Un viaggio, un incubo – ventunesima puntata

Per un disguido con la data di programmazione ho programmato per martedì 17 la ventiduesima puntata. Per cui questa che è la ventunesima viene pubblicata in ritardo. Mi scuso coi i lettori del mio imperdonabile errore. Buona lettura

Qui, per chi fosse curioso o avesse perso qualche puntata precedente, trova le altre.

credits by pexels.com

Simona si risveglia, è distesa su un letto con le braccia e le gambe immobilizzate. Trema e vorrebbe urlare ma non riesce. Tenta di muovere le braccia ma griderebbe per il dolore: delle corde incidono i polsi. Gira il capo e si guarda intorno vedendo solo buio. Pensa di essere bendata o aver perso la vista ma le sembra d’intravedere dall’unica finestra l’ombra di una scale esterna. Respira a fondo ma avverte un dolore sordo alla base della testa e due lacrime scendono sulle guance finendo ai lati del viso.

Ha un flash. Ricorda le immagini dell’incubo della notte precedente. Sembra che i fotogrammi si sovrappongano con la realtà che sta vivendo e comprende che sarà difficile uscire indenne. Se l’altra notte l’incubo si è interrotto per il trillo del telefono prima che Mark tentasse di entrare, questa volta non ci saranno angeli salvatori che verranno in suo aiuto.

“Ieri notte” riflette scoprendo di essere nuda col corpo madido di sudore per lo stress. “Ieri notte durante l’incubo non potevo chiedere aiuto, esattamente come ora. C’erano oltre Mark anche Roberto, Enrico e Anna e sono stata salvata da un provvidenziale trillo del telefono”. Un brivido di freddo le fa accapponare la pelle al pensiero che nessuno squillo la salverà. Si augura che l’agonia duri poco e non sia eccessivamente dolorosa. Sa che, dopo avere abusato di lei, dovrà sparire fisicamente senza lasciare tracce.

Le sue narici avvertono l’acre odore del sudore che il suo corpo emette. Ha sempre odiato le persone che lasciano nell’aria una nuvola di afrore agliaceo. Le ascelle, la schiena sono bagnate e puzzano tremendamente. Qualsiasi movimento le costa dolore, perché le cinghie segano la carne a ogni spostamento. Avverte che sta perdendo sangue dove stringono.

Ammette di essere stata imprudente, tacendo a Dick il particolare della tentata violenza dallo sfasciacarrozze. Avrebbe dovuto aprirsi, perché di certo avrebbe suggerito qualche contromossa. Anche con Irene è stata reticente e forse avrebbe compreso i motivi per cui non voleva uscire.

Pentirsi adesso è inutile, perché le sue sono lacrime di coccodrillo.

“Non sono una ragazzina, ma una donna adulta di quarant’anni” ricorda con una punta d’amarezza. “Lasciarsi irretire in rete da uno sconosciuto, concedergli quello che ho permesso non è consono della mia età”. Questi tardivi pensieri valgono poco nella sua situazione. Inoltre la decisione della partenza per New York le fa capire quanto sia stata avventata in questa avventura con uno sconosciuto.

Ha deciso senza ascoltare nessuna ragione, senza riflettere sui pericoli di un viaggio alla ricerca di qualcosa presente nella sua mente.

“Ho avuto la presunzione di superare qualsiasi ostacolo con le mie forze, d’ignorare avvertimenti che hanno squillato inutilmente” si dice sapendo in quale tragica situazione si è cacciata. Non ha voluto coinvolgere nessuno fidandosi del suo intuito per risolvere da sola le questioni con Mark. Intuisce di essere nei guai e sono molto seri. Comincia a piangere, mentre l’aria della stanza è impregnata dal suo odore pungente e aspro. Il caldo della notte la fa sudare in abbondanza.

Non sa misurare il tempo. Le sembra che siano passati dei secoli da quando si è risvegliata. E non ha nemmeno la percezione per quanto tempo è stata incosciente.

“Un’ora? Due ore?” si interroga, ma le pare che le lancette si siano fermate. Non è conscia che ora della notte sia. Ha un’unica certezza: c’è ancora buio.

Non ode alcun rumore a parte il suo respiro affannoso. Non sarebbe in grado di spiegare dove è rinchiusa, qualora riuscisse a liberarsi. I suoni sono inesistenti o talmente ovattati da risultare impercettibili.

Si domanda dove sono finiti i suoi vestiti e perché lui non c’è. Vuole tenere la mente impegnata perché l’ansia e il panico non abbiano il sopravvento. Se vuole conservare un briciolo di speranza di cavarsela, deve rimanere lucida e ragionare con calma senza tradire l’angoscia che porta dentro.

