Iréne, avvolta nella cappa bordata di pelliccia, saliva lentamente lo scalone di ardesia del Collegio San Carlo nella zona centrale della città. Alzò la vista verso i quadri disposti lungo le pareti, che arcigni parevano seguirla con gli occhi. Si strinse ancor di più nel mantello come per proteggersi da un nemico invisibile. Continuò a salire cercando di distogliere lo sguardo e non pensare a loro.
Aveva deciso di partecipare a questa serata di musica classica per un motivo molto particolare ma l’aveva relegato in fondo all’anima per non pensarci troppo. Non era sua abitudine a partecipare a questi eventi, ma stasera faceva un’eccezione.
Con un sottile senso di inquietudine percorse il corridoio silenzioso che portava nel vestibolo del piccolo teatro collocato all’interno di questo Collegio secolare. Si udivano solo il ticchettio dei suoi tacchi e nulla più. Avvertiva un senso di pace passare tra questi muri che avevano visto numerose generazioni di studenti impegnati ad apprendere il sapere ma nel contempo percepiva che aveva sbagliato a venire. Erano sensazioni contrastanti che non riusciva a conciliare ma le provocavano un senso di angoscia ed euforia allo stesso tempo.
Si avvicinò al tavolo per pagare il biglietto d’ingresso e prendere il programma della serata, che scorse velocemente senza molto interesse. Non amava molto la musica classica in particolare quella strumentale ma aveva deciso di ascoltare questo concerto particolare.
Si guardò intorno alla ricerca di visi amici ma erano tutte facce sconosciute. Comprese di essere nel posto sbagliato: lei vestita in maniera ricercata, loro in jeans e maglione senza nemmeno abbinare troppo i colori. Li udiva parlare ad alta voce come se profanassero il luogo, che invitava al raccoglimento e al silenzio. Stava già meditando di andarsene, quando vide l’amica, la signora Massone, che più che amica era una conoscente un po’ pettegola e invadente. Nonostante questi pensieri tirò un sospiro di sollievo per non sentirsi sola.
Le due donne si mossero all’unisono una verso l’altra per salutarsi.
“Buona sera, contessa Cittadini” disse allegra porgendole la mano.
“Buona sera, signora Massone. Anche lei qui ad ascoltare questa serata di buona musica?”
“Sì. Ma la vedo sola. Il signor conte non è venuto? Non apprezza i virtuosi del pianoforte?” domandò un po’ maligna la donna.
Iréne stette in silenzio per qualche attimo per soppesare le parole della risposta.
“Sì. Mio marito ha preferito rimanersene al calduccio accanto al camino, piuttosto che affrontare il freddo della sera”.
Un lieve sorriso increspò il viso della signora Massone. “Saggia decisione. E’ più prudente di noi donne, che abbiamo privilegiato la voglia di evasione al caldo della casa”.
“Ops ..” aggiunse voltandosi verso chi le stava alle spalle. “Che poco elegante sono stata con lei. Non le ho presentata la mia amica. La contessa Iréne Cittadini” e poi facendosi di lato continuò. “Questa è la mia carissima compagna di uscite serale. La signora Boschetti”.
Uno scambio incrociato di mani e un qualche borbottio che assomigliava a un «piacere» concluse le presentazioni, prima che calasse un silenzio imbarazzato.
“Se non vi dispiace prendo posto in sala” disse Iréne allontanandosi dalle due donne per sedersi nelle ultime file, vicino all’ingresso e porre fine all’imbarazzo di una conversazione mai sbocciata.
La signora Massone osservò l’amica che prendeva posto e, prendendo sotto braccio la signora Boschetti, la guidò verso le prime file.
“Vede” cominciò sottovoce. “La contessa ha una bella e interessante storia dietro di sé. Lei è la figlia di Alberto Pierotti, il fratello minore di Matteo Pierotti, quel ricco uomo d’affari, che sicuramente conosce”.
Un lieve cenno del capo avvalorò le ultime parole, mentre la donna riprese il racconto.
