Londra, ottobre 1943. La grande paura stava passando e lentamente la città riprendeva il solito volto abituale, anche se le ferite dei bombardamenti nazisti erano ben visibili. La guerra infuriava feroce ma adesso per fortuna era lontana da Londra. Le cicatrici erano il frutto della battaglia sui cieli inglesi di tre anni prima. Nel 1940 malgrado gli incessanti attacchi dell’aviazione tedesca, il morale della popolazione londinese non aveva subito quel collasso in cui aveva sperato il comando di Hitler. La vita, nel limite del possibile, aveva mantenuto il suo ritmo normale, mentre i bambini e in genere tutte le persone non indispensabili all’industria e alla difesa, venivano fatte sfollare nelle località di campagna. Un teatro londinese, Wenevgr closed – Noi non chiudiamo mai, non interruppe le rappresentazioni nemmeno sotto i più duri bombardamenti. Anche l’attività della celebre casa di aste, Sothbey’s, non cessò di battere collezioni e quadri, come faceva dal 11 marzo 1744, quando Baker e Leigh, i soci fondatori, misero all’asta molte migliaia di libri importanti e pregiati di sir John Stanley di Alderley. Le bombe non li avevano fermati. Si erano solo trasferiti nei locali sotterranei di Wellington Street, la loro sede dal 1917, per essere al riparo dai bombardamenti. Molti londinesi, provati dalle privazioni imposte dalla guerra, vendevano in quei locali i gioielli di famiglia per sopravvivere e comprare al mercato nero i generi che erano introvabili abitualmente. Chi gestiva questo commercio illegale, si arricchiva e si poteva permettere di recarsi alle aste di Sothbey’s, dove acquistava quadri, arredi e gioielli a buon mercato. Riciclava in questa maniera i cospicui guadagni, ottenuti illecitamente, in oggetti che diventavano legalmente di loro proprietà.
In quei giorni di ottobre, climaticamente instabile, il catalogo metteva in vendita un reperto maya con base d’asta di quattrocento sterline insieme ad altri pezzi che il figlio di un antiquario londinese, Sidney Burney, voleva alienare e trasformare in denaro liquido.
Nel catalogo, dedicato all’asta del 15 ottobre, era stato elencato al punto 54 un oggetto insolito. ‘Una superba scultura di un teschio umano a grandezza naturale di cristallo, di lunghezza 174 millimetri’, che era così descritta ‘la mascella inferiore è separata, i dettagli sono resi correttamente e secondo Carver ha le orbite, arcate zigomatiche e mastoide del tutto simili alle loro forme naturali glabellari-occipitale‘. Una notazione avvertiva i possibili acquirenti che l’oggetto era già stato il tema di un interessante articolo in Man nel luglio 1936, al quale rimandava per maggiori dettagli. Nonostante tutte queste informazioni era passato quasi inosservato. Non aveva suscitato grandi entusiasmi o grosse aspettative di rialzo. Alcuni analisti di Sothbey’s giuravano che sarebbe rimasto invenduto. Troppo particolare e troppo enigmatico era l’oggetto per accendere il desiderio di qualche facoltoso collezionista, determinato a conquistarlo con rilanci generosi. Qualcuno però sperava proprio che la freddezza, con la quale il reperto era stato accolto, fosse confermata il giorno dell’asta.
L’uomo, alto e magro, completamente calvo, con un pipa spenta in bocca si avviò nel pomeriggio del 15 ottobre verso l’ingresso della casa di aste. Depose un curioso copricapo e un cappotto ormai liso in una stanza spoglia e fredda, che pomposamente chiamavano guardaroba. Un’anziana signora gli consegnò uno scontrino numerato per poter ritirare all’uscita i due indumenti. Scese le scale malamente illuminate e si sedette in fondo alla sala. La battuta era già iniziata da oltre una mezz’ora ed erano arrivati a battere l’oggetto protocollato col numero trenta. L’uomo distrattamente osservava il catalogo, stampato senza troppe pretese, e lo rigirava inquieto tra le mani. Uno dopo l’altro i pezzi venivano battuti. Alcuni ottenevano un discreto successo, altri venivano ritirati, perché nessun acquirente si era fatto avanti.
Deborah entrò nella sala qualche istante prima che il reperto numero 54 venisse esposto. Rimase stupita riconoscendo, sia pure invecchiato di una quindicina di anni, quel Mike, che aveva seguito nella foresta pluviale del Belize e poi durante la traversata dell’oceano Atlantico qualche anno dopo. Cercò con lo sguardo anche la figlia Anna, senza trovarla. La sedia di fianco all’uomo era libera e si sedette lì. Si domandò, perché si trovava in una città devastata dalle bombe ad assistere a un’asta. ‘Perché Mike è qui? Cosa deve comprare per attirare la mia presenza?’ Era sorpresa perché era piombata in uno spazio temporale del passato, che lei conoscevo solo per aver letto qualcosa tempo addietro.
Era immersa in queste riflessioni, quando udì il banditore che chiamava il pezzo numerato come cinquantaquattro. L’uomo parve rianimarsi dall’abulia che lo aveva contraddistinto fino a quel momento.
“Ecco una magnifica opera dei Maya, che potrebbe essere datato all’incirca nell’ottavo secolo dopo Cristo”. Il banditore magnificava l’oggetto, osservando con sguardo indagatore il pubblico. ‘Pare che non interessi proprio a nessuno’ ammise sconsolato.
“Questo reperto parte da un prezzo base di quattrocento sterline ma la proprietà ha deciso all’ultimo istante di abbassarne il prezzo a trecento cinquanta per favorire la battaglia del rilancio a qualche estimatore”. Il banditore aveva conclusa la sua requisitoria tra l’indifferenza generale.
Il teschio, custodito in una teca di vetro trasparente, cominciò il suo giro fra il pubblico senza suscitare nessun interesse.
Quando passò davanti a Deborah, lei provò un brivido. Sembrava assomigliare come una goccia d’acqua a quello che aveva comprato per cinquanta euro.
“Bene diamo inizio all’asta” e picchiò in modo energico col martelletto di legno sul tavolo con la speranza di risvegliare l’attenzione del pubblico.
Lo sguardo acuto dell’uomo notò una mano alzata.
“Vedo una prima offerta. Trecento sessanta sterline. Nessuno offre di più per questo splendido oggetto?” urlò per far uscire dal torpore gli astanti.
Deborah sussultò per quella voce tonante. Senza sforzo apparente comprendeva quel che diceva il banditore. Si stupì, perché sapeva che il suo inglese era molto balbettante nonostante tutti gli sforzi per migliorarlo.
Mike di fianco a lei con flemma alzò la mano per rilanciare. Sperava che l’altro contendente non alzasse la mano dopo di lui.
“Bene. Quel signore in fondo alla sala offre trecento settanta sterline. Nessun altro desidera entrare nella competizione?”
La ragazza si ricordò che quasi vent’anni prima Mike e sua figlia Anna avevano trovato un teschio che assomigliava moltissimo a quello esposto nella sala. ‘Che sia il loro? Chissà come è finito nelle mani di quel antiquario londinese, che ora se ne vuole disfare’.
Nessun altro alzò la mano per rilanciare e dopo diversi minuti di silenzio, il banditore fece udire la sua voce.
“Possibile che nessuno di voi abbia il minimo interesse verso questo splendido oggetto. Suvvia non siate timidi! Farete un ottimo affare nell’acquisto”.
Nonostante le suppliche e il nuovo pellegrinaggio della teca l’uomo dovette pronunciare la fatidica frase. ‘Trecento settanta e uno’ e fece una nuova pausa nella speranza che qualcuno cambiasse idea. “Trecento settanta e due”. Una ulteriore interruzione più lunga della precedente scandì il tempo, prima del fatidico “Trecento settanta e tre. Aggiudicato” e un violento colpo di martello mise fine alla vendita.
“Complimenti al quel coraggioso signore seduto in fondo alla sala! Ha fatto un ottimo affare”.
Dopo un piccolo intervallo il banditore, deluso per l’esito di questa vendita, riprese con l’oggetto successivo.
Deborah osservò Mike, che era rimasto impassibile fino a quel momento. Vide un signore in una uniforme piuttosto malmessa avvicinarsi a Mike per fargli firmare qualcosa. La sua attenzione era concentrata tutta su di lui. Lo vide alzarsi con flemma inglese e uscire dalla sala. Salite le scale, bussò a una porta, dove c’erano gli uffici amministrativi. Spiegò senza fronzoli il motivo che l’aveva condotto fin lì. Mostrò un documento di identità. Estrasse da un portafoglio logoro un fascio di banconote. Firmò una ricevuta e aspettò con calma che gli portassero il teschio di cristallo imballato per il trasporto.
Col prezioso oggetto ben stretto al corpo raggiunse Bolton Street, dove in un modesto appartamento la figlia Anna, febbricitante, lo aspettava con ansia.
“Sei tu, Mike?” chiese sentendo aprire la porta d’ingresso.
“Sì, Anna” rispose Mike, che si tolse il cappotto per appenderlo dietro l’uscio.
“Ce l’hai?” domandò senza celare l’ansia per una risposta positiva.
“Sì”.
Un respiro di sollievo uscì dalla bocca della donna, che si rilassò sul cuscino.
Qualche mese più tardi Mike scrisse al fratello per annunciargli che era rientrato in possesso del teschio di cristallo.
Londra 22 dicembre 1943
Caro James,
ti devo dare una grandiosa notizia ma forse l’avrai già letta sui giornali. Sono riuscito finalmente a tornare in possesso del teschio di cristallo, che apparteneva alla collezione di Sydney Burney. Lo sai come è finito lì.
L’ho riscattata per 400 sterline il 15 ottobre scorso. Ho temuto di non riuscire a raggiungere l’obiettivo ma Dio e il nostro Re Giorgio VI mi hanno aiutato nell’operazione.
Adesso fa bella mostra nel nostro modesto salotto.
La potrai ammirare alla prima venuta a Londra per salutarci.
Con devozione
Mike
Deborah aveva appena finito di leggere la missiva che Mike stava scrivendo al fratello, quando si ritrovò seduta accanto a Alex sulla panchina. Ormai non ci faceva più caso a dove si trovava. La sua confusione era totale e a nulla valevano gli sforzi per rimettere ordine nei suoi pensieri.
Ci aveva rinunciato per il momento.