Capitolo 21

Giacomo si svegliò presto, prima del solito. Un’insolita frenesia, mista a curiosità, lo pervadeva senza che potesse metterci un freno. La stanza era buia ma dai pesanti tendaggi filtrava una bella luce luminosa a indicare che la giornata era serena e soleggiata. Ghitta dormiva nella stanza della servitù collegata alla sua con una porta semisocchiusa, dalla quale si udiva distintamente il sonno rumoroso della ragazza, rientrata la sera precedente al vespro stanca, sudata e accaldata dopo aver partecipato alla festa di San Giorgio. L’aveva ascoltata rincasare garrula e allegra e dopo un sommario lavaggio si era buttata sul letto, addormentandosi immediatamente come un sasso nello stagno.

“Dorme profondamente” disse sorridente, mentre si alzava per cominciare i preparativi per la vestizione. Era una delle incombenze che amava di meno o meglio che odiava. Rimpiangeva la sua epoca dove bastava un paio di pantaloni con la zip e una camicia di Oxford per essere pronto in dieci minuti. In questa il rituale era assai più complicato e nella migliore ipotesi non durava meno di un’ora. Una calzamaglia aderente, pesante o leggera, si indossava sopra delle braghe che fungevano da mutandoni, scomodi e poco pratici, specialmente per certe incombenze. Era disagevole da indossare e richiedeva l’aiuto di un cameriere. «Per fortuna ho Ghitta e l’operazione è più confortevole» si diceva tutte le mattine. Poi il corsetto e la blusa erano un altro supplizio, perché rosicchiavano da tutte le parti, specialmente nel collo. Calzava comode scarpe spagnole, così dicevano, per la loro forma. Queste erano le uniche che non creavano problemi.

Dunque Giacomo scivolò silenzioso fuori dal letto, scostò le tende di un pesante broccato rosso per far entrare la luce del nuovo giorno. Si annunciava una giornata calda per essere solo il 24 aprile. Nella giornata odierna avrebbe conosciuto finalmente il Duca, il suo datore di lavoro, e avrebbe imparato quali erano le sue reali funzioni.

“Dicono che sono l’ingegnere del Duca. Ma probabilmente è un mestiere differente da quello di cui ho nozione. Un nuovo tassello si aggiungerà agli altri che ho scoperto in questi mesi”.

Nel formulare questi pensieri la sua mente andò su Giulia e Ginevra e sui quei dieci giorni trascorsi nel loro palazzo. Il ricordo era indelebile e gli sarebbe piaciuto ripeterlo ma non era possibile. Ginevra, la vedova caldissima, aveva trovato un nuovo spasimante, Aloiso Gonzaga, marchese di Castel Goffredo, e terminato il lutto sarebbe convolata a nuove nozze. Giulia era diventata la dama prediletta di Laura d’Este e non aveva più tempo di dedicarsi a lui, ammesso che ne avesse avuto tempo e voglia.

Si stava dando una rinfrescata, usando l’acqua preparata la sera precedente, quando Ghitta irruppe nella stanza avvolta in un goffo e ruvido camicione da notte. A Giacomo venne un moto di ilarità nel vederla a piedi nudi, scarmigliata e assonnata, mentre si affannava ad affermare che la doveva chiamare, che la doveva comandare, che era sveglia da un pezzo, che fingeva di dormire come i gatti.

“Ghiita, state tranquilla. Mi sono levato dal letto e ho cominciato a prepararmi. Un’ora prima del tocco il nostro Duca mi riceverà ..”

“Andate a corte? Al Castello al cospetto del nostro Duca?” diceva sgranando due grandi occhi color nocciola, mentre l’aiutava nel completare la vestizione.

“Certamente. Andrò ad ascoltare quello che mi dovrà dire”.

Quel camicione dal colore indefinito per i troppi lavaggi dava un tocco di sensualità alla ragazza, facendo intuire che sotto non ci fosse niente. Giacomo era troppo concentrato sul prossimo incontro con Alfonso per accorgersi del messaggio sessuale che emanava. La salutò sfiorandole la fronte con le labbra e si avviò verso l’ingresso.

Puntuale si presentò a corte al cospetto del segretario del Duca, scoprendo che era lo stesso personaggio incontrato qualche mese prima nel palazzo della contessa Giulia. Stranamente ne ricordava il nome, perché era un nome familiare.

“Buongiorno, Messere Bernardino. Il nostro eccellentissimo Duca mi ha convocato nel suo studio” esordì quando ne fu al cospetto.

“Vi annuncio. Il nostro illustrissimo Duca vi sta aspettando”.

Entrato nello studio ducale, Giacomo lo osservò seduto sulla sua savonarola, mentre gli faceva un ampio gesto di accomodarsi di fronte a lui. Gli fece una strana impressione, o almeno così gli sembrò, di una persona burbera e rude ma dal temperamento benevolo, imprevedibile e alquanto lunatico. Lo ricordava vagamente in un quadro del Dossi imponente e con la folta barba nera. Però dal vivo gli appariva meno prestante, più mingherlino con le mani affusolate come quelle di un artista. Sicuramente era un personaggio sensibile al bello e all’arte, confortato nell’idea dopo aver scrutato con cura lo studio ducale. Si riscosse dai pensieri che l’avevano trasportato in un’altra realtà e ascoltò quello che il Duca diceva.

“Vi ho convocato, perché intendo affidarvi un incarico delicato e molto riservato. Mettetevi comodo” e gli allungò un rotolo dove erano segnate vie e piazze con segni colorati che partivano dal Castello.

“Come vedete dal rivellino nord si dipartono delle linee. Sono due uscite segrete che conducono una verso la porta degli Angeli e l’altra in un parco in fondo alla Zuecca” e fece una sosta per consentire a Giacomo di mettere a fuoco i segni della pianta.

“Vedo, mio Signore. Ma se esistono cosa posso fare per voi?” mormorò cauto l’uomo non sapendo dove voleva andare a parare con queste informazioni.

“Voi dovrete con personale di vostra fiducia e muti come un pesce fare una ricognizione dello stato nel quale versano i due percorsi. Dovrete fare in modo che possano essere percorsi in tutta sicurezza, assicurando un’illuminazione efficiente e la possibilità di camminare ritti e armati” continuò ignorando le parole di Giacomo.

“Infine dovrete predisporre una deviazione del percorso della Porta degli Angeli sull’angolo del Monte di Pietà di via Spazzarusco verso la casina delle rose, un edificio che è qui indicato con una croce” e mostrò a Giacomo sbigottito e un po’ allarmato un vistosa croce quasi sull’incrocio tra via Spazzarusco e via delle Rose.

L’uomo era in agitazione per diversi motivi. Il primo era che non aveva manovalanza capace, riservata e muta. Per dirla tutta e in breve non esisteva per nulla e non sapeva come procurarsela. Il secondo non era in grado di valutare la rischiosità dell’ispezione. Il terzo ignorava le motivazioni di collegare il percorso di via degli Angeli con quell’edificio ma questo era un dettaglio irrilevante, degno solo della sua curiosità. Quarto particolare, ma non sicuramente il più trascurabile, era con quali fiorini avrebbe finanziato l’impresa, visto che la borsa. inizialmente piena, adesso stava scarseggiando e non sapeva come rimpinguarla.

Cercò di non manifestare dubbi e preoccupazioni, annuendo energicamente, come se tutto fosse chiaro. Ci sarebbe stato tempo per risolvere i quesiti che si stava ponendo.

“Quando devo fare, quanto da voi richiesto, o mio eccellentissimo Duca?” chiese con un filo di voce non privo di apprensione.

“Da subito!” replicò spazientito Alfonso, che faticava a fornire spiegazioni su quello che aveva intenzione di fare nel futuro.

“Siete pagato per questo lavoro. E anche lautamente” aggiunse irato il Duca e con un gesto lo congedò.

