Capitolo 10 – Viaggio in Sicilia

Goethe camminava immerso in una nebbiolina ghiacciata per le strade deserte di Roma, bagnate dall’umidità della notte, per raggiungere l’osteria al Servello, mentre continuava a imprecare contro quella donna che aveva osato sfidarlo mettendolo alla porta come l’ultimo dei servitori.
“Non mi vedrà mai più. Mai più” urlava incollerito mentre affrontava le viuzze strette e maleodoranti che conduceva al lungoTevere per trovare rifugio da Faustina.
La sala era affollata e fumosa come al solito e per farsi udire si doveva gridare. Il poeta si guardò intorno con gli occhi simili a brace ardenti senza scorgere la serva. Strattonò una donna che serviva ai tavoli. Non la conosceva ma non importava.
“Dov’è Faustina?” le urlò nelle orecchie, mentre una brocca di vino volava sul pavimento.
La serva lo fissò malamente prima di sbottare in una imprecazione più adatta a carrettiere che a una bocca femminile. “Non sono sua madre” gli ringhiò sul viso. “E ora lasciatemi se non volete che vi spacchi quest’altra brocca sulla testa”.
Goethe la lasciò, allontanandosi di due passi, prima di girarsi e uscire nell’umido della sera. Passò di osteria in osteria furibondo per lo smacco subito, cercando di calmarsi col vino e allegre compagnie, ritornando alla locanda, dove alloggiava, sul far dell’alba con le gambe incerte e traballanti.
Dormì per tutto il giorno senza mangiare, fu un sonno agitato e tempestoso con incubi e sogni in cui Angelica lo cacciava da qualunque posto si trovasse.
Quando si destò con la bocca impastata dell’ubriaco, era ormai sera. Il risveglio fu amaro con una sensazione di sgradevole incertezza e, dopo essersi data una sistemata sommaria, consumò solitario e scuro in volto il pasto serale in un’osteria poco distante, perché doveva riflettere sulla situazione.
Era stato scaricato da una donna, che gli piaceva e gli donava gradevoli sensazioni, perché si trovava bene nello studio di lei, che per lui rappresentava una seconda casa, ma la scenata della sera precedente costituiva uno smacco, che aveva ferito il suo orgoglio di maschio. I pensieri frullavano inquieti nella testa del poeta, mentre mangiava il piatto di fettuccine sorseggiando del generoso vino rosso dei colli di Frascati. Non aveva molto appetito ma lo stomaco brontolava per il lungo digiuno e reclamava un po’ di cibo dopo il tanto bere della notte precedente. Doveva riorganizzare la propria permanenza a Roma, trovare nuovi stimoli per chiudere questa parentesi che si stava rivelando un disastro. Cominciò a ragionare sulle prossime mosse.
E’ tempo che riprenda il mio viaggio in Italia, andando verso sud, verso quel mondo misterioso vicino all’Africa. Devo parlare con Johann Tischbein per sentire se è disponibile ad accompagnarmi. Preferisco avere un buon compagno di viaggio con cui posso parlare, scambiare le opinioni, annotare quel che vedo. Ho la necessità di non pensare più ad Angelica per un po’ di tempo! La relazione è entrata in stallo, in un vicolo cieco e oscuro e deve essere rivista. La lontananza farà bene a entrambi”.
Però il pensiero della donna dominava ancora la sua mente, perché sentiva una forte attrazione, difficile da sradicare, verso la personalità di Angelica.
“Johann” gli disse qualche sera dopo aver preso la decisione di ricominciare il tragitto intrapreso diversi mesi prima. “L’aria di Roma sta diventando cupa e mi sta annoiando”.
“Perché?” gli domandò l’amico, mentre nell’osteria al Servello sorseggiavano del vino.
“Voglio sentirmi libero come un uccello. Volare e cantare senza nessun obbligo”.
Tischbein lo scrutò con attenzione e scoppiò in una risata. “Amico mio, avete troppe sottane da curare e volete scappare da loro. Ma ditemi dove pensate di dirigervi?”
Goethe rimase in silenzio prima di esprimere l’idea che gli era balenata nei giorni precedenti.
“La Sicilia è la meta. Ma prima voglio passare per Napoli” gli rispose, versandosi un altro bicchiere di vino.
“Mi pare una buona idea”. Gli diede un colpetto sulla spalla prima di iniziare a parlare di donne, di poesia e di pittura. Per il futuro viaggio ci sarebbero state altre serate per approfondire l’argomento.
Le settimane successive furono impiegate da Goethe per i preparativi del lungo viaggio, forse due o tre mesi, che l’avrebbe condotto verso Palermo e la Sicilia con una lunga sosta a Napoli per conoscere meglio questa città, descritta con tanto entusiasmo dagli amici tedeschi e decantata tante volte nelle veglie serali dal padre.
Si trovava con Tischbein quasi tutti i giorni nell’osteria al Servello vicino al Tevere tra le viuzze strette, dove i mercanti d’arte tenevano le loro botteghe, per discutere di pittura, di poesia e del prossimo cammino, che avrebbe intrapreso tra alcune settimane, tra un piatto di pasta e un bicchiere di vino.
Conosceva Johann, un discreto pittore, da molti anni, ed era riuscito a fargli ottenere un buon sussidio per consentirgli la permanenza in Italia, in particolare a Roma, con frequenti puntate a Napoli. Nella città eterna aveva un modesto appartamento nella zona dei mercanti, dove a volte il poeta pernottava, quando faceva tardi all’osteria.
Wolfgang, non so se potrò accompagnarvi nel viaggio in Sicilia, perché ho paura della traversata via mare. Vedrete che troverò qualcuno che vi terrà compagnia nel lungo tragitto verso quelle terre calde e misteriose” gli confessò una sera Tischbein, quando la partenza era ormai vicina.
Johann, vorrei che mi accompagnaste almeno fino a Napoli, facendomi da guida durante la visita alla città, perché la conoscete bene.” rispose Goethe “Però prima di partire vorrei vedere il carnevale romano e divertirmi tra le vie in festa”.
L’organizzazione del viaggio lo teneva così occupato che dimenticò Angelica o almeno non era in cima alle sue preoccupazioni e pensieri.
Arrivarono i giorni del carnevale romano, che era particolarmente festoso, perché durante quei giorni di grande baldoria e di orgie sfrenate era permesso circolare per strada mascherati senza limitazioni negli atti e nei comportamenti.
Apparve agli occhi del poeta come una grande festa, che non era concessa propriamente al popolo ma piuttosto era questa che donava se stessa a tutti i popolani. Era un bagordo gioioso e licenzioso che ricordava i saturnali di molti secoli prima come proseguimento della mitica “età dell’oro” del dio Saturno.
Vide i signori servire i propri servi che dovevano avere il cuore sulle labbra, quando per una volta l’anno volevano dire la verità sui loro signori senza essere presi a bastonate.
Tutti giravano in maschera lungo il Corso, la grande e larga via che passava attraverso il centro di Roma, mentre grandi feste e balli all’aperto animavano le vie intorno e le osterie, dove si consumavano grandi libagioni di vino. Era anche periodo rischioso perché pericolose violenze avvenivano per strade male illuminate a causa delle persone rissose e ubriache, che attaccavano briga per un nonnulla o uno sguardo giudicato offensivo.
A Goethe apparve come uno spettacolo che superava l’immaginazione e i variopinti racconti che i visitatori tedeschi avevano descritto al ritorno in patria.
 
