La notte di San Giovanni – parte prima

24 giugno 1923 a Lubaantum nel Belize, che a quei tempi era la colonia inglese dell’Honduras britannico, il sole illuminava e abbagliava, come una sfera incandescente, la natura selvaggia dell’America Centrale, mentre degli inglesi procedevano a fatica nella foresta pluviale, aprendosi il camino con l’aiuto degli indigeni. Da mesi percorrevano strade che adesso erano appena riconoscibili, si imbattevano in ruderi ricoperti dalla vegetazione, sfidavano i pericoli che si annidavano a ogni passo. Ognuno di loro aveva mire differenti.

L’esploratore inglese Albert Mitchell Hedges si aggirava inquieto nella foresta del Belize, dove un tempo era fiorita l’antica civiltà Maya. Era alla ricerca di qualcosa che per lui era di vitale importanza.

Aveva avuto modo di leggere dei codici antichi che a prima vista sembravano solo trattati religiosi, che descrivevano un lungo percorso di storia. Non era la prima volta che si imbatteva in queste teorie, perché nel 1913 era stato al seguito di Pancho Villa durante la rivoluzione messicana e aveva ascoltato dei racconti che sapevano di inverosimile. Li aveva annotati su un diario a memoria futura. Parlavano della fine del mondo al termine dell’età dell’oro, di tredici teschi di cristallo che i sacerdoti avevano disperso ai quattro angoli del mondo

Quattro angoli del mondo?” aveva chiesto a vecchio sciamano privo di denti, col quale stava parlando.

Sì” aveva risposto, elencando quattro luoghi che conosceva già: Messico, Yucatan, Belize e Guatemala.

Aveva fatto una bella risata ma aveva continuato ad ascoltarlo con attenzione.

Ecco” disse inalando una pozione magica. “Questa è la profezia dei tredici teschi”.

Mitchell Hedges, che tutti chiamavano familiarmente ‘Mike’, si fece più attento.

Cosa dice?” domandò, trattenendo a stento la curiosità.

Quando i tredici teschi di cristallo saranno ritrovati e riuniti, inizierà un nuovo ciclo per il genere umano, un ciclo di grande conoscenza ed elevazione’” rispose gravemente.

Ma dove li posso trovare?” domandò tra l’incredulo e il curioso.

Lo sciamano si stringe nelle spalle e chiuse gli occhi. Aveva finito di parlare. L’esploratore inglese, che allora era una spia al soldo di Sua Maestà, Giorgio V, si alzò e se ne andò. Però l’idea di recuperare i tredici teschi continuava a ronzargli nella testa. Rientrato a Londra l’anno successivo, aveva scoperto che al British Museum ne era esposto uno da diversi anni in una sala appartata. Era diventata per lui una specie di ossessione e finalmente nel 1923 con la benedizione del museo aveva potuto dare corpo al suo desiderio di partire alla ricerca degli altri dodici.

Lui con Lord Gann e Lady Richardson-Brown, sua compagna e finanziatrice, partì per il Belize per una serie di scavi a Lubaantum, la città maya delle pietre perdute, scoperta anni prima dallo stesso organizzatore.

Inquieto e poco attento a togliere il velo da questa città, abbandonata ormai da mille e duecento anni, si aggirava nella giungla spesso da solo, qualche volta accompagnato da una guida indigena. Aveva ascoltato con molto interesse nelle bettole di Belize i racconti degli antichi discendenti maya, che narravano di grotte piene di oro e gemme, di un mitico teschio di cristallo dai poteri mirabolanti. Molti ritenevano quelle narrazioni il frutto della fantasia di quegli uomini, che erano scomparsi misteriosamente come le loro città.

>No” era solito dire Mike a chi dubitava di quei racconti. “Sono storie vere. Le ho ascoltate anche nel Messico, qualche anno fa. Quando ci sarà il nuovo re degli indiani, il sacerdote lo condurrà in una città segreta sotto la terra e lì avrà a disposizione immense quantità di oro e l’uso di un teschio di cristallo”.

I suoi ascoltatori ridevano e si burlavano di lui. Tuttavia le tradizioni orali dei vecchi discendenti dei Maya lo attiravano e in particolare quella sui poteri dei teschi di cristallo.

