La notte di San Giovanni – parte venticinquesima

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Simone, dopo diversi tentativi infruttuosi di mettersi in contatto con Deborah, aveva desistito, perché aveva compreso che il taglio era stato drastico e non recuperabile. Deborah si inquietava, nervosa e irritata, ogni volta che vedeva comparire il viso di Simone sul display dello smartphone e chiudeva subito la chiamata, per fargli intendere che non desiderava per nulla sentire la sua voce. Miao approvava la determinazione della ragazza ed era la guardia armata contro qualsiasi intrusione nella sua vita. Decine di persone tutti i giorni la contattavano o tentavano di farlo ma lei ricordava il suggerimento di Sajana ‘lasciali perdere. Non farli entrare nella tua vita‘.

Alla sera, prima della ripresa degli allenamenti, con precisione svizzera alle ventuno Deborah lucidava la teca con cura certosina e accendeva una grossa candela colorata accanto alla custodia del teschio di cristallo. Sapeva con accuratezza la durata dell’accensione. Avrebbe potuto uscire e rientrare dopo tre ore per assistere agli ultimi guizzi della fiamma.

Il 10 luglio si ritrovò con le compagne in un centro sportivo nei dintorni di Milano. Era un posto rilassante, dotato di piscina e di molti spazi verdi intorno, oltre di una palestra funzionale e fresca. Dovevano affrontare la tournée sudamericana in una condizione atletica buona per non sfigurare contro squadre ben rodate dal loro campionato. Sostenevano due sedute quotidiane: una mattutina e una serale. Alla mattina si cominciava presto, quando la temperatura era ancora fresca, e si curava la preparazione atletica. Alla sera si lavorava col pallone nei tiri, nei gesti atletici, nei movimenti con o senza palla. Erano giornate impegnative sia mentalmente che fisicamente, perché dovevano recuperare uno stato di forma accettabile dopo la pausa estiva, eliminando tossine e ruggini. Dopo la ricca colazione di mezzogiorno, Deborah si rilassava ai bordi della piscina, ascoltando musica o leggendo qualche libro nell’attesa del turno serale. Molte delle sue compagne avevano deciso di fermarsi a dormire in un vicino residence piuttosto che rientrare in città. Lei aveva preferito rincasare. Non era un viaggio lungo, né stressante. E poi c’era la teca da custodire.

Deborah visse la prima serata di allenamento in uno stato di nervosismo incredibile. Non aveva chiaro come potesse rispettare il rito della candela alle ventuno. Sapeva che prima delle ventitré non si sarebbe potuto sganciare per correre a casa e non era detto che fosse veramente libera per quell’ora. Durante la sera continuava a osservare il tabellone luminoso segnatempo. Era talmente distratta che più di una volta il coach l’aveva ripresa. ‘Fa attenzione! La palla non è una saponetta viscida! Non vedi che stai intralciando le compagne!‘ erano i commenti più benevoli. Tuttavia la sua mente era altrove. Quelle parole scivolavano via sulla sua pelle come gocce d’acqua. Le sentiva e non le percepiva. Le ascoltava ma non rispondeva. Era in uno stato di catatonia, dove fisicamente stava sul parquet ma mentalmente era altrove. Era nel suo bilocale. Non sapeva come risolvere il problema della candela rossa, pronta per essere accesa.

Mancava un minuto alle ventuno, quando si recò ai servizi, interrompendo la seduta di allenamento.

“Di certo non posso volare fino a casa e tornare!” fece, bagnandosi il viso.

Alla ricerca di un suggerimento si rivolse al gatto che, come se fosse la sua ombra, la seguiva ovunque andasse. “Dico bene, Miao?”

Miaoouu” confermò il micio, agitando la coda.

“Cosa dici di fare?” gli chiese, guardandolo negli occhi.

Miouuoo!” le rispose.

“Concentrarmi?”

Miao scosse la testa da destra verso sinistra per confermare l’affermazione di Deborah. Lei convogliò tutte le sue energie psichiche su come raggiungere il teschio di cristallo e, come per incanto, si ritrovò nel suo bilocale. Accese la candela e ritornò da dove era partita.

“Stai bene?” Udì una voce che pareva venire da lontano. Si sentì strattonare bruscamente. Aprì gli occhi e vide Anna accanto a lei.