La mattina del 22 febbraio 1787 Goethe accompagnato da Tischbein lasciava Roma lungo la via Appia puntando verso Velletri su una carrozza chiusa. Era l’inizio di un lungo viaggio, che l’avrebbe tenuto lontano dalla città eterna per diversi mesi. La campagna romana era incerta sotto il sole pallido del mattino, perché risentiva degli influssi dell’inverno morente e della primavera che cominciava ad annunciarsi. Tuttavia presentava un certo fascino che attirò i due viaggiatori.
E’ veramente difficile prendere appunti o fare qualche disegno” disse Goethe all’amico. “Godiamoci il paesaggio e le impressioni che esso suscita in noi. La strada è talmente dissestata che non consente di appuntare sensazioni o schizzare i paesaggi che sfilano davanti ai nostri occhi”. Decisero di conservare il ricordo nelle loro teste per tradurli sulla carta con calma alla sera.
Goethe ammirava il panorama mentre commentava. “La campagna sta timidamente togliendosi i vestiti invernali per indossare quelli della primavera. Tra l’erba che sta spuntando crescono i crochi bianchi come minuscoli puntini colorati. E’ una meraviglia osservare la natura che si risveglia dopo la lunga parentesi invernale”.
Il 26 febbraio dopo avere attraversato l’agro romano e quello pontino, acquitrinoso e malsano, raggiunsero finalmente Napoli, mentre gli affioravano nella mente i racconti del padre, tante volte ascoltati da bambino, quando 25 anni prima aveva visitato la città durante il viaggio in Italia.
Durante il passaggio per la campagna romana Goethe convinse Tischbein a fare un quadro, che fu realizzato in poco tempo durante la sosta a Napoli. Il poeta ne rimase entusiasta, perché il ritratto con lo sfondo dell’agro appena attraversato lo rappresentava come un dio della mitologia greca-romana, mentre quello che stava dipingendo Angelica gli appariva troppo dimesso e modesto.
Il poeta commentò eccitato: “E’ un quadro straordinario! Sono stato ritratto come un viaggiatore che percorre l’agro romano non da semplice e modesto viaggiatore ma come un dio, seduto un antico rudere, mentre osserva altre vestigia dell’antica Roma. Domino la scena, che mi fa da contorno!”
Il poeta, che viaggiava come al solito sotto il falso nome di Philippe Moeller, ben presto fu riconosciuto dalla folta colonia tedesca, tanto che rapidamente si diffuse la voce che era in città.
Kniep, un discreto paesaggista ad acquarello, non appena sentì che era a Napoli, si precipitò a conoscerlo accompagnato da una conoscenza comune.
Sono Cristoph Heinrich Kniep. Molto onorato di potervi incontrare e conoscere di persona, ” disse l’artista ormai più italiano che tedesco.
“E noi siamo lieti di fare la vostra conoscenza, Herr Kniep” rispose il poeta, che lo prese subito in simpatia.
Da quel momento fu sempre con loro, ovunque andassero facendo da cicerone e interprete con la gente del luogo.
Un giorno disse: “Mi hanno detto che cercate un compagno di viaggio fino alla Sicilia. Bene ecco di fronte a voi c’è la persona che cercate. Posso dipingere per voi tutti i posti che visiteremo”.
“E’ vero. Sono alla ricerca di una persona che mi tenga compagnia durante la visita a quell’isola remota. Se siete disponibile, siete il benvenuto” rispose Goethe, siglando l’accordo con una stretta di mano.
Così alla fine del mese di marzo del 1787, salutato l’amico Tischbein, che rimaneva a Napoli, Kniep si imbarcò sul piroscafo per Palermo col poeta, dove sarebbero giunti dopo un viaggio di quattro giorni non propriamente felice per il mare agitato. Da qui cominciava il lungo giro per l’isola prima del ritorno a Roma.
 
