Continuo io per te,
ma chissà se sarà vero
quello che segue.
Ora non ho più disegni della mente.
Non ho più idee come fondamenti della realtà,
come le descrive Platone.
Non ho più modelli visivi
per una vita giusta e saggia.
Ma chi sono io?
Ora è tempo
di dedicarmi a te,
di conoscere
la tua anima.
Questa è la poesia che Deborah mi ha scritto sul blog. Ho sorriso, quando ho letto questi versi. Mi sono sembrati privi di senso ma non potevo dirglielo in faccia. Si sarebbe offesa. Però collimavano con quello che ho pensato come terzo desiderio. Così ho deciso di usare queste parole per commentare il post.
‘Prima devi saggiare quella sensitiva per conoscere a fondo il carattere, sorridere del temperamento e stupirti della spontaneità della psiche‘.
Mi ha risposto che, per arricchirti con gli strumenti della tua anima sensitiva, devi divenire consapevole della mente, visitare coscienza e ragione, appropriarti dell’anima razionale di chi ti sta di fronte. A questo punto non avrai paure, quando sei sugli estremi confini della tua vita.
Mi sono sembrate parole sagge.
In effetti si deve godere della bellezza e dell’emozione della tua intelligenza per trasferirla nelle parole compiutamente e consentire agli altri di essere parte della tua creativa sensazione. Solo in questa maniera riuscirai ad esplicitare la tua generosità nei loro confronti.
Ecco come il terzo desiderio prende forma e sostanza: per giungere alla vera creatività bisognerà che si passi per la strettoia dell’integralità della esperienza umana, abbandonando il mondo virtuale per scendere in quello reale, fisicamente concreto. Però rispetto ai primi due veramente intuitivi devo cercare di semplificare il concetto. Quello che desidero è vivere tutti i giorni, osservando chi mi sta intorno per arricchire la mia anima. Ogni momento sarà vissuto come se fosse l’ultimo per godere ogni istante e trasferirlo in uno scritto che rimarrà anche dopo, quando non ci sarò più. Chiederò al genio della lampada la capacità di sintetizzare con le parole tutto il mondo che mi circonda.
Non importa quanti anni avrò a disposizione per fare questo. Va fatto e poi, una volta raggiunta la profondità del nostro essere creativo, potremo fare partecipi gli altri della bellezza del nostro essere. Non importa quale strumento userò o in che modo riuscirò a incontrare tutti quelli che ho conosciuto, conosco o conoscerò per raccogliere le loro esperienze di vita. Coinvolgerò gli altri in tutto quello che avrò appreso senza tralasciare nulla, nessun dettaglio. Tutti dovranno godere della profondità delle scelte che ho operato, perché saranno i benvenuti nella casa, che voglio edificare.
Già qualcosa ho cominciato ad accantonare come le parole, che Jacopo ha condiviso con me. Non è possibile descrivere la sensazione di incomparabile commozione nel leggerle:
“… Sono più sereno, a volte felice. E allora ne approfitto e tiro il fiato senza paura, senza inganni o false speranze. Mi godo questo momento in cui l’aria entra nei miei polmoni e aspetto tranquillo il momento in cui dovrò lasciarla andare.
Ed è così, a volte la vita ci mette la cornice e tu le decisioni. Ma non sempre ci sono entrambe allo stesso momento. Non sempre, oppure sì, dipende da ognuno di noi, da cosa ci tocca. Sorte. Suerte.
Piccole cose e momenti. E’ tutto qui….”
Ma anche i versi di Iris mi hanno colpito.
“Per scrivere ci vuole coraggio,
come, quando vivi.,
e immaginazione
di un inesistente fine,
che continuerai
a guardare
fino all’ultimo punto.
E ancora.
E ancora…”
E ancora quelle di Anna Maria
“… Amare è anche lasciarsi e lasciarti andare.
E io ti lascio allora, piano piano, per non farci troppo male. Come fanno rumore i nostri cuori …”.
e ancora, quelle di Marco, le ultime che ha pronunciato e che mi hanno commosso “… non ho paura. Sono solo stanco…”.
Pensandoci bene questo terzo desiderio lo potevo esprimere anche domenica scorsa. Non so il perché mi si è inceppata la mente.
Oggi è domenica e sto andando all’appuntamento. Mi sento più sollevata. Distendo l’asciugamano sul ciglio erboso del lago, esattamente nello stesso posto dell’ultima volta. La sorte ha voluto che nessuno lo occupasse prima di me. Mi appoggio sulla schiena e osservo il cielo che è pulito con qualche nuvola bianca che corre veloce verso un destino che non conosco ma che mi piacerebbe indovinare.
Aspetto che lui, il genio della lampada si faccia vivo. Mi addormento al sole, finché qualcuno non mi dà un colpetto sulla spalla.
“Signorina, signorina…” dice una voce che pare proveniente da lontano.
FINE
Ma gli occhi rimangono chiusi e la voce svanisce.
I tre desideri – parte seconda
Dopo una giornata di sole e di emicrania spacca cervello ho preso la strada del ritorno. In macchina non sono riuscita a distogliere il pensiero dal terzo desiderio che con abile gioco di parole si faceva desiderare. Arrivata a casa, mi sono domandata se il mal di testa fosse sorto al momento del risveglio o per colpa del genio della lampada. Il quesito è rimasto senza risposta ma non ho risolto il dilemma nemmeno nel sonno. Dunque sono due gli aspetti da definire nella settimana che sta facendo capolino: il terzo desiderio e il motivo dell’emicrania.
Dunque se per il terzo desiderio troverò una maniera per estrarlo dalle pieghe della mente, per l’altro quesito irrisolto qualcuno dirà che in una donna il mal di testa è una normalità come se facesse parte della sua natura. Eppure per me è un’eccezione, perché non ne ho mai sofferto fino a quella domenica mattina! Ho sperato che la notte portasse via con sé questa fastidiosa e depressiva emicrania ma non è stato in realtà il risultato auspicato. Mi sono risvegliata il lunedì mattina con ancora questa antipatica cefalea e mi sono detta ‘Pessimo inizio di settimana‘. Cosa posso farci se sono fatta così.
Durante la colazione, che di norma mi fa cominciare col piede giusto la giornata, non riuscivo a percepire i sapori, perché sono mischiati con i due pensieri fissi, che mi sto trascinando da ieri.
“La settimana non si prospetta favorevole” mi sono detta, mentre mando giù l’ultima sorsata di caffè. E in effetti non si può dire che sia stata esaltante col senno del poi.
I giorni si sono susseguiti monotoni e uguali tra loro, se non fosse stato per Martina e Mario, gli amici di una vita, per Enrico e Deborah, gli amici virtuali sul web, i quali con la loro presenza mi hanno illuminata e rasserenata.
Se domenica non sono riuscita a precisare il terzo desiderio, ci sono arrivata oggi, dopo aver ascoltato la storia di Martina, dopo avere parlato con Mario, dopo avere letto le parole di saluto di Enrico su twitter e la poesia di Deborah sul blog.
Oggi è venerdì e tra due giorni tornerò in riva al lago con la speranza che il genio della lampada si faccia vivo e non mi tenga il broncio. Domenica scorsa ci siamo lasciati con un po’ di ruggine, perché ho messo in dubbio le sue capacità professionali. Eppure doveva comprendere il mio modo scettico di ascoltarlo, perché era la prima volta che mi capitava di parlare con uno della sua specie. E’ vero che c’è stata in passato la storia di Aladino e della lampada magica che strofinandola esaudiva tutti i desideri. Però domenica il genio non è uscito dalla lampada ma è apparso all’improvviso sulla mia spalla. A mia discolpa devo ammettere che l’emicrania che mi trapanava il cranio era il peggio che mi potesse capitare per una che non ne ha mai sofferto.
“Caro Genio della lampada, nota la finezza della g maiuscola, sono una ragazza che ama il mondo e lo vive reale e virtuale. Quindi quando mi sei apparso, mi hai destabilizzato. Avevo delle certezze che i personaggi delle favole vivono solo lì. Però tu comparendo in maniera fisica mi hai resa dubbiosa che voi, protagonisti immaginifici dei libri, siate fisicamente come me”.
