La notte di San Giovanni – parte ventisettesima

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Anna sedeva al suo fianco. Ormai facevano coppia fissa in tutte le trasferte. Sia nelle camere d’albergo sia sui mezzi di trasporto. Questo avveniva da un anno, da quando era stata ingaggiata dal club di Deborah. Più alta di lei, atleticamente più robusta, era una dei pivot della squadra. Prendeva botte e le restituiva, sgomitando sotto le plance. Aveva un minutaggio inferiore al suo, perché aveva davanti due americane, che parevano un armadio quattro stagioni tanto erano grosse. Loro, quando si piantavano nell’area piccola, erano difficili da svellere e facevano notare la loro presenza. Tuttavia nei momenti, in cui Anna era in campo, si metteva in evidenza per la mano morbida e la fisicità del suo corpo. Più di una volta era apparsa al termine della gara la terza americana della squadra per i punti segnati e i rimbalzi catturati.

Quando a inizio della stagione precedente erano state formate le coppie per le trasferte, erano le uniche due prive di compagne storiche. Inizialmente c’era stata un po’ di diffidenza da entrambe le parti ma ben presto avevano trovato la sintonia sia in campo che fuori. Deborah l’aveva aiutata a inserirsi nella squadra, che conosceva da un paio d’anni, e nel tessuto sociale di Milano, coinvolgendola in diverse feste. Vista la statura non era stato facile trovare dei partner maschili alla sua altezza, perché tutti apparivano intimoriti dalla sua stazza. Tuttavia l’esuberanza giovanile, aveva l’età di Deborah, e la parlantina sciolta avevano facilitato i contatti sociali e ben presto ebbe una folta cerchia di amicizie e nessun compagno stabile.

Deborah l’osservò con attenzione e un pizzico di affetto, prima di chiudere gli occhi. Voleva essere riposata all’arrivo, a Rio. Là sarebbe stato ancora buio per via delle cinque ore di differenza nel fuso orario, mentre il suo orologio biologico avrebbe segnato mattina inoltrata. Il quieto brusio dei motori e la stanchezza accumulata prima del decollo da Francoforte cullarono il suo sonno. Sognò in bianco e nero come le vecchie pellicole di film.

Si trovava in posto che era un mix, neppure troppo interessante, tra la sua città natale e Milano. Non era sola. Era con Marco, l’uomo col quale aveva scambiato qualche battuta prima di imbarcarsi. Camminavano uno a fianco dell’altro in silenzio. Non c’era traffico nelle strade. Pochi passanti e tutti frettolosi. Tuttavia percepiva un senso di benessere e di sicurezza. Udì la voce di Anna che la chiamava. Si girò e non la vide. Eppure quel ‘Deb‘ era netto e chiaro. Non la vedeva. Si fermò per osservare meglio ma non notò nulla. Adesso era sola. Anche Marco si era dissolto. Cercò con lo sguardo Miao ma anche lui si era volatizzato. Un senso di panico gli attanagliò la gola. Tutto gli appariva ostile. L’ansia stava crescendo.

“Deb” e un leggero strattone la distolse dal sogno. Aprì gli occhi e vide la compagna che la guardava. Percepì il lento ronfare di Miao, che stava comodo sulle sue gambe.

“Deb, tra non molto atterriamo. Dormivi profondamente” si scusò Anna.

Deborah sbadigliò e si alzò, facendo un po’ di stretching per sciogliere la muscolatura intorpidita. Miao aprì un occhio infastidito, sistemandosi sotto il sedile.

“Hai fatto bene. Questo viaggio fin dalla partenza l’ho trovato stressante” rispose la ragazza, che si guardò intorno alla ricerca di Marco. Non lo notò e pensò che fosse in Business Class oppure le avesse fatto uno scherzo dicendole che era diretto a Rio anche lui. Ebbe un moto di delusione, anche se non ne capiva il senso.

Simone, il giorno dopo la partenza di Deborah, si recò al suo bilocale ma ignorava la sua assenza. Suonò e attese di ascoltare la sua voce. Ebbe un sussulto.