“Stai bene?” le domandò ancora una volta con voce accorata e ansiosa. “Hai una strana faccia, Sei bianca cadaverica come se avessi visto il diavolo in persona” aggiunse la compagna di squadra.

“Sì, sì. Solo un momento di stanchezza” fece Deborah, bagnandosi il viso con acqua fresca. “Oggi è stata dura riprendere gli allenamenti” disse e si avviò con lentezza verso il parquet.

Aveva capito, cosa avrebbe dovuto fare nelle prossime sere. Riprese gli esercizi con le compagne sollevata e serena. Adesso tutto le riusciva alla perfezione. Il coach non doveva più riprenderla.

Tornando a casa verso mezzanotte, accarezzò il gatto che fingeva di dormire beatamente sul sedile.

“Grazie, Miao! Ora so come fare. La lucidatura della teca la facciamo al nostro rientro” fece allegra Deborah.

Miaouuuu!” rispose sbuffando e sbadigliando.

“Ho capito! Nessun aiuto da parte tua. Tu assisti solamente, se non ti addormenti prima” replicò una Deborah sorridente.

Dopo una ventina di giorni di duri allenamenti e qualche partitella distensiva venne il gran giorno della partenza. Doveva trovarsi nel centro sportivo alle otto, dove avrebbe lasciato nel garage la sua classe A. Una leggera seduta di allenamento ginnico per sciogliere la muscolatura nella mattinata, il pranzo, un paio di ore di relax e infine il viaggio alla Malpensa per l’imbarco, una breve sosta a Francoforte prima del gran balzo verso Rio de Janeiro. Preparato un trolley leggero con poco bagaglio e messo in borsa il Sony Prs-T2 con un bel po’ di ebook da leggere tra voli e soste, Deborah, scortata dal fido Miao, si congedò dal teschio di Cristallo e iniziò la trasferta tra paure e curiosità.

Si domandò, mentre si stava recando alla Malpensa, come avrebbe potuto soddisfare il rito della candela e della lucidatura della teca. Se finora le era riuscito col prezzo di un grosso sforzo psichico, non era in grado di comprendere come sarebbe stata capace trasferirsi dalla cabina dell’aereo al bilocale e tornare indietro.

“Ma quando poi sarò in Sud America, come farò?” si disse osservando il panorama dal finestrino del pullman che la stava trasportando all’aeroporto. Mentalmente calcolò che sarebbe arrivata a Francoforte all’incirca tra le venti e le ventuno. “Forse posso farcela” si rincuorò, prima di chiudere gli occhi.

Gaia in quel mese di luglio si negò ripetutamente a Simone, che la tempestò di chiamate e sms. Era stata una brava pallavolista, convocata più volte in nazionale. Aveva vinto numerosi trofei con il suo club in Italia e in Europa. A trentacinque anni aveva detto che era meglio lasciare il posto ai giovani e aveva appeso le scarpette al classico chiodo. Chiusa la carriera sportiva, era rimasta nell’ambiente, sistemandosi dietro una scrivania, facendo valere la sua lucidità mentale e la sua capacità di gestione della squadra. Era alla ricerca di un partner affidabile e maturo. Simone l’aveva colpita sia perché era un bel ragazzo poco più alto di lei, che perché aveva dimostrato, nonostante gli oltre dieci anni di differenza, una maturità insospettabile per la sua età. Sapeva che frequentava da oltre due anni una giocatrice di basket ma questo dettaglio non aveva costituito per lei un intralcio, abituata a lottare sul campo e fuori. Infatti era riuscita nel suo intento: fargli rompere la relazione con Deborah e sostituirsi a lei. Tuttavia quello strano episodio notturno di fine giugno aveva lasciato un segno tangibile. Quella figura, che lei aveva riconosciuto come la ex di Simone, e quel gatto, del quale aveva intravvisto solo due enormi bottoni d’oro, l’avevano inquietata e non poco.

“Simone ha un bel da dire che è stata solo una forte suggestione, perché non era possibile che lei fosse lì. Non metto in dubbio che materialmente non poteva essere entrata in casa mia, senza che noi ce ne fossimo accorti. Ma quello sguardo penetrante e carico di odio mi ha marcato a fuoco la pelle, tanto che tuttora di notte sento la sua presenza” fece Gaia, chiudendo l’ennesima chiamata di Simone senza rispondergli.