Dopo quella sera tempestosa Angelica per diversi giorni non frequentò lo studio rimanendo chiusa nelle sue stanze piangendo e interrogandosi sul futuro.
La ferita inferta da Goethe era troppo profonda da rimarginarsi subito, lasciandola prostrata e infelice senza alcuno stimolo per superare la crisi profonda in cui era sprofondata.
Facendosi forza per affrontare la delusione patita riprese la strada dello studio.
Wolfgang è stato davvero meschino nei miei confronti, dimostrandosi privo di tatto e offensivo, dandomi della donna di strada” rifletteva nel chiuso dell’atelier. “Non è stato capace di intuire l’amore che provo per lui. E’ stato egoista e maldestro pensando che tutto il mondo ruotasse intorno a lui. Devo dimenticarlo e riprendere a lavorare di buona lena per recuperare tutto il tempo perduto.”
Consegnò alla baronessa de Kruederer il quadro prima della partenza per Copenhagen, ricevendone elogi e ringraziamenti. Poi cominciò o terminò altri quadri, mentre la delusione si stemperava col passare dei giorni.
Seppe da conoscenze comuni che Goethe era in procinto di partire di nuovo. Non riuscì a conoscerne la destinazione. L’unica certezza era che non stava intraprendendo il viaggio di ritorno.
Questa informazione mitigò parzialmente l’ansia, mentre si dedicava con grande impegno a dipingere per dimenticarlo.

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16 risposte a “Capitolo 10 – Viaggio in Sicilia”

  1. Un capitolo in cui si evince la delusione di entrambi, ma per cause diverse
    L’ orgoglio ferito maschile, per certi uomini, viene sempre messo al primo posto, lasciando il sentimento da parte.
    Ti seguo (anche in Sicilia)…
    Buon mattino
    Baci
    Mistral

  2. Goethe arrivò a Palermo nell’aprile del 1787 e trovò alloggio a Palazzo Butera, una costruzione molto bella che si affaccia sul golfo:
    “Alle tre del pomeriggio, con sforzo e fatica, entrammo finalmente nel porto, dove ci si presentò il più ridente dei panorami. La città, situata ai piedi di alte montagne, guarda verso nord; su di essa, conforme all’ora del giorno, splendeva il sole, al cui riverbero tutte le facciate in ombra delle case ci apparivano chiare. A destra il Monte Pellegrino con la sua elegante linea in piena luce, a sinistra la lunga distesa della costa, rotta da baie, penisolette, promontori…”

    1. Sempre precisa Maria. Mi risulta che Goethe dopo lo sbarco a Palermo avesse trovato alloggio presso una locanda ma al Viceré giunse la voce che il poeta fosse in città e lo mandò a prendere per ospitarlo nel suo palazzo.

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