Era questa più o meno la chiacchierata che gli volevo fare tra due giorni scarsi ma in un lampo di genio ho fulminato la lampadina delle idee per la troppa foga nella quale ci ho messo per esprimere il famoso terzo desiderio. Dovrò sostituirla, sperando di averne una di scorta.
Procediamo con ordine, perché il lettore si sta spazientando e perché pretende chiarezza, che in questo momento mi manca. Dunque dicevo: ho ascoltato un racconto di Martina l’altro ieri e ho cominciato a ruminare su quanto avevo udito. In realtà, dovrete perdonarmi ma a volte sono troppo impulsiva, la narrazione è avvenuta a spizzichi e bocconi, in più rate e l’ho dovuta assemblare per renderla completa. Non mi pareva vero che potesse succedere una storia simile. Sono stata tentata di non crederle e ho espresso i miei dubbi ieri sera a Mario, mentre prendevamo un aperitivo al Sushi Bar. Questo è il locale più in della movida cittadina. Per avere un posto in piedi si deve sgomitare e talvolta non ci si riesce nemmeno. Giovedì sera, a me piace fare la trasgressiva in questa giornata che nessuno ama. Giovedì sera, come quasi tutti i giovedì sera, salvo impedimenti, io e Mario c’incontriamo al Sushi Bar e non dobbiamo sgomitare per avere un posto dove chiacchierare. Il locale è regolarmente vuoto, se vuoto si può concepire, quando nessuno sta in piedi in attesa e tutti i tavoli sono occupati. Io prendo il mio Negroni, lui un Aperol Spritz. Tutte le volte diciamo di cambiare ma alla fine ordiniamo sempre queste due bevande con arachidi e altre porcherie che non fanno bene alle nostre arterie. Ma non divaghiamo. Gli dico quello che Martina mi aveva detto la sera prima.
‘Volare in formazione, forse è il volo che pratichiamo in un luogo virtuale. Ognuno di noi vola solitario e in silenzio nella sua vita quotidiana ma, quando incontra gli altri in questo spazio senza dimensioni e senza tempo, si sente in formazione e comunica senza neanche guardare o toccare, proprio come fanno gli uccelli, si «sentono»‘.
Inizialmente mi sono messa a ridere, suscitando l’ira di Martina, che ha cambiato argomento. Poi mentre prendevo sonno, ho capito che non dovevo ghignare ironica. Il concetto era terribilmente serio ma ormai la frittata era fatta e non potevo di certo telefonarle alle due di notte per scusarmi dell’inopportuna risata. Avrei rischiato, anzi avrei avuto la certezza di prendermi un vaffa grande come una casa di sei piani. Dunque ne ho parlato con Mario, che mi ha appoggiato una mano sul braccio e mi ha detto: “Forse Martina voleva raccontarti una storia ma tu l’hai gelata con quella risata infelice”. Sì, gli risposi. Martina aveva iniziato a parlarmi di un ragazzo conosciuto sul web e poi aveva virato su quella frase, che a ripensarci bene contiene molte verità. “Beh” ha aggiunto Mario. “Telefonale e chiedile scusa”. Già fatto stamattina ma si è chiusa a riccio, quando ho cercato di domandarle del ragazzo. Ha finto di non avere capito la mia domanda. “Beh! E tu rifargliela. Vedrai che ti risponderà! Ma devi apparire senza incertezze di essere una donna seria e curiosa e non la solita impertinente che sembra voler prendere per i fondelli le persone”. Lui ha ragione sempre, mi capisce al volo e ride, quando faccio le mie battute spiritose, che non devono essere molto efficaci, perché gli altri mi mandano senza mezzi termini e tranquillamente a quel paese.
Stamattina ho seguito il suo consiglio e ho telefonato a Martina, chiedendole nuovamente scusa per mercoledì, perché ho riso sguaiatamente su un’affermazione molto seria. “Mi volevi parlare di …” ho cominciato, mentre sorseggiavo il caffè. “Sì, di Davide…” rispose con un sospiro. Mi sono sentito felice, perché non aveva ringhiato e non mi aveva detto ‘vaffa‘. E comincia a raccontare di questo ragazzo, conosciuto sul web, che vorrebbe vedere e toccare di persona. Sentendo queste parole il terzo desiderio prende una forma e diventa qualcosa di più di una chimera irraggiungibile. Finalmente un raggio di sole è entrato nella mia mente a dissolvere l’emicrania che per tutta la settimana mi aveva fatto cattiva compagnia.
Adesso ho delle certezze corroborate dalla chat con Enrico, che mi ha proposto il poeta che ama. Per descrivere il senso del silenzio usa delle parole meravigliose, almeno questo sembrano alle mie orecchie.
“Quello spirito gentil ch’entro mi rugge
s’attarda, latita, segue l’onde del tempo
e s’allontana”
Non ho avuto il coraggio di chiedergli chi aveva scritto quei versi, per non apparire un’analfabeta della poesia. Però gli devo domandare chi è, perché mi risuonano nella testa come un’onda melodiosa.
Stavamo parlando del silenzio, di come nell’immensità di questo sgorga spontaneo la creatività. Non ho osato contrastarlo, perché affermare, che il silenzio mi mette paura, lo mette di cattivo umore. Ci tengo a Enrico. E’ un compagno virtuale discreto e puntuale. Non manca mai al nostro appuntamento serale. E così è stato anche ieri sera, dopo il rientro dal Sushi Bar.
Dopo quei pochi versi del poeta che non ho riconosciuto ha continuato a parlare di silenzio, di creatività, di voler trasformare gli ideali in atti compiuti, reali e concreti. Mi ha confidato che sta scrivendo qualcosa, che va a strappi.
“Ho tradotto ieri notte le ultime memorie, gli ultimi desideri, le ultime parole costruite intorno a idee ed ideali. Ma in questo momento, nel fresco e silenzioso isolamento della sera, sento fluire lontano lo spirito creativo” mi ha detto.
L’ho consolato, perché l’ispirazione può nascere nel silenzio della notte ma può svanire un istante dopo.
Il terzo desiderio assume la sua forma precisa. Adesso so cosa dire.
All'ospedale
Leggerezze
I tre desideri – parte prima
Per un interno sentiero
voglio viaggiare,
scoprire cose mai viste dagli occhi.
Voglio nutrire la mia coscienza
con pensieri occulti,
perché un giorno vengano
allo scoperto
e possa esprimerli
con chiarezza.
Domenica scorsa ero al lago. Insieme a una terribile emicrania. posato lì sull’asciugamano accanto al mio capo, come un fardello da portare per tutto il giorno, ho visto improvvisamente lui, il genio della lampada. Stava con fare pensieroso in silenzio sulla mia spalla, leggero come un piccolo ciottolo di fiume. Era fumoso, tenue, trasparente, come se con una sagoma troppo netta, tagliente, colorata non volesse offendere la mia vista già provata dal dolore, che mi portavo dal risveglio.
Quando l’ho messo a fuoco, mi ha detto sussurrando: «E’ il tuo turno. Non puoi attendere ancora, devi esprimere i tuoi tre desideri. O adesso o mai più. E’ arrivato il momento».
Devo ammettere che è stato furbo nel presentarsi. Non ha scelto le prime ore della mia giornata per parlare, quelle in cui la mia razionalità è ancora intorpidita dal sonno, dai sogni appena dismessi. In quei frangenti la mia mente non ha dispiegato per bene le ali mentre i pensieri vagano ancora liberi nei meandri delle sinapsi, preoccupati, disperati. Sanno che, se non li fisserò subito, durante la giornata spariranno e si perderanno per sempre. Io sono fatta così e me ne vanto.
Mentre osservo rilassata il genio, lui mi aspetta senza fretta. Rimane in attesa che io decida cosa voglia. La prima riflessione, che si presenta, è che nessun desiderio potrebbe essere soddisfatto, se fosse materiale. E’ un concetto che qualcuno ha espresso con parole, che non saprei descrivere meglio. Dunque è inutile provarci, perché sono consapevole che avrei sprecato un’opportunità.
Il secondo pensiero è una domanda: ‘Ma cosa c’è di immateriale che io desideri raggiungere o che desideri non perdere con tutte le mie forze?‘
Però sto perdendo tempo. Lo vedo, il signore della lampada, che batte il piedino sulla mia spalla impaziente di ascoltare la mia voce ma non riesco a decidermi sui desideri da esprimere.