Dopo quell’episodio cautamente aveva chiesto allo psicologo del club, se fosse possibile che una persona potesse trovarsi in due posti differenti allo stesso tempo, muovendosi come un fantasma. La risposta l’aveva spiazzata alquanto.

“Sì” le rispose, mettendola nel panico. “Ci sono persone che riescono a proiettare la propria immagine nella mente di un altro, facendogli percepire la sua presenza fisica. Naturalmente prove scientifiche non ci sono e dubito molto che se ne possano trovare. Sono fenomeni che sono catalogati sotto la parapsicologia e in particolare sulla psicocinesi o telecinesi a seconda dei gusti personali”.

Su questa chiacchierata informale rifletté a lungo. Fece qualche ricerca ma non riusciva a scrollarsi di dosso quello sguardo. Con Simone non avrebbe proseguito la relazione, se prima lei non fosse stata in grado di eliminare quella spiacevole sensazione. ‘É un vero peccato, perché lui è l’uomo migliore che abbia conosciuto finora sotto tutti gli aspetti’ si disse, chiudendo l’uscio di casa.

Deborah, seduta nella sala d’attesa dei VIP, era stremata per il grosso sforzo di rientrare in Italia nel suo bilocale e ritornare a Francoforte in attesa dell’aereo per Rio. Teneva gli occhi chiusi e cercava di regolarizzare il battito del cuore.

“Ce l’ho fatta anche stavolta. Ma è sempre più faticoso” fece la ragazza, masticando con lentezza una barretta di cioccolato fondente. Era pallida e cadaverica, come se da un momento all’altro dovesse svenire. Mentre le compagne erano sciamate al duty-free dell’aeroporto alla ricerca di qualcosa da comprare, lei era rimasta lì, decisa a rispettare l’impegno della candela. Ce l’aveva fatta, ancora una volta, pagando nel fisico un prezzo altissimo.

Si doveva ricomporre in modo presentabile, prima dell’arrivo delle altre. Mentre praticava esercizi di rilassamento, avvertì uno sguardo su di lei. Volutamente lo ignorò. Doveva riprendersi prima di poter scoprire a chi appartenesse. Miao era acciambellato ai suoi piedi e pareva dormire beatamente. Dedusse che non correva pericoli.

“Lui è un essere magico e questi viaggi nello spazio non gli danno noie. Diversamente da me” ragionò con gli occhi chiusi.

Percepì un movimento accanto a lei, come se una persona si fosse avvicinata. Tuttavia Miao non fece una piega. Continuò a ronfare pacificamente.

“Che strano! Di solito soffia minaccioso in queste circostanze”.

Socchiuse gli occhi in una minuscola fessura per osservare la poltrona accanto alla sua. Era vuota fino a pochi istanti prima ma adesso pareva occupata.

“É forse la persona che mi guardava intensamente pochi istanti fa?” fece, mentre li aprì completamente.

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36 risposte a “La notte di San Giovanni – parte venticinquesima”

  1. Un bel modo di viaggiare, faticoso ma sicuramente comodo! Il mistero, la magia, gli impegni sportivi, il gatto, il viaggio e il pensiero di Simone… davvero Deborah rischia di crollare da un momento all’altro. Miao veglia su di lei ma non è il solo…
    e adesso non possiamo far altro che attendere il seguito.
    curiosa, io!

  2. Miaoouu**que hermoso personaje!!!!*tan tierno tan dulce!!!!!
    leerte**me encanta ****cada día me sorprendo más
    con los . giros de la historía
    que capacidad para escribir y detallar lo admiro****
    y que va a pasar con Deborah **
    besos y cariños
    querido amigo!!!!!
    feliz noche!!!!!

  3. La curiosità a questo punto è a mille ma siamo davvero alle battute finali.
    Mi aspetto un colpo di scena, capire chi occupa la poltrona dell’aereo ad esempio … 😉
    Non vorrei essere nei panni di Deborah, sta vivendo troppe emozioni!
    un abbraccio Gian Paolo
    Affy

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