Rhedae, 25 novembre 1307, primo albore – anno secondo di Clemente V
Simon li ha salvati, sviando Louis. Li fa entrare in una vecchia abitazione adiacente al castello, non messa meglio del ripostiglio precedentemente usato. Le imposte sono marce, gonfie di umidità e non riparano per nulla. Il pavimento in mattoni rossi, almeno una volta erano di quel colore, è tutto dissestato, come il camino. Una vera desolazione. Marcel si guarda intorno e fa una smorfia di disgusto. ‘Di male in peggio’ si dice. Pietro appare disteso, incurante dello spettacolo poco edificante della casa, perché ha raggiunto l’obiettivo della sua missione.
“Restate qui in silenzio” sussurra Simon. “Vado a recuperare quello che avete lasciato al castello”. Si avvolge nel mantello e torna fuori, mentre la neve sospinta dal vento fa mulinelli.
La notte trascorre veloce tra il dormiveglia e l’attenzione ai rumori provenienti dall’esterno. Manca poco al primo albore, quando Pietro si volge verso levante per iniziare il lento salmodiare delle preghiere del mattino. Marcel lo osserva con un misto di curiosità e ammirazione. ‘Quel frate’ si dice, sgranando gli occhi per abituarli al buio, ‘sembra fragile come un vetro ma invece è forte come il ferro temprato delle spade. Ha una forza d’animo incredibile e un intuito eccezionale’.
Simon si è raccomandato, prima di lasciarli, di non accendere luci o fuochi e di passare da lui, prima di riprendere il cammino. Pietro e Marcel escono dall’abitazione guardinghi. “Via libera” sussurra la guida, dirigendosi verso il cortile del castello. Ha smesso di nevicare ma il cielo rimane latteo. Un vento gelido da tramontana ha indurito la neve caduta nella notte. Scricchiola sotto le calzature dei due uomini, producendo un sinistro rumore. Bussano alla porta di Simon, che era pronto ad accoglierli.
In silenzio entrano a riscaldarsi. La notte è stata dura senza la possibilità di ripararsi dal freddo pungente, che imposte e porte non hanno trattenuto fuori. Ogni tanto hanno chiuso gli occhi per riaprirli quasi subito, sentendo gemere gli infissi sotto la sferza del vento.
“Ho preparato qualcosa di caldo” dice Simon, indicando due scodelle fumanti sul tavolo. “Niente di speciale. Una zuppa di verdure con pane di segale”.
Entrambi ringraziano con un cenno del capo, mentre la bevono accanto al camino, che riscalda la stanza.
“Grazie” dice Pietro, che con le mani prende i tocchi di pane, rimasti sul fondo. “Gesù e Maria Maddalena sapranno esaudire i vostri desideri”.
Marcel sorride, mentre Simon annuisce col capo. “In questa bisaccia” dice il cataro, indicando con la mano un sacco, “ci sono due pani e formaggio di capra stagionato. Non è molto ma vi servirà nel viaggio”.
L’uomo esce a controllare, se non ci siano occhi indiscreti in vista, e con un cenno della mano li fa uscire, augurando loro ‘Buon viaggio’. Resta sulla porta, finché non sono scomparsi, inghiottiti dal buio della scala che porta verso l’uscita segreta alla base dello sperone roccioso, su cui poggia il castello. Pietro copre il suo bardo con una pesante coperta di lana e si assicura che sia in buone condizioni per affrontare un viaggio per nulla facile.
Una pallida luce li accoglie all’uscita e con lentezza e prudenza affrontano il sentiero che li conduce lontano da Rhedae. Camminano senza parlare, tenendo per le briglie i cavalli, scendendo verso Couiza. Poco prima del paese, Marcel rompe il silenzio.
“Dove pensate di andare?” gli chiede, mentre fanno una piccola sosta.
“Verso la costa” risponde Pietro, che sta rifocillando il suo bardo. “Sarebbe mia intenzione imbarcarmi su una nave da carico diretta verso le coste liguri”.
Marcel si gratta la barba grigia, riflettendo sull’informazione. ‘Si potrebbe puntare su Ruscino verso mezzogiorno’ pensa la guida, ‘un posto sicuro sotto la protezione del regno di Maiorca. Si allunga la strada ma non si fanno brutti incontri’. La guida ragiona anche di raggiungere Narbona, dove c’è un porto importante, al riparo delle tempeste invernali. Tuttavia riflette che si torna in territorio, governato dal re capetingio. Quindi pericoloso per il templare.
