Marco guardò la busta sulla scrivania tra il curioso e l’atterrito. Non osava aprirla: voleva impedire ai ricordi di uscire. Era ancora vivo il pensiero verso Laura. Questo poteva permettersi di presentargli il conto. Altre donne stavano tentando la conquista del suo cuore, che era ben chiuso a chiave e non era facile da aprire.
Vinto il primo attimo di timore, lentamente e con cautela aprì la busta, sparpagliò le foto sullo scrittoio, accantonò i fogli, vergati da una mano femminile. Conosceva fin troppo bene e nei minimi dettagli tutto quello che rappresentavano. Tuttavia volle fingere di non sapere a quali circostanze si riferissero.
Erano le fotografie della gita a Grazzano Visconti di un anno prima quelle che Marco aveva sotto gli occhi. Le esaminò con circospezione, come se fossero infette o pericolose. Tuttavia aveva presente le sfumature di quella giornata particolare, l’ultima escursione compiuta assieme a Laura.
Le osservò, le passò con calma. Le riguardò con attenzione, mentre il fiume dei ricordi sgorgò prepotente dall’anfratto, dove l’aveva confinato.
Marco amava frequentare le feste in costume, le giostre e tutto quello che ricordava il passato. Brisighella con la sua festa medioevale, la notte incantata per San Giovanni con streghe e cartomanti a San Giovanni a Marignano, le quintane, le giostre, i cortei storici che popolano ogni borgo dell’Emilia Romagna, della Toscana, dell’Umbria, delle Marche. Per lui erano una gioia, un tuffo nel mare del tempo andato, che gli ricordavano libri letti con avidità, quando era ragazzo.
Dal momento in cui si era trasferito a Milano, non aveva avuto più le occasioni giuste per frequentare i luoghi che conservavano il folclore di ieri da tramandare alle future generazioni. L’impossibilità di assistere a queste feste in costume era un altro tassello che non si era sistemato al posto giusto e stonava nell’impianto generale della sua visione della vita.
Alla festa dell’ultima domenica di maggio a Grazzano Visconti non aveva mai partecipato. Rappresentava una stimolante occasione per conoscere questo borgo, che, dopo il restauro durato molti decenni, si stava riaprendo all’invasione dei turisti.
Per Laura era una novità assoluta, perché non conosceva questo mondo fatato e incantato; dunque rappresentava l’opportunità per immergersi nelle storie che affondavano le radici nel passato.
Si era documentata tramite il web sul borgo, sul castello, sul parco e sulla Giostra del Biscione. “Devi sapere che il castello di Grazzano ha il suo fantasma” disse, mentre rise divertita. “E’ una donna e si chiama Aloisa. Chissà se riusciamo a vederla”.
“C’è poco da scherzare” fece Marco serio. “Ogni castello, ogni palazzo antico ha il suo fantasma. Se manca, non è antico”.
Laura rise per la credulità di Marco, perché era convinta che i fantasmi fossero il frutto dell’ignoranza e dell’irrazionale per inquadrare eventi sopranaturali o non spiegabili razionalmente.
Partiti di buon ora da Milano, si inerpicarono fino a Grazzano.
Il borgo già di prima mattina brulicava di turisti armati di flash e zainetti che sciamavano festosi e rumorosi tra le case e il parco.
Il castello non era visitabile normalmente. Tuttavia in via eccezionale in quel giorno erano state predisposte diverse visite guidate su prenotazione con un obolo di dieci euro a testa.
Marco mandò Laura alla Pro Loco per il ticket d’ingresso, perché la visita alla sala delle armi, al castello in generale, meritavano i dieci euro richiesti.
Laura non amava ascoltare la guida che spiegava e illustrava, perché si annoiava. Tuttavia quel giorno si lasciò contagiare dal gioioso entusiasmo di Marco.
Con la macchina digitale, regalata da Marco, Laura scattò innumerevoli fotografie, mentre lui con la vecchia e fidata Leica con otturatore fisso fece poche istantanee, quelle che erano meritevoli di essere impresse sulla pellicola. Per la ragazza quella macchina fotografica era un relitto fossile del paleozoico tanto era vecchia e obsoleta. Lei preferiva quegli scatolini digitali, dove era facile eliminare le istantanee più brutte.
A mezzogiorno andarono a mangiare all’Hostaria de la Giostra con un menù che più o meno recitava cosi:
Pasta della passione
Pasta dell’incanto
Polpa rovente
I nascosti
Straccetti opulenti
Fette di latte lavorato
Schegge d’or
Polvere di mandorle
Prugne in crosta
Acqua
Nettare rosso
In un clima festoso e sereno si divertirono a commentare la LISTA De La CIBARIA, un pasto molto piacevole e intrigante, profondamente diverso dai soliti che erano abituati a consumare in città.
Stanchi e felici sciamarono nel pomeriggio nel parco, un’enorme polmone verde, che li accolse con lo stupendo giardino all’italiana, dove al centro stava la fontana con la statua di Orfeo. L’aria profumava per le rose che coronavano il bosco di tassi, pioppi e tigli. Il rumore dell’acqua corrente accompagnava la passeggiata tra un tripudio di fontane e gorgoglii di ruscelli.