Poi, come se la mente si fosse svuotata col rumore sordo dell’acqua che scorre veloce verso il basso, arriva il primo desiderio. Mi accorgo che è il più importante, perché li racchiude tutti: la capacità di amare. Lo conosco a fondo, mi è costata lacrime e sofferenze. So che, una volta acquisito, difficilmente non lo perderò. Suvvia, non sorridete con quel sorriso maligno, perché è una richiesta seria. Il genio della lampada cosa ci starebbe a fare se non per darmi la sicurezza di qualcosa che conosco bene e che, proprio per questo, so che sia essenziale per la mia vita?
Lui mi guarda stupito, perché ci ho messo troppo tempo per formulare questo desiderio che è in cima a tutti i pensieri. Annuisce soddisfatto. Adesso si aspetta che vada più rapidamente nel manifestare gli altri due.
Come d’incanto, come se i lacci, che mi tenevano vincolata a terra, si fossero sciolti, ecco arrivare il secondo: ‘è l’avere la capacità di volare con la fantasia, finché avrò energie, finché avrò respiro’. Gli chiederò senza timori che mi dia questa capacità di provare tutte le variazioni e sfumature sul tema. Un volo rapido, lento, alto, basso, radente, sicuro, leggero, virato, planato, veleggiato, battuto, in caduta, saettato, tuffato, rimbalzato, frullato, rifrullato, impennato, librato, a campanile, a onda, a piombo, saettato, spiegato, solitario, ordinato, in riga, a punta, in formazione, repentino. Non ne avrò mai abbastanza. La fantasia non deve avere briglie sul collo
Il genio della lampada mi ha guardato soddisfatto, perché questo secondo desiderio era quello che aveva immaginato.
Di nuovo mi sono inceppata, gli ingranaggi si sono bloccati e non è uscito più niente dalla mia mente. Gli ho chiesto se mi concedeva la settimana che sarebbe cominciata domani per formulare il terzo e conclusivo desiderio. Lui mi ha guardato con un sorriso maligno sulle labbra. ‘Forse‘ è stata la risposta, prima che si dissolvesse in una nuvola di pensieri. Io sono rimasta lì con la testa posata sull’asciugamano in compagnia dell’emicrania a meditare su quel forse, che voleva dire tutto e niente. La prossima domenica sarò ancora qui, in riva al lago, con la speranza che il capo sia sgombro di pensieri negativi.
Sono rimasta tutto il giorno in uno stato di dolorosa percezione di essere inadeguata, perché non sono riuscita a palesare tre parole, tre frasi, tre concetti. Mentre ragionavo su di me mi sono posta la domanda: ‘I primi due desideri rimangono validi oppure no in assenza del terzo?‘ Non è una domanda oziosa la mia. Perché la fantasia non ha volato affatto e la capacità di amare non ha fatto capolino dentro di me. Il genio della lampada ha millantato del credito che non ha?
Mentre riflettevo su questo, ho sentito una fitta più dolorosa nella testa, come se volesse scoppiare. Mi sono girata e l’ho visto che mi punzecchiava infastidito. Ho compreso che è meglio non dubitare di lui.
Grazie Anjana!
Una bella ragazza da Dubai, Anjana, ha deciso di propormi per un premio Liebster Award e la ringrazio. Come faccio di norma, solo allergico alle catene, non nominerò nessuno. Così non faccio un torto a nessuno.
Pubblicherò il logo e risponderò alle domande che sono in inglese. Naturalmente le risposte saranno rigorosamente in italiano, sperando di non toppare clamorosamente la domanda.
1. What inspires you? Cosa mi ispira? Tutto. qualsiasi persona o oggetto è una fonte di ispirazione. Per te non lo so.
2. Your biggest dream? Il mio più grande sogno? Sono tanti e ve li risparmio
3. Where do you see yourself in 3 years time? Tra 3 anni io sono più vecchio di tre anni
4. If you were allowed to make ONE miracle happen, what would it be? Miracoli? Non credo di essere Dio. Mi è sufficiente essere me stesso.
5. What are you most insecure about? Insicuro? Questa parola non esiste nel mio dizionario… Magari fosse vero!
6. What are you most secure about? Vedi la risposta precedente
7.What is your take on ‘true love’? Bella domanda! Se lo sapessi…
8. If you had to give up one of these two, which one would it be? Reading OR Writing? Nessuno dei due.
9. Your favourite quote, And why is it special to you? Io sono impreparato a rispondere. Citazione preferita? Boh!
10. Describe your perspective of life in 3 words. Le mie prospettive di vita in 3 parole? Io dovrei scrivere un romanzo… Megalomane
11. Who is your favourite disney character? and why? 🙂 Senza dubbi: Paperino. Perché? Lui è simpatico e sfortunato ma non perde mai il buonumore
pant, pant.. sono arrivato alla fine senza fiiato. Sto diventando vecchio…
Venghino, Signore e Signori alla fiera della vanità
Il giorno della verità è scoccato. Vi siete sbizzarriti nelle risposte ma ecco le autentiche risposte. Passerò da tutti quelli che mi hanno fatto omaggio del loro pensiero con una risposta personalizzata.
- mi piace essere una persona seria Vero anche se mi piace scherzare
- riesco ingannarvi su tutto Vero perché sono imprevedibile
- non leggo un libro dalle scuole medie Falso sono un lettore compulsivo
- mi piace navigare in incognito Falso anche uso un nick non mi sono mai nascosto dietro
- nessuno conosce il mio vero nome Falso compare a richiesta
- mi spaccio per uomo ma sono una donna Falso adoro le donne ma sono un bel (vanitoso) maschietto
- fossi giovane… non aggiungo altro Vero sono giovane dentro ma l’anagrafe non mente
- è vero che racconto sempre le bugie Falso amo la sincerità anche quando è scomoda
- sono un famoso scrittore in incognito Falso magari
- che fatica compilare 10 domande Vero sono stremato
E ora le repliche
Grazie, Melodiestonate! Credi di avermi messo a fuoco?
Melodiestonate, una dolcissima fanciulla che produce tantissimi post, ha deciso di coinvolegermi in questo nuovo modo di animare il blog.
Non si vince nulla, nemmeno la coppa del nonno, non si deve fare praticamente quasi niente. Voi direte ‘ma che razza di premio è questo?’. Qui sta il bello, o il brutto dipende sempre dai punti di vista.
Cominciamo.
utilizzare il logo; Fatto
riportare le regole; lo sto facendo
scrivere dieci caratteristiche o accadimenti personali e sfidare chi legge ad indovinare se e quando si mente; ci sto pensando
nominare 10 blogger che si desiderano mettere a fuoco, comunicando loro di essere stati coinvolti. Ecco questo non lo farò
Pubblicare le risposte nei giorni successivi: sarà esaudito… alla prossima puntata.
Murble, murble … questo mi dà da pensare… Di sera o mattina presto pensare nuoce gravemente alla salute ma io sono un kamikaze e lsfido i luoghi comuni.
Ecco dunque la famose 10 domande.
- mi piace essere una persona seria
- riesco ingannarvi su tutto
- non leggo un libro dalle scuole medie
- mi piace navigare in incognito
- nessuno conosce il mio vero nome
- mi spaccio per uomo ma sono una donna
- fossi giovane… non aggiungo altro
- è vero che racconto sempre le bugie
- sono un famoso scrittore in incognito
- che fatica compilare 10 domande
E adesso provate a indovinare.
10 risposte esatte mi conoscete meglio di me.
8-9 risposte esatte comincio a preoccuparmi
6-7 risposte esatte beh! siete in media
4-5 risposte esatte siete sotto la media
2-3 risposte esatte ragazzi mi sopravalutate
0-1 risposte esatte. urca che colpo. Vi ho depistato per bene.
Venghino, venghino lor signori. Le danze sono aperte.
