Una sera a teatro – parte 2 di 2

Iréne si sedette immobile sulla sedia, mentre in lontananza udiva quel suono melodioso che accompagnava i suoi pensieri. Quei lontani giorni adesso sembravano vicini come se fosse ieri. Quel ragazzo gentile, più vecchio di lei di qualche anno, era diventato un uomo, affascinante e gentile. «Se mi vedessero tutte quelle odiose filistee, pronte solo a pettegolare, e quello sciocco di mio marito, smorto come un cencio slavato, capirebbero quanto ero felice a Parigi in quella casa sempre allegra e piena di gente sincera e rumorosa». Era venuto finalmente il tempo di parlare a cuore aperto con qualcuno che stimava e amava. Voleva sentire la sua opinione, cosa avrebbe potuto dirle sulla sua condizione. La musica, che debolmente arrivava alle sue orecchie, accompagnava in sottofondo i suoi pensieri mentre rigida sedeva in quella stanzetta scarsamente illuminata e disadorna.
Avvertì l’aprirsi della porta e lo vide entrare pallido e sudato, ancora fremente per l’impegno nel suonare il fortepiano.
“Jacques” disse accogliendolo. Ma lui la scostò con gentilezza. “Lasciami asciugare il sudore e poi sono da te”.
Dopo qualche attimo le prese le mani e gliele baciò. “Quanti anni sono passati dall’ultima volta che ti ho vista?” le chiese fissandola negli occhi.
“Troppi” fu la sola risposta che seppe dare.
“Sei veramente una donna adorabile e meravigliosa. Ma raccontami di te” le chiese tenendole sempre la mani con forza.
“Oh, no. Ci vorrebbe troppo tempo e non ne abbiamo a sufficienza” rispose dispiaciuta.
“Allora mi racconterai mentre di accompagno a casa oppure c’è qualcuno che ti aspetta?”
“No, sono sola. Parleremo di noi durante il tragitto” disse.
“Bene. Il tempo di raccogliere le mie cose, salutare qualcuno e poi sono pronto” disse mentre metteva in una borsa qualche oggetto, appoggiato su un tavolino d’angolo.
Uscirono e le disse di attenderlo un attimo. Sparì inghiottito da una porta che nella semioscurità del corridoio si materializzò per dissolversi di nuovo.
Iréne rimase nell’ombra, osservando gli ultimi spettatori che rumorosamente si avviavano verso il portone di uscita. Aveva le guance che avvampavano di calore e per la grande agitazione interiore, mentre la testa le girava per la forte emozione della vista di Jacques.
“Eccomi” disse ricomparendo vicino a lei. “Possiamo andare”.
La prese sotto il braccio mentre scendevano lo scalone appena illuminato da poche lampade, mentre le ombre dei quadri continuavano a scrutarli, disapprovandola..
“Devo chiamare un taxi?” le chiese premuroso, stringendola con calore.
“No. Possiamo fare quattro passi a piedi. La mia casa non dista molto da qui. E poi avrei l’auto poco distante parcheggiata in quella grande piazza laggiù” e indicò col capo un lontano chiarore sullo sfondo di una via diritta innanzi a loro.
L’uomo gettò uno sguardo distratto verso quel punto che non gli diceva nulla e riprese a parlare.
“Dunque raccontami tutto. Come stai? Cosa fai?”.
“Oh, Jacques! Non sai quanto ho sofferto. Mi hanno torturata, imponendomi il loro stile di vita. Non potevo sfuggire alla loro persecuzione. Non potevo scappare, perché ero senza un soldo, nemmeno per affrancare una lettera e chiedere aiuto. Mi hanno costretta a riprendere gli studi, a prendere lezioni di bon ton, a stare in società. Un mondo frivolo e senz’anima, pronto solo a bruciare sul rogo della vanità chi osava starsene ai margini o chi era dissenziente. Avrei voluto fuggire .. Ma dove?”
Iréne fece una pausa per consentire all’uomo di dire qualcosa.
“E’ terribile quello che mi dici. Una condizione orribile”. Tacque per invogliarla a proseguire.