“Che volete?” disse una voce maschile dal citofono.

Rimase in silenzio, incapace di reagire. Non si aspettava nulla di tutto questo, al massimo non udire nulla.

“Cerco la signorina Marchini. Debbie” fece Simone incerto nel tono.

“Non c’è” replicò secco.

“Ma la signorina Marchini..” provò ad azzardare timidamente il ragazzo.

“La signorina Marchini non è in casa”.

Simone sentì un clic di chiusura del citofono, mentre si spegneva la luce del video. Percepì una sensazione di disorientamento. Non udiva la sua voce da quando era partita in giugno per Cattolica. Non capiva come potesse esserci un uomo nel suo appartamento. ‘Si è forse consolata in fretta?’ si chiese, mentre componeva il suo numero su Iphone.

Il cliente da lei cercato al momento non è disponibile. Riprovate più tardi” udì l’asettica voce registrata.

“Cazzo! Il telefono chiuso. In casa c’è un uomo! E Gaia mi ha mandato a vaffanculo. Che situazione di merda sto vivendo!” esclamò irato, mentre si dirigeva verso piazza Duomo.

Alex fischiettava allegro. Con cura certosina rimetteva nei cassetti il contenuto versato nel centro della stanza da letto dal ladro e sistemava l’appartamento di Deborah dopo la sua incursione.

“Se non si fosse intestardito nel portare via la teca con teschio, forse ce l’avrebbe fatta a ripulire la casa” disse Alex, dopo aver collocato l’ultimo oggetto al suo posto.

Controllò meticolosamente che tutto fosse tornato come prima. Osservò la porta d’ingresso senza notare segni di effrazione. ‘Quando torna Deborah, le consiglierò di cambiare serratura. Questa è talmente debole, che basta una chiave bulgara per aprirla’ si disse, mentre andava in sala.

Si domandò, se per caso quel ragazzotto robusto, intravvisto nel videocitofono, fosse venuto a controllare l’abitazione, pensando che fosse rimasta senza custodia.

“Uhm! Forse no. Solo un conoscente familiare avrebbe usato quel nomignolo affettuoso, Debbie. Forse il suo ragazzo.. no, non avrebbe potuto ignorare che è in viaggio verso il Sud America. Boh! Non so chi fosse ma comunque se ne è andato” fece, sistemandosi sul divano con un libro prelevato da uno scaffale della libreria.

Atterrato in perfetto orario, Deborah e le compagne si trovarono nella sala degli arrivi internazionali per sbrigare le formalità di ingresso nel paese. Si girò nervosamente verso destra e lo vide spiccare per la sua altezza in un altro varco di uscita. Ebbe un tuffo al cuore, che cominciò a martellare con furia ma doveva muoversi per non intralciare la fila e lo perse nuovamente di vista.

Dopo essersi sistemate nella camera a loro assegnata nell’hotel, Anna e Deborah scesero nella sala delle colazioni. Sapevano che era presto ma avevano fame. Il salone era vuoto. C’era solo l’imbarazzo della scelta del tavolo. Dopo poco il silenzio fu rotto dal gaio vociare delle compagne. Poi spuntò anche lui, che si diresse verso il tavolo delle due ragazze.

“Posso?” domandò cortese ma deciso a sedersi con loro.

Anna rimase a bocca aperta, domandandosi chi fosse, perché per lei era un perfetto sconosciuto e di tavoli vuoti ce ne erano in abbondanza.

“Certo” fece Deborah visibilmente contenta.

“Questa è Anna, la mia compagna di stanza” disse la ragazza, rivolgendosi all’uomo. “Lui è il signor…”.

“Marco Designori. Piacere” rispose allungando la mano in direzione di Anna, che la strinse senza dire nulla.

“Stesso aereo, stesso hotel! Che piacevole coincidenza!” esclamò l’uomo. “In viaggio di piacere?”

Anna guardò con fare interrogativo Deborah, come per dire ‘ma chi è questo soggetto?‘.

“No. Ma lei, cosa fa?” chiese Deborah.

“Sono un giornalista. Sono venuto per un servizio sulle ragazze di Ipanema, quando qui è inverno” rispose sorridente. “Due belle ragazze come voi mi potrebbero accompagnare in giro per Rio, mentre preparo le interviste. Potreste fingere di essere quelle ragazze e farvi fotografare. Fareste un figurone!”

“Peccato. Ma sarà difficile. Tra poche ore seduta atletica. Poi gara amichevole di allenamento in preparazione del torneo a quattro di fine settimana” disse Deborah.

“Giocatrici?”

“Sì. Di basket”.

L’uomo sorrise. Vista la stazza era facile indovinare cosa facessero. Aveva preferito che lo dicessero loro.

“Se per caso trovate il tempo per distrarvi un po’, questo è il mio numero di telefono. Grazie per l’ospitalità ma ora devo scappare. Il fotografo brasiliano mi sta aspettando per preparare il servizio” disse Marco, allungando un cartoncino colorato.

Anna lo prese e lesse ‘Marco Designori – Direttore responsabile – Gossip Girl – tel..‘. Rise.

“Perché?” chiese Deborah stupita.

“É il direttore di quel giornalaccio che fa gossip di bassa lega pur di vendere qualche copia. Una specie di Signorini ma in peggio!” rispose Anna. “Però è un bel maschio! Come fai a conoscerlo? Sei finita nel suo tritacarne?”

Deborah scoppiò a ridere. Mai e poi mai avrebbe supposto che quell’uomo, che sembrava così premuroso e gentile, fosse invece di tutt’altra pasta.

“No! Sembra ridicolo e divertente ma prima di qualche ora fa ignoravo che lui esistesse insieme al suo giornale. Ero nella sala d’attesa di Francoforte, quando mi ha vista con gli occhi chiusi. Ha pensato che stessi male. Abbiamo scambiato due parole. Poi è sparito fino a pochi minuti fa” esclamò Deborah.

La ragazza si alzò, dopo aver messo il biglietto da visita in una tasca della felpa.

“Andiamo a prepararci. Se facciamo tardi, il coach ci farà fare cento flessioni per punizione” fece Deborah, avviandosi verso l’ascensore, seguita da Anna.

Non sapeva il perché ma Deborah intuiva che quello fosse il fantomatico giornalista della cronaca rosa della notte di San Giovanni. Miao aveva bevuto la sua tazza di latte calda del tutto indifferente alla presenza dell’uomo e alle chiacchiere delle due ragazze. Sbadigliò annoiato e si infilò rapidamente nella cabina. Non c’era nulla che potesse destare la sua attenzione.

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24 risposte a “La notte di San Giovanni – parte ventisettesima”

  1. Sempre molto convincente la caratterizzazione dei personaggi, che riempiono la pagina fin dalla loro prima apparizione. Mi piace anche il modo in cui hai definito il modo di parlare di Marco, formale e quasi letterario, che sottolinea la sua singolarità e l’importanza (presumo) del ruolo che avrà in seguito.

      1. Nel poco spazio che gli hai dedicato finora sembra a suo agio. E anche Anna si muove con disinvoltura, per quanto nuova. E rendere cosi vivi e pieni i personaggi in così poche pagine credo sia molto difficile.

  2. Miao non presta particolare attenzione a Marco e il gatto è un indice importante nel racconto.
    Gli allenamenti del basket sembrano allontanare Deborah dalle vicissitudini del teschio ma tutto aleggia intorno a lei.
    Resto in attesa, come sempre, più di sempre … 😉
    un abbraccio da Affy

    1. Appassionato di basket lo seguo, anzi lo seguivo con maggior assiduità un tempo, ma termini e altro in qualche modo li conosco. Niente pratica, troppo scarso in tutto.
      Un caro abbraccio

  3. Non si puo’ certo dire che non sia accompagnata la cara Deborah, sempre in compagnia di nuovi personaggi. Sono proprio curiosa di sapere che ruolo avranno e soprattutto…. come finira’ con il teschio?

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