Ludmilla e un mazzo di fiori – parte quarantunesima
la Nuova Ferrara – 10 ottobre 2013
Clamorosi sviluppi sul duplice omicidio di due settimane fa. Retata a Ferrara e Lecce. Oltre trenta persone in custodia cautelare. La conferenza stampa del magistrato e del commissario che hanno condotto le indagini.
dal nostro inviato
Il duplice omicidio, che ha monopolizzato le nostre cronache di questi ultimi trenta giorni, è giunto a una svolta clamorosa per come si è risolto. Nessuno immaginava una soluzione così complicata, terminata con molti arresti eccellenti sia nella nostra città sia nel Salento. Gli investigatori sono stati veramente abili nel depistarci, nel farci credere che brancolavano nel buio, mentre in realtà erano ormai giunti a svelare ogni dettaglio del caso.
Venerdì 20 settembre in corso Giovecca intorno alle 18 venne uccisa una giovane donna, A prima vista sembrò un incidente stradale ma poi si appurò che si trattava di un omicidio. La donna era stata identificata come Teresa Lopiccolo di anni trenta da una collega di lavoro e dalla madre, Maria Russo, giunta da Lecce. Una settimana dopo fu ucciso Carlo Inzoli sulla soglia della sua abitazione. Le notizie sulle indagini sono arrivate col contagocce. Le indiscrezioni faticavano a trovare dei riscontri. Non si comprendeva i motivi dell’estrema cautela, con la quale gli investigatori si muovevano. La giustificazione, che avevano dato, era che le indagini procedevano al buio per la mancanza di indizi. La realtà, come abbiamo appreso ieri, è ben più complessa, perché coinvolgeva personaggi di spicco della Sacra Corona Unita. Da qui la massima prudenza nel divulgare le notizie per evitare che i pesci grossi fuggissero dalla rete. Con caparbietà e intuizione il magistrato, Carmelo Lopapa, e il commissario, Paolo Ricardo, hanno messo insieme i vari tasselli del puzzle e sono arrivati alla conclusione senza lasciar trapelare a che punto era l’inchiesta. Ci hanno informato, quando tutto era stato svelato, quando i protagonisti sono stati assicurati alla giustizia.
Quando abbiamo ricevuto l’invito a presenziare alla conferenza stampa del commissario Ricardo non pensavamo che ci avrebbe fornito su un piatto d’argento la soluzione di questo intricatissimo caso. Grande è stata poi la sorpresa nel vedere il magistrato Lopapa, collegato in call conference da Lecce con suo omologo leccese.
Ma sarebbe troppo complicato tentare di riassumere quello che il commissario ha detto durante la conferenza stampa. Ha illustrato un lungo e dettagliato percorso che forse è meglio trascriverlo nella sua integralità come Ricardo ce l’ha proposto. Un solo dato lo anticipiamo, perché ci ha frastornati e stupiti: la vera identità della donna uccisa. Non era Teresa Lopiccolo, come in un primo tempo ci hanno fatto credere ma Anna Inzoli, sorella di Carlo Inzoli, ucciso la settimana dopo.
Ma forse è meglio leggere cosa ci ha detto il commissario Ricardo.
Buongiorno a tutti e grazie per la vostra massiccia presenza. Vorrei chiedervi un favore: lasciatemi illustrare il caso senza essere interrotto dalle vostre domande, alle quali risponderò più che volentieri al termine. Cercherò di essere conciso e breve, anche se mi riuscirà difficile ma non mi sottrarrò alla vostra curiosità.
Per capire gli avvenimenti degli ultimi venti giorni devo fare una lunga digressione nel tempo, parlando di avvenimenti avvenuti quarant’anni fa.
Era il 1970. Un giovane leccese, Antonio Lopiccolo, aveva poco più di diciassette anni, quando cominciò la sua carriera di piccolo malavitoso alle dipendenze di Giuseppe Genovesi. Intimidazioni, riscossioni del pizzo, gestione del traffico di droga nella Lecce che conta. Era ambizioso e affascinante, lo è tuttora secondo le informazioni raccolte, ed era ricercato dalle donne più mature di lui. Però lui aveva un debole per le ragazzine, le adolescenti, un vizio che ha conservato intatto in tutti questi anni. Nel 1974 lui ventunenne conobbe una ragazza giovanissima, la sedicenne Maria Russo. La famiglia della giovane era benestante, non facoltosa secondo i parametri dell’epoca, e possedeva una piccola catena di negozi e qualche appartamento. La incrociò durante i soliti giri del pizzo e gli piacque immediatamente. Le fece una corte spietata, finché quattro anni dopo riuscì a sposarla, nonostante l’opposizione dei genitori. Lui venticinque anni e lei venti. Abbandonò Giuseppe Genovesi, che prese come uno sgarbo questa diserzione. Lui era un personaggio di spicco sella Sacra Corona Unita del Salento e non ammetteva che qualcuno lo abbandonasse senza il suo consenso. Giurò di fargliela pagare. Antonio Lopiccolo lavorò per quattro anni in un negozio degli suoceri. Secondo Maria Russo aveva messo la testa a posto…
Il commissario Ricardo si interruppe, osservando i presenti: sui loro volti aleggiava la perplessità e il brusio era aumentato di volume. Riprese a parlare ‘Comprendo i vostri dubbi, che traspirano dalle vostre facce, per questi oscuri e lontani episodi. Ma vi assicuro che quando saremo alla fine li capirete benissimo‘. Era chiaro che nessuno afferrava il senso di questi avvenimenti, vecchi di trent’anni. I nomi, a parte quello di Maria Russo, la madre di Teresa Lopiccolo, e quello di Antonio Lopiccolo, con molta probabilità il padre, non dicevano nulla a nessuno dei presenti. Non erano mai comparsi nell’inchiesta. I volti si distesero e il vociare sommesso si placò. Il commissario continuò come se non ci fosse stata nessuna interruzione.
Era in quegli anni un marito affettuoso e rispettoso e non andava più a caccia di donne o ragazzine. Poi nel 1982 Maria Russo rimase incinta e in Antonio tornò la voglia di avventure. Fu una gravidanza dura per la donna e anche i due anni successivi. Le scappatelle non si contarono più e lei lo riaccolse sempre in casa, perdonandolo. I genitori volevano che chiedesse il divorzio ma Maria Russo non se la sentì. In quegli anni una ragazzina, arrogante e autoritaria, che conosceva Antonio Lopiccolo, perché aveva frequentato qualche anno prima la casa del padre, lo puntò con decisione. Aveva già avuto diverse esperienze sessuali. Pare che il primo, un ragazzino di un paio d’anni più grande, sia finito male per averle tolto la verginità. Di questo se ne occuperanno gli inquirenti leccesi, che hanno aperto un’inchiesta su quel lontano caso mai risolto. Quella ragazza si chiama Antonia Genovesi. Giuseppe Genovesi, il padre, era diventato l’uomo di maggior spicco della Sacra Corona Unita del Salento. Antonio Lopiccolo resistette per due anni alle avance della ragazza, perché non aveva intenzione di entrare ancora in conflitto con Giuseppe Genovesi, che aveva accolto piuttosto male la sua defezione. Ma l’uomo non è di legno e Antonio Lopiccolo capitolò. Nel 1986 fuggì con lei. Dopo una settimana ritornò a casa e lui con moglie e figlia l’abbandonò in fretta e furia. Dopo diversi mesi di frenetici spostamenti per l’Italia si fermarono a Ferrara. Per vent’anni tutto filò liscio, finché nella casa di Antonio Lopiccolo nel 2006 non comparvero due ragazze: Julien Perdio e Anna Inzoli, la sorella di Carlo, l’altro morto ammazzato il 27 settembre. Julien Perdio aveva diciannove anni ed è la figlia naturale di Antonio Lopiccolo, nata da quella fuga di vent’anni prima con Antonia Genovesi. Ma presto rimangono solo in due, perché una delle tre si sposa con Federico Chiumento, un manager della finanziaria R&S. Nel 2007 Antonio Lopiccolo con una delle due ragazze rimaste sparisce e fa perdere le sue tracce. Ufficialmente è Anna Inzoli, almeno questo fanno credere. In realtà come vedremo, non è così. Due anni dopo, siamo nel 2009, Maria Russo, dopo aver aspettato invano il marito, se