“Ero senza amici, senza nessun col quale confidarmi. Mi sentivo sola. Avrei voluto morire. Bon Dieu, tu poi non immagini cosa dicevano di Alberto, che era il diavolo, anzi il capo di tutti i diavoli dell’universo. Non potevo difendere mio padre, perché secondo loro ero stata la vittima sacrificale di un uomo senza testa e senza ritegno. Riesci a concepire mio padre come se fosse un arcidiavolo? Tu l’hai conosciuto ..”.
“Sì, lo ricordo bene. Un gran uomo pieno di amore disinteressato verso gli altri” e fece un sorriso, mentre la stringeva con maggior vigore.
Erano ancora sotto i portici del Collegio, quando le pose una domanda.
“Ci fermiamo da qualche parte, così possiamo continuare la nostra chiacchierata al caldo?”
“No. Se non hai fretta possiamo fermarci nella dependance della mia villa. E’ l’unica cosa che possiedo. E’ tutta mia e là mi rifugio per ritrovare me stessa”.
Camminarono spediti lungo il viale, mentre lei le raccontava altri particolari della sua vita.
“Dopo qualche anno al termine degli studi il conte Cittadini chiese la mano a mio zio Matteo, che fu ben felice di rispondere sì. Così finii sposa di quest’uomo grigio e monotono. Ero diventata la sua prigioniera senza possibilità di fuga. Sono sposata da cinque anni ma mi sembrano cinque secoli”.
“Mon Dieu!” esclamò Jacques. “Hai avuto un’esistenza travagliata, a quanto pare”.
“Sì” rispose scostandosi da lui. “Siamo arrivati” e prese una chiave per aprire il cancello.
Si avviarono per un viottolo oscuro verso una costruzione bassa e buia, contornata da piante e cespugli che apparivano come neri custodi della costruzione.
Sentiva scorrere il sangue nelle vene come mai gli era capitato negli ultimi anni dopo tanto grigiore della vita matrimoniale. Era felice e spaventata allo stesso istante. Era rapita dall’uomo che stava al suo fianco ma ne percepiva anche la pericolosità. «Cosa ci vado a fare nella dependance?» si chiedeva tra trepidazione e ansia. Eppure era un ritorno al passato, a quel passato che non aveva mai smesso di sognare neanche quando faceva all’amore con Antonio, suo marito. Le serviva per sopportare quell’atto che compiva senza amore e senza stimolo solo per adempiere a un dovere, perché così le avevano insegnato.
«Ma è veramente un dovere oppure una costrizione?» rifletteva mentre in silenzio si avvicinava alla porta d’ingresso. Sapeva che stava varcando le colonne di Ercole e avventurarsi in un mare ignoto come gli antichi navigatori. Però avvertiva la necessità di condividere con qualcuno che aveva amato il contenuto di quello che stava dentro. Fremeva sia per l’impazienza di passare quell’uscio sia per il terrore di quello che sarebbe successo.
«Sei ancora in tempo, Iréne. Puoi fermarti lì e ringraziarlo per la compagnia. Ma lo vuoi proprio mandare via?” e si coricò per prendere la chiave dalla fioriera accanto alla porta.
Entrarono e accese le luci, che illuminò una camera nemmeno troppo grande.
“Ecco questo è il mio regno che nessuno prima di te ha mai violato” disse mostrando con un ampio gesto della mano la stanza dinnanzi a loro. “Ecco qui i miei tesori, i miei ricordi”.
Le pareti erano ricoperte coi quadri del padre, su un mobile basso campeggiava una sanguigna dove era ritratto Jacques al piano. Ovunque c’erano ricordi di Parigi, del padre, degli amici del padre e i suoi personali.
“Ti piace” chiese trepidante, perché sentiva pulsare dentro di sé l’emozione e la gioia dell’amore, come una quindicenne in preda a una crisi ormonale.
Lui si guardò in giro, poi osservò la donna. Si tolse il cappotto e la sciarpa che gettò in un angolo, mentre lei tremava per un amore selvaggio come se fosse il primo della sua vita. Percepiva che doveva donarsi, che la doveva possedere ma non osava fare il primo passo. Rimase ferma e muta in mezzo alla stanza con il mantello ancora in dosso.
