Il mazzo di fiori – parte dicianovesima

Maria, la madre di Teresa, è sul treno che la sta portando al nord. In silenzio, seduta composta, sembra assente, come se il triste destino della figlia non la riguardi. Non ha bagaglio, salvo una borsa capiente, che stringe con forza al petto. Non sa dove dormirà stanotte, perché arriverà nelle prime ore del pomeriggio, troppo tardi per prendere il treno del ritorno. Viaggiare di notte non l’è mai piaciuto. Quindi il rientro a Lecce si farà alla luce del sole. Il dubbio di non conoscere dove passare la notte non l’impressiona, né è in cima alle sue meditazioni. E’ concentrata su altri aspetti della vicenda.

Immersa nei suoi pensieri, riflette su Teresa e pensa che la figlia doveva tornare con lei a San Cataldo, quando tre anni prima aveva deciso di rientrare nella città di origine.

Quiδδa caruseδδa aggiu mmeretatu!1” riflette amaramente. “Quandu lu ciucciu nun bole qu bia macari ca fischi2”.

Ricorda bene che la figlia aveva opposto un netto rifiuto. “No, a Lecce non ci torno, se non da morta!” aveva esclamato dopo l’ennesimo litigio. E quella frase le è rimasta impressa nella mente. “Vabbene, tie portu a ccasa, figghia mia! Criettu!3” dice silenziosamente, mentre con lo sguardo assente osserva la campagna emiliana.

Il marito era scomparso sei anni prima, volatilizzato nelle ombre nebbiose della bassa ferrarese. Teresa si era laureata nel frattempo ed era alla ricerca di un lavoro. I risparmi si stavano assottigliando pericolosamente. A lei Ferrara non era mai piaciuta. Troppo fredda d’inverno, troppo afosa e umida d’estate. E poi la fatica a comprendere una parlata poco familiare aveva contribuito e acuito la sua cattiva predisposizione verso la città.

Sisina, nvece àggiu tittu none e nnone à bèssere4” ricorda con amarezza il rifiuto della figlia a scendere a Lecce. “Comu penzu de campare, figghia mia?5” “Mi trovo un lavoro, mamma. Come tutti”. “A ccasa ài stare!6”.

Scuote il capo, perché sa che è come lei. Se ha un’idea, un progetto, non gliela toglie nessuno dalla testa e ci prova, finché non raggiunge l’obiettivo. “Su’ capitetrozza comu mmie7”. Non si stupisce della morte violenta di Teresa. Glielo aveva detto più di una volta che sarebbe finita male ma lei testardamente non l’aveva mai ascoltata. “Sapìa comu sarìa finitu mmale8.

Il treno rallenta per entrare in stazione a Ferrara e Maria si prepara a scendere. Apre la mano sinistra per leggere il biglietto che tiene stretto da molte ore. ‘Nell’atrio troverà un poliziotto in borghese con un cartello sul quale c’è il suo nome‘. Lo conosce a memoria, l’ha scritto lei ma vuole leggerlo di nuovo.

Scende titubante e si dirige verso l’atrio. Vede il cartello. Si avvicina e dice: “Sì’, Maria”. Docilmente lo segue fino all’auto di servizio.

Ludmilla fa il suo ingresso in questura e non deve dire nulla. Un poliziotto l’accompagna da Ricardo senza fiatare.

“Ciao” le dice, non appena fa capolino nella stanza.

La fa accomodare su una poltrona davanti alla scrivania.

“Hai mangiato qualcosa?” le chiede premuroso.

“No” risponde asciutta la ragazza.

“Bene… o meglio male!” replica ridendo il commissario. “Faccio portare panini e tramezzini… Hai preferenze?”

“No”.

“Al prosciutto crudo, insalata e maionese possono andare?”

“Sì”.

Ricardo sorride e capisce che la ragazza gli tiene il broncio con giusta ragione ma è il suo mestiere e non può avere indulgenze.