ne torna a San Cataldo, una frazione di Lecce, nella vecchia casa, abbandonata vent’anni prima. Rimane la terza ragazza, che nel 2011 si fa assumere da Federico Chiumento come Teresa Lopiccolo. Federico Chiumento ama navigare fra le chat a luci rosse con lo pseudonimo di Alex e qui conosce la falsa Teresa Lopiccolo con la quale inizia una relazione. Lui ignora che due donne si conoscono, finché non siamo intervenuti noi. La falsa Teresa Lopiccolo intreccia pure una relazione con Rosario Loperfido, il marito di Antonia Genovesi. Lo conosce col nome di Felix, mentre lei si fa chiamare Topina. Facciamo un passo indietro a quel fatale 1986. Antonia Genovesi scopre di essere incinta. Il padre, Giuseppe, stava dando la caccia a Antonio Lopiccolo per fargli pagare il disonore subito dalla figlia, che secondo lui era stata sedotta e abbandonata. La notizia della indesiderata gravidanza lo fa infuriare ulteriormente e lui moltiplica le ricerche senza successo. Però non può permettersi di tenere la figlia a Lecce, perché già circolavano delle voci in tal senso. La spedisce in Svizzera, dove lei partorisce Julien nel 1987. Appena nata viene adottata da una famiglia italosvizzera, Perdio, che la crescono come loro figlia, finché Julien non ritrova il padre. Antonia è anche una donna fredda e vendicativa e aspetta solo di scoprire dove si trova Antonio Lopiccolo. I Genovesi non smetteranno mai le ricerche in tutti questi anni. Vogliono vendicarsi. Antonia sposa quindici anni fa Rosario Loperfido e si stabiliscono a Ferrara. Sembrerà strano ma per molti anni ignora la presenza del vecchio amante in città. Al momento non sappiamo con esattezza come Antonia Genovesi abbia rintracciato Antonio Lopiccolo: incontro casuale oppure attraverso le ricerche di Julen Perdio. Però l’uomo fiuta il pericolo e si nasconde, sfuggendo ancora una volta alla vendetta dei Genovesi. La donna non demorde nella ricerca che è diventata una spina nel suo fianco. Antonia Genovesi per meglio coprire la caccia decide di creare con l’aiuto del padre un’appendice della Sacra Corona Unita a Ferrara. Una struttura che lavora nell’ombra organizzata in clan che ha diviso la città in zone. Ogni clan non conosce l’altro che ha come unico riferimento Giuseppe Genovesi, il quale a sua volta interfaccia la figlia, che attraverso le sue conoscenze nei luoghi che contano, riesce a proteggerli e a riciclare il denaro attraverso la finanziaria R&S. La donna non conosce personalmente Chiumento ma i passaggi di denaro avvengono in modo impersonale col tramite di Tarek Ben Hamman e la sua Smart gialla. Ogni clan è specializzato in un campo per non sovrapporsi: droga, prostituzione, armi, usura. Mi fa piacere vedere che adesso i volti sono dipinti di stupore. Tutto questo non sarebbe stato scoperchiato, se la sete di vendetta di Antonia Genovesi non avesse prevalso sulla sicurezza dell’organizzazione. Sei mesi fa scopre che in città è rimasta una donna che si spaccia per Teresa Lopiccolo, che è la figlia dell’odiato Antonio, e che intrattiene una relazione col marito. Questo è troppo per lei e fa salire un killer di professione, Ciro Diodati, che in città era conosciuto come Raffaele Albanese, per uccidere la figlia del fedifrago. Ciro Diodati è una persona metodica e precisa, che si muove con prudenza. Si attiva e conosce Carlo Inzoli, al quale fa capire di conoscere dove si nasconde la sorella Anna. Col suo aiuto impara le abitudine di Teresa Lopiccolo e organizza l’agguato perfetto. Manda un mazzo di fiori alla collega della vittima con un biglietto, che indica la conoscenza dei suoi comportamenti. Con l’aiuto di Ben Hamman convince la falsa Teresa Lopiccolo a seguire gli spostamenti della ragazza. Come? Le fa credere che Ludmilla Presente, la collega, stia correndo tra le braccia di Felix per sventare il ricatto che ha messo in atto. La finta Teresa è incinta di due mesi e ricatta sia Alex, ovvero Federico Chiumento, sia Felix, ovvero Rosario Loperfido, minacciando uno scandalo. Il 20 settembre Ciro Diodati la uccide con un colpo di fucile. Però c’è una persona che lo conosce, anche se non sa che sia l’assassino di Teresa Lopiccolo. E’ Carlo Inzoli, che uccide sulla soglia di casa sette giorni dopo.
Ma il suo compito non è finito. Deve ammazzare anche Antonio Lopiccolo. Rimane in città, aspettando l’imbeccata giusta che tarda a venire, perché l’uomo ha saputo far perdere le sue tracce con molta abilità. Questo è stato il primo errore che Antonia Genovesi ha commesso, perché ci ha permesso di individuare il killer. Il secondo è stato abbindolare un ex poliziotto con sesso e denaro, perché ci ha consentito di risalire a lei. Ma non avremo mai capito la dinamica degli omicidi, se Maria Russo non avesse spiegato chi erano le tre donne comparse nel 2006 a casa sua. Ludmilla Presente, che per prima ha identificato il cadavere, è stata tratta in inganno dal fatto che le è stata presentata come Teresa Lopiccolo. In realtà la vera Teresa Lopiccolo e Anna Inzoli si sono scambiati ruoli e identità, favorite dalla impressionante rassomiglianza tra loro. Quindi Chiumento, che pensava di aver sposato Anna Inzoli, si è accoppiato in realtà con Teresa Lopiccolo, mentre l’amica si è spacciata per l’altra. Ma chi è quell’Anna Inzoli che è fuggita con Antonio Lopiccolo? La figlia Julien Perdio. La sorellastra ha coperto la fuga dei due con falsi trasferimenti di residenza. Rimaneva ancora un dubbio sulle motivazione dello scambio di identità tra le due donne, che ci è stato tolto dalla vera Teresa Lopiccolo. Ha confessato che era dal 2004 che entrambe si comportavano da escort di lusso, procacciandosi i clienti tramite un sito a luci rosse. Nel 2005 Anna Inzoli aveva conosciuto Chiumento, che l’aveva contattata per una prestazione. Solo che lei aveva un altro impegno al quale non voleva rinunciare e ha mandato al suo posto Teresa Lopiccolo, che come abbiamo detto erano molto somiglianti. Non era la prima volta che le due ragazze si scambiavano ruoli e nome. Da quella volta Teresa Lopiccolo e Federico Chiumento si erano rivisti spesso. Lui riteneva che fosse Anna Inzoli, la donna che frequentava. Quando l’uomo le propose di sposarlo, Teresa non ha avuto il coraggio di confessare l’inganno, sostenuta in questo dall’amica. Solo loro due sapevano le vere identità. Anna Inzoli, alias Teresa Lopiccolo, continuò la sua attività di escort, finché non convinse Federico Chiumento due anni fa ad assumerla nella finanziaria. Il resto lo conoscete già
Se avete domande sono a vostra disposizione.
Se fino a quel momento non si era sentito volare una mosca, subito dopo si scatenò un putiferio e raffiche di domande.
Dunque il nome dell’operazione ‘Mazzo di fiori’ nasce dal quel mazzo inviato alla collega?
Sì, è stato l’origine di due omicidi ma è stato anche l’opportunità di decapitare l’organizzazione mafiosa sia nel Salento, sia a Ferrara.
I mandanti erano i Genovesi?
Sì. Loro sono i mandanti dei due omicidi. La grande sete di vendetta li ha resi incauti e ha fatto tralasciare le norme ferree di sicurezza che si erano imposti. Senza questo errore non saremo mai riusciti a venire a capo dei due casi.
E’ vero che avete brancolato nel buio oppure era solo uno schermo per depistare killer e mandanti?
In effetti avevamo compreso il meccanismo dei due omicidi ma non conoscevamo i motivi che avevano ispirato i mandanti a ordinare le uccisioni. Poi abbiamo individuato il killer, che ci avrebbe seminato e lasciato con un palmo di naso, se non avesse avuto la sfortuna di perdere un foglio con l’indicazione dell’ultimo rifugio. Ma i mandanti sarebbero rimasti nell’ombra, se Antonia Genovesi non fosse stata una donna assetata di sesso.