Arrivati nel labirinto verde, Marco decise di scuotere le certezze di Laura sui fantasmi e in particolare sul fantasma Aloisa. Si lasciò sfilare con la scusa di fotografare un gruppo di piante e si appostò non visto più avanti dietro l’alta siepe di carpino che delimitava il percorso.
“Ehi! Si, proprio tu, ragazza dal rosso capello!” diceva Marco con la voce alterata da donna “Perché non hai lasciato un ricordino alla mia statua nella piazza del Biscione?”
Laura si fermò divertita e spaventata, guardandosi intorno senza vedere nessuno. Stava riprendendo il cammino, quando senti qualcosa che si muoveva nello zainetto sulla schiena, e si fermò di nuovo.
“Ehi, tu! Parlo con te. Torna indietro e lascia il tuo braccialetto di stoffa come ricordo” udì distintamente, mentre ancora una volta qualcosa di inquietante si muoveva nello zainetto.
“Marco!” gridò con un tono rotto dallo spavento “Dove sei?”
“Ehi, tu! Non gridare, disturbi il mio sonno!” proseguì imperterrita la voce femminile. “Lascia il ricordino. Così posso tornare a dormire”.
Laura sentiva qualcosa muoversi e dei rumori non perfettamente decifrabili provenienti dalla siepe o da qualche altro punto del giardino. L’angoscia stava avendo il sopravvento, mentre era sul punto di piangere per lo spavento e di avere una crisi di nervi. Era ferma nel vialetto senza decidersi di spostarsi né avanti né indietro. Era paralizzata e incapace di muovere un passo.
Marco a stento si tratteneva dal ridere, quando decise che era giunto il momento di ricomparire: la commedia aveva raggiunto lo scopo previsto. Apparve innanzi a lei come un fantasma.
“Oh!” urlò piena di terrore con un piccolo balzo di lato. “Dov’eri? Ancora un secondo e avrei avuto una crisi isterica!” e corse ad abbracciarlo.
Lui la baciò accarezzandole i capelli, la prese sotto il braccio e chiese con fare ingenuo: “Perché? Hai visto per caso il fantasma Aloisa?”
“Non scherzare” disse la ragazza tremante per la paura. “Mi ha ordinato di mettere questo braccialetto di stoffa sulla statua in piazza del Biscione”.
“Hai avuto paura? Non avevi detto che i fantasmi non esistono?” proseguì Marco calmo e sornione.
“Beh!” affermò lei con voce tremula. “Mi sto ricredendo. Pensavo che fosse un’invenzione per attirare turisti. Ho sentito una voce che pareva provenire dall’oltretomba!”
Laura, rassicurata dalla presenza del suo uomo, disse, che il parco ormai l’avevano visitato, e lo supplicò di tornare indietro per lasciare il braccialetto sulla statua, prima di tornare a Milano.
“Come vuoi” rispose Marco, trattenendo a stento l’ilarità che sentiva crescere dentro.
Laura depositò il braccialetto e ripresero la strada del ritorno.
Lui non ebbe mai il coraggio di svelarle il segreto che l’aveva terrorizzata.
Marco rifletté sulla storia del fantasma, che si tramandò di padre in figlio, intatta fino ai nostri tempi.
La gente del borgo aveva sempre rispettato e trattato con deferenza la figura di Aloisa, una donna del tutto simile a tante altre, che aveva avuto il torto di amare. Era morta per il dolore del tradimento del marito e non ebbe più pace, aggirandosi per il castello e il parco.
“Di solito i fantasmi femmina sono fanciulle bellissime, uccise dal marito geloso o dall’amante abbandonato. Questa era bruttina, se guardiamo le statue disseminate nel borgo e nel parco”.
La leggenda narrava che le statue fossero state disegnate da un medium, il conte Giuseppe, la cui mano era impugnata da Aloisa. Sotto una di queste è riportata la scritta:
«Io sono Aloisa e porto Amore e profumo alle Belle che donano il loro sorriso a Grazzano Visconti».
‘Quel giorno’ Marco pensò, appoggiandosi allo schienale della sedia, ‘ho capito che tra noi c’era una visione totalmente diversa della vita. Lei, cittadina del mondo, attiva e razionale, sempre in movimento come Milano. Io, romantico e sognatore, che ama le piccole cose, le storie buffe di altri tempi. Il ritmo lento della vita è il sottofondo musicale che accompagna le mie giornate. Slow Food, trattorie di campagna, la bicicletta, le passeggiate: ecco cosa cerco’.
Da quel giorno cominciò a maturare l’idea di lasciare Laura e un mondo, che non gli apparteneva. Lei non avrebbe mai accettato l’idea di vivere questo stile di vita. Quindi prima di compiere una scelta errata, che li avrebbe portati vivere insieme in mondi differenti, era meglio chiudere. Gli era costato sofferenza e l’avrebbe fatta soffrire ma era la decisione corretta.
‘Ora’ rifletté ‘un’altra donna bussa alla porta. Non so se sia quella giusta ma condivide la medesima visione di quello che ci aspettiamo dal domani’.
Agnese si era fatta viva dopo mesi di silenzio, come il fantasma di Aloisa si presentava ai turisti invadenti che rompevano la sua tranquillità.