“Frare Pierre” inizia Marcel, pulendosi la bocca con la manica della giacca, “ci sono due strade. Una sicura verso sud, L’altra più a levante più pericolosa. Dove volete essere guidato?”
“Quale è quella più facile da raggiungere?” domanda Pietro, fissandolo in viso.
“Quella più pericolosa” risponde la guida. “Si torna in territorio governato dal re capetingio”.
“Bene” dice il frate, “affronterò questo rischio. Se mi indicate la via, posso farcela da solo, così voi potete tornare alle vostre occupazioni”.
“No” afferma Marcel, guardandolo in viso. “Vi guiderò io per strade prive di pericolo fino a Narbona”.
Sotto un cielo plumbeo i due viandanti si avviano verso la costa, che raggiungono dopo due giorni.
“Restate qui” dice Marcel, facendo segno di fermarsi. “Arrivo fino a Port-le-Nouvelle alla ricerca di una nave da carico in partenza verso le coste liguri”.
Pietro si sistema in un posto riparato in attesa del ritorno della sua guida. É l’ora sesta, quando lo vede comparire.
“Alla fonda c’è un caracco, Fauçon, che per l’ora nona è di partenza per Genova” lo informa Marcel. “Il comandante è disposto a darvi un passaggio fino a Savona. Non vuole avere grane nel porto di Genova”.
“Mi sta bene” risponde pronto Pietro, alzandosi per mettersi in marcia verso il porto.
Marcel lo guida sicuro, evitando i posti pericolosi. Si presentano al comandante del Fauçon, che è pronto per imbarcare Pietro e il suo bardo. Riconosce nel frate un templare e gli fa un prezzo speciale. La caracca è stata a suo tempo una nave del Tempio, guidata da Roger de Flor. Adesso naviga tra la costa catalana e i porti italiani trasportando bestiame e altri beni. Viaggia sempre a pieno carico. La nave ha uno portellone laterale per favorire l’imbarco di cavalli o bestiame. L’Usciere viene chiamato. É un’imbarcazione tonda, dalla linea poco slanciata. Ha due vele quadre con una croce simile a quella dei templari e una triangolare sull’albero mezzano. Panciuta, con la poppa tondeggiante galleggia tranquilla vicino alla riva.
“Mi date dieci scudi d’argento” dice il capitano, accogliendo Pietro. “Vi lascerò in un porto minore della costa ligure prima di Genova. Qui sono molto fiscali e non voglio avere noie con loro”.
Il frate annuisce, mentre conta il denaro pattuito. Poi si volta verso Marcel, che sta immobile col viso triste. Nei giorni, che ha accompagnato il templare, ha imparato a conoscerlo e apprezzarlo. Gli dispiace abbandonarlo ma sa che il suo compito è finito. Il frate lo abbraccia in silenzio in un lungo e commosso addio, prima di far scivolare una piccola borsa tintinnante nelle mani di Marcel, che vorrebbe ritirarle per evitare il contatto col denaro.
“Prendete” dice il templare, stringendogli a pugno la mano. “Siete stato prezioso. Un vero amico”.
Il rude montanaro appare turbato dall’emozione, che cerca di mascherare, abbassando il cappuccio.
“Presto” fa il comandante, che è impaziente di prendere il largo prima che il buio impedisca la partenza.
Viene abbassato il portellone laterale per far salire a bordo Pietro col suo bardo. Dopo averlo sigillato, mollano gli ormeggi e la caracca, sfruttando la brezza di terra, si avvia verso il mare aperto.
Rhedae, 25 novembre 1307, terza vigilia – anno secondo di Clemente V
Louis è infuriato. Qualcuno gli ha fatto credere che il frate stava fuggendo. Ha rincorso un fantasma, ha perso l’opportunità di mettere le mani sul templare, che pare sfuggirgli viscido come un’anguilla. Ritorna, digrignando i denti, alla chiesa, che trova vuota. Lo cerca al castello ma invano. ‘Dove si sarà cacciato?’ si domanda, muovendo nervosamente le mani sull’elsa della spada. ‘Le porte della città sono chiuse. Di certo non ha preso il volo’. La neve cade incessante, sia pure con minore intensità. Non sa dove cercare.
‘Di sicuro’ pensa, ritornando sui suoi passi verso il castello, ‘ha un complice tra questi eretici’. É ben conscio che la sua presenza infastidisce qualcuno, che non vede di buon occhio la presenza di un cavaliere francese nella marca catalana. Non crede che il frate sia uscito di notte da Rhedae sotto la bufera di neve e di vento. ‘Aspetterà il primo albore per andarsene’ si dice, mentre si reca al posto di guardia accanto all’unica porta per allontanarsi dal paese.