“Da bere?” le chiede con gentilezza.

“Acqua minerale fredda e naturale” gli risponde freddamente.

“Bene” e prende l’interfono per fare le ordinazioni.

Cala il silenzio, che il commissario interrompe.

“La Lopiccolo aveva una relazione?”

“No, che io sappia” replica gelidamente Ludmilla, cercando di nascondere la verità.

“Eppure…” insiste il poliziotto.

“Perché?” domanda la ragazza.

“E’ strano che una bella ragazza non avesse nemmeno un corteggiatore” dice, osservandola negli occhi. “E tu?”

Ludmilla sobbalza per cambio repentino di soggetto. Arrossisce prima di ritrovare la parola per rispondere.

“Io?” afferma, facendo una smorfia. “Io? Nessuno”.

“E il misterioso mazzo di fiori?” la incalza Ricardo.

“Non saprei. Se c’è, è talmente segreto che non lo conosco” esclama ridendo, gettando all’indietro i lunghi capelli biondi.

“Nemmeno un’idea?”

“Neppure l’ombra!”

“Non me la conti giusta sulla Lopiccolo!” afferma Ricardo, tornando all’argomento originario.

“Perché?” chiede la ragazza, tradendo un filo di affanno.

“Affermi di ignorare che la Lopiccolo aveva una relazione. Eppure non sei convincente”.

“Dico la verità!”

Qualcuno bussa alla porta, traendola dall’impaccio di continuare a negare. “Avanti” urla Ricardo. Un poliziotto porta un vassoio con panini, tramezzini, acqua e birra. “Grazie” gli dice il commissario congedandolo con il gesto della mano.

“Giri sempre in bicicletta?” le chiede Ricardo.

“Sempre” risponde con la bocca piena la ragazza.

“Ma non vai al Lido, mai?”

“Oh! No!”

“E come?”

“Col pullman. Si ferma poco distante da casa”.

“Ma dove abiti?” si informa il commissario. Sa perfettamente dove ha l’appartamento ma finge di ignorarlo.

“Una traversa di via Pomposa” replica Ludmilla.

“Perché non hai accettato il passaggio della Lopiccolo con la Smart?” chiede a tradimento Ricardo.

“Preferisco il pullman” risponde la ragazza, ignara del tranello.

“Eppure l’altro giorno hai affermato che la Lopiccolo non aveva la patente, né una macchina?”

Ludmilla si morde il labbro inferiore. Ha abbassato la guardia e lui ha colpito. Ormai non può affermare che non era a conoscenza che Teresa guidasse a avesse una macchina. “Non sarei credibile. Però tu sei un fetente!” dice a se stessa, sostenendo lo sguardo del commissario.

“Non hai risposto” la incalza il commissario.

“Cosa dovrei dire? Anche se affermo il contrario, lei non mi crede” replica furibonda.

Ricardo nota immediatamente il cambio di tono e l’uso del ‘lei‘ al posto del tu.

“Se mi dici la verità, ti credo” dice sornione il commissario.

“La verità è che ignoravo che Teresa possedesse una macchina” afferma con decisione Ludmilla, fermamente decisa a uscire dall’impasse nel quale si era cacciata.

“Conosci qualcuno che si chiama Alex o Felix? Che ne so, colleghi o amici?” dice Ricardo cambiando volutamente di nuovo argomento.

“E chi sarebbero?” replica la ragazza con un’altra domanda.

“Se te lo chiedo, vuol dire che non li conosco” afferma il commissario, fingendo di ignorare dove ha trovato questi nomi.

“E perché dovrei saperlo io?” dice Ludmilla, scansando il nuovo tranello.

“Lavorava in ufficio con te. Avresti potuto ascoltare una sua conversazione” continua subdolamente.

“In ufficio parlavamo solo di lavoro. Mai di questioni private”.

“Beh! Non ci sono solo i telefoni… esistono anche i diari, le agende, i post-it, le mail…”.

