Un viaggio, un incubo – diciottesima puntata

Eccoci all’appuntamento del venerdì con la diciottesima puntata dell’avventura di Simona. Per chi volesse leggere le puntate precedenti le trova qui.

Buona lettura.

Simona è incerta se deve raccontare l’episodio del giorno precedente oppure tacere. È un grosso dilemma che non riesce a districare. Alla fine decide di omettere il brutto episodio.

Irene vuole sapere tutto di Mark: com’è, cosa fa, quali impressioni ha ricavato senza incontrare grandi entusiasmi. Poche parole appena sussurrate escono dalla sua bocca, impedendo che il discorso si ampli e si approfondisca. Mostra scarso interesse a parlarne.

L’amica è piena di brio. Sembra aver smaltito in fretta la differenza di fuso orario, è un fiume in piena, mentre Simona nicchia, vorrebbe starsene tranquilla nella nuova suite, discorrere di questioni futili, poco impegnative.

«È presto per chiudersi qui. Il sole è ancora alto sull’orizzonte. Usciamo. Ho voglia di vedere delle novità» chiosa garrula come un merlo. «Ho letto di Holly. Non ti ricordi?»

«Holly?» ribatte Simona sgranando gli occhi. «Chi sarebbe?»

Irene sbotta in una fragorosa risata di fronte la candida ignoranza di Simona.

«Non ha mai visto il mitico George Peppard e Audrey Hepburn in ‘Breakfast at Tiffany’s’?» chiede con un sorrisino ironico, amicando con un occhio. «Non dire che ignori sia il libro che il film! Ha fatto sognare milioni di donne! Ho letto di un possibile itinerario in giro per Manhattan sulle tracce di Holly. Potemmo cominciare dalla New York Public Library, che è qui vicino, accanto al Bryant Park. Mi piacerebbe una foto sui leoni che stanno in cima alla scalinata. Quattro passi a piedi per sgranchire le gambe dopo essere stata molte ore seduta sono salutari».

Irene non smette di parlare, di estrarre nuove idee, di proporre itinerari e ristoranti come se fosse la guida, l’angelo salvatore dei turisti della grande mela.

Simona si trova in difficoltà, non sa come spiegare all’amica che Mark la sta braccando e ci ha provato più volte. Rimpiange di avere taciuto per prendere tempo. Giudica inadatto il momento per raccontare la brutta avventura con Mark. Si ripromette di farlo al rientro nella suite.

«Va bene» accondiscende rassegnata, mentre mentalmente spera che Dio gliela mandi buona. Ha cattive sensazioni e l’umore è basso.

Di passo lesto si avviano verso il Bryant Park ma rallentano perché il caldo afoso le avvolge in una nube di vapore acqueo che le costringe a riparare nel grande prato sotto gli alberi.

«È una favola!» esclama stupita Irene «E tu volevi costringermi a stare chiusa nella suite? È stracolmo di gente ed è immenso!»

Come una bambina incantata davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli si ferma a leggere l’elenco degli spettacoli della sera. I gridolini di gioia si sprecano. Le guide di New York citano di sfuggita questo polmone verde vicino a Times Square nel cuore di Manhattan. È una mancanza grave, annotandosi mentalmente di segnalare questo nel forum di viaggi che frequenta sul web.

Si rifugiano nel Shady Side, il lato all’ombra, che presenta la più alta densità di corpi umani del globo. Apre la bocca per lo stupore. Lo spettacolo offerto dalle persone sotto il sole di luglio sedute su una singolare sedia con un piccolo tavolino incorporato per appoggiarvi sopra qualcosa e una specie d’incavo per carte o bicchieri.

Osserva ogni dettaglio: il grande giardino con le enorme begonie che colorano di rosso lo sfondo verde, i numerosi alberi che fanno da corona al prato curato in modo impeccabile.

«Sono assettata» esclama dopo avere parlato a macchinetta. «Ho letto che c’è un Café nell’edificio in fondo». E si avvia con decisione.

Simona viaggia a rimorchio dell’amica, annuisce, trotterella a fatica dietro di lei, che con tre falcate divora il prato.

È l’ora dell’aperitivo e tutti i tavoli all’aperto sono impegnati. Per Simona non è una novità il bar American Style: tutti in piedi attorno a un tavolino rotondo alto. Per Irene sì: osserva lo spettacolo, lo commenta, cerca l’approvazione dell’amica che si limita a pochi monosillabi.

Il sole sta calando dietro i grandi edifici e non inonda più il prato.

Simona è inquieta, si sente a disagio fra tutto quel vociare confuso e quel via vai tra tavolino e bancone con nuovi Martini e salatini. La testa le gira, forse è un po’ brilla, ma è lo stress accumulato che pretende il ticket. Si mostra serena, ascoltando Irene e rispondendo alle sue domande ma dentro non cessano le sensazioni negative attenuate dalla presenza dell’amica e dal fatto di essere circondata da molte persone.

A Simona si chiudono gli occhi per la stanchezza. È stremata e vorrebbe essere nella suite. La notte precedente quasi insonne e popolata da incubi terrificanti bussa nella sua testa senza fare sconti.

Irene ha fame e ritiene che sia ancora presto per rinchiudersi nel residence e passano nel locale accanto, Bryant Park Grill, per mangiare qualcosa.

Simona ordina prosciutto di Parma, melone, fichi neri, mascarpone importato e vino rosso, con un contorno di patatine fritte. Irene si fa dei ravioli al formaggio di capra conditi da qualcosa che vagamente assomiglia a un intruglio, dove si mescolano diversi ingredienti non ben identificati, e un filetto di salmone grigliato con salse varie.

«Non è male» afferma Irene con la bocca piena, mentre Simona osserva con disgusto quei piatti male assortiti.

Tra non molto Bryant Park chiude. Le due ragazze si avviano verso l’Avenue of Americas per ritornare al residence. Irene si ferma incantata al Carrusel, la giostra dei cavalli, che la fanno ritornare bambina quando moriva dalla voglia di fare un giro su quei cavalli dondolanti di cartapesta che girano in tondo.

Quando gira gli occhi non trova più la sago Carrusel ma di Simona e si inquieta. Si avvia nervosa all’uscita senza trovarla.

«Dove cazzo è andata?» dice in italiano mentre percorre di corsa le poche centinaia di yarde che la dividono dal residence.

Si ferma alla reception e chiede se Simona sia già rientrata, ottenendo una risposta negativa. Adesso in preda al terrore rifà la strada inversa sperando d’incontrarla. Incontra solo dei nottambuli semi sbronzi. Un senso di angoscia le chiude la gola perché Simona sembra essersi volatilizzata. Pare svanita nel nulla.

«Mi sono fermata un breve istante alla giostra dei cavalli e lei, puff! Si è smaterializzata» esclama con voce angosciata senza calmare l’intimo subbuglio.

Non le resta che tornare al residence per denunciare la sua scomparsa.

Riflette che non riuscirà a dormire, mentre la stanchezza cala su di lei.

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