Capitolo 4 – La felicità sognata

Il poeta aveva preso l’abitudine di venire ogni mattina nello studio, perché percepiva una forte attrazione verso di lei. Anche Angelica gradiva la compagnia di Goethe, perché avvertiva inconsciamente come le lusinghe che un giovane uomo le stava dedicando, stimolava la sua vanità femminile. Era come se fosse tornata indietro nel tempo, quando i corteggiatori non mancavano con le loro insistenti proposte.
Non provava fastidio per la sua presenza, anzi provava piacere e si recava all’atelier anche quando il tempo era inclemente, perché non voleva perdere quell’appuntamento fisso. La sua figura costituiva per lei una costante distrazione dalle usuali attività tanto che aveva smesso di dipingere, perché doveva prestare attenzione alle letture di quello che stava scrivendo.
Dopo il lungo silenzio creativo tra le ombre ovattate di Weimar, aveva ripreso la scrittura del Faust, interrotto più volte nel passato, annotava le impressioni e i ricordi del lungo viaggio attraverso la penisola verso Roma, dopo aver toccato Verona, Venezia, Ferrara, Firenze e tante altre località minori, sia pure solo per poche ore.
La vicinanza della donna e le giornate trascorse in sua compagnia avevano riacceso nel poeta la fiamma creativa, fornendogli ispirazione e voglia di scrivere, attività che faceva alla sera e al mattino presto quando non stava a oziare nello studio della pittrice.
“Angelica, fuori c’è un bellissimo sole. Usciamo per ammirare le rovine dell’antica Roma”.
“Ma qui siamo al caldo” replicava la donna, che avrebbe preferito rimanere nell’atelier.
“Prendete il mantello e il capello. Qui stiamo oziando” insisteva Goethe, mentre si avviava verso la porta.
Ogni qualvolta il sole romano illuminava la città. pretendeva che la pittrice lo accompagnasse per ammirare le antiche vestigia romane, le innumerevoli chiese sparse un po’ ovunque, chiedendole di esprimere pareri e sensazioni di fronte a un capitello rotolato a terra, a una statua ridotta in frammenti, a un quadro appeso sopra un altare.
Portava sempre con sé un blocco di carta e un carboncino che gli servivano per annotare commenti di Angelica e schizzare qualche disegno dei ruderi più interessanti.
Nonostante le blande proteste si prestava di buon grado nell’insolita veste di cicerone, perché sentiva crescere dentro di sé un sentimento che aveva sempre pensato che fosse morto o mai sbocciato. Era l’occasione per dare sfoggio della propria competenza artistica e vivere una vita diversa dal consueto, perché aveva sempre sognato di accompagnare la persona amata in un tour artistico, senza mai averne avuta l’occasione.
Così smise di dipingere per sé e per i committenti, trascurando la sua professione. Angelica accantonò l’autoritratto, perché voleva ritrarlo, mentre lo ammirava seduto sulla poltrona di raso rosso, ma il soggetto era inquieto e non restava fermo in posa.
Mio caro, Wolfgang, non state mai immobile. Come posso ritrarvi se vi agitate di continuo?” gli disse con garbo una mattina di inizio dicembre.
Mia adorata Angelica, non posso restare passivo, mentre vi guardo col pennello in mano. Voi siete troppo bella e seducente per non esternare il mio sentimento verso di voi. Suvvia, non siate inquieta con me, oggi è troppo bella come giornata per restare chiusi qui dentro. Usciamo e godiamoci questo splendido sole romano”.
Si avvicinò ad Angelica, le prese il pennello, deponendolo in barattolo di colore, e la baciò con ardore e passione senza che lei opponesse resistenza.
La donna sentiva il desiderio dentro di sé crescere giorno dopo giorno, ma era combattuta tra la voglia di trasgredire e la fedeltà a quel marito tanto mediocre quanto meschino. Altre volte lo aveva tradito, ma era durato lo spazio di un mattino: quella che si era soliti dire che fosse una scappatella. Consisteva in qualche bacio furtivo e veloce senza passione, molto raramente andava oltre nelle effusioni amorose. Tutto sommato erano peccati veniali, quelli che aveva commesso nel passato.
Questa volta era diverso, perché sentiva ingrandire dentro di sé un sentimento che non aveva provato prima, forse mai nei suoi 45 anni di vita. Sentiva il trasporto verso livelli più alti tanto da avere paura di risvegliarsi e comprendere che era stato solo un meraviglioso sogno..
Tra loro il tutto si era limitato fino a quel momento a qualche bacio appassionato, a qualche tenera carezza, anche se a stento era riuscita a controllare la libido ma era ben conscia che presto sarebbe capitolata.
