Angie aveva trovato a fatica una stanza presso Black Wharf’s dopo aver pregato una vecchia arpia a lungo. Non era stato facile convincerla, ma dopo molte insistenze aveva ceduto.
“Però il bagaglio non entra” aveva detto la proprietaria dopo l’estenuante battaglia per l’accettazione.
“Non posso lasciarlo sulla banchina!” aveva replicato Angie, tentando di moderare la voce e le parole senza riuscirci in maniera convincente.
“E’ troppo ingombrante! E poi non ho nessuno che possa trasportarlo in camera!”.
“Non mi dica che non ha nessuna stanza al piano terra da usare come deposito! Io riparto con postale delle dieci di domani mattina. Non mi interessa portarlo in camera”.
Dopo una lunga discussione dai toni accesi, finalmente il baule e le due grandi borse trovarono ospitalità nel sottoscala buio e umido.
“Fanno 20$ da pagare in anticipo” aggiunse acida la vecchia megera, che assomigliava più alla maitresse di una casa di appuntamento piuttosto che alla gerente di un albergo.
“Mi sembra una rapina! Venti dollari per una notte senza la colazione è esagerato” disse veemente Angie che stava perdendo le staffe.
“Prendere o lasciare! Se lei vuole la stanza, questo è il prezzo! Né un cent di più, né di meno. Il prezzo lo faccio io. Questa è la cifra che ricaverei per tutto il tempo che lei occupa la stanza”.
Angie ebbe un moto di smarrimento, interrogandosi in quale bettola era capitata. Si guardò intorno impacciata e sentì un brivido correrle lungo la schiena. Non era di freddo ma di sottile paura, perché i visi degli altri ospiti non erano del tutto rassicuranti.
“Dunque l’impressione che sia un albergo a ore è giusta! Ma io non posso girare Wenona alla ricerca di qualcosa di meglio!” rifletté in un attimo, prima di riprendere la schermaglia con la donna.
“Almeno mi può servire qualcosa in camera?” chiese dubbiosa sul buon esito della domanda.
La gerente la guardò di sbieco come se avesse pronunciato una bestemmia sull’altare maggiore al cospetto dei fedeli.
“Vuole la cena servita in camera? Non ho il ristorante, ma se lei è disposta ..”.
Spazientita Angie scosse la testa come se fosse infastidita da tutte quelle discussioni. Era nervosa perché Dan aveva mancato l’appuntamento, era impaurita perché era finita in posto non molto raccomandabile, era affamata perché erano molte ore che non mangiava nulla. Insomma aveva un diavolo per capello.
“Senta, quanto vuole ancora?” chiese quasi rassegnata ma incollerita.
“Non lo so. Dipende da quello che mi chiede Bob”. Il tono della voce era distaccato, mentre allargava le spalle in segno di incertezza.
“E Bob chi sarebbe, di grazia?”.
“E’ il cuoco del ristorante accanto alla mia pensione. Poi dipende da cosa vuole mangiare. Che ne so cosa vuole ordinare”.
“Ho capito! Ho capito! E’ meglio che faccia un salto nello store qui accanto. Mi pare essere finito in un covo di ..” e tacque per non compromettere una situazione al limite dell’assurdo, prima che la maitresse cambiasse idea sbattendola sul marciapiede innevato.
“E’ ancora in tempo se vuole andarsene. Io non la trattengo. Alle sue spalle c’è la coda che aspira alla sua camera! Ci sono altre pensioni in città. Non esiste solo la mia. Dunque paga questi venti dollari o le devo buttare i bagagli nella neve?” ringhiò la vecchia inferocita.
“Tenga i suoi venti dollari e che ..” e mise sul bancone due banconote da dieci prima di tacere per sempre.
Salita in camera furente e col sangue in ebollizione, depositò la borsa da viaggio nella stanza al primo piano. Senza darsi una rinfrescata ridiscese immediatamente per andare nello drugstore adiacente alla pensione per acquistare qualche genere alimentare. Con una borsa di carta piena di cibo e bevande si avviò con passo deciso, senza salutare la vecchia, per le scale oer raggiungere la stanza.
Si barricò dentro mettendo una sedia sotto la maniglia per quello che poteva servire. La camera era ampia con un letto matrimoniale di fattura scadente, un armadio in cattivo stato e in un angolo un portacatino rugginoso con annesso catino scrostato, il piattino, la brocca e un minuscolo asciugamani. Sotto il letto c’era un pitale dall’aspetto poco invitante per l’uso intenso e la scarsa pulizia.
“Tutto questo per venti dollari! E poi dove sono finita? Credo che difficilmente riuscirò a prendere sonno stasera. La stanza è gelida. Se non mi copro per bene, domani sono un pezzo di ghiaccio. Adesso diamoci da fare con questa minuscola stufa. Speriamo che l’arpia abbia messo legna a sufficienza. Con venti dollari mi compro una legnaia intera!”.
Accesa la stufa e controllata la scorta di legna, prese un po’ di pane e formaggio dalla busta per calmare la fame.
Ricapitolò tutte le disgrazie capitate, ma era inutile recriminare. Un tempo così inclemente avrebbe scoraggiato tutti meno lei. Dunque era colpa sua se si trovava in questa situazione sgradevole.
