Non passava giorno – cap. 3

 

Foto personale
Foto personale

Marco stava riordinando cassetti della sua scrivania. Era tempo che lo facesse. Nel frattempo doveva mettere ordine nei flashback, che si erano accavallati confusi nella memoria. Non sapeva neppure lui cosa stesse cercando. In realtà ne era perfettamente consapevole ma pensava di ingannare se stesso. Era un ricordo del liceo. Seduto, vuotò sul piano del tavolo il contenuto del cassetto.

Era un ragazzo, alto dal corpo muscoloso forgiato dalla pallacanestro che aveva praticato al liceo con discreto successo, mettendo a frutto un fisico robusto e una tecnica più che pregevole. La statura non gli aveva garantito di giocare a livelli superiori. Quindi al termine del liceo abbandonò questa pratica sportiva, che in compenso aveva fatto sbocciare alcuni tratti del suo carattere. La prontezza nel prendere le decisioni, la lucida calma per fronteggiare i frangenti più concitati, una visione d’insieme a tutto tondo nell’affrontare i problemi.

Superata la maturità con una discreta votazione, si era iscritto all’università a Milano, dove si era trasferito dalla sua città natale. Qui aveva fatto sognare diverse ragazze con il suo viso da bravo ragazzo pulito e sorridente. Tuttavia la scelta era finita su Laura, con la quale aveva fatto coppia fissa per tutta la durata degli anni universitari. Dopo la laurea non aveva voluto rimanere in una città, che non percepiva come sua. Aveva avuto la sensazione di essere rinchiuso in gabbia. Lui amava gli spazi aperti della campagna, il ritmo lento della vita. Nonostante tutti gli sforzi profusi non era riuscito a superare questa percezione negativa. Aveva preferito tornare a Ferrara.

Apparentemente questa decisione agli occhi di amici e conoscenti sembrava assurda per le prospettive future che la città gli poteva offrire. Qualcuno azzardò l’ipotesi che lui fosse un perdente, perché non era stato in grado di vincere nostalgia e paure. Più volte aveva riflettuto, se avesse operato una scelta consapevole e ragionata. La risposta era sempre stata affermativa, perché aveva privilegiato la sua vita futura all’immediato presente. Era stato per lui un passo doloroso, perché aveva avuto come contropartita la rinuncia a Laura, che amava e che avrebbe voluto come compagna di vita. Anche in quel momento si diceva che non avrebbe potuto costringerla a finire in una città, come Ferrara, piccola e provinciale, sonnacchiosa e chiusa alle novità. Sapeva perfettamente che lei non concepiva un posto, dove vivere e lavorare, diverso da Milano. Qui era nata e cresciuta, seguendo i suoi ritmi frenetici e stressanti. ‘Quali prospettive di lavoro può offrirle Ferrara?’ si disse, nel momento che maturò la scelta tornare. La risposta non poteva che essere una: avrebbero avuto molte difficoltà nel trovare qualcosa di professionalmente valido. Questo per lui sarebbe stato insopportabilmente troppo forte nei confronti della ragazza, perché ne avrebbe minato i loro rapporti.

L’alternativa era che lui rimanesse a Milano definitivamente. Una prospettiva che gli aveva creato molti dubbi e incertezze. Una vita di corsa non era quello che aveva immaginato per sé e l’eventuale famiglia. Se era sopportabile, vivendo da studente universitario, non lo riteneva tale nell’affrontare la quotidianità, costituita da lavoro, moglie e figli.

La decisione fu rapida e drastica. Un taglio netto senza ripensamenti.

Dal giorno del rientro aveva fatto piccoli lavoretti precari e saltuari, rinunciando a proposte professionalmente interessanti, che avevano il grave difetto di essere lontane da Ferrara. Dopo otto mesi era riuscito a trovare il posto che desiderava a Bologna. Era felice come un bambino al quale era stato regalato un nuovo gioco. Finalmente non sarebbe stato più di peso per i genitori. Aveva ragionato il giorno precedente che era giunto il momento di pensare seriamente a una ragazza, con la quale condividere le gioie e i dolori dell’esistenza futura.

Ancora poco, appena tre giorni lo dividevano dal nuovo lavoro. Poi avrebbe iniziato una nuova vita, scandita da levate mattutine, da treni di pendolari e perennemente in ritardo, dai ritmi del lavoro e da nuove amicizie. Era impaziente di esplorare questo aspetto ignoto del vivere quotidiano, di comprendere quali prospettive gli avrebbero riservato il futuro.

Marco era alla ricerca del vecchio quaderno di poesie, scritte durante gli anni del liceo. Era rimasto abbandonato, quando aveva iniziato l’università a Milano. Sul tavolo sparpagliati c’erano vecchie lettere sgualcite, fogli ingialliti di appunti scolastici, disegni e schizzi appena abbozzati, diverse fotografie a colori rovinate dal tempo.

Sotto stava una busta bianca, che pareva incitarlo ad aprirla. La prese in mano titubante, scostandone il lembo superiore libero.

Il cuore si fermò per un istante, quando ne vide il contenuto. Avrebbe voluto non notarla ma la mano aveva estratto le fotografie di Laura. Ricordi dolorosi, che in questi mesi aveva cercato di cancellare. Insieme alle istantanee c’erano un paio di fogli sciupati, vergati a mano con la scrittura minuta e senza fronzoli di lei. Erano le poche lettere che aveva conservato, mentre il resto era stato distrutto.

