Capitolo 33

Giacomo si accorse immediatamente che il Duca non era dell’umore giusto per ascoltarlo ma ormai era lì e doveva fare buon viso a cattiva sorte, mostrandosi diplomatico per non urtare la suscettibilità

“Mio illustrissimo Duca” esordì con un tono basso e deferente. “Mi spiace rubarvi del vostro prezioso tempo ma la questione si sta trascinando da diverso tempo, da alcuni mesi per l’esattezza, e peggiora giorno dopo giorno. Come ..”.

“Venite al sodo e trascurate preamboli e toni vaghi, partendo da lontano” lo interruppe con voce leggermente alterata, facendo ampi e inequivocabili segni con la mano di sveltire il discorso, mentre con l’altra si lisciava nervosamente la barba.

“Come volete, mio Signore. Sarò conciso e vado direttamente al nocciolo. Ho seri problemi a portare avanti il lavoro che mi avete affidato, perché le vostre guardie con pignoleria soldatesca mi ostacolano in ogni movimento, pretendendo carte scritte di vostro pugno. Finora con scuse e altre mille malizie da ciarlatano sono riuscito ad aggirare i divieti che avete imposto sugli accessi ai cunicoli. Però ora devo portare mattoni e malte, portare fuori terra, fare entrare ..”

“Ho capito. La state facendo troppo lunga” lo interruppe Alfonso sempre più spazientito. “Volete un editto che vi lasci mano libera negli accessi per mettere a tacere i miei capitani, che applicano con diligenza e cura le mie disposizioni. Ho inteso bene?”.

“Avete compreso perfettamente. Muratori e fornaciai vogliono essere pagati e finora ..”

“Cento scudi sono sufficienti? Basteranno. Anzi dovrete farli bastare. Domani passate da Messere Bernardino e troverete documenti e scudi pronti per voi”.

Senza altri indugi si alzò, facendo comprendere a Giacomo che era il momento di andarsene con una certa fretta, perché l’udienza era terminata. L’uomo fece un profondo inchino e uscì rapidamente dallo studio sorridendo e senza salutare. Mentre si avviava verso l’uscita del Castello, rifletté che era andata meglio del previsto. Si era preparato a battersi ma Alfonso si era dimostrato arrendevole e per nulla intollerante come glielo avevano descritto. Forse gli altri lo vedevano con occhio diverso dal suo e con molti pregiudizi, legati alla scala del potere, mentre lui si era accostato senza tabù o timori reverenziali.

Il Duca tirò il cordone di fianco alla sieda, aspettando l’arrivo del paggio.

“La carrozza è pronta?” domandò con tono duro di chi non ammette ritardi o incertezze.

“Vi aspetta da tempo nel cortile d’onore, mio Duca, con la vostra scorta personale”.

Alfonso, preso mantello e cappello leggero, si avviò speditamente lungo lo scalone che portava dove la carrozza era in attesa insieme alle guardie.

“Di volata al casale del Verginese” disse al cocchiere, che in un baleno preceduto dai cavalieri del duca uscì dalla città, dirigendosi a velocità folle per lo stato delle strade verso la destinazione finale. Le urla a incitare la coppia di cavalli e quelle della scorta che la precedeva si udivano per molte miglia intorno, suscitando la curiosità dei contadini, che osservavano chi fosse quel personaggio della corte che andava di fretta col rischio di uscire di strada.

“La mattinata è andata perduta. Metà pomeriggio è volato via. Rimangono gli spiccioli della giornata. Chissà se Madonna Laura è ancora là ad aspettarmi” rifletté sballottato dalla carrozza che correva a velocità pericolosa col pericolo di terminare la corsa in un qualche fossato o canale che costeggiavano il percorso.

“Oggi doveva essere una giornata di riposo senza impegni, da dedicare totalmente a Madonna Laura, che non ama i ritardi o le attese prolungate. E’ una dama intrigante che con quegli occhi castano mi ha stregato e rubato il cuore. Spero che sappia perdonarmi perché ha dovuto attendere così a lungo. Ma io cosa dovrò inventarmi per ottenerlo?”.

Mentre il duca rifletteva su di loro, Laura fremeva d’impazienza ed era sempre più infastidita dal ritardo senza spiegazioni e la mancanza di comunicazioni da parte di Alfonso. ” E’ vero. La città non è vicina ma per questo non si giustifica che non abbia mandato un paggio o un cavaliere fidato per annunciarmi che avrebbe tardato a raggiungermi” meditava, mentre era sempre indecisa tra l’ordinare il ritorno a casa e l’aspettare con pazienza l’arrivo.

Era giunta al casale di buon mattino e dopo averlo aspettato per il pranzo, l’aveva atteso per le prime ore del pomeriggio vanamente.

“Non mi piace mangiare da sola senza chiacchierare con qualcuno tra una portata e l’altra. Avrebbe potuto avvertirmi. Le possibilità di certo non gli mancavano, perché ormai mi dovrebbe conoscere. La puntualità innanzitutto. Ormai è quasi sera. Il sole si è abbassato sull’orizzonte. Sono qui in trepida attesa senza avere nessuna certezza”.

Un leggero vento si era alzato per mitigare la calura a tratti insopportabile di un agosto bollente, mentre le zanzare si apprestavano ad alzarsi in volo per il pasto serale. Laura vestiva un guarnello azzurro, legato in cintura da un cordone dorato. Era un abito leggero da popolana senza maniche e con una leggera scollatura ovale che metteva in risalto il collo candido e regolare. Di cotone fresco, adatto alla stagione, era indossato sopra il camicione bianco, che lasciava trasparire il seno. L’aria increspava le pieghe, insinuandosi tra la stoffa e la pelle, le dava un po’ di frescura.