Dalla borsa da viaggio estrasse uno scialle di morbida lana e dei guanti di foderati di agnello, che indossò per proteggersi dal freddo. Spostò un dondolo di vimini vicino alla stufa, che era il punto più caldo della stanza. Recuperò dal letto e dall’armadio con le ante pericolosamente in bilico tutte le coperte utilizzabili che depose sul dondolo. Si sarebbe ricoperta con queste durante la notte, mentre adesso ricevevano quel poco di calore che la stufa emetteva. Sperò solo che non contenessero ospiti sgraditi, vista la scarsa pulizia che regnava ovunque. Le lenzuola, un tempo bianche, adesso erano di un colore che virava tra grigio sporco e il giallo opaco e non odoravano di sapone.
Guardò fuori dalla finestra senza vedere nulla: uno strato denso e sporco di ghiaccio impediva qualsiasi visuale esterna.
“Sarà un pomeriggio e una notte lunga quello che mi aspetta. Il tempo non passerà mai”.
Mise la busta con gli acquisti su una sedia vicino al dondolo, perché era sicura che il gelo li avrebbe conservati perfettamente nonostante la stufa producesse il massimo del calore possibile, equivalente a poco più di un alito appena fuori dal freddo.
E si preparò alla lunga veglia.
Un’alba lattiginosa e fredda l’accolse avvolta nelle coperte dopo una nottata popolata da incubi e rumori provenienti dalle stanze contigue.
Le era sembrato di ascoltare quel continuo scalpiccio di scarpe rumorose che salivano e scendevano le scale, come se fosse un pellegrinaggio di devoti. Quello che l’aveva terrorizzata maggiormente erano stati i gemiti e le bestemmie per nulla dissimulate che era stata costretta a udire con una certa frequenza. Più di una volta aveva avuto la percezione che qualcuno avesse provato a forzare la maniglia della porta d’ingresso senza successo.
Non meno angoscianti erano stati nelle pause di silenzio i sogni nei brevi dormiveglia nei quali cadeva stremata dalla stanchezza. Però assomigliavano maggiormente a incubi che a visioni oniriche. Quello più ricorrente era che uno sconosciuto entrava e la possedeva brutalmente nel letto senza che lei potesse opporre resistenza. Nessun piacere ma sensazioni dolorose pervadevano il corpo mortificando sia il fisico sia la mente.
Al risveglio queste impressioni erano talmente vivide che si domandava se fossero state realtà oppure no, mentre un debole chiarore illuminava la stanza e lei avvolta nelle coperta accanto alla stufa.
“Tra non molto potrò riprendere la via di casa. Questa esperienza marchierà a fuoco la mia carne. Sarà molto difficile dimenticarla. La delusione provata è talmente grande che non ho più parole per descriverla e valutarla. Non mi sarei aspettata un simile comportamento da parte di Dan! Se vorrà, sarà lui a venire a Holland Island! Mai più affronterò un viaggio con tutte queste incognite!”.
Era immersa nei suoi pensieri, quando sentì un bussare deciso e una voce che diceva «Miss Fairbanks! La sveglia. Sono le nove!».
Era talmente intorpidita dal freddo che le parole rimasero dentro di lei. Mangiò le ultime porzioni di cibo rimaste, si sistemò alla belle meglio, poi discese nella reception per chiedere un aiuto nel trasporto dei bagagli.
Alle dieci e mezza il postale si staccò dal molo per prendere la direzione verso Holland Island.
La giornata minacciava nuova neve e l’aria era tagliente come una lama del coltello.
“Mi è sufficiente arrivare a casa e poi può scendere tutta la neve del mondo che non me ne interessa nulla”.
Osservava Chesapeake Bay e il grigiore delle acque gelide solcate da qualche lastra di ghiaccio.
Alle undici e trenta il postale scaricava il suo carico di essere umani e di derrate alimentari. Angie scese a terra alla ricerca di un facchino per i bagagli, ma scoprì la presenza di Dan che attendeva l’approdo dell’imbarcazione.
Non sapeva se essere contenta o mostrare il disappunto perché non era al molo di Wenona ad attenderla.
“Angie! Dov’eri? Sono arrivato ieri per venire a prenderti, ma non ti ho trovata. Ho saputo che eri partita per Deal Island e quindi ho atteso con impazienza il tuo arrivo. Finalmente posso stringerti!”.
Lei si abbandonò a un pianto liberatorio e disse «Troviamo un facchino per i bagagli e poi andiamo a casa. Non vedo l’ora di rifugiarmi tra le mura amiche!».
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Guarda: tutta la prima parte è semplicemente strepitosa! Con un pizzico di ironia, e di cinismo, hai reso la megera un personaggio indimenticabile, anche se suppongo che il suo ruolo termini qui.
Ottimamente descritti anche i pensieri della "povera" Angie. Avevo già letto ieri sera, ma ero stanca e intendevo rileggere con la dovuta attenzione e calma.
Un abbraccio 🙂
Mi fa molto piacere che la prima parte ti sia piaciuta. Quando ho pensato e scritto i due capitoli precedenti ho immaginato questo e il prossimo. Così li ho scritti di getto limandoli solo.
Spero che anche il prossimo sia di tuo gradimento.
Un abbraccio
Quando si scrive di getto, in genere, funziona sempre!
A patto di avere la stoffa, ovviamente…
Ti ringrazio per la stima e la costante attenzione.
Un abbraccio
Meno male… stavo mettermi a piangere io per la delusione!.. Dopo una nottata così, ci voleva proprio una sorpresa del genere!.. Adesso può anche nevicare per settimane, così se ne possono restare chiusi in casa molto a lungo!!!!.. Baci Baci
Misia, hai letto nel pensiero a Angie.
Un abbraccio