Il cuore prese a battere a mille, mentre un groppo gli bloccava la gola. ‘Perché ho conservato fotografie e lettere?’ pensò. ‘Non ricordo, quando le ho infilate nella busta. Pensavo di aver bruciato tutto per rimuovere le tracce di Laura’. Nella busta c’erano anche altri oggetti, che gli ricordavano i momenti felici della loro relazione ma implacabili riaprivano un capitolo doloroso, che credeva chiuso per sempre.

Si appoggiò allo schienale della sedia. Lasciò la busta sul piano del tavolo, carica di ricordi piacevoli e amari, dopo aver riposto il resto nel cassetto.

Temeva il riaffiorare di un fantasma, che pensava d’avere sepolto definitivamente otto mesi prima. Tuttavia adesso si stava materializzando sotto i suoi occhi. Immagini, parole e sensazioni si addensavano, come nuvole impazzite nella testa.

La mente tornò al 25 agosto dell’anno precedente. Stava nel parco nei pressi dell’università sulla panchina posta sotto il secolare cedro del Libano, che era stato il muto custode dei loro segreti.

‘Ho detto un addio senza spiegazioni, perché non volevo prolungare l’agonia della nostra relazione’ pensò. ‘Sono partito subito per Ferrara’.

I giorni successivi furono terribili perché la sensazione dello strappo aveva lacerato i pensieri e le azioni con mille tagli dolorosi. ‘Sono stato male’ ricordò. ‘La visione di Laura piangente e sconvolta mi ha perseguitato di giorno e di notte’.

Mentre scorrevano le immagini un po’ sfocate del film di quei giorni pieni di angosce e di sensi di colpa, si ricordò di aver deciso la distruzione di tutto quello che potevano rammentargli Laura. Le lettere, le istantanee e altri mille segni della loro relazione. Solo i regali aveva nascosto in cantina. Non aveva avuto il coraggio di gettarli. Per un motivo imperscrutabile aveva invece conservato la busta e il suo contenuto.

A distanza di otto mesi capì di essere stato un codardo, perché non aveva voluto affrontare i sentimenti, gli occhi e le parole di Laura. Fissò la grande busta bianca, senza avere la forza di toccarla, di aprirla per riesumare il dolore del distacco.

‘Avrò il coraggio di guardare di nuovo il contenuto?’ si domandò muto e angosciato. ‘Sarò capace di andare in cantina a cercare gli altri oggetti che mi ricordano Laura?’ Continuò a osservarla incapace di muovere le mani. Non si riconosceva. Incerto e confuso non voleva prendere una decisione. Lentamente prese fra le dita quel frammento di vita, determinato a scacciare i fantasmi e affrontare le sue paure. La mente tornò ai giorni dopo la laurea, perché rammentava con precisione ogni istante, ogni pensiero, ogni azione di quei momenti.

Era una fresca mattina di fine agosto, quando decise che era giunto il momento di rompere e di tornare a casa. Si era spento l’eco festoso della laurea, che avevano conseguito insieme a fine luglio. Non aveva ottenuto il massimo dei voti, ma il professore l’aveva elogiato pubblicamente per l’ottimo lavoro presentato. Si era laureato in Ingegneria Gestionale con la tesi ‘Come valorizzare gli asset di un’azienda editoriale in liquidazione coatta’.

Per scriverla era stato aggregato come stagista a una società di consulenza, incaricata di valorizzare e vendere gli asset di una casa editrice commissariata. Aveva lavorato duramente per oltre nove mesi, aveva imparato diversi aspetti di un’attività difficile, era maturato nel carattere.

Ne era uscito un lavoro pregevole. La società gli aveva offerto di entrare come consulente junior. Marco avvertiva dentro di sé che non sarebbe stato felice a Milano, perché non la sentiva sua. Preferiva la sua città, piccola a misura di uomo, dai ritmi lenti e tranquilli, piena di ricordi e monumenti antichi. Prese tempo per riflettere sulla proposta. Non si riconosceva nella persona che prendeva rapide decisioni sul campo di basket. Era tentennante e indeciso. Alla fine rifiutò, lasciando perplessi e delusi i componenti del team. Come se si fosse scrollato da dosso la paura, che l’aveva reso titubante, decise che era il momento di consumare l’addio.

Su questa proposta di lavoro era stato generico e reticente con Laura, perché temeva che lei avrebbe cercato di convincerlo a non rinunciare all’offerta allettante. Se lui l’avesse ascoltata, il tarlo del dubbio avrebbe ricominciato a lavorare dentro di lui. Il progetto del ritorno a Ferrara doveva decollare senza se e senza ma. Non doveva sfogliare la margherita del ‘parto’ o ‘non parto’. ‘Non potevo macerarmi in altre esitazioni, in nuove valutazioni dall’esito incerto’ rifletté Marco, ripensando a quei giorni.

Preso tra due fuochi, l’amore verso di lei e la sirena del ritorno, aveva trascorso gli ultimi mesi tra titubanze e incertezze.

‘Ho avvertito crescere dentro di me un astio ingiustificato e irrazionale verso Laura, che aveva un’unica colpa. Quella di amarmi’ concluse amaramente

Se vuoi ricevere gli aggiornamenti sottoscrivi il form.

0

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *