Una vita – parte settima

PREMIO SPECIALE “IL FOLKLORE NELLA TRADIZIONE POPOLARE” ZANETTI MIRKO – Palo della Cuccagna 9° CONCORSO FOTOGRAFICO NAZIONALE “PREMIO SEGAVECCHIA” - www.fotoamatoricotignola.it
PREMIO SPECIALE “IL FOLKLORE NELLA TRADIZIONE POPOLARE”
ZANETTI MIRKO – Palo della Cuccagna
9° CONCORSO FOTOGRAFICO NAZIONALE “PREMIO SEGAVECCHIA” – www.fotoamatoricotignola.it

Luca camminò a lungo, tornando spesso sui suoi passi alla ricerca del paese. Tutti gli incroci sembravano uguali, tutte le strade avevano una singolare comunanza familiare, come se avesse abitato sempre in quel posto ma alla fine stabilì che si era perso.

Rise di gusto, perché la mente razionale gli aveva giocato un bello scherzetto, cancellando ogni ricordo del pomeriggio.

“Segui l’istinto” gli raccomandò la fantasia. “Ritroverai facilmente la strada”.

Girò a sinistra al primo incrocio, poi a destra, infine a sinistra e vide la strada ingombra di macchine. «Sono arrivato» esclamò Luca con un sorriso franco.

La chiassosa vitalità di giovani e anziani gli infuse nuova linfa a gettarsi nella mischia della sagra tra mille odori sgradevoli di olio bruciato e suoni sgraziati di chi arringava la fiumana a comprare lozioni miracolose.

Un certo languore lo informò che lo stomaco reclamava la sua parte, perché l’aveva tenuto a digiuno. Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che non fossero wurstel bruciacchiati con cipolla stracotta o patatine in stick unte e bisunte. Notò in lontananza un chiosco assediato da una moltitudine di giovani. “Ecco dove si mangia” pensò Luca mettendosi in coda. Era il baracchino della piadina.

Fu un nuovo tuffo nel passato, quando trascorreva la settimana in tenda con gli amici sulla riviera romagnola. Piadina a mezzogiorno, replica alla sera erano i suoi pasti, perché riempiva lo stomaco togliendo il senso della fame. Doveva risparmiare per allungare la permanenza nel campeggio. Quando voleva fare bisboccia, sostituiva la piadina con fagioli borlotti liquefatti e tonno scadente in scatola. Erano tempi dalla felicità irriflessiva e istintiva che lo riempiva di gioia e voglia di vivere sopra e sotto le righe. Si sarebbe rifatto nel mangiare, tornando a casa, mentre il divertimento l’avrebbe soddisfatto lì.

Nuovi ricordi lo assalirono, mentre aspettava il suo turno per ordinare. La mente tornava a quando aveva diciotto anni. Aveva terminato la maturità scientifica, superata brillantemente nonostante la cornacchia del prof di lettere, che aveva faticato a dargli la sufficienza in italiano. Il risultato fu una bella media del sette, non male per quell’epoca, quando il sette era l’eccellenza, e gli servì per la borsa di studio all’università. Partì il primo di agosto, dieci giorni dopo la fine degli esami, su un vecchio treno a vapore, che costringeva a tenere chiusi i finestrini per non finire affumicati dalle polveri di carbone. Era con altri tre compagni di scuola. Tutti pronti a trascorrere quei quindici giorni di libertà, dormendo poco e divertendosi molto.

L’arrivo al campeggio avvenne su una carrozzella, perché un taxi era troppo costoso. Era più dandy ed eccentrico scaricare tenda e borsone da questa piuttosto che da un’anonima vettura verde di piazza. In una delle tante balere scalcinate e chiassose della costa incontrarono un gruppo di ragazze francesi, con le quali fecero subito comunella e coppia fissa. A Luca venne da sorridere, perché ovviamente gli toccò la più scorfano o meglio gli era rimasta di scegliere solo quella. O prendere o lasciare e restare solo. Non c’erano altre alternative. Era il più imbranato del gruppo e quando vedeva una ragazza andava in tilt e la mente segnalava ‘Game over’. Dunque due anni dopo Ersilia gli effetti erano sempre gli stessi. “Come avrei potuto cambiare?” pensò, mentre addentava con voracità la piadina.