Ma Maria Russo non poteva indirizzarvi sulla strada giusta?
Domanda intelligente, la sua. A modo suo ci aveva dato delle indicazioni, che non riuscivamo a collegare ai due casi. Poi finalmente si è aperta con chiarezza e tutto è diventato comprensibile.
Avete detto che Diodati è stato arrestato per una mappa persa. Può spiegarsi meglio?
Abbiamo individuato Diodati, alloggiato in un albergo della Città ma Antonia Genovesi l’ha avvertito. Così lui c’è sfuggito. Aveva messo in piede con la complicità dell’organizzazione un complesso giro di rifugi, che sarebbe stato quasi impossibile da scoprire con cambio di auto e identità. La destinazione finale sarebbe stata Garica nell’isola di Krk in Croazia. Però sfortunatamente per lui ha perso un foglio con l’indicazione di una casa di Stellata. Individuato e pedinato è stato arrestato al confine con la Slovenia a Nova Gorica. L’arresto è stato tenuto segreto fino alla conclusione di tutte le indagini.
Perché Carlo Inzoli è stato ucciso?
Supponiamo che l’aver conosciuto Ciro Diodati sia stato la causa del suo assassinio. Il killer afferma di aver eseguito degli ordini, scaricando tutto sui mandanti. Però non è convincente.
Quale è stato l’elemento che ha dato la svolta alle indagini?
Controllando l’anagrafe ho scoperto che Anna Inzoli era la moglie di Federico Chiumento. Però Maria Russo sosteneva che invece era fuggita con Antonio Lopiccolo, perché era tornato al vecchio vizio di importunare le ragazzine. Qualcosa non tornava. Doveva esserci una terza ragazza. Quindi abbiamo convinto la donna a parlare con sincerità e non in maniera fumosa. E’ uscito allo scoperto il nome di Julien Perdio, la figlia naturale di Antonio. Interrogando i vicini dell’ultima abitazione ferrarese, questi hanno confermato che alle due ragazze, Teresa e Anna, si era aggiunta nel 2006 una terza, della quale ignoravano il nome, che poi era sparita con Antonio Lopiccolo, mentre le altre due erano rimaste per diversi mesi, finché la finta Anna non si era sposata.
Ma come Julien Perdio ha rintracciato il padre?
Non lo sappiamo ancora, perché né lei né Antonio sono ancora stati rintracciati. Contiamo di farlo nei prossimi giorni. Non era un obiettivo primario per noi. Ci siamo concentrati sugli altri.
Grazie per la vostra cortese e paziente attenzione e, se non avete altre domande, io vi saluterei.
Con queste parole è terminata la conferenza stampa.
Un caso complesso e un intreccio pauroso che solo l’abilità del commissario Ricardo è riuscito a sbrogliare con successo.
FINE
Il mazzo di fiori – parte quarantesima
Ferrara, ore 22 del 28 settembre
Antonia ritorna a casa inquieta e delusa. Avverte che qualcosa non va ma non riesce a decifrare cosa sia. Questo le mette ansia. Sembrava filare tutto liscio ma un ingranaggio si è inceppato e rischia di bloccare il resto. Percepisce che Vito sta diventando un problema e come tale va eliminato ma non sarà semplice, perché è pur sempre un poliziotto.
La bella casa, un dimora quattrocentesca nella Ferrara medioevale, è vuota. Sperava di trovare Rosario ma non si era sbagliata. “Sarà la topina, la rossa o la mora la bella di turno?” si dice, mentre si spoglia.
Fatica ad addormentarsi e, quando ci riesce, sogna. Sogna a colori e in bianco e nero. Suda, anche se la notte non è calda, smania e si lamenta. Si sveglia che è ancora buio più stanca di quando si è distesa sul letto. Sente il russare ritmico e lieve di Rosario, che dorme nella sua stanza. Dal ritorno della luna di miele hanno sempre dormito in stanze separate. Per fare sesso, non molto spesso in verità pensa la donna, ci si spostava a turno nel letto dell’altro ma poi ognuno dormiva per conto suo. Era terrorizzata che potesse rimanere incinta ancora una volta. Mentre si gira, rimpiange la figlia, che adesso avrà ventisei anni. Per volere del padre è stata affidata in adozione subito dopo la nascita. Riflette che non è riuscita a darle nemmeno una poppata. Il seno le doleva tanto era gonfio, mentre l’infermiera lo svuotava col tiralatte ogni giorno. “Tutta colpa di quell’Antonio che mi ha messo nei guai. Ma tra poco salderò il conto” dice, sussurrando vendetta.
Stellata, ore 8 del 29 settembre
Si sveglia indolenzito e un po’ infreddolito. Non ha dormito sereno, sempre in tensione nel tentativo di captare qualche suono pericoloso. La notte è passata senza intoppi, mentre si alza per fare colazione con quello che si è portato da Casaglia. Tiene di scorta qualche barretta di cioccolata e un cartone di succo d’arancia. Potrebbero servirgli durante la giornata. Apre cautamente un’imposta sul retro dell’abitazione. Il cielo è plumbeo per una leggera nebbiolina fuori stagione. Controlla il secondo telefono se per caso ci sono messaggi. “Nulla” si dice, mentre lo spegne. L’altro, quello usato a Ferrara rimane spento per precauzione, qualora fosse stato messo sotto controllo. Si dà tempo fino alle 12, prima di abbandonare anche questa abitazione e puntare direttamente a Garica nell’isola di Krk in Croazia. Il tempo pare essersi fermato, non passa mai. E’ mezzogiorno, quando comincia a raccogliere le sue cose. Lo zaino, la sacca, la borsa dei documenti. Per scrupolo riaccende il telefono. C’è depositato un messaggio. Sa chi glielo può aver mandato. ‘Attendi istruzioni fino alle 17. Se non ricevi nulla, fa buon viaggio‘. Sbuffa, mentre lo spegne nuovamente. “Non erano questi gli accordi” dice di malumore. “Altre cinque ore di sofferenze”.
Casaglia, ore 16 del 29 settembre
“Novità, Robbie?” dice Ricardo, rispondendo a una chiamata dell’ispettore Tommasi.
“Se mi autorizzi, penso di entrare nel casale. Il posto è freddo. Nessuno si è fatto vivo, né nessuno ha dato segni di vita all’interno”.
“Ma forse chi doveva arrivare per ripulirlo potrebbe giungere più tardi, al calare del sole”.
“Forse ma ci credo poco. Secondo me si sono accorti che qualcosa non torna. Per quanto nascosti, il movimento di persone e di auto si nota. E’ una strada dove passano si e no dieci macchine al giorno nei feriali. Da quando siamo, qui oggi ne sono transitate appena tre!”
“D’accordo! Usa la massima prudenza” conclude il commissario.
L’ispettore fa forzare una porta nel retro della casa e fanno irruzione dentro. Tutto è tranquillo e buio. Si avverte appena, che qualcuno vi ha sostato qualche ora prima. Nel magazzino trovano l’Audi.
“Tutto tranquillo. Nessuno all’interno e solo un occhio esperto nota il passaggio di una persona. Però accanto all’Audi abbiamo trovato un foglio. Una stampa di Google map con un cerchio su un’abitazione di Stellata. Forse è il nuovo rifugio del nostro uccellino” dice Tommasi a Ricardo.
“Ottimo! Dammi le coordinate. Le passo alla municipale di Bondeno e alla tenenza dei Carabinieri. Parti immediatamente con tre uomini a sirene spiegate fino a Bondeno. Poi spegni tutto. Controlla se il nostro uomo è ancora lì. Niente colpi di testa. E’ un elemento pericoloso” gli ordina il commissario. “E tienimi informato sugli sviluppi”.
“Niente colpi di testa! Sarò prudentissimo” risponde l’ispettore.
Quaranta minuti più tardi sono nelle vicinanze dell’abitazione. Sembra tutto tranquillo.
Ferrara, ore 17 del 29 settembre
Ricardo è tornato nel suo ufficio, dove trova Vito che lo sta attendendo.
“Commissario, mi ha convocato?” chiede il poliziotto, mascherando una certa ansietà.
“Sì. Accomodati”.