Quando albeggia, le guardie aprono i portoni. Louis, ben occultato, osserva chi esce e chi entra. All’ora sesta non ha visto la sagoma inconfondibile del templare. Sbuffa perché intuisce che ancora una volta il frate gli è sgusciato silenzioso tra le mani.
“Ma se qualcuno volesse uscire non visto” domanda al capitano delle guardie, “potrebbe farlo?”
Il soldato riflette. Ha sentito delle voci che attraverso le segrete del castello è possibile uscire non visti. Però non sa come sia possibile e dove si esca.
“Ci sono delle voci” comincia il capitano, “che dicono che esita un’uscita segreta. Dove sia non lo so. Parlano di un posto imprecisato del castello. Dove conduca, non mi è dato di sapere, ammesso che sia vero”.
Louis impreca, bestemmiando. ‘Sì’ pensa, ‘ha avuto aiuti. Da chi? Come?’ Nervosamente ritorna al castello per prendere il suo cavallo e mettersi all’inseguimento del frate.
Si ferma per la notte a Couiza, nell’attesa partire verso la costa. Secondo alcuni sarebbe probabile che si sia diretto verso Narbona. Louis sa di essere in svantaggio di una giornata ma conta di recuperarla strada facendo. ‘Se sono fortunato’ si dice, mentre consuma il pasto serale, ‘potrei trovarlo in attesa di un imbarco verso le coste liguri o pisane’.
Due giorni all’ora nona arriva al porto di Narbona, osservando un caracco che sta lasciando la costa verso il mare aperto.
“Dove è diretta quella nave?” domanda a un marinaio, seduto davanti a una bettola.
“Fauçon?” gli risponde, tracannando un boccale di vino.
“Non saprei’ dice Louis. “Quell’imbarcazione che sta prendendo il largo” e indica il caracco con la mano.
“Forse a Genova oppure a Pisa” replica l’uomo con un violento rutto.
Il cavaliere sa di essere arrivato in ritardo di poco ma in ritardo. Il frate ha preso il volo. ‘Difficilmente’ ragiona Louis, ‘riuscirò a intercettarlo, quando sbarca’. Poi va alla ricerca di un alloggio per la notte.
Un caro saluto— alla prossima 🙂
grazie
Un abbraccio.. a presto!
dolce sera
Sempre intrigante il tuo racconto. Non solo scrivi bene, ma fai avvertire il freddo di quelle zone anche a me carissimo. Un piacere leggerti, sempre. Ti abbraccio forte. Isabella
sei sempre gentilissima e generosa, Isabella.
Grazie e un abbraccio
Gian Paolo
Quanno ce vò, ce vò. Abbraccione. isabella
ancora grazie!
Ciao
serena serata
A te con il bacino serale auguro una dolce sera. Isabella
ricambio il bacino serale per un felice serata
Gian Paolo
Sogni d’oro
Sogni d’oro anche per te.
Grazie
Che bello leggerti, partecipare con vivo interesse a questa notevole Storia
Pietro è il mio Beniamino in assoluto.
L’ avventura continua…abbandonando la terra ferma
Al prossimo episodio col vento a favore
Grazie, Gian Paolo, dirti che sei bravo è poca cosa
Un fuerte abrazo
Mistral
Col vento in poppa? Speriamo.
Pietro? Certo che mi piace.
Grazie Mistral.
Un grandissimo abbraccio
Gian Paolo
Buona sera Gian Paolo !
https://youtu.be/tYe1XxinrNQ
Un caro saluto,
Aliosa.
sereno pomeriggio, Aliosa
Grazie ! 🙂
Serana serata ! 🙂
Aliosa.
ciao
questi intermezzi mi fan morir d’inedia . Boheme atto primo
mi dispiace.
Per me questo è uno dei migliori.
Un caro abbraccio.
Grazie. Qualcuno lo nega.
Un caro abbraccio
Ognuno ha il suo parere.
certamente
Mi devo ritagliare un po’ di pomeriggi per leggerti con l’attenzione che meriti ….
grazie
https://zitroneblog.files.wordpress.com/2015/10/e4lqm2cm5wy.gif?w=950
Danke liebe Grüße und einen schönen Samstag Gruß Gislinde
ein schöner Sontag. Lieber Gruß
🙂
grazie