Giacomo fece un profondo inchino e camminando a ritroso guadagnò la porta di uscita. Teneva in mano la pianta con le segnalazioni che aveva discusso col Duca e nella testa tutti i dubbi sorti col colloquio. Quel «pagato lautamente» continuava a galleggiare pericolosamente nella testa, perché non gli risultava di aver ricevuto scudi o fiorini d’oro in questi mesi. Adesso che doveva assolvere a un compito, della cui portata non immaginava le proporzioni, doveva estrarre dalla borsa che portava in cintura un bel po’ di lire marchesane per assoldare personale in grado di lavorare per lui, sperando di averne a sufficienza.

Sceso nel cortile d’onore, lo attraversò dirigendosi verso il rivellino nord alla ricerca dell’ingresso dei due cunicoli. Non aveva molte speranze di ritrovarli senza l’aiuto di qualcuno. Doveva confidare nella sua buona stella.

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18 risposte a “Capitolo 21”

  1. Formidabile la descrizione della vestizione di Giacomo. Io apprezzo molto chi, oltre a scrivere bene, si documenta in modo serio. Per questo rido (per non piangere) quando sento parlare della pessima Licia Troisi. E la pubblica la Mondadori! E tu allora? E Nunzia? E Briciola?
    Va beh, così va il mondo.
    Un caro abbraccio!

    1. Alessandra ti ringrazio per avermi paragonato a scrittori che pubblicano e vendono migliaia di copie. Io resto coi piedi per terra.
      La vestizione nei tempi andati era un aspetto decisamente difficile e un impegno non banale. Mi sono sempre chiesto come facessero per rispettare gli obblighi delle necessità urgenti, che anche ai nostri tempi a volte sono difficoltose.
      Grazie ancora e un grande abbraccio

  2. Ciao Gian Paolo, concordo pienamente con Alessandra, sei davvero bravo.
    In ogni episodio, si nota bravura, documentazione e amore per il proprio “lavoro”
    Grazie a te, ho la sensazione di vivere in quell’ epoca tra Giacomo, Laura,il Duca e…
    Non conosco La Troisi,(non posso esprimere un parere) ma se viene pubblicata dalla Mondadori o è
    “brava” oppure ha qualche “santo” in paradiso
    Un buon inizio con abbraccio
    Mistral

    1. I complimenti fanno sempre piacere, ci mancherebbe altro, ma resto coi piedi ben piantati per terra. E non per falsa modestia ma conscio dei miei limiti di narratore. Perché limiti? Nel momento che quello che scrivo piace a una serie di persone, ma non è di gradimento per altri, vuol dire semplicemente che devo ancora lavorare per attirare anche quelli a cui non piaccio.
      Grazie, comunque, Mistral per le tue belle parole. E’ un ulteriore stimolo a migliorare.
      Un grande abbraccio

  3. Scena di vita comune che mette allegria e curiosità. Da una parte il nostro eroe e i paragoni con la moda atttuale. Dall’altra una servetta assonnata e scarmigliata reduce da una festa, rimastale nel cuore e nella memoria.
    L’incontro con il Padrone e datore di lavoro, poi ci dona una scena appassionata. Nel senso che sorpresa, inquietudine, un filo d’arroganza e copiosi dubbi, s’intrecciano con la giusta passione.
    Meno male che c’é chi sa scrivere bene e fa apprezzare una calibrata miscela di storia e fantasia.
    Neanche il caldo fa diminuire la tensione di questo racconto.

    1. Cosa replicare a un commento talmente positivo che entra come aria fresca dalla porta principale?
      Nulla a parte i consueti ringraziamenti dello scrittore, che sembra quasi a gongolare per la soddisfazione ma che invece trema per la paura.

  4. …come al solito sei molto meticoloso nelle descrizioni e questo è un ottimo pregio per uno scrittore, io per esempio non riesco ad essere così precisa! ma la descrizione particolareggiare contribuisce a “costruire la scena” è parte integrante del racconto e lo contestualizza. Tu in questo sei maestro…

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