Ricardo sta in silenzio e finge di cercare delle carte sulla scrivania, mentre Vito è sulle spine. Si agita, sente l’inquietudine salire, cerca di regolare il respiro per calmarsi.
Dopo qualche minuto il commissario prende in mano un foglio bianco e guarda in faccia il poliziotto.
“Ecco quello che cercavo” esordisce enfatizzando la voce. “Lo sai che una talpa ha passato informazioni a un ricercato facendolo sfuggire alla cattura?”
“No, non lo sapevo, commissario” risponde Vito, che si agita ancora di più.
Ricardo finge di leggere quello che non c’è. Mette pressione nell’indagato, perché sa che deve giocarsi bene le poche cartucce che ha.
“Sei sicuro di non conoscerlo?” lo incalza con durezza.
“Le ho detto di no” replica, mentre le certezze diminuiscono. Si era preparato a ribattere colpo su colpo alle accuse ma il commissario non lo sta attaccando direttamente, come se avesse qualche informazione che lo potrebbe incastrare. Si chiede dove ha sbagliato senza trovare una risposta. Pensa che possa essere stata Antonia, che gli è apparsa strana ieri sera. Però scaccia questo pensiero, perché sarebbe la rovina anche per lei. L’ansia sta crescendo e il timore verso il suo capo aumenta. “Dicevano che è un mastino che non molla mai la presa! Lo sto sperimentato sulla mia pelle” riflette nel silenzio surreale della stanza. Un telefono squilla, facendolo sobbalzare.
“Sì” dice Ricardo, che si alza ed esce dall’ufficio.
Vito resta solo con le sue paure. Immagina che anche questo sia un trucco del commissario per mettere altro sale sulla piaga. Vorrebbe fuggire ma non può. Deve restare seduto lì a cuocersi a fuoco lento.
Dopo qualche minuto rientra soddisfatto e si siede nuovamente.
“Stavamo dicendo… Ah! Un’ugola profonda ha passato informazioni riservate a un ricercato e tu non ne sai niente” ricomincia con un sorriso malizioso sulle labbra.
“Sì, signor commissario” balbetta Vito.
“Lo sai che in carcere i poliziotti, anche se disonesti, hanno vita dura? Questo non ti preoccupa?” lo incalza Ricardo.
“Veramente…” prova a dire il poliziotto.
“Allora scopro le carte”.
Il commissario lo guarda negli occhi con intensità e cattiveria.
“Non ho nulla in mano” comincia e gli mostra un foglio bianco. “Però sono certo che sei stato tu a fare la soffiata. Il procuratore Lopapa ha pronta una carta per la tua custodia cautelare. Tempo 24 ore e trovo tutti gli elementi per sbatterti in una cella e buttare via la chiave…”.
Vito deglutisce, percepisce di essere incastrato e tentenna.
“… Però se ti dimostri intelligente, te la puoi cavare con poco. Le dimissioni dalla polizia e andartene pure al diavolo” conclude l’affondo Ricardo.
“Cosa vuol sapere” dice con gli occhi bassi il poliziotto.
“Conosci una certa Antonia?”
“Sì”.
“Nome e cognome e indirizzo”.
“Ho solo un numero di telefono e un indirizzo dove ci incontravamo”.
“Bastano quelli. Il resto lo trovo io” conclude Ricardo, porgendo un foglio che fa firmare a Vito.
Stellata, ore 17 del 29 settembre
Albanese guarda l’ora; sono le 17. “Bene” esclama, stiracchiandosi. “E’ il momento di controllare. Avrei dovuto ascoltare il mio istinto e mandarli tutti a fanculo”.
Accende il telefono che resta muto. Nessun messaggio. Questa volta non fa sconti. Lo spegne nuovamente. Smonta il fucile, che ripone nella sacca insieme alla pistola. Mette lo zaino sulla spalla e afferra la borsa dei documenti. Con cautela apre la porta del magazzino. “Tutto tranquillo” dice soddisfatto, completando l’apertura.
Esce con la Fiesta e richiude il portone. Con lentezza imbocca la strada che lo porterà verso il ponte sul Po.
“Il nostro uomo ha messo fuori la testa… Ora esce con una Ford Fiesta blu” dice al telefono Tommasi, che osserva con un binocolo la casa. “Ha preso la direzione del ponte. Squadra due tenetevi pronti. La targa è …”.
“Preso e ricevuto” risponde la squadra due. “Non appena lo inquadriamo, lo fermiamo per un controllo. Passo e chiudo”.
Fatto un centinaio di metri, Albanese vede spuntare la paletta dei carabinieri.
“Merda. Erano là ad aspettarmi” bofonchia indispettito. Pensa di fare un inversione ma la strada è stretta e dovrebbe farla in due rate. Quindi rischia solo una mitragliata. Spera che sia solo un banale controllo visto il giorno e l’ora.
“Documenti” gli chiede con cortesia un carabiniere.
Lui accenna a scendere ma viene fermato, perché vogliono controllare anche luci, frecce e stop. Mentre l’altro prende nota di patente e carta di circolazione, quello vicino all’auto gira intorno, dandogli dei comandi.
“Potrebbe aprirmi il bagagliaio” gli domanda con gentilezza.
“Si” risponde, scendendo.
Il secondo carabiniere non visto applica un gps sotto il parafanghi di sinistra.
“Grazie. Può andare” dice quello che pare essere il comandante della pattuglia, portando la mano alla fronte.
Superato il Po, si ferma in una piazzola per verificare che non abbiamo messo nulla, mentre lui era nell’abitacolo. Soddisfatto dell’ispezione, riprende la strada per l’isola di Krk.
Ferrara, ore 18 del 29 settembre
“Carmelo siamo a buon punto. Il killer è monitorato. Lo lasciamo viaggiare tranquillo per qualche ora. Se tenta di uscire dall’Italia sarà bloccato. Viceversa vediamo dove va” comincia Ricardo.
“Buona notizia. Un colpo di fortuna ci voleva proprio. Poi le tue intuizioni felici hanno fatto il resto” replica soddisfatto il procuratore. “Ora dobbiamo cominciare a tirare a riva la rete con dentro pesci grossi e pesciolini. Come intendi muoverti?”
“Per prima cosa dobbiamo perquisire la casa di Stellata. Là ci sono quattro miei uomini. Manderei un’altra squadra per le rilevazioni della scientifica. Al limite in collaborazione con l’Arma. Se mi firmi le carte, le passo a loro”.
“Come pensi di procedere con Antonia e gli altri?” gli domanda Lopapa.
“Ci dobbiamo ragionare con calma, valutando pro e contro. Non vorrei far scappare i pesci grossi. Dobbiamo organizzarci con cura. I dettagli sono fondamentali per la buona riuscita dell’operazione ‘Mazzo dei fiori’. Dobbiamo catturare i mandanti e fiancheggiatori, smantellare la cupola della Sacra Corona Unita”.
Il procuratore annuisce, mentre riflette sulle ultime parole di Ricardo. Conviene che si debba agire con cautela. Loro hanno denaro e avvocati, che farebbero a pezzi l’istruttoria senza valide pezze d’appoggio.
“E la talpa?” domanda Carmelo.
“Ho fatto un patto con lui. Mi ha dato informazioni utili per mettere nei guai Antonia, anche senza la sua testimonianza. Ha lasciato con decorrenza immediata la Polizia e ha tempo ventiquattro ore per sparire” risponde Ricardo.
“Non è stata una mossa avventata?”
“Direi di no. Mettere in ballo la notizia che ci sono mele marce nella polizia non è molto piacevole. Poi lui è stato attratto dalla donna col sesso e con dei soldi, che gli servivano per pagare degli usurai pugliesi. Provare che lui abbia passato alla cupola informazioni riservate è alquanto difficile, se non è disposto a confessare in tribunale. E’ meglio così, Carmelo”.
Il procuratore legge delle carte e ne prepara delle altre. Ha finto di non aver sentito nulla. Però è soddisfatto dei risultati. Crede che nel giro di pochi giorni si possa chiudere la partita definitivamente.
“Se permetti, telefono a Ludmilla. Vorrei vedere lei e la Russo. Solo noi tre” dice Ricardo.
“Perché?” domanda stupito e sorpreso Lopapa, tagliato fuori dalla chiacchierata.
