno di partita. “Sì, quella bambina…” e scosse la testa come per negare che lo fosse, “non può essere altro che un diavolo. Le mie ossa lo sentono!”

«Sì, sì!» e calò l’asso pigliatutto.

Però l’atmosfera era cambiata. Si avvertiva palpabile la tensione. Il vociare allegro ad alta voce si era trasformato in bisbigli tremolanti quasi come per non far ascoltare i loro discorsi.

Pipin, il vero nome era scomparso da cinquant’anni ovvero da quando aveva emesso il primo vagito, smise di parlare di Thiago Motta, del Bologna e osservava di sguincio la bambina, che teneva lo sguardo rivolto a terra. “La cinna ha gli occhi zal come un gât”. L’aveva notato ed era rimasto scioccato ma il grido di Sandro gli aveva cavato le parole di bocca.

Lorenzo senza sforzo insediò sullo sgabello la bambina. Si stupì per la sua leggerezza. L’aveva sollevata senza fatica: pareva una piuma. Si sistemò su quello accanto.

«Hai fame?» Non sapeva il perché ma era certo che avesse fame. Troppo magra e le due gambette parevano due stecchini tanto erano sottili.

Non si aspettava risposta visto che durante il tragitto era rimasta in silenzio come se fosse sorda oppure parlasse un’altra lingua. Però percepì un «Sì» appena sussurrato. Sobbalzò con le spalle e si girò verso di lei e le chiese di nuovo «Hai fame?». Quasi a sincerarsi di aver udito bene. Questa volta il sì fu più esplicito accompagnato da un lieve movimento della testa.

«Sam, puoi preparare un vassoio di panini? Abbiamo fame». Lorenzo si era girato verso l’amico Samuele. «Cosa c’era di tanto urgente da farmi venire fin qua su?»

L’oste rise mettendo in mostra una dentatura non perfetta e alquanto giallognola. «Non ti arrabbiare!» Fece come premessa a quello che avrebbe detto poi. «Non mi ricordo! È da quando ho telefonato che mi sforzo senza risultati». Scoppiò in una fragorosa risata che fu contagiosa.

Anche Lorenzo rise di gusto, scuotendo il capo. “È sempre così con Sam! Ti chiama e non ricorda il motivo. Prima di scendere lo scoprirò”.

Le risate rimasero a mezz’aria e non contagiarono gli altri avventori che rimasero in silenzio. La partita a carte rimase in sospeso, il calcio era stato sostituito dalla visione della bambina.

«Nei panini cosa metto?» chiese Samuele, prendendo un vassoio da sotto il banco.

«Mortadella, salame e prosciutto dolce. Quello buono. Acqua e un calice di vino rosso del tuo» precisò Lorenzo.

Il clima della sala era gelido. Si udivano solo i respiri tossicchianti delle persone presenti.

Samuel sparì dietro una tenda di plastica a righe bianche e rosse per ricomparire dopo una decina di minuti con un bel po’ di panini che profumavano di salumi. Mise il vassoio in mezzo tra Lorenzo e la bambina che con avidità afferrò quello che era in cima alla piramide. Lo addentò con voracità, mentre Samuele preparava il calice di rosso e metteva sul bancone una bottiglia di plastica con l’acqua naturale.

Lorenzo osservava con l’occhio stupito la bambina che divorava in rapida sequenza due, tre, quattro panini a grande velocità.

«Aveva fame la cinna!» Esclamò Otello, osservando il mucchio di panini che si riduceva sempre più.

[Fine seconda parte – continua]

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