Goethe aveva avuto molte donne nella sua vita, amanti segrete oppure no, non disdegnava di accompagnarsi anche a donne di strada. Questa sua fama di donnaiolo era risaputa nella cerchia degli amici e conoscenti, tanto che non destava più scalpore. Anche Angelica conosceva la particolare inclinazione del poeta, perché ne aveva sentito parlare a lungo e con dovizia di dettagli dalla nutrita schiera di tedeschi che vivevano a Roma. Questa colonia non perdeva mai l’occasione di invitarla alle feste che organizzavano e molti di loro erano assidui frequentatori del suo atelier.
L’educazione religiosa impartita dalla madre e la frequentazione degli ecclesiasti la rendeva dubbiosa e incerta se doveva lasciare libero sfogo alle sue inclinazioni oppure mortificare la carne come un penitente.
Così quando quella mattina di dicembre uscirono per le strade di Roma, sentì che il muro che aveva dentro di sé si stava sgretolando.
Era una fredda giornata, allietata da un bel sole, che a stento riscaldava i corpi, quando i due amanti si avviarono verso Piazza di Spagna gremita di bancarelle e di giostre per l’imminente Natale. C’era un frastuono festoso mentre tante persone si aggiravano tra i banchi. Erano popolani e nobili, mescolati tra loro senza distinzione di censo, accomunati dalla voglia di festeggiare la festività natalizia.
Angelica si appoggiava sul braccio del poeta con tenerezza e affetto, sentendo il calore che emanava e sospirava per le pene d’amore.
Mein Gott! Cosa devo fare? Quest’uomo mi piace e so di peccare. Finirò i miei giorni all’inferno. Ma la carne reclama il suo dono, come posso negarglielo? Se cadrò, e cadrò sicuramente in peccato, come potrò redimermi?” rifletté, mentre con passo svelto seguiva Goethe tra la folla e le bancarelle.
Giunsero con una certa fatica in una delle vie che si dipartivano dalla piazza, dove sostava un fiaccheraio insonnolito e avvolto in un pesante tabarro verde.
Il cavallo era circondato da una leggera nebbiolina prodotta dal sudore che si condensava nel freddo della mattina e aspettava che il suo padrone raccogliesse qualche cliente per muoversi e riscaldarsi un po’.
Goethe tirò per una falda l’uomo, dicendogli: “Vorremmo che ci portasse verso l’Appia ad ammirare qualche capitello romano. Ci dia una coperta ampia e calda per ripararci dal freddo durante la passeggiata. Mi raccomando vada piano, perché desideriamo apprezzare il paesaggio”.
Il vetturino si riscosse dal torpore in cui era caduto, guardò i due amanti e allungò al poeta una coperta un po’ logora e non troppo pulita senza degnarsi di aiutarli a salire e sistemarsi nella carrozza.
Angelica si rannicchiò fra le braccia di Goethe, che la coprì stringendola con passione.
Il lento incedere del cavallo trascinava la carrozza che sobbalzava sulle strade mal lastricate con grande rumore, mentre i due amanti erano sballottati sul sedile mentre guardavano case, chiese e ruderi romani, che sfilavano mute dinnanzi ai loro occhi. La pittrice illustrava con dovizie di particolari quello che scorreva lentamente nella passeggiata.
La donna però era sempre di più in un forte tumulto interiore tra passione montante e volontà di rimanere fedele, mentre la vicinanza con l’uomo, che l’attraeva, incrinava la sua fermezza a non tradire il coniuge.
Mille pensieri affollavano la mente e molte congetture sul futuro apparivano e scomparivano come la folgore tanto che lei non riusciva più a concentrarsi sul lavoro, che stava trascurando vergognosamente.
E’ bello e forte, “ diceva in silenzio “ed io lo desidero tanto. Tutte le notti mi compare in sogno come un semidio o un novello Apollo popolando la mia mente con la sua immagine. E’ dolce e un po’ timido, come il personaggio della sua opera, Werther. Quanto lo amo! Come vorrei essere posseduta da lui!”
Il fiaccheraio, intuendo che la coppia volesse avere intimità e che non avesse nessuna fretta, fece un lungo giro passando dai fori imperiali, dove Goethe chiese in un italiano stentato di fermarsi per qualche minuto.

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10 risposte a “Capitolo 4 – La felicità sognata”

  1. Leggo sempre le risposte ai commenti. Questo sarà pur un racconto giovanile, ma non per questo è meno bello. Mi piacciono molto i riferimenti alla vita e alla produzione letteraria del sommo Ghoete, che come forse ho già detto, considero alla pari di Dante e Shakespeare, e non solo io credo.
    Ma è tutto il racconto a essere bello, romantico e avvincente.
    Un caro abbraccio.

  2. Mi piace sempre di più questo lungo adorabile corteggiamento reciproco, mentre l’ardende desiderio di Angelica insieme alla sua debole resitenza si sta sciogliendo come neve al sole
    Continua, continua, caro Gian Paolo
    Baci
    Mistral

    1. Sono le schermaglie tra due grandi della loro epoca (Angelica era considerata la migliore ritrattista di quel periodo) con tutte le paure e considerazioni legate all’ambiente nel quale vivevano.
      Grazie per l’incoraggiamento.
      Un bacio
      Gian Paolo

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