“Vorrei chiarire alcuni aspetti dubbi. La Russo non parlerebbe in tua presenza…”.
“Pensi che con te si aprirebbe?”.
“Sì. Ho alcune informazioni esplosive che la indurranno a dire il vero”.
“Sono segreti oppure mi metti al corrente?” domanda il procuratore rabbuiato.
“Prima telefono, poi ti racconto” risponde Ricardo.
Preso il telefono chiama la ragazza.
“Ciao, Ludmilla. Sono Paolo”.
“Ti avevo riconosciuto. Dimmi”.
“Posso vederti? Verrei a casa tua tra una mezz’ora”.
“Se ti sbrighi puoi assaggiare orecchiette fatte a mano con cime di rape, melanzane ripiene al pomodoro e patate alla pecurieddu scappatu oppure hai deciso di digiunare anche stasera?”
“Corro immediatamente. Per il dessert ci penso io” risponde il commissario, chiudendo la conversazione.
“Ti lascio libero. Managgia! Verrei anch’io. Però prima di andare a nanna, passi da me per raccontarmi tutto” gli ordina il procuratore.
Ferrara, ore 19 del 29 settembre
Ricardo suona il campanello, tenendo in mano una grossa vaschetta di gelato artigianale.
“Benvenuto!” esclama Ludmilla, accogliendolo sulla porta con calore. D’istinto vorrebbe dargli un bacio ma si trattiene appena in tempo.
“Ciao” dice impacciato il commissario, porgendo quello che ha portato.
“Dai, entra! Si sta raffreddando tutto” lo incita la ragazza con un bel sorriso.
Maria è rigida accanto all’ingresso e non pronuncia una parola. Non gradisce molto la presenza del poliziotto, anche se tutto sommato non le sta antipatico.
“Buona sera, signora Russo” le dice allungando la mano, che viene ignorata dalla donna.
“Dobbiamo stare qui sulla porta?” domanda Ludmilla che freme per iniziare la cena.
“No” risponde pronto il commissario, chiudendo il battente alle spalle.
“Che profumino delizioso!” dice Ricardo annusando l’aria.
“Forse è la fame!” replica felice Ludmilla. “Andiamo a tavola!”
Chiacchierano e mangiano con appetito la ragazza e il poliziotto, mentre Maria partecipa distratta alla conversazione.
“Ottimo questo primo” dice Ricardo, pulendosi la bocca col tovagliolo.
“Dovevi vedere come era svelta Maria nel preparare le orecchiette! Velocissima! Così svelta che faticavo a vedere i movimenti delle dita! La preparazione della pasta è semplicissima. Quella sarei in grado anch’io di replicarla”.
La donna, che era rimasta impassibile fino a quel momento, accenna a un sorriso subito represso dalla solita maschera imperscrutabile. E’ soddisfatta per gli apprezzamenti e avverte un leggero disgelo nei confronti del commissario. Lo ritiene tutto sommato una brava persona. Li osserva e suppone che tra i due ragazzi sia scoccato qualcosa. Ormai considera Ludmilla come una figlia, quella figlia che ha perduto anni prima. Riflette che sta invecchiando, perché prova i sentimenti tipici degli anziani verso i giovani. Cerca di reprimere questi pensieri senza molto successo.
La cena si svolge lentamente tra battute scherzose e apprezzamenti e si conclude col gelato, consumato sul divano.
“L’uomo della legge dov’è?” chiede all’improvviso Maria, rompendo il riserbo tenuto fino a quel momento.
“Non lo so” risponde sorpreso Ricardo, che non si aspettava questa domanda.
“Hai detto che volevi chiedermi qualcosa” dice Ludmilla, osservando l’ora. Di solito era già a letto ma la serata è speciale.
“Sì ma non volevo rompere quest’atmosfera gaia” risponde il commissario che non sapeva come introdurre gli argomenti per i quali era venuto.
“Bene. Sono qui. Aspetto le tue domande”.
“Ok. Volevo chiederti da quanti anni sei in R&S?” domanda con cautela Ricardo.
La ragazza ci pensa un po’ e fa qualche conto. “Dal 2006, se non ricordo male” risponde senza comprendere il senso del quesito. Si interroga dove vuole arrivare ma non riesce a venirne a capo.
“Dunque sette anni o quasi” aggiunge il commissario.
“Se lo dici tu, ci credo. In matematica ero molto scarsa a scuola” dice ridendo.
“Chiumento era già sposato allora?”
“E chi lo sa! Allora ero una ragazzina quasi implume…” esclama con un sorriso delizioso.
“Non troppo” replica Ricardo. “Eri già una donna…”.
“Che parolone hai usato! Non avevo ancora baciato nessuno ed ero vergine!” dice con candore, mentre Maria la guarda scandalizzata. Lei non si sarebbe mai sognato di pronunciare quelle parole davanti a un uomo. Sarebbe stato disdicevole.
Ricardo sorride, perché non era questa l’informazione che cercava.
“Non mi interessano le tue prestazioni sessuali a quel tempo. Volevo conoscere solo, se ti risultava che Chiumento fosse sposato” domanda nuovamente, anche se conosce la risposta.
“Quando appena laureata sono stata assunta senza proposte di contratti strani o osceni, ero felicissima, perché le mie conoscenti, più vecchie di me, erano ancora alla ricerca di un posto, anche precario. Loro sarebbero andate a letto col diavolo pur di riuscire a trovare un impiego. Ricordo le chiacchiere malevoli…” comincia a raccontare Ludmilla.
“Stringi” le dice il commissario, mimando la parola con le mani.
“Dicevo che ero veramente ingenua e socializzavo poco. Un paio d’anni dopo ho cominciato a frequentare la macchinetta del caffè, partecipando al gossip aziendale” prosegue la ragazza.
“Dunque è stato allora che hai saputo che Chiumento era sposato” domanda nuovamente Ricardo.
“Sì. Direi di sì. Però non ricordo bene se dicevano che si era appena sposato oppure lo era da tempo. Non osavo chiederlo per evitare la figura di chi non conosce nulla. Quindi ho supposto che lo fosse da tempo” risponde Ludmilla, diventando rossa.
“Cosa te lo faceva supporre?”.
“Parlavano sempre al passato e quindi…”.
“Ho capito. Cosa dicevano? Parlavano male della moglie?” chiede il commissario, mentre Maria si agita sulla poltrona.
“In un certo senso, sì”.
“Come in particolare?”
“Che era più giovane di lui…”.
“Quanti anni ha Chiumento?”
“Penso sulla cinquantina”.
“Poi?” la incita a proseguire Ricardo.
“Che era una…” si ferma. Stava dicendo ‘terrona‘, ma si trattiene, osservando Maria, “una donna del sud ed era la figlia di un boss della mafia. Insomma si sparlava. Io ascoltavo senza dire nulla. Poi le chiacchiere si sono spostate sul fatto che gli piacevano le ragazzine. Qualcuno ha affermato d’averlo visto con una quindicenne. Esagerazioni, secondo me” conclude Ludmilla.
“Beh! Alcune chiacchiere erano azzeccate. Dico bene, signora Maria?” dice il commissario, fissando la donna, che si irrigidisce.
Ricardo aspetta paziente la risposta che tarda a venire. Riprende a parlare, rivolgendosi questa volta direttamente alla Russo.
“Il magistrato, Lopapa, che segue il caso, ha detto che martedì può tornare a San Cataldo. Lo desidera sinceramente oppure preferisce restare a Ferrara?” le domanda con tono secco e deciso.
Maria stringe le labbra e riduce a fessura gli occhi. Se potesse, lo fulminerebbe ma percepisce che conosce qualche particolare che la faranno capitolare. Restare in silenzio non è la mossa giusta e rischia solo di incastrarsi inutilmente.
“Lopapa non conosce ancora quello che ho scoperto oggi pomeriggio. Ho preferito parlare prima con lei che far precipitare la situazione. Allora vuole dirci la verità sul caso oppure preferisce farlo davanti a lui?” la incalza Ricardo, deciso a conoscere tutti i dettagli.
“E va bene, commissario. Ha vinto lei” incomincia Maria, che parla senza tralasciare nessun dettaglio. Sembra un fiume in piena.