“Mi stanno cercando?” si chiede ma intuisce l’inutilità della domanda. “Non sanno chi è e dove mi tiene prigioniera. Come posso credere che riescano a liberarmi se ignorano tutto? Le mie sono solo fantasie disperate”.

Le pare di udire in lontananza un rumore di treno, ma forse è solo suggestione. Il silenzio è tombale.

Il caldo nella stanza sta diventando insopportabile mentre suda e respira con affanno. Sente lo stimolo di urinare, ma si trattiene, perché percepire l’afrore dell’urina misto a quello del sudore sarebbe un lezzo rivoltante. Inoltre sarebbe un’umiliazione per lei, perché Mark potrebbe pensare che è avvenuto per lo stimolo del panico. In parte è vero ma ha bevuto con abbondanza durante la serata ed è naturale che debba vuotare la vescica.

Stringe i denti, ma il dolore al basso ventre diventa lancinante. Prega di resistere allo stimolo.

Il rumore della serratura che si apre agisce da detonatore: un liquido caldo scivola fra le cosce. Sembra che non finisca più.

Piange perché si sente umiliata, ma deve mantenere calma e lucidità se vuole contrastare Mark.

Intravvede nel vano della porta una luce e la sagoma corpulenta di Mark. Se aveva qualche barlume di speranza che il suo aguzzino non fosse lui, adesso deve prendere atto della realtà e rimanere fredda per contrastarlo a parole, visto che fisicamente non lo può fare.

Solleva il capo a fatica per seguire le mosse dell’uomo, mentre percepisce sotto il suo corpo l’umido misto di urina e sudore. Ha una smorfia di nausea, perché la stanza è piena di odori sgradevoli.

«My slut!» esclama entrando nella camera, arricciando il naso per l’olezzo poco invitante presente nell’aria.

«No shit! Ti sei pisciata addosso dalla paura!» afferma Mark con la forza del tono ironico. «Mio dio, che puzza! Che schifo! Ti dovrò lavare prima di fotterti!»

Poi impreca minacciosamente, agitando sotto il naso di Simona un enorme dildo.

«Sporca troia mi hai rovinato un materasso nuovo! Avrai quel che ti meriti!» afferma in preda dell’ira.

Lei ascolta in silenzio senza muovere un muscolo della faccia. “Ti ho rovinato un materasso nuovo?” si dice aggrottando la fronte. “Ben ti sta! Non mi vuoi scopare sporca e sudata? E chi se ne frega! Signore aiutami!”

Poi prega che il supplizio duri poco. Vorrebbe essere già morta ma sa che l’agonia sarà lunga e dolorosa.

La stanza è parzialmente illuminata da una lampada a terra, ma non ha importanza per lei, perché così non vede il suo aguzzino.

Mark apre la finestra nel tentativo di eliminare l’odore, ma entra un fiotto di aria umida e maleodorante tale da costringerlo a richiuderla subito.

In preda all’ira per il contrattempo non prende nessuna decisione. Quello che aveva immaginato è saltato e non riesce a organizzare un piano alternativo.

Continua a insultarla sperando in una reazione che non arriva. Simona rimane immobile, decisa a usare l’arma d’ignorarlo per innervosire Mark e costringerlo a qualche errore. Lei deve usare la psicologia per coltivare qualche speranza di riuscire a cavarsela.

Mark innervosito per la mancata reazione di Simona decide di scoparla anche se è sporca di urina. Si spoglia e tenta di penetrarla.

Simona irrigidisce i muscoli pelvici. Lei sente delle fitte atroci, ma stringe i denti, costringendolo a desistere. Mark urla parole sconnesse, perché ha provato dolore.

Una nuova valanga d’insulti la investe, ma Simona finge di non capirli. Non può parlare per via del bavaglio sulla bocca ma la sua immobilità è uno schiaffo per Mark.

Per il momento è riuscita a mantenere la lucidità e respingere i suoi assalti. Il prezzo è alto: avverte spasmi lancinanti nel basso ventre.

“Quanto potrò resistere?” si chiede con affanno senza mostrarlo apertamente. Sa che la prossima volta sarà ancora più doloroso.

Il tempo scorre a suo favore. Fuori il cielo è ricoperto di stelle che lei non può vedere.

0

0 risposte a “Un viaggio, un incubo – ventunesima puntata”

  1. Dai di la verità che con tua moglie provate la sceneggiatura per vedere come viene 😂hai messo una foto simile al libro Elevation visto che sei sulle sue corde non mi sbagliavo 😆Simona comincia a essermi simpatica
    La salverò

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *