Enigma – parte quinta

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“La storia è lunga, Angelica. Gradisce una granita al limone?” dice la donna.

Annuisco. Non voglio perdere la concentrazione su quello che mi vuol dire. Ho la sensazione che mi permetterà di conoscere l’enigma che da giorni mi assilla.

Fa un cenno a una persona che non avevo mai visto. “Da dove sbuca fuori?” mi domando un po’ turbata. L’albergo sembrava privo di personale ma mi ero sbagliata. Si avvicina in silenzio.

“Rosaria, portaci due granite al limone. E dì a Mimma di prendere quel libro in camera mia e di portarmelo. Lei sa a quale mi riferisco”.

Cosa dici? Che dovrei essere grassa come un maiale? E perché? Mangio in continuazione? Non si vive d’aria e poi sono così buone…

Non so il perché ma qualcosa mi dice che quel volume sarà familiare. Resto in silenzio. Sono in agitazione. Cerco di non dimostrarlo e di calmarmi. Però faccio fatica a rimanere tranquilla e impassibile.

Lei… Sì, proprio, lei. Perché storce il naso? Non crede a quello che sto raccontando? Ma mi faccia il piacere. Là c’è la porta, se se ne vuole andare. Che saccenti ho trovato questa sera.

Dicevo che faticavo a rimanere fredda e distaccata.

Mi dimeno sulla sedia e aspetto con impazienza la consegna del libro.

“Deve sapere che mia nonna si chiamava Alice. Strana coincidenza?” mi dice, osservandomi di sottecchi.

“Sembra che voglia giocare al gatto col topo. Solo che il topo sono io” rifletto, tentando di assumere un’aria rilassata.

“Davvero singolare!” rispondo.

“É nata agli albori del secolo passato. Mi parlava sempre della sua nonna. Nonna Maria e dell’infanzia di quella lontana trisavola”.

Non capisco cosa c’entrino questi ricordi della nonna con quello che stiamo trattando. Se nonna Alice è dei primi del novecento, nonna Maria sarà di metà ottocento. Ma che razza di collegamento può esserci con la mia storia? Scuoto il capo. Aspetto ma il libro non pare in arrivo. In compenso due sontuose granite sono poste sul tavolino attorno al quale sediamo.

“Nell’attesa gustiamoci queste granite”.

In effetti è strepitosa. Mai assaggiata una così buona.

Mentre con calma assaporo questa autentica delizia, arriva un’altra donna che porta con sé un qualcosa che assomiglia a un volume. Pare anziano e non in buono stato.

Mi sembra di riconoscerlo. Resto col cucchiaino pieno di granita sollevato a mezz’aria. La bocca è socchiusa per la sorpresa.

“Sì!” esclamo, passato il primo istante di sbigottimento.

La donna mi guarda. Non capisce il mio stupore. É incerta nel formulare la domanda.

“Sì! Mi sembra che sia quello che abbiamo comprato con Alice al mercatino delle pulci da quel vecchio, che nessuno degnava di uno sguardo!” affermo decisa.

“Quale? Il mercato del Papireto?”

“Non so. Era immenso. Da perdersi per le molte bancarelle”.

La proprietaria mi guarda, soppesando la risposta.

“Forse era una copia. Questo volume è un ricordo di famiglia. É il dono che mi fece nonna Alice prima di morire con l’impegno di consegnarlo a una erede femmina”.

“Quello che ho comprato un anno fa era polveroso e al suo interno c’era una chiave e una lettere incollata all’interno della copertina” dico con veemenza.

La donna apre il libro e osserva l’interno della copertina. Non apre bocca nulla ma il viso trasmette una sensazione di sorpresa. La guardo con curiosità. Eppure quel moto involontario dei muscoli facciali è eloquente. Credo di aver colto nel segno.

“Sarà stata una copia. Questo tomo è dei primi dell’ottocento. Era di proprietà di nonna Maria. Maria Ablesi” fa con calma, mentre lo sfoglia con attenzione.

Rimango a bocca aperta. Adesso sono io che mostro stupore. Quel nome mi è familiare. Era riportato in quella lettera incollata alla copertina. Ricordo con precisione anche la data della lettera 23 ottobre 1950. Maria Ablesi era nata cinque giorni prima. Qualcosa stona. Sono basita.