La ragazza, seduta al riparo del pergolato di uva, che mostrava i grappoli di un bel dorato, avvolta da veli leggeri per proteggerla dalle punture delle zanzare, scrutava il vie d’ingresso nella speranza di vedere la carrozza ducale. Non sapeva se essere triste o arrabbiata per come era trascorsa la giornata tra noia e caldo afoso. Strategicamente era stati accesi dei bracieri dove bruciavano fiori essiccati dall’odore acre e pungente per proteggerla dal fastidioso e pericoloso insetto.

Stava riflettendo, pensando seriamente di chiedere di riportarla in città, quando udì la servitù gridare «Sta arrivando!». Un nugolo di polvere frammisto a roche grida si avvicinava all’ingresso del viottolo che conduceva al casale. Si alzò per osservare meglio, quando Zina, la cameriera assegnatale, le disse “E’ arrivato, finalmente!”.

Giacomo uscito dall’ingresso nord del Castello si diresse verso via Spazzarusco, dove avrebbe dovuto costruire il terzo cunicolo. Passando accanto al monte dei pegni, si affacciò sull’imbocco della via. Non era in grado di stabilire le problematiche relative a questo passaggio segreto, perché l’accesso dal rivellino nord gli era sempre stato precluso e di conseguenza non aveva potuto eseguire una ricognizione in quel tratto. Tempo qualche giorno e avrebbe colmato questa lacuna.

“Buona giornata, Messere” udì pronunciare dal una bella dama incrociata mentre si avviava verso via delle Rose.

“Buona giornata, Madonna!” rispose al saluto con un deferente inchino. “Ma chi sarà mai costei?” si chiese, proseguendo il cammino.

“Sembra che questo Giacomo sia famoso, un personaggio importante. Ma io non conosco nessuno. Rispondo per non dimostrarmi scortese. Però tutte queste dame, che sembrano fiori profumati, attratti da api impollinatrici, mi garbano e come”.

Di buon passo e allegro per come la giornata procedeva giunse alla fine della strada dove sull’angolo con via delle Rose c’era un immenso cantiere. Stavano costruendo un palazzo, del quale al momento si vedeva solo un grande buco. Era qui che il terzo cunicolo doveva finire.

“Per chi?” si domandò. “Per il Duca sicuramente. Ma quale dama avrebbe alloggiato qui per essere raggiunta in incognito dal lui?”.

La domanda rimase senza risposta, pensando che alla fine la questione non l’appassionava più di tanto. Al momento aveva altre questioni da risolvere, sicuramente più importanti di quel nome segreto. Si avvicinò a qualcuno che gli dava l’impressione di essere il capomastro per avere qualche informazione.

“Buona giornate, Messere” disse Giacomo, salutandolo con un ampio gesto della mano e del capo.

“In cosa posso esservi utile?” rispose guardingo l’uomo.

“Si da il caso che sia l’ingegnere del nostro amatissimo Duca, Voi sapete chi ha progettato la struttura?”

L’uomo strizzò gli occhi come se volesse metterlo a fuoco meglio. Poi si avvicinò per sincerarsi che la persona di fronte a lui non fosse un volgare impostore. Infine si sciolse un po’ e cominciò a parlare.

“Messer Giacomo, non vi avevo riconosciuto. Perdonatemi la scortesia con la quale vi ho accolto ma da diverso tempo persone curiose pongono domande non pertinenti sul palazzo che stiamo costruendo”.

“Non preoccupatevi. Avete ragione nel mostrarvi diffidente col primo venuto. La discrezione è una rara virtù” replicò sornione Giacomo.

“Se voi mi seguite in quella modesta casa addossata ai Giardini dei Padiglione, vi mostro le piante dei progetti” e si avviò seguito da Giacomo verso una modesta costruzione in legno.

“Molto interessante e ben fatto è il disegno del palazzo” disse complimentandosi con l’uomo. La sua attenzione si concentrò sulle cantine e la loro dislocazione. Aveva un buona memoria visiva e cercò di imprimersi nella mente dimensioni e posizione.

“Ora vi lascio ai vostri compiti di sorvegliare i lavoranti affinché eseguano a puntino le vostre disposizioni” disse accomiatandosi.

“Quando volete tornare sarete sempre il benvenuto” replicò l’uomo facendo un profondo inchino.

Giacomo se ne andò verso via dei Piopponi fischiettando. Una dama lo stava aspettando nei pressi del Monte dei Pegni.

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16 risposte a “Capitolo 33”

  1. Leggendo ci si cala perfettamente nell’atmosfera dell’epoca, grazie anche alle tue ricostruzioni e alle ricerche che staranno a monte, come quando descrivi ad esempio l’abbigliamento, ma lo stesso vale per i personaggi che sembrano saltare fuori dal blog, vivi e vegeti…
    un abbraccio

  2. Interessante questo Giacomo. Il nome l’hai preso a caso o richiama qualcuno che ti è caro?
    Nella storia, se ricordo bene, tutto è iniziato con lui e cammin facendo ci ha fatto conoscere altri
    bei personaggi.Quanto manca al nostro Giacomo per tornare nel nostro tempo?
    Baci baci
    Mistral

    1. Giacomo? Un nome a caso come molti dei miei personaggi. naturalmente dalla galleria dei nomi che mi piacciono.
      Quanto manca? Per voi ancora tanto per me quattro o cinque parti. Non credevo di riuscire a scrivere tanto. Poi seguendo l’impulso della fantasia si è allungato il brodo. Penso di sveltire la pubblicazione di quelle parti già pronte e di completare in fretta il mancante.
      Un bacio
      Gian Paolo

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