una storia così anonima – parte cinquantesima

Foto personale
Foto personale

Bologna, 1 marzo 1308, ora prima – anno terzo di Clemente V

Pietro arrivato in prossimità di Bologna dalla via Emilia, che proveniva da Ariminum, ha preferito entrare in città da Porta San Isaia. Ha atteso la mattina, quando le guardie hanno aperto i portoni delle cinta muraria più esterna, mescolandosi con i contadini che portano le loro mercanzie al Mercato di Mezzo. Ritiene opportuno non mostrarsi apertamente, perché per loro tira aria brutta. È impaziente di riabbracciare i fratelli e attende in un casolare abbandonato che il sole sorga.

Pietro è rimasto ospite presso l’Abbazia di Valvisciolo fino ai primi di febbraio, perché il maltempo in pratica aveva impedito qualsiasi movimento verso la Lombardia. Anche se si fosse messo in cammino prima, sarebbe rimasto bloccato nella terranova di Fiorenzuola. I valichi appenninici erano impraticabili per le tempeste di neve che si erano succedute da metà gennaio per diverse settimane con insolita violenza.

Nell’attesa del nuovo giorno ricorda la sua sorpresa, quando Berthod de la Roche aveva aperto il sacchetto di canapa in sua presenza. Ne ignorava il contenuto. L’essere ammesso alla sua apertura è stato un momento che ricorderà per sempre. Non potrà condividere questa gioia con i suoi fratelli, perché ha giurato di non rivelare a nessuno quello che stava osservando con occhi increduli.

Dal sacchetto è comparso un grande lenzuolo, piegato in più parti. Un tessuto dalla grana grossa, color ocra chiaro, dai bordi irregolari. Disteso sul pavimento occupava uno spazio di circa sette bracci per due. Era riconoscibile una figura umana dai contorni sanguigni.

Siamo rimasti impietriti dall’emozione’ ricorda Pietro di quegli istanti. ‘Il telo ha un ordito che non appartiene alla nostra epoca. È stato usato un telaio non usuale delle nostre provincie, aveva aggiunto Berthod. Sì, a memoria non ho riconosciuto dove poteva essere stato intrecciato’.

Cosa dite, fratello Pietro” ha domandato l’abate dell’Abbazia, cercando di decifrare i segni sul telo.

Mi paiono quelli di un corpo umano” ha replicato Pietro, inginocchiato accanto al lenzuolo, mentre lo esamina.

Restano in silenzio per qualche minuto, prima che Berthod non formuli una nuova teoria.

Potrebbe essere il sudario di nostro Signore, Gesù Cristo. Il mandylion scomparso da Costantinopoli nel 1204 durante il saccheggio dei crociati” fa l’abate. “Da sempre ho sentito parlare di questo manufatto dai racconti dei nobili francesi di ritorno da quella crociata”. Non può confessare che a un parente, Ottone de la Roche, è attribuito il trafugamento del mandylion bizantino e il suo trasporto in Francia.

Ma come è arrivato da noi?” chiede Pietro, che sa che i cavalieri del Tempio hanno raccolto molti oggetti in Terrasanta.

Probabilmente attraverso i vostri confratelli” accusa con garbo Berthod. Nessuna ignora che un de la Roche è un alto dignitario dei cavalieri del Tempio.

Pietro tace, perché ritiene plausibile l’ipotesi. Preferisce sorvolare sull’argomento per evitare equivoci o malintesi. Entrambi sanno che non è il momento di approfondire il tema. Quindi conviene cambiare argomento.

Secondo i racconti evangelici” comincia con cautela Pietro, “il corpo di Gesù Cristo, deposto dalla croce, venne avvolto in un telo per essere collocato nel sepolcro”.

Berthod annuisce con la testa, Anche lui ha letto gli antichi testi dei vangeli che parlano esplicitamente di questo. Tuttavia non riesce a credere che questo grande telo sia quello che ha avvolto il corpo di Cristo.

Sicuramente è antico” fa l’abate, osservando l’impronta del viso, che appare appena accennata. “Ma come possiamo affermare che esso sia il sudario dei vangeli?”

Poi in silenzio ricominciano a piegare con cura il lenzuolo, seguente le tracce delle antiche piegature. A Berthod sorge una domanda, che finora non ha esplicitato.