“Mi dica” faccio per riprendere il filo del discorso. “Questa nonna Maria… Ma forse è meglio parlare dell’istituto degli orfanelli, del quale mi aveva promesso di come ne aveva sentito parlare”.

“Ci sarei arrivata ma credo che debba parlare di nonna Maria”.

“Va bene. Ascolto il suo racconto senza interromperla” dico con la faccia seria.

“Nonna Maria è nata il 18 ottobre 1850. La madre viveva in contrada Terre Rosse, dove aveva la residenza il principe Lanza di Trabia e Branciforti, don Giuseppe. Non volle mai rivelare chi fosse il padre della piccola e dovette a malincuore affidarla all’Istituto degli orfanelli e delle orfanelle di via degli Scalini, quando aveva cinque giorni, il 23 dello stesso mese. Rimase lì per vent’anni, quando una misteriosa signora non le consegnò questo libro e la fece uscire, prima che per prassi dovesse prendere il velo”.

Sono a bocca aperta per lo stupore. Sono incredibili le analogie con la mia avventura di un anno prima. Le date, a parte il secolo, il nome, il libro assomigliavano come gocce d’acqua a quanto trovato all’interno del volume. Sono certa che esiste nella copertina un incavo che aveva contenuto una chiave. Questa, la ricordo bene, era piccola e sembrava vecchia.

Altrettanta sicurezza ho sui segni di una busta incollata sotto la chiave. Non oso chiederle se i miei dubbi sono certezze. Preferisco ascoltare in silenzio.

“Si sposò. Ebbe una figlia che la rese nonna con Alice. Nonna Alice aveva dieci anni, quando lei morì. Però prima di andarsene le raccontò la sua storia e le consegnò questo libro, che ora custodisco io. Ho un unico cruccio”.

“Quale se non sono indiscreta” faccio, fingendo curiosità. In realtà del suo cruccio non me ne importa molto.

Un lieve sorriso increspa la bocca della signora.

“Non ho eredi femmine alle quali possa trasferire questo volume”.

“Dunque è questo il suo tormento?” mi dico, storcendo le labbra.

Però percepisco che la proprietaria ha raccontato solo una parte della storia. Una mezza verità. Non può essere solo questo aggancio, vecchio di un secolo e mezzo, che collega l’Istituto degli orfani, scomparso da oltre settant’anni, con quella lontana parente. “No, non può essere solo quello. Sembra che conosca molto di più” ragiono, rimanendo in silenzio. Decido di non scoprire le mie carte. L’enigma è ancora coperto da un velo di mistero abbastanza spesso. Una cosa ho compreso che la soluzione si trova all’interno del volume. Ricordo bene cosa c’era scritto nella lettera.

Vi prego cercate mia figlia. Consegnatele questo messaggio, la chiave e il libro. Lei saprà trovare la pagina giusta per capire

Sento un bisogno impellente: alzarmi e uscire alla ricerca di altri indizi.

Devo andare in una biblioteca e fare qualche ricerca.

La granita nel frattempo è diventata acqua zuccherata.

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47 risposte a “Enigma – parte quinta”

  1. Eh ma la curiosità aumenta! Mi sembra molto azzeccato anche il tuo uso dei dialoghi…hai fatto una scuola di scrittura o sei un genio (ingegnere) di natura?! Un abbraccio grande!

  2. Ecco l’intreccio che si aggroviglia fingendo di dipanarsi,
    ed è una capacità tutta tua, questa, di attirare il lettore.
    So che con te ogni colpo di scena è possibile,
    e anche questa volta attendo paziente.

  3. Invece di far sciogliere la granita, potevi sciogliere i nodi della storia e darci un bel finale, così dobbiamo ancora aspettare…Vabbè, io sono un tipo paziente Un abbraccio e dolce notte. Isabella

  4. Buon giorno, Gian Paolo !
    Il fatto che sia stato insegnato il mio post, e per questo mi piace,
    Grazie! 🙂
    Una giornata di sole e un inverno più mite, il cuore mi auguro !! 🙂 🙂
    Con amicizia,
    Aliosa.

  5. Por aca no había pasado me confundi*****
    atapante y mesterio**digo y me pregunto, porque se fue a la biblioteca hacer investigaciones*****
    misterio**misterio******
    besos

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