Una storia così anonima – parte quarantaquattresima

Foto personale
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Fauçon, 29 novembre 1307, prima vigilia. Anno secondo di Clemente V

L’alba sorge su un mare grigio, solcato da onde biancastre. Il Fauçon beccheggia tranquillo, mentre avanza sicuro nell’affrontare la distesa del golfo del Leone, agitato dal vento di mistral. Il cielo plumbeo si confonde all’orizzonte con le acque dello stesso colore. Le nuvole non si colorano di rosa ma nascondono il sole che sta sorgendo.

Pietro si dirige a prua e si inginocchia verso levante, verso un’ipotetica Gerusalemme lontana, per recitare le orazioni del mattino. I marinai lo guardano incuriositi, mentre lavano il ponte di coperta.

Si preannuncia tempesta” lo informa il capitano, sistemato al fianco del timoniere. “Non temete. Sarà di poco conto”.

Le nubi si ingrossano sul golfo del Leone, che la caracca sta attraversando diretta verso Genova. Le onde si fanno più impetuose, mentre riducono la velatura per affrontare la burrasca in arrivo. Il Fauçon balla vistosamente, mentre in coperta stanno solo il timoniere e pochi marinai. É un tratto di mare infido, dove le tempeste sono violente e repentine, molto temuto da tutti i marinai. Navigare sotto costa può costare caro ma anche al largo presenta delle incognite. I venti cambiano spesso di direzione senza tanti preavvisi.

Pietro scende nella stiva dove è alloggiato il suo bardo. Controlla che sia imbragato bene e non compia escursioni pericolose. Gli accarezza il muso per tranquillizzarlo.

Il vento ha cambiato direzione e adesso spinge la nave verso levante, spinto dal vento di ponente. Come si è levato impetuoso, si calma a semplice brezza. Il mare continua a essere agitato, mentre le onde sono meno pronunciate. Il grosso della nuvolaglia punta verso le montagne alle loro spalle, mentre in lontananza si può scorgere qualche squarcio di sereno.

‘Il capitano’ pensa Pietro, allontanandosi dal suo bardo per risalire in coperta, ‘conosce bene il quadrante dei venti e la violenza delle tempeste’.

Altre burrasche violente e improvvise accompagnano il viaggio della caracca, finché dopo tre giorni scorgono a sinistra di prua la costa frastagliata, sulla quale si infrangono rabbiose le onde. Dietro si trova il porto di Tolone.

Facciamo scalo” dice il capitano, indicando che doppiata la punta si accosta verso terra. “Il Fauçon ha superato bene anche questo viaggio. Ma la velatura richiede qualche rattoppo e gli uomini un po’ di alcol e qualche donna”.

Pietro non si scandalizza nel sentire questo ma percepisce una nota di inquietudine. ‘Fermarci a terra per qualche giorno’ pensa il frate, ‘vuol dire ritardare il rientro in Lombardia’. Questo gli piace poco.

La sosta si prolunga più di quanto preventivato dal capitano. Il vento di libeccio spinge verso terra in maniera pericolosa col rischio di rimanere incagliati in qualche secca. Bisogna aspettare che cambi direzione.

Dopo una settimana dalla partenza Pietro sbarca sulla costa ligure in una rada vicino a Finale. Bacia la terra, mentre il Fauçon si allontana verso il largo per riprendere il suo viaggio. Il frate si mette in cammino, seguendo la costa alla ricerca di un punto per attraversare gli Appennini in modo facile. La neve non è ancora arrivata, perché le cime sono ancora scure e non imbiancate. Tuttavia il cielo non promette nulla di buono. Chiede notizie, si informa per evitare le strade impervie e sconosciute.

Un oste gli ha suggerito una via relativamente facile per passare nella pianura del Po. Il punto è la foce di un torrente, Acquasanta, da dove parte una mulattiera che lo costeggia. Il sentiero non è disagevole e il passo è a modesta altezza. Dopo due giornate di viaggio arriva alla foce all’ora sesta. Si ferma in una locanda per la notte, prima di affrontare il tratto di montagna che lo condurrà nella pianura del Po.

Il tempo tiene?” domanda alla locandiera, mentre attende la zuppa di verdure.

La donna scuote il capo. “Forse” dice, “il cielo non promette bene. Ma dove siete diretto?”

Di là dalle montagne” risponde Pietro, che non vuole dare molte indicazioni.

Se riuscite a passarle domani” fa l’ostessa, mentre gli pone davanti una scodella fumante e del pane di segale, “forse vi scansate una tempesta di neve. Le mie ossa sono doloranti e indicano che il tempo vira al peggio”.

Al primo albore il frate si rimette in viaggio, lasciando alle spalle un mare scuro increspato di bianco. Il vento è gelido e le nuvole compatte sono colore del latte. ‘É meglio mettersi in movimento’ pensa Pietro, avviandosi per lo stretto sentiero che costeggia il corso d’acqua. La salita non è ripida ma nemmeno dolce. Le nuvole avvolgono le cime. Il clima diventa più freddo per un insidioso vento che prende d’infilata la vallata stretta e tortuosa.

All’ora sesta si trova nel punto più alto della strada. Da lì comincia la discesa verso la pianura. Attorno alla locanda ci sono poche case di legno e qualche prato bruciato dal freddo. ‘É inutile proseguire’ si dice Pietro, entrando in quel posto di ristoro. ‘Sono stato fortunato, perché qualche fiocco di neve volteggia lieve nell’aria e questo riparo è quello che ci vuole. Domani di buon mattino e con le indicazioni dell’oste mi rimetto in cammino per raggiungere il monastero’.