Ma il cardinale Francesco Caetani cosa vi ha ordinato?” domanda l’abate, riponendo il manufatto nella sua custodia.

Nulla di più di quello che vi ho detto” afferma Pietro. “Un’unica raccomandazione. Il sacchetto deve essere consegnata nelle mani di Berthod de la Roche, Come ho fatto puntualmente”.

All’abate non rimane altro da fare che nascondere in un posto sicuro la preziosa reliquia.

Ancora adesso nel riportare a galla quelle memorie provoca in Pietro una commozione irrefrenabile. ‘Per molte settimane è rimasto a contatto con la mia pelle’ pensa, mentre rievoca tutte le vicende che l’hanno visto coinvolto in Gallia e in Lombardia. ‘Non ero a conoscenza del valore simbolico di questo telo’.

Porta San Isaia si apre, mentre i contadini a piedi o coi carri si mettono in moto per accedere alla città. Pietro si mescola con loro, che hanno atteso prima del sorgere del sole il via libera all’ingresso. Il frate segue la seconda cinta fino a raggiungere Strada Maggiore. Riconosce il luogo familiare dall’imponente torre campanaria.

Pietro è di ritorno alla magione, mentre un motto di commozione inumidisce i suoi occhi. Non si avvicina ma prosegue verso la chiesa di Sant’Homobono.

La città gli è apparsa uguale a quella che ha lasciato a fine ottobre dell’anno precedente. Il solito frastuono del mercato di Mezzo, la triplice cinta muraria a protezione e gli abitanti più propensi al divertimento che a mostrarsi timorosi di Dio. Solo la commenda gli è apparsa più triste rispetto a quattro mesi prima. Intuisce che il precettore, frate Giovanni, non è riuscito a superare l’inverno lasciando un vuoto. Deve chiedere notizie senza dare nell’occhio. Ha visto uomini armati che sostavano dinnanzi al portone. Quelle che riceve non sono confortanti. Sono rimasti tre templari e un servo a mandare avanti la commenda. Il vecchio precettore, prima di morire, gli riferiscono, li ha esortati a rispettare Dio e attendere il ritorno di Pietro.

Pietro da Monte Acuto sarà il mio successore’ ha detto qualche giorno prima di spirare ai tre fratelli intorno al suo giaciglio. “Attendete con pazienza. So che sarà ancora qui con noi. Vi guiderà fuori da questa tempesta”.

L’informatore non l’ha riconosciuto. Pietro torna sui suoi passi.

Pisae, 21 dicembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V

Louis esce dall’arcivescovado infuriato. ‘Quel frate non nemmeno voluto ascoltare le mie ragioni’ si dice col viso congestionato, mentre torna alla locanda dove alloggia. ‘Non ha voluto nemmeno leggere la lettera del cardinale Colonna”.

Sa che la sua missione si concluderà senza un niente di fatto. Ritiene inutile mettersi in viaggio subito, perché ormai la preda gli è scivolata tra le mani. ‘Chissà dov’è!’ pensa il cavaliere, entrando nella locanda ai tre Gufi.

Rimane a Pisae per tre giorni prima di prendere la strada per Ravenna. ‘Un viaggio inutile’ si dice, spronando il suo cavallo, ‘ma tentar non nuoce’. Gli hanno consigliato di proseguire verso Florentia seguendo il corso dell’Arno. Proseguendo oltre, si va a Pontem de Sieve e poi verso Bibbiena. Da lì si superano gli Appennini verso Forum Livii.

Louis non ha fretta. Si ferma per Natale a Florentia, prima di prendere la strada controvoglia della via aretina. Leggere nevicate ostacolano il suo cammino. È talmente sfiduciato che non chiede nemmeno se per caso un templare fosse transitato dalle locande dove pernotta. È l’ultimo giorno dell’anno, quando si ferma a Bibbiena ai tre usignoli per festeggiare l’arrivo del nuovo.

Vi conviene aspettare” gli ha detto l’oste. “Il valico è sotto una bufera di neve. Se vi mettete domani in cammino, rischiate grosso”.

