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Il tramonto l’aveva sempre affascinata. Si perse nell’assistere allo spettacolo del sole che calava dietro quel boschetto nella campagna piatta della pianura.
Camilla si era fermata sul ciglio della strada per fissare nella retina quel disco rosso che imporporava il cielo ricoperto da nuvole.
Era un fermo immagine che voleva conservare nella mente, mentre le ombre della sera diventavano lunghe e scure.
Riavviò la macchina e riprese il tragitto verso casa. Lo stradone era deserto, mentre i fari dell’auto tagliavano l’oscurità del giorno morente.
Spense la radio. Non voleva interrompere il flusso dei pensieri. La giornata odierna per Camilla era stata pesante e solo la visione di quello spettacolare tramonto aveva avuto il potere di spezzare la spirale negativa della sua mente.
Era cominciata male al risveglio. Carlo era indisponente più del solito. Non andava bene nulla. La camicia stirata, i pantaloni in tintoria, come se fosse colpa sua se lui li sporcava a tavola, la giacca sgualcita. Sembrava che volesse attaccar briga su ogni cosa.
«Sei noioso» aveva esternato Camilla, sbuffando, mentre davanti allo specchio modellava le labbra col rossetto. «Non sono la tua schiava».
Carlo urlò qualcosa che lei non capì a pieno o forse finse di non sentire. Alzò le spalle. “Urla quanto vuoi” pensò, mentre finiva di cotonarsi i capelli.
«Il caffè è freddo» gridò con voce stridula.
«Dovevi alzarti prima, anziché poltrire nel letto» rimbeccò Camilla, che cominciava a manifestare insofferenza alle parole del compagno.
«Ma io esco un’ora dopo di te» precisò Carlo.
Camilla sorrise e si morse il labbro, contando fino a dieci. Tutte le mattine era una replica dei suoi lamenti per il caffè. “Beato te, che puoi startene sotto le coperte un’ora in più” pensò, osservando con la coda dell’occhio la sveglietta sul ripiano di cristallo del bagno. Erano le sette e se non si sbrigava sarebbe arrivata tardi in ufficio. Doveva percorrere un bel tragitto. Almeno un’ora di viaggio. Questo tutte le mattine. Doveva tenersi almeno venti minuti di margine, perché un ingorgo o un incidente avrebbe allungato i tempi di percorrenza.
«Ciao» disse Camilla, afferrando le chiavi e la tracolla prima di uscire.
Carlo grugnì qualcosa come il solito.
Camilla viveva in coppia con lui da cinque anni ma il loro rapporto tendeva a deteriorarsi un giorno dopo l’altro. Il grande amore iniziale stava lasciando il posto alla freddezza di sopportarsi a stento. Quello che li teneva uniti al momento era il mutuo della casa ma presto anche questo pretesto sarebbe caduto. Almeno era la convinzione di Camilla, che doveva decidere se comprare l’altra metà dell’appartamento oppure vendere tutto e trasferirsi vicino al lavoro. Tutti i giorni doveva farsi una cinquantina di chilometri per raggiungerlo e questo cominciava a pesarle.
Se poi ci aggiungeva la difficoltà a trovare un parcheggio comodo vicino, il pensiero di trasferirsi diventava quasi certezza. Le piaceva l’idea di andarci in bicicletta o a piedi e tornare a casa durante la pausa pranzo. “Anche oggi devo sostare lontano” sbuffò, mentre infilava la sua Toyota tra due suv.
Camilla era interior designer senior in uno studio di architettura, dove progettava gli interni di appartamenti e uffici. Nonostante avesse poco più di trent’anni, aveva fatto carriera in fretta per la sua capacità di coniugare raffinatezza e praticità in maniera funzionale alle persone che dovevano vivere o lavorare in quei locali. Una dote professionale che era stata apprezzata dal capo dello studio.
Entrando nell’ufficio, aveva trovato un appunto del suo capo: una grossa grana da risolvere in fretta.
‘Il cliente Amos non è rimasto soddisfatto del lavoro di Anna. Puoi dare un’occhiata?’
Un modo elegante per dire che il progetto era da rifare. Sbuffò indispettita perché la giornata minacciava a proseguire male dopo i prodromi del risveglio.
Se c’era un aspetto del suo lavoro che la innervosiva era dover intervenire sull’operato di qualche collega con gli inevitabili peggioramenti dei rapporti interpersonali. Nello studio oltre a lei c’erano altri tre che operavano nel suo campo e ognuno aveva la propria sensibilità e il proprio tocco personale nella progettazione. Agire su questo le creava ansia, perché si rischiava di rendere disomogeneo il colpo d’occhio complessivo oltre al loro astio.
Con Anna non c’era sintonia. Estrosa e innovativa badava poco al funzionale con ricadute negative sull’uso della concreto dell’ambiente da progettare. Camilla aveva convenuto che fosse stato un azzardo affidare il progetto del loft ad Anna, conoscendo come Amos fosse poco incline alle stravaganze moderne della collega. Ne aveva parlato con Marco ma lui era stato irremovibile, perché Anna aveva delle buone qualità potenziali ma doveva maturare nella sensibilità di adeguare le sue idee al cliente.
Adesso puntuale era scoppiata la grana e lei doveva metterci una pezza. Stava seguendo un progetto di riqualificazione urbana impegnativo e delicato, perché l’opposizione politica aveva gridato all’inciucio, quando l’amministrazione comunale aveva affidato allo studio tutti i lavori. Quindi sotto i riflettori mediatici il team, del quale faceva parte, doveva rispettare tempi e costi per non finire sulla graticola delle polemiche politiche. Staccarsi dal progetto, anche solo per mezza giornata, rischiava d’innescare dei problemi nella tempistica delle attività. Il percorso da seguire era stretto e loro non potevano uscire dai margini imposti dal bando.
Camilla non aveva un’idea né delle rimostranze di Amos né del progetto di Anna. “Mi scoccia un po’ andare a parlare con lei su questo” rifletté, sedendosi alla sua scrivania. Era consapevole che alla fine si sarebbe tramutato in un corpo a corpo l’intervento. Con Anna che difendeva le proprie scelte e lei che doveva trovare la quadratura del cerchio.
Si massaggiò le tempie per scaricare la tensione che in poche ore aveva accumulato, prima di cominciare la discussione.
Camilla fu un facile profeta. Dopo otto ore di estenuante battaglia riuscì a convincerla a modificare parzialmente il progetto per renderlo più funzionale e adatto alle esigenze del cliente.
Alle diciassette, quando uscì dallo studio per tornare a casa, aveva un grosso cerchio alla testa, che pareva scoppiarle, come regalo della battaglia con Anna. A questo si aggiungeva il pensiero di vedere Carlo, che faticava a sopportarlo. Avrebbe preferito rimanere in ufficio tutta la notte anziché sentire la sua voce.
La visione del tramonto ebbe il potere di sciogliere lo stress accumulato per affrontare una nuova serata col compagno.