Un viaggio, un incubo – decima puntata

Eccoci con la decima puntata che vede protagonista Simona in un viaggio nella grande mela, che si sta tramutando un incubo. Per chi volesse leggere le puntate precedenti le trova qui.

Buona lettura.

Foto di Luis Dalvan da Pexels

 

La stanchezza, lo stress accumulato e il non perfetto adattamento al nuovo fuso orario conducono Simona in breve in braccio a Morfeo.

È in un appartamento che non conosce piccolo e disordinato. Due stanze: una camera con un letto matrimoniale dozzinale e una sala con l’uso di cucina nemmeno troppo pulita. Il letto è semi disfatto e le lenzuola sono stropicciate con macchie gialle qua e là.

Simona è vestita con la camicetta bianca e la gonna del pomeriggio e sotto nulla. Non ha paura ma si aggira guardinga, perché sembra disabitato. Dalla finestra della stanza da letto si intravede la scala di sicurezza. Si domanda perché è lì, non ricorda come ci sia arrivata.

Apre i cassetti: dentro indumenti maschili. Si trova in un appartamento dove vive un uomo. Chi è? Non riesce a capirlo ma un particolare l’inquieta: la porta d’ingresso è chiusa a chiave e lei non ce l’ha per aprirla.

«Userò la scala di sicurezza per scendere».

Però la finestra è bloccata. Perlustra l’appartamento alla ricerca come uscire. La tranquillità di poco prima si incrina e uno stato d’ansia la fa muovere a scatti. Cerca le chiavi nei cassetti, dove trova attrezzature sadomaso. “Dove sono capitata?” si domanda in preda al terrore.

In frigo scova una bottiglia di acqua Evian, che beve tutta d’un fiato per alleviare l’arsura.

Simona stanca di stare chiusa lì dentro si avvia verso la finestra decisa a sfondarla, quando sente una chiave girare nella serratura. Si ferma. Aspetta di vedere il misterioso inquilino.

Come se si fosse spenta la luce, i suoi occhi non scorgono nulla, né riesce a parlare. È immobilizzata con le braccia stese di fianco alla testa e le gambe divaricate.

Vorrebbe urlare, chiedere aiuto, implorare che non le facciano del male ma dalla bocca non esce nemmeno un sussurro. Percepisce la presenza di più persone che parlano, che ansano, senza distinguere i tratti dei loro visi. Ha gli occhi coperti da una benda.

Sono voci familiari. Ascolta Roberto col tono impastato, quando è sotto l’effetto della droga e del alcol. “Non cambierà mai! Avrà sempre il suo solito cliché: borioso, fatto e inconcludente”.

Le parole pronunciate dal primo grande amore si sovrappongono a quelle garrule, effeminate di Enrico che domanda quando può iniziare. “Nemmeno lui è cambiato. Pensa solo a se stesso. Quale imperdonabile leggerezza ho commesso mettendomi con lui”.

Ascolta l’inconfondibile accento dialettale di Anna, che smania di mettere le sue mani sul corpo di Simona. “No, lei proprio no! Il solo pensiero di sentire le sue dita che frugano dentro di me, rende più penosa questa situazione”.

All’appello manca Mark e il suo slang. “Perché?” si chiede ma come avessero letto nel suo pensiero ascolta le parole del messaggio ricevuto nel pomeriggio, mentre la pelle diventa grinza come un’arancia. “E lui che temo. Lui sa essere sadico. Però non posso chiedere aiuto”.

Non vede i volti, ma sente le loro voci che si accavallano una sopra l’altra. Sono tutti tesi a dare sfogo alle loro menti malate.

Percepisce un enorme dildo posato sul ventre pronto per essere manovrato con cattiveria. La mente sta cedendo alla paura per l’impotenza delle reazioni da parte sua, quando ode in lontananza un trillo acuto che si ripete cadenzato. Le loro voci diventano stridule e paiono in dissolvenza, mentre comprende che i lacci che le immobilizzano i polsi e le caviglie lentamente si sciolgono.

«Sono libera» urla con tutto il fiato che ha in gola e si mette ritta sul letto col corpo madido di sudore.

Il trillo continua a perforare i suoi timpani. Si guarda attorno mentre legge l’orario sul soffitto: zero e quindici p.m.

“È stato solo un sogno ed è mezzanotte appena passata”. Sente quel suono continuare. “Da dove proviene?” Si gira verso la mensola dove sta appoggiato il telefono che lampeggia.

«Hello» grida nel ricevitore.

«Miss Ferrari. È la reception che parla. Mi scusi se l’ho svegliata, ma un signore insiste nel dire che ha un appuntamento urgente con lei e vuole salire».

Simona rabbrividisce prima di rispondere. «Non conosco nessun signore a New York» mente. «Se insiste chiami la polizia. Non voglio essere disturbata. Notte».

E chiude la conversazione bruscamente.

Si alza a controllare la chiusura della porta e vi appoggia una sedia, prima di tornare a letto.

Il sonno è sparito. È sveglia e trema al pensiero di Mark che possa comparire dalla porta della suite.

Infila un paio di jeans e una maglietta leggera, mentre riflette sul sogno e sulla realtà, che in questo momento si confondono come l’acqua del mare col cielo.

Le sembra di udire dei movimenti dalla porta e si precipita tenendo in mano il telefono con impostato il numero della reception.

E trattiene il respiro.

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0 risposte a “Un viaggio, un incubo – decima puntata”

  1. Questi incubi mi danno angoscia..come mai ti sei spinto sui questo crinale? Non mi sembra tu non abbia scritto così esplicitamente…
    Cercherò di leggerti, mon ami, ma non è sulle mie corde questa narrazione…
    Mi perdoni la franchezza, vero?

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