“Vieni” le disse avvicinandosi. “Ti aiuto a togliere ..”.
“No!” gridò in un sussulto di vergogna ma non si mosse e lo lasciò fare.
“No! Non toccarmi! Non toccarmi!” ripeté più di una volta ma senza opporre resistenza si abbandonò voluttuosa fra le sue braccia.
Era quasi mezzanotte quando rossa in viso, accaldata e coi vestiti in disordine fece l’ingresso nella villa.
Si avviò verso la scala per raggiungere la sua stanza.
“Sei tornata?” chiese Antonio, uscendo dal salotto del pianoterra. La scrutò, la guardò con attenzione e tenendo un libro in mano le domandò della serata.
“Com’è andata?”
“Ottima musica” rispose preparandosi a salire per sfuggire all’occhio del marito.
“Sei spettinata” incalzò seguendola.
“C’era vento mentre rincasavo”.
“Ma la macchina ..”.
“L’ho lasciata al parcheggio. Desideravo fare due passi. La serata è fredda ma il cielo è limpido. Buona notte, caro” aggiunse, mentre con passo deciso salì i gradini che portavano alla zona notte.
Arrivata nella sua stanza si tolse i vestiti con calma, annusandoli per sentire ancora l’odore di Jacques.
“Ti ho ritrovato, Jacques! Non mi sfuggirai di nuovo! Domani ti rivedrò e fuggirò con te!” disse mentre si spazzolava i capelli prima di coricarsi.
Jacques ritornò all’hotel dove alloggiava, ritirandosi nella sua stanza.
Prima di coricarsi, annotò sul diario, come sua abitudine per leggerlo poi insieme a Yvette.
«Cara Yvette, non immaginerai mai chi ho incontrato al concerto? Iréne. Sì, proprio lei! Ti ricordi? La figlia di Albert. E’ diventata una donna affascinante, moglie di un rispettabile cittadino dell’alta borghesia e per di più un nobile. Dicono che sia molto ricco il marito. Ormai non è più una di noi con suo modo di fare civettuolo e aristocratico. Non la riconosceresti più, tanto è cambiata nel modo di porgersi. Pensa che crede di riaccendere quei fuochi ormai spenti da tempo con la credenza tutta femminile di farlo ricordando il passato. Ce qui est passé est bien passé. Che noia! Non riuscirebbe a eccitare più nessuno di noi. E’ veramente banale e deprimente. Spero che non capiti pure a te una così totale metamorfosi. Sarebbe deludente. Ha parlato male del marito dicendo che è tedioso. Sì, proprio così. Noioso e monotono, tanto che ho pensato al quel modo di dire che usiamo noi. “E’ talmente grigio che non lo sopporterebbe nemmeno la sua ombra”. Domani mattina dovrò evitarla mentre faccio l’ultima passeggiata per la piazza principale e poi volo da te tra le tue braccia, mon Chérie. Non vedo il momento di stringerti a me.
Adieu, à demain!
Bisou, mon Chérie»
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8 risposte a “Una sera a teatro – parte 2 di 2”

  1. Bellissimo. Mi ha impressionata la tua capacità di far vedere al lettore entrambi gli scenari: quello di lei, molto ingenuo, e quello di lui, forse più avveduto. Una storia triste ma con molti riscontri nella realtà.
    Un caro abbraccio.

    1. Sì, la storia è triste perché purtroppo capita sovente nella realtà.
      Grazie per i complimenti. Mi piace mostrare lo stesso oggetto visto da angolazioni differenti.
      Un caro abbraccio

  2. Gli amori del passato non hanno più ragione di esistere
    Anche se il destino ci riporta su tracce mai dimenticate
    Non riesco a pensare alla povera Irene quando scoprirà la verità sul “suo” Jacques
    Sei bravissimo, attraverso te scopro un’ altro mondo
    Grazie mille
    Baci
    Mistral

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