La parte razionale gongolava e maliziosamente gli chiese il nome di quella francesina dai dentoni da coniglio, che urtavano i suoi duranti i baci bavosi. Anche qui niente di nuovo rispetto al periodo di Gloria. Non era ancora riuscito a baciare senza sbavare, senza fare il ‘limone’, che avrebbe acceso la passione nell’altra. “Che importanza può avere un nome per un’effimera storia, che è morta con la sua partenza per Parigi?” rimbeccò Luca per quella domanda inutile, perché lo aveva regolarmente dimenticato. Piccoli brandelli di memorie riaffioravano qua e là dal pozzo dei ricordi. Un viso sorridente, un carattere dolce e tranquillo, chiacchierate con un mix di lingue improbabili e ridicole e l’ultima notte trascorsa nella sua tenda teneramente abbracciati. Forse lei si sarebbe aspettata qualcosa di più, mentre Luca proprio non ci pensava. Non aveva ascoltato il corpo della francesina, non aveva saputo usare le mani come si doveva. Insomma il solito disastro che combinava Luca con le ragazze.

Un velo di malinconia scese per un attimo sui suoi occhi, subito spazzato dal ricordo di Ersilia, che aveva incrociata dopo il ritorno dal campeggio con ben altri risultati. Era stato forse l’effetto vacanza? Non lo sapeva ma aveva poca importanza per lui.

Mentre questi ricordi emergevano e poi sfumavano nel buio della notte stellata di luglio. stava sgranocchiando una piadina con spinaci, niente male si disse, quando una voce familiare gridò «Luca, Luca!»

Si guardò intorno, senza vedere un volto familiare, e tornò alla piadina, convinto di essere stato suggestionato in quel bailamme di suoni cacofonici e sovrapposti. Un’ombra si materializzò dinnanzi a lui. Alzò gli occhi per mettere a fuoco l’immagine.

«Simona» fu l’unico suono che la sua bocca emise. Se ne era scordato. Distratto dai molteplici ricordi, che affioravano ovunque come i funghi nel bosco, non aveva tenuto a mente l’appuntamento con la ragazza. Mentre la fantasia si affannava a estrarre dal cilindro tanti scampoli di vita vissuta, la parte razionale malignetta e gelosa si divertiva a confondere le idee a Luca.

«Ti ho aspettato dinnanzi al bar dove lavoro» disse col fiatone, come se avesse corso la maratona.

«Sono mortificato» riuscì a dire Luca contrito, «ma mi sono perso». Per rimediare alla figuraccia ordinò una piadina per lei, che si accomodò felice davanti a lui.

Chiacchierarono come due vecchi amici, che si ritrovavano dopo molti anni. Sembrava che dovessero smaltire tutto quello che era avvenuto nel frattempo. Finirono le piadine, innaffiate dall’albana secco. Luca ascoltava e annuiva alla valanga di parole che Simona riversava su di lui come una grandinata fuori stagione. Però la sua mente ogni tanto spaziava altrove, perso nei ricordi di Ersilia e rammaricato che il viaggio si stesse consumando in assenza della moglie.

Si domandò se lei avrebbe accettato un viaggio senza mete e senza obiettivi, solo guidato dal suo istinto. Scosse il capo. Questo viaggio era per lui la traversata del lago della memoria alla ricerca del tempo passato.

“Ma un passato esiste ancora?” si domandò incuriosito, mentre la ragazza narrava di come avesse smarrito molti anni prima le proprie radici.

«Andiamo a fare un giro tra i banchi» propose Simona, allungando le braccia, mentre si alzava. Pareva che volesse tenerlo stretto a sé.

Lei gli prese la mano, facendola passare sulla spalla. Sembravano padre e figlia che passavano in rassegna bancarelle e stand di giochi in attesa dei fuochi di mezzanotte.

parte sesta parte ottova

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0 risposte a “Una vita – parte settima”

  1. Ecco, non mi pare soddisfatto della sua vita, troppo malinconici anche i suoi rucordi, o forse sono quelle “botte in testa che si possono prendere per noia, chissà, andiamo avanti e vediamo.
    Ciao.

  2. Uff… Gian Paolo sono rimasta indietro nella lettura. Periodo intenso. Appena ho un attimo di tempo recupero, la vita di Luca mi interessa ed è soprattutto piacevole dialogare con te.
    Per il momento deposito qui un carissimo saluto e l’augurio di una serena giornata.
    Un abbraccio 🙂
    Primula

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