“La Sicilia mi fa intendere l’Asia e l’Africa e non è poca cosa trovarsi nel centro meraviglioso dove sono diretti tanti raggi della storia universale”. Il poeta, appena messo piede a terra dopo il disastroso viaggio in piroscafo da Napoli a Palermo, esprimeva la sua gioia dell’incontro con questa terra assolata e bruciata dal sole. Aveva sofferto il mal di mare per quattro giorni, quanti erano stati quelli della traversata, aspettando solo il momento di potere calpestare nuovamente la terraferma. E lo fece alla sua maniera.
Ancora una volta era ricorso allo stratagemma di viaggiare in incognito sotto il falso nome di Philippe Moeller ma il mondo è piccolo e ovunque trovava qualcuno che lo riconosceva. Così ben presto era dovuto uscire allo scoperto, aveva perso quella copertura per rimanere nell’ombra. Non appena a Palermo si diffuse la voce che Goethe era in città, il Viceré lo aveva mandato a prendere nella locanda dove alloggiava per averlo a corte e rendergli omaggio.
Angelica ascoltava con attenzione ciò che gli amici le narravano del viaggio in Sicilia del poeta, che inviava lettere piene di entusiasmo per questa terra, tanto che scrisse in una dei primi messaggi recapitati a Roma: “L’Italia senza la Sicilia non lascia l’immagine nell’animo: qui, solo qui, è la chiave di tutto”.
Era entusiasta di questa terra, che il compagno di viaggio Kniep dipingeva con molta maestria. Sentiva rinascere dentro di sé una fresca sferzata di ispirazione poetica, annotando con cura tutto quello che vedeva e provava per tradurli in versi e poemi.
Era maggio quando Goethe carico di ricordi e di sensazioni cominciò il lungo viaggio che lo doveva ricondurre a Roma.
Era una calda giornata di giugno, l’otto, quando rientrò nella città eterna dopo un’assenza durata cinque mesi.
Era stanco, accaldato e impolverato a causa delle strade secche per la lunga siccità. Il viaggio sulla carrozza non consentiva molte distrazioni perché buche ed acciottolato sconnesso provocavano continui sobbalzi tanto da rendere impossibile prendere appunti o fare disegni, esattamente come quando era partito per Napoli.
Era tornato alla locanda, che per tutti questi mesi gli aveva conservato la stanza e custodito il bagaglio non essenziale che non aveva portato con sé. Il padrone era sulla porta ad aspettarlo, facendogli grandi feste insieme ad alcuni amici fidati.
Goethe era talmente prostrato dal viaggio da Napoli a Roma che per diversi giorni rimase nella sua stanza per riprendersi.
Angelica seppe il giorno dopo che l’amato poeta era tornato e cominciò a fantasticare sul suo ritorno.
“Chissà se la nostra lite ha lasciato il segno? In tutti questi mesi non ho mai disperato che la nostra rottura si sarebbe ricomposta. Io sarò stata dura, ma lui ha oltrepassato il segno accusandomi di essere una donna di strada che mendica un po’ di sesso. Gli farò una sorpresa, donandogli il ritratto che ho terminato nelle scorse settimane. Mi hanno detto che Tischbein gli ha fatto un quadro in cui Wolfgang appare come un dio che osserva l’agro romano con lo sfondo dei colli laziali. Però io l’ho ritratto come lo vedo: un giovane uomo intelligente e sensibile.”
Goethe era tornato pieno di brio, ispirato e pronto a riprendere la scrittura delle tante opere incompiute che erano state interrotte più volte.
Era ricercatissimo coll’agenda piena di impegni, perché tutti volevano sapere, sentire, ascoltare i suoi racconti.
“E’ stata impressionante la moltitudine di persone durante la processione della festa di Santa Rosalia. La devozione, le preghiere, i petali di rose che cadevano dai balconi sono stato uno spettacolo magnifico e impareggiabile, che ho potuto ammirare dal balcone del Viceré. Non avrei mai creduto che per un Santo si festeggiasse così intensamente.”
Questo era uno dei tanti episodi che narrava agli ospiti, che lo ascoltavano in religioso silenzio, non osando interromperlo durante la narrazione.
“E’ una vera sfortuna, quando si è inseguiti e tentati da ogni sorta di fantasma! Una mattina di buon ora camminavo spedito, quando ho visto un giardino aperto e sono entrato. C’erano tutte le specie di piante del creato, anche quelle che non avevo mai visto! Ho alzato gli occhi e ho osservato dietro il vetro di una finestra una splendida fanciulla, che mi scrutava incuriosita. Non sapevo più cosa guardare quella meravigliosa visione o quello spettacolo naturale. Ero ancora lì incerto sul da farsi, quando un domestico uscì dal portone per invitarmi a salire in casa. Ho passato una splendida giornata con una guida che sembrava un angelo: mi ha spiegato e nominato uno per uno tutte le piante, i fiori e gli alberi presenti in quel giardino che sembrava il paradiso terrestre.”
Goethe però si stava stancando di raccontare tutte le meraviglie che aveva visto passando di salotto in salotto, di osteria in osteria, sentiva che gli mancava qualcosa, sentiva che doveva andare in Via Sistina da Angelica, la sua musa, colei che con pazienza ascoltava, dava pareri su quanto stava scrivendo. Poi aveva la necessità di ascoltare la sua voce, deliziosa e sensuale e forse anche di qualcosa d’altro.