“Alberto era uno scapestrato. Amava girare tra le osterie a bere e ubriacarsi come tanti poveracci e appena poteva scappava a Bologna al Caffè San Pietro, dove si radunavano pittori e scrittori. Lui ambiva a diventare pittore e non ne voleva sapere di studi o mettere la testa a posto. Nel 1939 aveva solo vent’anni con la guerra imminente e dietro l’angolo, quando scappò a Parigi, nascondendosi tra i pittori della rive guache a Montparnasse. Lì scollinò la guerra e l’occupazione tedesca”.
“Ma non era imprudente starsene all’estero in un paese non proprio amico?” chiese la signora Boschetti.
“Ha ragione, Ivana. Ma al ragazzo mancava il senso pratico e la prudenza del fratello. Era un autentico buono a nulla, che amava vivere di espedienti piuttosto che fare una vita normale”.
Un sorriso comparve sui loro volti, che giudicavano questi atteggiamenti come disdicevoli. La signora Massone riprese la narrazione dopo una breve pausa.
“Poi negli anni tumultuosi del dopoguerra conobbe una donna senza censo e anonima, che sposò in gran segreto. La famiglia di origine non seppe nulla finché non nacque Iréne, la signora che le ho presentato stasera”.
Fece una piccola sosta nel parlare, osservando se la signora Boschetti la seguiva nei suoi discorsi.
“Prosegua, Paola. Non conoscevo questi dettagli sui signori Pierotti e sulla contessa”.
“Come le ho detto Alberto era uno scapestrato senza testa e senza talento. Viveva di espedienti e piccoli lavori, facendo debiti a profusione. Sembra che la madre di Iréne sia morta qualche mese dopo la nascita della ragazza. Ma qualcuno vocifera che sia fuggita con un uomo ricco e importante. Tralasciando questi miseri pettegolezzi, la ragazza fu cresciuta in qualche modo dal padre e dai suoi amici in un ambiente malsano e privo di scrupoli o moralità, finché a vent’anni anche Alberto morì lasciandola sola. Lo zio Matteo, di animo generoso, l’accolse nella sua villa, appena fuori la città, e le consentì di completare gli studi. Le diede un futuro meno ambiguo e grigio del padre trasformando una ragazza senza cultura ed educazione in una una splendida fanciulla ammirata da tutti. Dicono che abbia acquisito la bellezza dalla madre, che nessuno ha mai potuto ammirare”.
Fece una piccola pausa voltandosi leggermente verso le ultime file della sala per osservare Iréne, che compunta teneva in grembo la mantella.
“Lo è ancora adesso una stupenda donna nel fiore della maturità, a dire il vero. Ma andiamo avanti col racconto. Molti corteggiatori si fecero avanti ma alla fine la spuntò il conte Cittadini, che la sposò. Non hanno ancora figli ma pare che sia una coppia affiatata” concluse la signora Massone.
“Senza dubbio una storia interessante che non conoscevo, Paola. Ma ora ..” e non riuscì a concludere il pensiero perché il pianista aveva fatto il suo ingresso, accompagnato da un caloroso applauso del pubblico presente. L’artista fece un inchino verso di loro e in un italiano approssimativo si presentò.
Iréne lo vide e cercò di nascondersi, mentre occultava il nervosismo serrando le mani sulla mantella. Alle prime note dello strumento una forte ondata di emozioni l’assalì salendo verso il volto per poi scendere verso il basso. Osservò con attenzione Jacques Saint Just, i capelli ancora lucidi e scuri, la mani diafane e affusolate, che scivolavano leggere a sfiorare i tasti del fortepiano.
La musica settecentesca di Haydn e di Muzio Clementi riempì la sala che ascoltò in silenzio i virtuosismi del pianista fino all’intervallo. Un lungo ed entusiastico applauso accolse la fine della prima parte del programma.
Iréne si alzò e uscì prima che Jacques Saint Just salutasse il pubblico e si ritirasse nel camerino.
“Dov’è il camerino dell’artista” chiese la donna all’addetto del ingresso.
“Nel corridoio la seconda porta” rispose indicando con la mano il percorso. Si avviò con passo deciso verso il punto dove l’uscio si confondeva con la parete. Era in preda all’agitazione per l’emozione, che l’aveva turbata a quella visione, facendola piombare in anni lontani. Bussò con discrezione e attese che qualcuno si facesse vivo.
