Laura

Su Caffè Letterario ho pubblicato un nuovo post. Lo trovate anche qui.

Laura era seduta davanti al suo portatile, quando un breve suono le annunciò l’arrivo di un nuovo messaggio di posta.

Continuò nelle sue occupazioni. C’era tempo per leggerlo e non voleva essere distratta, perché stava preparando la prossima prova del “Romeo e Giulietta”. Voleva essere accurata e non tralasciare nessun dettaglio, perché quel giorno le prove erano state poco attendibili per via delle molte imprecisioni degli interpreti e anche, doveva riconoscerlo, dell’allestimento della scena, che aveva gestito in prima persona. Non voleva che questo si ripetesse, perché le provocava tensioni e stress correggere in continuazione gli interpreti e cercare la risistemazione della scena quasi brancolando nel buio.

Era così intenta al suo lavoro che si dimenticò del messaggio arrivato, anche quando terminò le note operative per l’indomani.

Si allungò sulla poltrona. Ripensò alla giornata ormai agli sgoccioli, agli imprevisti in scena e agli eventi che erano accaduti dopo, che erano riusciti a stemperare la tensione accumulata.

Sì, c’era stato un piacevole e sorprendente fuori programma, che l’aveva lasciata di buon umore, come di rado era accaduto negli ultimi mesi.

La sua esistenza fino a questo momento non era trascorsa eccitante, tanto da indurla a gettarsi a capofitto nel suo lavoro, trascurando marito e figlia. Sentiva dentro di sé un rancore sordo, un distacco da quella vita familiare che le andava stretta. Da tempo non aveva rapporti col marito e non desiderava averne nemmeno con altri uomini.

Rifletteva, quando un nuovo segnale le interruppe i pensieri. Altri messaggi erano arrivati.

Si riscosse, aprì il programma di posta e cominciò a leggerli.

La sua attenzione cadde su quello inviato da Silvia.

Mia Laura,

so che non posso chiamarti o scriverti un messaggio, con le parole che vorrei. Ho bisogno di dirti ancora che mi manca il tuo abbraccio. Non credevo fosse possibile quanto abbiamo vissuto oggi. Parlavamo del teatro, come sempre, della teoria e della carnalità del teatro, del poter essere in scena il traditore e il bambino, e ci siamo trovate vicine nei sensi e nelle parole, sempre più in profondità, fino alle corde inespresse. Già, le corde inespresse, come dici tu. Non sapevo cosa sarebbe successo, non ho pensato, ti ho solo desiderata e mi sono lanciata nel vuoto avvicinandomi a te, portata da non so quale forza. Sì, lo so quale forza, ma ho paura di dirtelo. “Sulle ali leggere dell’amore ho superato queste mura: non ci sono limiti di pietra che possano impedire il passo all’amore, e ciò che l’amore può fare, l’amore osa tentarlo. Ecco perché i tuoi parenti non mi possono fermare”… Romeo. In scena interpreto con tutto il mio cuore Nutrice, ma avrei voluto essere Giulietta, tu lo sai. E mi innamoravo sempre di più vedendoti insegnare a Giulietta come muoversi in scena. E io, Nutrice, dovevo portarla via, ma in realtà l’assecondavo nel suo rubare un attimo per godere ancora della vicinanza del suo giovane amore. E ora sono io, forse, quel giovane amore… Amore. Parola grande e infinita, così difficile da pronunciare per chi ne conosca il peso. Come sempre con te perdo il filo dei pensieri, ma forse mai come ora lo ritrovo. Oggi ti ho sentita, finalmente. Ho sentito che non è solo un mio delirare, vano. Che ci sei anche tu, a dibatterti in questo sentirci, che ora è di entrambe, a non volerlo accettare del tutto, ma a sentirlo sempre più forte crescere dentro. La tua bocca, Laura, il tuo respiro, la tua pelle. Avrei pianto tra le tue braccia, ma le lacrime non mi escono. Poter piangere tutta la mia sofferenza tra le braccia di chi sente, capisce, conosce il mio cuore. E i tuoi occhi non erano asciutti oggi, dopo che ci siamo strette, e finalmente baciate, delicatamente, mentre le braccia si stringevano quasi ancorandosi al corpo dell’altra, e poi unite in un bacio vero. Ci siamo aggrappate l’una all’altra in quell’immenso bisogno di noi. Ho imbevuto la mia bocca, le mie mani di donna nella tua essenza. Ho sentito, come un lampo dentro, il tuo gridare con me. Con me. Con me. Accucciata sul tuo piccolo seno, quasi da adolescente, mi sono colmata del tuo sorriso, del tuo tenermi con te. Poi la tua voce. Per me è un canto. Mentre mi accarezzavi il viso mi hai parlato. Hai ragione, sai. Io lo so. E io posso stare in un angolo, felice se rubiamo un’ora per noi. Mi basta sentire che non è solo desiderio, non è follia quella che cantava oggi nei tuoi occhi.

Ti mando un’immagine di noi, un fiore rosso.

Silvia

Lei era una donna di 45 anni, non molto alta, con gli occhi azzurri e capelli castano scuro, che nascondevano qualche filo bianco.

Amava il suo lavoro, al quale dedicava molto tempo, seguendo una piccola compagnia teatrale, che girava quasi esclusivamente nei teatri della regione.

Adesso insegnava recitazione con altri colleghi a un gruppo di giovani attori, come muoversi sulla scena, come parlare. Stavano preparando il saggio che avrebbe concluso il corso del secondo anno: un’opera impegnativa sia per la recitazione, sia per la scenografia.

Quel martedì le prove erano state un disastro, c’era tensione tra loro e nessuno sembrava prestare attenzione. Tutti sembravano presi da altri pensieri, svagati come se la primavera li avesse svegliati dal sonno invernale. Aveva dovuto urlare e riprendere mille volte Giulietta, che sembrava avere la mente troppo deconcentrata e poi Romeo che era troppo caustico e pungente, per non parlare delle scene, tutte approssimative e imprecise. Sapeva di avere delle grandi responsabilità nel caos generale, perché le sue note non avevano saputo segnare al gruppo la strada da seguire. Avevano così poco tempo per la messa in scena del saggio e dovevano correre per rispettare i tempi.

Però quell’incontro fortuito e appagante con Silvia, la sua allieva, aveva cambiato il volto alla giornata.

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