“Come posso presentarmi al suo studio dopo la furiosa litigata che abbiamo avuto? Sono stato veramente indelicato nelle espressioni! Lei dichiara il suo amore per me, io la ripago dandole della donna di strada. Saprà perdonarmi? Saprà accettarmi ancora? Ah! Se avessi qualcuno che interceda per me!” così pensava una sera il poeta seduto davanti ad un bicchiere di vino rosso ed piatto di gustoso agnello.
Mentre Maria scioglieva i capelli ad Angelica, seduta nella poltrona della camera da letto, come per telepatia anche lei lo pensava sospirando. “Wolfgang è tornato da due settimane, ma non è ancora venuto allo studio, né mi ha mandato qualche messaggio tramite amici comuni. Io l’amo e lo perdonerei se si presentasse davanti alla porta! Però temo che lui sia ormai perduto, perché preferisce i salotti delle nobildonne romane alla mia poltrona di raso rosso! Come posso attirare la sua attenzione?” Si struggeva mentre le lacrime salivano sugli occhi e da lì scendevano leggere sulle guance.
Maria, sempre attenta a cogliere ogni emozione di Angelica, le disse: “Mia Signora, perché piangete? Quale pena d’amore, se si tratta di amore, vi appanna gli occhi e la mente? Posso fare qualcosa per voi?”
“Maria, siete davvero gentile e premurosa, ma credo che non possiate fare nulla per me. L’uomo per cui piango è vicino fisicamente, ma lontano col pensiero.”
Si asciugò le lacrime con un fazzoletto di mussola bianca ricamato con le sue cifre, andò come il solito ad inginocchiarsi sotto la Madonna, dicendo le usuali preghiere serali e poi si coricò con la mente piena di pensieri, che parlavano con voci diverse e discordanti.
Maria rimboccò le lenzuola, spense i candelabri uscendo dalla stanza silenziosamente. Si recò nelle cucine alla ricerca di Manico, perché voleva affidargli il compito di rintracciare Goethe. La ricerca ebbe successo sperato, in questa maniera seppe che Angelica stava aspettando con impazienza una visita nello studio.
Lei ebbe incubi e sogni quella notte: angeli e demoni si rincorrevano nella sua mente, mentre smaniava di passione e amore. Il viso del poeta era sempre lì etereo, impalpabile, sfuggente, mentre soffriva le pene d’amore. Non sapeva se era più desiderabile che il sogno perdurasse all’infinito o svanisse come una bolla di sapone.
Le ore della notte trascorsero veloci e ben presto l’alba di un nuovo giorno stava spuntando, facendo capolino tra le pieghe della tenda.
Si svegliò con la certezza che Wolfgang sarebbe tornato da lei. Era una convinzione che misteriosamente faceva capolino nella sua mente, come il raggio di sole si era intrufolato nella stanza bucando i pesanti tendaggi, mentre subito dopo l’angoscia la colse impetuosa, come la rapida spumeggiava nell’orrido.
“E’ un sogno quello che penso oppure è realtà? Il mio cuore batte leggero ma impetuosamente. I miei sensi sono all’erta perché sentono i suoi passi che salgono le scale e quel bussare discreto ma deciso alla mia porta”.
Si esprimeva ad alta voce e, presa dall’ansia di verificare la veridicità di quella sensazione del tutto irrazionale, chiamò: “Maria, presto venite! Desidero alzarmi per andare allo studio!”
Goethe era là davanti al portone in attesa di Angelica.
Ecco, di nuovo i due deliziosi amanti riprenderanno il loro dialogo amoroso più forte di prima( parere mio) Dopo i cinque mesi lontano da Roma e Angelica, Goethe ha messo da parte il suo orgoglio senza senso verso Angelica e si accinge ad amarla ancora.
Angelica freme anche lei d’amore per il poeta
Bravo, Gian Paolo
Buon weekend
Mistral
I due amanti si ritrovano.
Buona domenica
Gian Paolo
A volte i desideri più intensi si trasformano in realtà e proprio chi stavamo aspettando arriva alla nostra porta… purtroppo siamo convinti che la felicità debba sempre arrivare dall’esterno, è questa la cosa che ci fa soffrire di più e pensare che potremmo essere felici così spesso invece…
un altro bel capitolo!
un abbraccio
Dicono l’amore è sofferenza. In questo caso per Angelica è sofferenza.
Baci
Goethe e Angelica tra storia ed invenzione ci fanno sognare sul dolce fil rouge del desiderio.
Prevedo un happy end perché lo meritiamo anche noi tuoi fedeli lettori..
Abbraccio.
grazia
Grazia se happy end è il ritrovarsi dopo la lontananza, questo è certo. Meno certo è l’esito finale della loro storia d’amore. Ma non voglio correre troppo.
Non vedo l’ora di ricevere il pacco con Hena
Un abbraccio
Sei molto gentile, amico mio.
Ormai, penso che Hena cominci ad essere distribuito anche nelle librerie.
Venerdì prossimo sarà presentato alle ore 21 al caffè letterario “Antica Rampa” di Badia.
Come sarebbe bello rivederti!
Abbraccio.
grazia
Sarebbe bello ma ho un grosso problema con mia madre.
Un abbraccio
Gian Paolo
Bello tutto il capitolo, ma l’ultima riga è strepitosa!
Il tocco del Maestro.
Un caro abbraccio.
Forse ti riferisci a Goethe.
Un caro abbraccio
No, nella fattispecie, a te.
Ti ringrazio per la stima ma non credo di essere un Maestro
I like this.
Thank you