Louis sbuffa ma non può combattere contro il maltempo e si rassegna a restare in paese. Se avesse chiesto notizie sul passaggio di un templare, l’oste gli avrebbe detto: ‘Sì, un templare è arrivato dalle terranove di Fiorenzuola. Stamani è ripartito verso meridione, seguendo la via aretina’. Tuttavia Louis pare che si sia dimenticato di Pietro e della missione da svolgere. Preferisce la compagnia di donne allegre e pronte a entrare nel suo letto. Con ogni probabilità in un paio di giorni l’avrebbe raggiunto e poi chissà cosa sarebbe successo. Invece Louis pensa a raggiungere Ravenna per parlare con l’arcivescovo, dando per scontato che il frate si sia fermato nella magione bolognese.

Solo alla fine di gennaio Louis è a Ravenna ma l’arcivescovo non lo riceve. Lui fa anticamera fino al sette febbraio, quando alla fine lo ammette al suo cospetto nel castello di Argenta. La sua residenza abituale.

Rinaldo da Concoregio ha una figura che incute rispetto. Gli occhi mobili, la parlantina sciolta mettono soggezione a chiunque. Anche Louis ne subisce le conseguenze.

Prova a perorare la sua causa ma viene liquidato da un perentorio ‘No’.

I templari obbediscono solo al Papa” fa Rinaldo nel respingere la richiesta del cavaliere francese.

Ma il mio Re li ha accusati di blasfemia ed eresia” tenta di dire Louis.

Rinaldo stringe gli occhi e incupisce il viso.

Il vostro re” dice l’arcivescovo, senza nominare il nome di Filippo IV, “commette uno spergiuro. I templari sono soggetti alla solo legge divina che il nostro Papa, Clemente V, amministra con grande saggezza”.

Detto questo con un gesto perentorio della mano dichiara chiusa l’udienza e comanda l’uscita di Louis. Rinaldo è un fine giurista e un abile diplomatico ma dal 1306 si è dedicato alla vita pastorale della sua vasta diocesi con visite frequenti nelle parrocchie e con numerosi sinodi provinciali. Proprio due settimane prima ne ha indetto uno per discutere la bolla papale sui templari e sui loro beni del 22 dicembre dell’anno precedente. Hanno deciso di applicare la regola per la quale l’ordine dei Cavalieri del Tempio sono sotto la giurisdizione del Papa. Quindi non procederanno al loro arresto ma li lasceranno nelle loro commende, anche se non potranno amministrare i loro beni.

Louis nel lasciare il castello di Argenta capisce che la sua missione è terminata e non gli resta che intraprendere il viaggio di ritorno verso Paris.

Il primo marzo del 1308 si mette in cammino verso la Lombardia superiore col tempo che è soleggiato.

Se vuoi ricevere gli aggiornamenti sottoscrivi il form.

0

0 risposte a “una storia così anonima – parte cinquantesima”

  1. Leggere le tue storie è sempre interessante e ….i nuovi risvolti sempre lì pronti! Mi ripeto ma io adoro le tue descrizioni. PS La foto me la ricordo! Baci

  2. Non avevo immaginato cosa ci fosse nel sacchetto ,è stata una sorpresa…ma ora cosa succederà ?
    Louis pare intenzionato a tornarsene a Parigi ma…..tenterà ancora qualcosa? Io penso di sì !
    Alla prossima puntata e complimenti per il racconto sempre avvincente!
    😄😄😄

    1. In effetti una delle ipotesi è che i templari avessero portato la Sindone a Valvisciolo e da l’ un de La Roche l’avesse trasportata in Francia.
      Grazie per le tue belle parole.
      😀

  3. Tutto avrei immaginato, tranne il sudario di NS ( forse)
    La sorpresa non è solo di Pietro e de la Roche ma anche mia, credimi
    Grazie anche a Rinaldo, Louis, volente o non , inizia il suo ritorno verso Parigi
    Complimenti, Gian Paolo, veramente
    Un abbraccione
    Mistral

  4. Mai avrei immaginato che ci fosse quel telo dentro il sacchetto!
    E’ un vero colpo di scena, posso ben capire lo stupore di Pietro nel realizzare di averlo avuto così a stretto contatto.
    Quel Rinaldo è personaggio da seguire.
    interessante anche questo capitolo, l’ho letto tutto d’un fiato e avrei voluto conoscere il seguito ma … devo aspettare!
    Buon fine settimana Gian Paolo, un caro saluto 🙂
    Affy

  5. ottima la resa di questa pagina, mi pare più intrigante di altre. Ma è tutta l’opera che lascia affascinati. Ciao e complimenti per i colpi di scena 🙂

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *