Bologna, 20 marzo 1308, ora dodicesima – anno terzo di Clemente V
Pietro era partito da Lizzano tre settimane prima. Un lungo viaggio a piedi verso Bologna. Ha messo in sicurezza quella cassetta, della quale ignora il contenuto. Sa di averla lasciata in buone mani. Spera di tornare presto tra i suoi monti a riprendere il fedele bardo e la cassetta e di rivedere Giacomo e Lucia. Il viaggio avrebbe potuto essere più breve ma ha evitato paesi e borghi, dormendo all’addiaccio. Il bosco non offre molte risorse in questo periodo, quindi ha sfruttato le case coloniche isolate per comprare qualcosa. Ha seguito il corso del fiume Reno come guida verso Bologna.
Giunto in prossimità della terza cerchia muraria, Pietro si è fatto più guardingo, evitando qualsiasi contatto. Deve entrare nella chiesa di Sant’Homobono non visto per affrontare il passaggio segreto che lo avrebbe condotto nella magione. Immagina che gli armati stazionino ancora davanti all’ingresso e non desidera essere notato.
Le ombre si sono fatte più prepotenti, coprendo gli ultimi raggi del sole, quando Pietro si introduce nella chiesetta. È minuscola, una piccola oasi di pace. Tenendosi nell’ombra, lontano dai pochi ceri che ne illuminano l’interno, esplora con gli occhi l’altare maggiore e le panche vuote. Si avvicina al ripostiglio, dove ha celato le ricchezze della magione. Prima della sua partenza per Paris, il frate col consenso di Giovanni, il vecchio precettore della commenda, aveva prelevato una bella somma in bolognini d’argento e fiorini d’oro. Gli hanno fatto comodo durante il lungo viaggio nella terra dei Franchi. Senza quelli non sarebbe riuscito a sfuggire a tutti gli agguati. Adesso non ne sono rimasti molti. Li riconsegnerà al precettore, che spera di riabbracciare.
Con la mano aziona la molla che apre la cavità nella parete. Allunga il braccio per tastare il contenuto. Al primo tatto non gli pare che manchi nulla. Non conosce la sorte e lo stato della magione ma pensa che dovrà ricorrere a quando sta nel ripostiglio segreto nei prossimi mesi. Un clac che rimbomba nel silenzio della chiesa lo avverte che la lapide si è richiusa. Furtivo si reca nella sacrestia, che gli sembra in stato di abbandono, come se fosse da tempo che nessuno vi abbia messo piede. La stanza è vuota e polverosa come il mobilio che appoggiato alle pareti. I paramenti sacri spariti. Sembra che siano stati rubati. A Pietro stringe il cuore per come trova la stanza. Scaccia i pensieri negativi, mentre si avvicina all’anta dell’armadio dove è celato l’ingresso al passaggio segreto. Prima afferra due grossi ceri, che giacciono su un tavolo. Ne accende uno e poi si guarda intorno. Nessun rumore o presenza umana. Si intrufola rapidamente dentro, tirandosi dietro il battente. Fa attenzione a non appiccare il fuoco o a far gocciolare la grossa candela. Non vuole lasciare tracce del suo passaggio. Fa scorrere la parete di legno, finché non viene messo allo scoperto l’ingresso. Alza la botola che lo immetterà nel passaggio segreto. L’odore di chiuso e di muffa lo assale in modo brutale. Pietro fa attenzione ai gradini, resi ancora più scivolosi dall’umidità delle piogge e delle nevicate dell’inverno. Richiude il coperchio sopra la sua testa e comincia a scendere.
La luce del cero infastidisce qualche ratto, che corre a nascondersi nella sua tana. Pietro avanza con cautela, mentre l’aria viziata di chiuso impregna il suo mantello. Arrivato in fondo al cunicolo, saggia con prudenza la botola che immette nella sacrestia della chiesa di Santa Maria del Tempio. È libera ma ignora se ci sia qualcuno nel locale. Tende l’orecchio senza percepire suoni. Lentamente la solleva. ‘Via libera’ si dice, issandosi fuori, prima di far scorrere il pannello dell’armadio dei paramenti sacri. Socchiude l’anta, tendendo l’orecchio per intercettare i rumori della stanza. Niente di sospetto. Solo oscurità e freddo. Anche questa non sembra godere di buona salute ma almeno non si avverte il senso di desolazione della chiesa di Sant’Homobono.
Pietro sa che adesso arriverà la parte più difficile. Quella di raggiungere frate Giovanni, ammesso che non sia morto, senza essere visto. La chiesa della commenda appare deserta. Nessuno che sta officiando i riti serali. Pietro si rattrista. Il senso di abbandono sta sospeso nell’aria. Sono passati pochi mesi dalla sua partenza ma il clima è peggiorato sensibilmente.
Esce da una porta secondaria per raggiungere la cella del precettore ma Alberto degli Arienti lo intercetta.
“Pietro!” esclama, spalancando gli occhi per la sorpresa. Non si aspettava d’incontrarlo. Nessuno lo ha avvertito del suo ritorno.
“Alberto” dice Pietro, abbracciandolo. ‘Chi sono quegli armati fuori del portone?”
Vuole prevenire domande scomode e finge di essere entrato dalla strada. Non gli deve lasciare l’iniziativa.
“Ho faticato a entrare” fa Pietro, prendendolo sotto braccio. “Frate Giovanni, come sta?”
Il viso di Alberto accenna a una smorfia di dolore. “Ci ha lasciato da due settimane fa”.
Pietro resta in silenzio. La notizia lo rattrista. “Ma il nuovo precettore?” gli domanda con la voce rotta dall’emozione.
“Lo dobbiamo cercare tra i superstiti della commenda’ dice Alberto, mentre si avviano verso il refettorio. “Siamo rimasti in cinque. Con te facciamo sei. Tutti i servi se ne sono andati fuorché il vecchio Tonio, che è rimasto con noi. Non avrebbe saputo dove andare. Non ha nessuno fuori di qui”.
Pietro saluta gli altri fratelli che stanno mangiando una misera zuppa di verdura. Il clima è dimesso e il focolare è spento.
“Ma raccontatemi, Alberto” fa Pietro, sistemandosi sulla panca.
Alberto degli Arienti scuote la testa. “C’è poco da raccontare” esordisce. “Due mesi dopo la vostra partenza il frate dominicano, Nicolò Tascherio, l’inquisitore, ha impedito qualsiasi movimento a tutti noi, mettendo delle guardie armate all’ingresso. Quelle che avete visto anche voi. Di fatto siamo prigionieri, anche se ufficialmente possiamo muoverci. Da febbraio i controlli sono diventati ferrei. Non può uscire nulla dalla commenda ma è difficoltoso anche entrare. Non so come avete fatto a eludere il presidio”.
“Ma come avete fatto con i viveri?” domanda Pietro, che si guarda intorno. Finge di non avere udito il dubbio di Alberto. Non saprebbe come rispondere in modo convincente.
Alberto fa un gesto con la mano come per dire ‘è stata dura’. Non insiste con le domande. Si accontenta di quello che dice Pietro.
“Ormai i granai sono quasi vuoti. La dispensa è polverosa e i tini secchi” fa Alberto da Bronzano, sollevando la testa dalla scodella. “Se non fosse per qualche anima pia e caritatevole, saremo morti di fame e d’inedia. Quel domenicano non aspettava occasione migliore per metterci in difficoltà”.
Il silenzio nello stanzone è tangibile. Nessuno parla. Chi sta mangiando, ha smesso. Pietro osserva i confratelli con occhio lucido. Li vede demotivati, incerti. Le privazioni hanno fiaccato il loro spirito. Ne capisce i motivi. ‘Essere reclusi’ pensa Pietro, ‘senza conoscere le motivazioni e cosa li aspetta nel futuro, è davvero frustrante’. Li passa in rassegna. Alberto degli Arienti è quello meno depresso, quasi sollevato, pensando di condividere con Pietro le cure della magione. Alberto da Bronzano e Giovanni Bono invece mostrano preoccupazione, temendo che una bocca in più da sfamare possa ridurre le razioni quotidiane, già scarse al momento. Solo Gherardo da Bologna non mostra inquietudine per quello che li aspetta nei prossimi mesi. Ha un’aria distaccata. Bartolomeo Tencarari appare sollevato. La presenza di Pietro lo rassicura, perché sa che prenderà il posto del vecchio precettore.
Paris, 1 aprile 1308, ora sesta – anno terzo di Clemente V
Louis è al cospetto di Guillaume de Nogaret con gli occhi bassi. Sa di avere fallito e non ha scusanti. Aspetta che il guardasigilli dica qualcosa per tentare di mitigare le proprie colpe. Il clima è teso. Guillaume ha il viso corrucciato. Non ammette sconfitte.
“Avete seguito il frate?” gli domanda Guillaume, fissandolo negli occhi.
“Sì” risponde Louis, riabbassandoli verso terra.
“Cosa ha fatto? Dove è andato?” lo incalza il guardasigilli. Ha avuto informazioni al riguardo ma preferisce ascoltarle dalla viva voce di Louis.
“Ha girato per la Francia” dice il cavaliere, senza guardarlo. “Dal settentrione verso mezzogiorno. Fino ai monti che ci separano dalla Catalogna”.
Guillaume si gratta il mento. La risposta gli appare sibillina. Senza senso. ‘Perché avrebbe girato in Francia, sapendo di essere in pericolo?’ pensa, mentre socchiude gli occhi, come a concentrarsi sulla prossima domanda. ‘Un templare importante come lui sarebbe filato dritto in Lombardia, al sicuro, anziché girare in un territorio ostile e sconosciuto. Senza appoggi e in pericolo a ogni istante’. Immagina che aveva da compiere una missione, che Louis non è stato in grado d’intercettare o comprendere. Questo pensiero gli fa corrugare la fronte. ‘Cosa?’ si chiede.
Louis cerca di parlare il meno possibile e rispondere solo su sollecitazione. Non vuole correre il rischio di fare affermazioni inopportune. Sa che la sua vita è appesa a un filo. Dipende da quanto riuscirà a essere convincente. Quindi attende in silenzio che il guardasigilli parli.
I due si fronteggiano tacendo. Guillaume ha capito che il suo cavaliere non dirà nulla di più di quello che conosce già. Il templare ha toccato molte città e di certo ha incontrato persone. Qualcuna la conosce come il cardinale Caetani, altre sono avvolte nel mistero. Non immaginava che trovasse tanti alleati ma adesso era tornato in Lombardia fuori della sua portata. Pietro gli è apparso insignificante, quando l’ha incontrato. ‘Mi sbagliavo’ pensa Guillaume. ‘L’ho sottovalutato’.
Il guardasigilli batte le mani. Louis capisce che la sua sorte è segnata. Due guardie armate lo affiancano e attendono un cenno da Guillaume, che col capo indica di portarlo nelle segrete.
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Dolce sera Gian Paolo 🙂
dolcissima anche per te, Simona
Querido amigo, Un abrazo enorme y feliz fin de semana!!! No te olvido!!!!
Querido amigo, un besos enorme.
Buon weekend Gian Paolo un sorriso.
Sereno sabato pomeriggio, Franca
Grazie 🙂
un sorriso
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Danke wunderschön wünsche ein schönes Pfingstfest eine Umarmung Gislinde
Danke, Gislinde. Eine Umarmaung
E’ sempre un piacere soffermarsi sui tuoi scritti
Felice sera e un sorriso,silvia
Grazie, Silvia. Dolce sera
dopo oltre cinquanta pagine riesci ancora a tenerci attaccati alle tue parole e ai tuoi misteri. Questa è bravura. Punto.
Questa storia affascinante è assolutamente la “cosa” più lunga che ho letto sul web. Non ti nego che non mi piacciono i racconti a puntate, ma tu hai saputo e continui a farlo con grazia e capacità, centellinare questa storia tra mistero, tempo, debolezze, violenza, amore. Bravo
le tue parole sono molto generose e mi danno molta soddisfazione.
Ancora poco è poi calerà il sipario.
Grazie di cuore.
Ciao
L’errore é stato proprio quello di sottovalutare il frate! Avrà tempo di pensarci nelle segrete Louis se non sarà giustiziato subito!
Buona giornata☕️☕️☕️
mai sottovalutare gli avversari.
Sereno pomeriggio
Per Frate Pietro è il momento di provare tanta stanchezza unita all’arrivo della triste notizia sulla dipartita di Frate Giovanni.
Per Louis la sorte sembra minacciosa, è arrivato il momento di pagare il suo conto.
Un capitolo che apre la mente ad un nuovo scenario, qualche tassello comincia ad incastrarsi …
Piacevole come sempre la lettura!
Un abbraccio da Affy
Grazie per l’acuta analisi del capitolo.
Un abbraccio