Narbonne, 29 novembre, primo albore Anno secondo di Clemente V

Louis esce dalla locanda, dove ha trascorso la notte. Parte presto, se vuole intercettare il Fauçon, quando attracca. Il tragitto è lungo, costeggiando il mare, mentre il tempo non è promettente. Nuvole nere sono basse sull’orizzonte. Uscito dalla contea di Provenza, sa che deve contare solo su se stesso. In Lombardia non troverà di certo degli appoggi. Conta sulla fortuna e sul suo intuito per catturare quel frate, che pare imprendibile.

Bestemmia, mentre si avvolge nel mantello per ripararsi dal vento e dalle prime gocce di pioggia. Non può perdere tempo per sostare al riparo nell’attesa che smetta di piovere. L’andatura è rallentata dal terreno fangoso ma avanza con caparbietà.

Dopo una settimana arriva a Tolone per scoprire che il Fauçon è ripartito da poche ore. Impreca con violenza, perché arriva sempre con un attimo di ritardo. Spinge il cavallo al galoppo per raggiungere Genova, perché gli hanno detto che la nave è diretta verso quel porto. ‘Non ce la farò mai a essere più veloce di quella caracca’ si dice, avvolto nel mantello, che svolazza alle sue spalle, ‘ma ci devo provare’.

Dopo tre giorni arriva alla locanda, dove Pietro ha sostato per la notte. É l’ora del vespro e il buio ormai avvolge tutto. Si ferma per la notte.

É molto lontano Genova?” chiede all’ostessa nell’attesa del pasto serale.

No” risponde la donna, senza aggiungere altre indicazioni. Quell’uomo le appare arrogante. ‘É di certo un francese’ pensa. ‘E io non li posso vedere’.

Quanto?” continua Louis, che ha davanti una scodella fumante di zuppa.

Mezza giornata” dice l’ostessa, mentre si allontana.

Lui vorrebbe chiedere altre informazioni ma ha compreso che difficilmente riuscirà a ottenerle. Proverà domani con la fantesca, che gli sembra più malleabile.

All’ora seconda del giorno seguente, Louis scende per fare colazione prima di mettersi in viaggio verso Genova. A servirlo è una giovane ragazza, alla quale chiede alcune informazioni.

Posso chiedervi qualcosa?” dice il francese nel suo italiano stentato.

Sì” risponde la ragazza, abbassando lo sguardo verso terra, per nascondere il rossore dell’imbarazzo.

Si è fermato un frate? Un uomo avvolto in un mantello bianco con una croce rossa sulla spalla?” domanda senza troppe speranze. ‘É come cercare un ago in mezzo alla paglia’ pensa.

Sì” sussurra la serva.

Louis sobbalza. Si aspettava una risposta negativa. “Quando si è fermato?” l’incalza l’uomo, spera nel classico colpo di fortuna.

É ripartito ieri mattina al primo albore” dice la ragazza, allontanandosi.

‘Dunque quel maledetto frate’ pensa, ‘è in viaggio verso Bologna’. Termina velocemente la colazione per mettersi in viaggio al più presto. Il tempo minaccia pioggia e alla sua destra le montagne sono imbiancate.

All’ora nona è al porto di Genova, dove vede dondolare il Fauçon sotto la sferza del vento della pioggia. Passa in rassegna le bettole che spuntano numerose intorno alla darsena alla ricerca di altre informazioni. ‘Sì, il frate è sceso a Finale’ dice un marinaio che puzza di alcol e di vomito.

Tornato in città, si informa se ci sono punti di valico agevoli per raggiungere la via Emilia.

No” era la risposta invariabile che ascoltava. “Dovreste raggiungere Pontremoli o la marca di Toscana” gli suggerisce un mercante. “Da lì si possono scavalcare gli Appennini”.

Louis riparte verso sud per raggiungere la Toscana sotto una pioggia gelida e pungente.

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0 risposte a “Una storia così anonima – parte quarantaquattresima”

  1. Carissimo i dettagli nelle descrizioni sono sempre stati il tuo forte, ma nella descrizione del mare questa volta ti sei superato e io ho pure imparato termini che non conoscevo! Baci

  2. Bellissima Pagina di narrazione e poesia
    Mi hai catapultata senza accorgermene in questa notevole Soria d’altri tempi
    Grazie, caro Gian Paolo
    Complimenti, davvero
    Spero tanto che per Pietro stia arrivando un po’ di traquillità
    Abbraccio grande
    Mistral

  3. Perbacco … il frate Pietro e Louis si fanno sempre più vicini, solo una manciata di ore li divide l’uno dall’altro. Le indicazioni fornite dalla giovane ragazza della locanda mettono Louis sulle tracce del frate avvalorate peraltro dal marinaio ubriaco.
    Spero che il buon Pietro riesca a raggiungere il monastero nonostante la minaccia del cattivo tempo e soprattutto prima che sopraggiunga quell’arrogante di Louis.
    Siamo nella fase culminante del racconto, l’adrenalina comincia a fluire!
    Buona domenica Gian Paolo, un caro abbraccio 🙂

  4. Moltp preciso e puntuale in quel che tratteggi, davvero…
    Non siamo proprio proprio inseriti nello stesso scatolone, quando scriviamo… ma ragioniamo di fantastico entrambi.
    karasho.org… se ti va passa da me… si parla di arte e scrittura… artigiana

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