“Non è mio costume leggere i diari o le agende private degli altri…”.

“Ah! Dunque sapevi che teneva un diario…” Ricardo si ferma per un attimo prima di riprendere a parlare e porle una domanda subdola. “Tu hai un diario personale?”

“Sì, ma lo tengo in un cassetto di casa” risponde senza riflettere bene sulla risposta.

“Quindi, eri a conoscenza che la Lopiccolo teneva un diario?”

“Sì ma…”

“D’accordo. Non l’hai letto ma sapevi che lo teneva in ufficio” insiste il commissario, vedendo la ragazza sempre più impacciata.

“No. Non ne ero a conoscenza fino all’altro giorno, quando l’avete preso” dice con tono convincente.

“Va bene. Ma sei sicura di non aver mai sentito questi due nomi: Alex e Felix?”

“No”.

“Tra le tue conoscenze non c’è nessuno con questi nomi?”

“No ma potrebbero essere nomi di fantasia…”.

“Come fai a saperlo?”

Ludmilla si morde il labbro inferiore, facendo uscire una goccia di sangue.

“Non lo so. Una semplice idea o intuizione. Nulla di più” prova a rimediare la ragazza.

“Eppure l’hai detto con un tono persuasivo. Come se quei nomi tu li avessi già letti!”

“No, no!” afferma cercando di essere creduta. “Mai sentiti prima!”

“E va bene…”

Sta per aggiungere qualcosa, quando bussano alla porta.

“Aventi” urla spazientito Ricardo, furioso per aver interrotto l’interrogatorio della ragazza.

“Dottore, è arrivata Maria Lopiccolo. Che facciamo?” chiede il poliziotto che si affaccia sulla stanza.

“Falla passare” risponde irritato.

1Trad. Quella ragazza ha meritato

2Trad. Quando l’asino non vuole sentire, è inutile chiamarlo. – detto salentino

3Trad. Sì, ti porto a casa, figlia mia! Morta finalmente e malamente!

4Trad. Teresa, invece ha detto no e deve essere no

5Trad. Come pensi di vivere, figlia mia?

6Trad. A casa devi stare!

7Trad. E’ una testarda come me!

8Trad. Sapevo che sarebbe male

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15 risposte a “Il mazzo di fiori – parte dicianovesima”

  1. Buongiorno, Gian Paolo!
    Due frasi che fanno da dieci frasi da uno sconosciuto! 🙂
    A me non importa parole QUANTITA
    ma la loro essenza, il messaggio inviato! 🙂 🙂 🙂
    Buon fine settimana, il mio amico!
    Aljosha.

  2. Tanta tenerezza nella semplicità delle parole di Maria ora costretta a riportare la figlia in città in tutt’altro modo da quello desiderato.
    Ludmilla lascia aperto un punto interrogativo sulla sua deposizione. Forse conosce qualche dettaglio, qualche motivazione, qualche segreto o qualche persona che per paura o per protezione vuole nascondere, difendere. E’ strano il suo comportamento, strano quel modo di contraddirsi. E quando una donna inizia a mordersi il labbro, peraltro facendolo sanguinare, la faccenda si complica ed è il caso di dire “gatta ci cova”.
    Alex e Felix chi sono costoro? 🙂
    Il racconto sta sviluppandosi veramente bene, mi piace troppo.
    Complimenti 😉
    Un abbraccio
    Affy

    1. Certo che Ludmilla conosce qualcosa e ha la coscienza sporca. Ha letto diario e agenda di Teresa, ha visto il referto ma non ha detto nulla. Ha finto di non sapere nulla. Tuto questo nelle puntate precedenti
      Quali saranno le conseguenze?
      Non si sa.
      Grazie Affy
      Un grande abbraccio

  3. Ludmilla dovrebbe dire al commissario che aveva preso le carte di Teresa…si sta complicando la vita….la storia prende e sembra di esserci dentro che è poi quello che si chiede ad un bel racconto ! Complimenti

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