Enigma – parte sesta

Dal web
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La donna, che curiosamente si chiama Maria come la lontana trisavola, mi congeda con un sorriso. Sembra Mona Lisa. Lo so che mi ha raccontato solo uno spicchio di verità ma nemmeno io sono stata totalmente sincera.

Vedo un braccio alzato. Che vuoi? Domando scortese, perché queste interruzioni mi fanno perdere il filo del discorso e incavolare alquanto. Dici di sveltire il racconto? Se hai fretta, puoi andartene. Nessuno sentirà la tua mancanza. Sei curioso di conoscere come andrà a finire? Allora resta lì seduto. Quando ho finito, scriverò la parola FINE. Uffa! Che rompi… che sono!

Mi alzo. Non so dove andare. Yossuf se ne è andato. Anche lui ha un lavoro e non può perdere tempo con me. Penso di chiamare un taxi per farmi condurre in una biblioteca. Di sicuro ce ne sarà una ben rifornita. Ma cosa devo cercare? Non ho uno straccio di idee. Salgo in camera. Non è stata felice la decisione di rimanere a Palermo per scoprire il segreto che è nascosto nel ricordo di un anno prima.

Guardo fuori dalla finestra nella speranza di trovare un elemento che possa chiarificare le idee. No, niente da fare. Ricapitolare tutto non serve a nulla. Ogni tassello è ben chiaro nella testa e poi…

Lo so che state sbuffando, perché invece di sbrogliare la matassa, questa diventa sempre più ingarbugliata. Avessi uno straccio di filo da seguire! E voi non dite niente? Nessun indizio per dipanare il gomitolo? Bella compagnia mi fate!

Scuoto la testa. Vado verso la porta. Ritorno sui miei passi. Sì, insomma avete compreso bene. Nessun lampo squarcia le tenebri della mente. Eppure qualcosa mi sta sfuggendo.. Troppe Marie, troppe Alici. Troppi dubbi e nessuna certezza. Mi concentro e mi dico: “Non ha senso che io abbia vissuto degli eventi vecchi di un secolo e forse anche oltre. Devo dunque ammettere che sono passata dal sogno alla realtà?”

La logica in questo momento mi manca. Dovrei affidarmi all’istinto. Ma cosa mi suggerisce? Nulla, calma piatta. Sono prigioniera dei miei pensieri, quando sento bussare alla porta.

“Avanti” grido, non avendo l’intenzione di alzarmi per aprirla.

Da una fessura vedo spuntare la testa di Rosaria con la classica cuffietta bianca. Aspetto che dica qualcosa.

”Yossuf la sta aspettando davanti all’ingresso”.

Rimango senza parole. Avrei atteso tutti fuorché lui.

“Cosa devo dire?” domanda cortese la cameriera.

“Scendo tra un minuto” le rispondo, ritrovando il suono delle parole.

“Mi dica, Rosaria”.

“Cosa, signorina Angelica?”

“Lei conosce Alice?”

La donna rimane in silenzio, come se elaborasse una risposta plausibile. Attendo calma, diversamente da altre occasioni. Si avverte nell’aria una certa elettricità. Percepisco anche il senso della presenza di Yossuf.

“Non importa, Rosaria” le dico bonaria. “Non fa nulla. Il tempo di prendere la borsa e sono giù. Ringrazi la signora per avermi letto nei pensieri”.

Rosaria, sollevata dalla mancata risposta, annuisce e richiude con dolcezza la porta.

Afferro il telefono, una piccola agenda, anacronistica al tempo del web, la fida moleskine rossa e qualche altra cianfrusaglia. Ficco tutto nella borsa alla rinfusa.

Cinque minuti più tardi salgo sul taxi bianco.

“Dove mi conduce?” gli domando, perché so già che mi porterà da qualche parte.

“Dove vuole lei, signorina” dice Yossuf, scoprendo quei denti candidi che mi fanno morire d’invidia. Ogni volta che li vedo, mi pare di impazzire.

“Suvvia, Yossuf! Crede che non sappia che donna Maria le ha dato istruzioni precise”. Butto là queste parole, sperando di cogliere nel segno.

Il tassista innesta la prima e si avvia lentamente nel traffico di Palermo. Resto in silenzio. Vorrei che fosse lui a parlare ma non lo fa. “Che istruzioni ha avuto?” mi chiedo nella speranza di trovare uno spiraglio di sole tra le nuvole.

Dopo diverse giravolte si ferma davanti a un portone, contrassegnato dal numero otto. Se pensa di avermi depistato, si sbaglia. Mi ero già persa al primo incrocio! Figuriamoci al secondo. Quindi non so dove mi trovo. Un bel guaio se mi lascia lì.

“Siamo arrivati” dice laconico Yossuf.

“Arrivati dove?” esclamo sorpresa. La casa non mi dice molto, anzi direi niente.

“A destinazione. Dove mi ha chiesto di condurla” afferma serafico e sorridente il tassista.

“La devo aspettare?” aggiunge, spegnendo il motore.

“Certamente. Non so nemmeno se siamo a Palermo o a Trapani” dico ridendo. Ci mancherebbe solo che mi lasciasse qui. Ignoro in quale parte di Palermo mi ha condotta e dubito di impararlo. Per me tutte le strade sono uguali.

Scendo. Mi guardo intorno smarrita. Una via anonima. Un palazzo ancora più anonimo e grigio. Faccio qualche passo verso un portone marrone e scrostato, salendo un paio di gradini malmessi. “Se Maria gli ha detto di condurmi qui, vuol dire che forse sono arrivata alla fine dei misteri. Sarà vero oppure no?” rifletto per darmi coraggio.

Suono a un campanello, che gracchia in lontananza. Aspetto paziente. Passano i secondi di attesa che mi sembrano minuti od ore.

Scricchiolando il portone si apre lentamente e sporge la testa calva di un uomo.

“L’aspettavamo” mi dà il benvenuto e si scosta per farmi passare.

Che c’è? Dico a lei. Sì, proprio lei con barba e capelli candidi. Che vuol sapere? Perché mi aspettavano? Abbia pazienza e legga la settima e conclusiva parte.

Entro titubante in un androne buio. Mi fermo per abituare gli occhi alla non luce.

“Mi segua” fa l’uomo, di cui sento solo la voce.

“Non vedo nulla!”

“Non c’è nulla da vedere” ribatte, mentre ascolto il suo ciabattare piano che si allontana.

Mi faccio coraggio e, allungando le mani in avanti, comincio a camminare.

Non so quanti passi faccio ma a me sembrano un’infinità, prima che riesca a trovare un po’ di luce a guidarmi.

“Dove stiamo andando?” chiedo. Nessuna risposta. Capisco che è inutile porre domande. La consegna del silenzio è ferrea. D’altra parte secoli di storia malavitosa hanno lasciato il segno.

“Cammina e sta zitta!” mi dico, mentre adesso almeno lo vedo.

Si ferma davanti a una porta. Bussa con tre tocchi lunghi e uno veloce. A prima vista pare un segnale convenzionale. “Perché?” mi domando.

Il battente si apre per farmi passare.

E io rimango di sasso.

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