Il teschio è un simbolo molto potente. É il simulacro di ciò che è stato e di ciò che è, di ciò che sarà, della vita che ha contenuto e della morte che rappresenta‘ erano le parole che aveva ascoltato più volte.

Mike sapeva che era un simbolismo antico, nel quale si era imbattuto più volte. Ogni cultura gli attribuiva una valenza. Per i maya, aveva appreso, rappresentavano un ciclo di baktun del lungo computo e la scelta del numero non era causale: tredici erano i cicli per arrivare al 12 dicembre del 2012, quando tutto sarebbe terminato per originare un nuovo ordinamento. Ma Mike sapeva che la leggenda maya ci avvertiva in maniera drammatica: il nuovo ciclo avrà inizio soltanto quando gli uomini saranno ‘sufficientemente evoluti e integri moralmente‘. Allora, ricordava di aver ascoltato dal vecchio sciamano, saremmo pronti a ricevere la formula per salvarci. Una formula potente, che sarebbe contenuta proprio nei tredici teschi. Questi dovevano essere riuniti in un solo posto alla presenza del re degli indiani e del sommo sacerdote.

Mike era rimasto stregato da queste parole, perché indicava che l’umanità doveva essere ancora una volta chiamata a compiere un salto di qualità ed elevarsi moralmente.

Era conscio di essere una contraddizione, perché di certo la sua vita non era stata irreprensibile, anzi molti suoi atti andavano nel verso opposto. Il passato non lo preoccupava, adesso era teso a rintracciare quel teschio, che alcuni indigeni avevano detto di aver osservato tra le rovine di Labuuntum. Aveva tentato in tutti modi di ottenere la localizzazione esatta senza successo. I suoi compagni non capivano perché si aggirasse freneticamente tra quelle rovine senza rispettare i protocolli della spedizione, che avevano stabilito prima di partire. I reperti trovati diventavano di proprietà della finanziatrice, Lady Richardson-Brown. Ogni ritrovamento doveva essere documentato. Ogni ricerca doveva essere condotta in coppia.

Però Mike agiva sempre da solo e questo era costante motivo d’attrito col resto del gruppo.

Deborah si svegliò madida di sudore con negli occhi quella visione che non riusciva a collocare né temporalmente né geograficamente.

É stato un brutto sogno” si disse, tentando di riaddormentarsi.

Il sonno era stato interrotto brutalmente da quella visione, della quale non ricordava nulla a parte un uomo longilineo e ossuto, che parlava una lingua straniera.

Oggi è il giorno di San Giovanni” ripeté con la voce impastata. “ora prova a riaddormentarti. E’ ancora notte”.

Si girò e il sonno riprese vuoto e senza sogni.

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33 risposte a “La notte di San Giovanni – parte prima”

  1. Che rabbia riaddormentarsi perdendo quel sogno… Ma ahimè succede spesso anche a noi cara Deborah…Dolce notte e mi raccomando caro Gian Paolo non svegliarti per non perdere anche tu il tuo sogno. Un bacino. Isabella

  2. Por ser la pimera**** parte está muy completa
    es interesante*****sobre todo me gusto, pues habala de diferentes culturas,
    los manuscritos antiguos***los antiguos descendientes de los mayas
    por ser un sueño
    es muy bueno******
    buenas noches******
    mi cariño*****

  3. L’ avventura e il mistero è una miscela che da sempre appassiona il lettore
    Questa Formula che dovrebbe condurre l’ umanità ad avere una Coscienza nuova mi intriga molto
    Deborah…Chi è costei?…
    Alla prossima, carissimo
    Bacioni
    Mistral

  4. Urca … ben sveglia ho letto questa prima parte del racconto. Deborah ha deciso di riaddormentarsi dopo il brutto sogno io invece corro a leggere la seconda parte per saperne di più … 😉

  5. E mentre i croissant lievitano, ricomincio da qui altrimenti mi perdo di nuovo (anche se devo ancora finire l’altro racconto). Quante volte ho provato a riaddormentarmi per poter riprendere un sogno interrotto, a volte mi riesce…. E il sogno di Deborah continua?
    Que tengas una linda noche!

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