“Desidera?” chiese una donna facendo capolino dalla porta appena socchiusa.
“Devo vede Monsieur Saint Just” disse con un filo di voce.
“Non è possibile. Deve aspettare la fine del concerto” replicò accennando a richiuderla.
“Ho un appuntamento con lui” rispose in maniera convincente.
“Aspetti” e sparì.
Dopo qualche istante ricomparve e le fece cenno di seguirla.
La contessa sentiva crescere dentro di sé un mix esplosivo di gioia e angoscia che lottavano tra loro. La decisione di vedere il pianista era stata emotiva, irrazionale ma adesso pareva pentita della decisione. Non poteva più tornare indietro. Entrò in una stanzetta disadorna e lo vide.
“Jacques!” disse allargando le braccia per abbracciarlo.
“Iréne! Che bella sorpresa! Non sapevo che tu fossi qui”.
L’artista si alzò dalla sedia, stringendola forte a sé.
“Lasciati ammirare!” soggiunse, osservandola. “Sei ancor più bella di quella che ricordavo. Allora eravate una fanciulla acerba, ora siete una donna meravigliosa piena di charme e nel fiore della vita”.
Le labbra si unirono in un bacio caldo e passionale. Poi si staccarono per scrutarsi a vicenda. Erano visibilmente commossi per essersi ritrovati dopo tanti anni.
Le girò intorno, stentando di riconoscere quella fanciulla alla quale aveva insegnato i primi rudimenti di musica nella Parigi scapestrata e bohemien del dopoguerra. Lei lasciò cadere una lacrima, ricordando quegli anni felici trascorsi col padre e tutti quegli artisti che l’avevano allevata e coccolata come se fossero tanti padri e tante madri.
“Oh!” furono le sole parole che le uscirono. Avvertiva la necessità di ascoltare quella voce calda e di essere tenuta stretta da quelle mani affusolate da pianista. “Oh, Jacques!”
“Sst!” e le mise un dito sulla bocca. “Tenez” le disse allungandole una sedia. “Aspettami qui fino al termine del concerto. Nessuno verrà a disturbarti”. E uscì per riprendere a suonare.
Nel mentre la signora Massone la cercava con lo sguardo senza vederla.
“Iréne se ne è andata” confidò all’amica. “Evidentemente quel pianista francese non era di suoi gradimento”.
“Io l’ho trovato fantastico nel suonare quel antico pianoforte dal timbro forte e deciso” rispose aggrottandole sopracciglia. Non comprendeva le motivazioni per le quali era venuta, se poi non aveva apprezzato la musica.
“Rientriamo. Tra qualche istante il concerto riprende”.
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Una storia d’amore che ritorna ad emozionare il cuore di Irene, contornata dal pettegolezzo della
“falsa ” amica.
La musica, l’ emozione di un bacio desiderato e appassionato mi fanno aspettare piacevolmente il seguito
Un abbraccio caro
Mistral
Ps Bravo, la tua Stoffa è sempre bella e gradita
Non dico nulla in attesa della seconda parte.
Un abbraccio
L’amica “falsa” e poi??? Scrivi!!!! 🙂
Abbi pazienza di leggere la seconda parte. Se svelo tutto che gusto c’è?
Bravissimo nel descrivere la falsità imperante.
Una prima puntata che ho gradito molto.
Un caro abbraccio!
Grazie. Gli artisti non erano granché considerati, specialmente chi era un imbratta tela.
Un caro abbraccio
I like this.
Thank you
Greetings, Gian Paulo! I just wanted to stop by and wish you the best for the new year and to thank you for your lovely comment on my last posting. I hope all is going well for you.
Thank you
Buon Wee-kend !..
http://www.youtube.com/watch?v=oOkJZaAHpT0&list=FLXBzhDs7-9JOHSwOptGgiTg&index=1
Grazie Nancy per la canzone. Buon week end anche a te.
ottimo primo episodio
grazie, Doris
Che romantico! Alla facciaccia delle pettegole!
E sì, alla faccia delle pseudo amiche pettegole.
E sì, alla faccia delle pseudo amiche pettegole.