Lo skipjack fila leggero sulle acque della baia grigiastre striate leggermente di giallo. La prua taglia le piccole onde che increspano la superficie, lasciando alle spalle una scia che si allarga, si inerpica e discende placida sull’orizzonte.
Ellie continua rimanere vicino alla punta dell’imbarcazione, mentre sente il vento gelido che si insinua tra il collo e il pesante maglione. Una ventata fredda che scivola sulla pelle che reagisce con brividi lungo la schiena.
“Signorina Ellie, venga sottocoperta. Si prenderà un accidente se rimane ancora un minuto lì. Può osservare la baia attraverso i vetri della cabina al riparo del vento e degli spruzzi del mare”.
Il capitano l’osserva perplesso e timoroso, sperando che il suo appello venga raccolto.
Lei a malincuore si stacca dalla prua per scendere nella cabina, riparandosi dal vento invernale che spira da nord.
Lo skipjack è suo. L’aveva visto abbandonato in uno dei tanti piccoli approdi che si affacciano sulla baia. Era in cattive condizioni. Il bianco dello scafo era un pallido ricordo, tutto scheggiato e diventato un giallo sporco ricoperto dal verde delle alghe. L’albero sembrava un dito proteso verso il cielo. Si leggeva a malapena il nome: Rebecca.
Aveva letto che lo stato del Maryland aveva lanciato una crociata per salvare gli ultimi superstiti navigli che avevano fatto la storia dei pescatori di ostriche del Chesapeake Bay, chiedendo l’aiuto a privati e fondazioni.
Ne aveva sentito parlare dal nonno Pat, che le aveva raccontato storie fantastiche su questa imbarcazione, capace di solcare le acque in tempesta della baia, dragando i bassi fondali alla ricerca delle ostriche. Storie vecchie di decenni, ma sempre attuali nella sua mente.
“Che me ne faccio?” si domandò Ellie, osservando quello scafo spiaggiato su un fianco come un cetaceo morente.
“Non so manovrare una barca, né issare una vela. E poi è talmente messo male che forse non si riuscirebbe nemmeno a metterlo di nuovo in linea di galleggiamento. Oltre alle spese per rimetterlo in sesto, al rimessaggio nel porto di Wenona, mi devo trovare anche un capitano disposto a governare la barca. Una pazzia! Però … ha un fascino irresistibile”.
Lei allora aveva poco meno di ventotto anni e nessuna pratica di mare, ma non riusciva a staccare il pensiero da quello scafo corroso dal mare e dimenticato dagli uomini. Il nonno le aveva lasciato un bel deposito di dollari e buoni del tesoro nel conto presso la Hebron Saving Bank di Princess Anne dove abitava da sola in un piccolo cottage di legno. Quindi non doveva chiedere il permesso a nessuno, sarebbe stata autonoma, se voleva fare questa pazzia. Doveva solo cercare un marinaio disposto a prendersi cura della nave, affittare un posto barca nel porto e affidare a un cantiere il restauro dello skipjack.
E così fece. Trovò un vecchio marinaio che fu felice di gestire l’imbarcazione, assistendola nell’acquisto e procurandole gli artigiani che rimisero in sesto Rebecca per essere pronta a solcare ancora una volta le acque del Chesapeake Bay.
Il recupero fu costoso, forse anche fin troppo, ma alla fine la linea bassa e larga dell’imbarcazione faceva un effetto bellissimo ancorata al molo del porto. Aspettava solo che qualcuno la portasse nuovamente a solcare quelle acque che aveva conosciuto quasi cent’anni prima.
L’anno di costruzione era 1914, quando era nato il nonno Pat. Dunque era un segno del destino. Tutto sembrava congiurare a suo favore.
La prima uscita è stata nel 2009, dopo che tutte le pratiche burocratiche erano state espletate, e la destinazione è stata Holland Island. Era primavera, un giorno di marzo limpido e sereno dopo un inverno lungo e burrascoso. Quando il capitano Wade Krantz sciolse gli ormeggi per affrontare il primo viaggio, Ellie non sapeva se piangere o ridere per la felicità. Era un’emozione che non riusciva a quantificarla perché quel sogno, che era sembrato a tutti, familiari e amici, un’autentica pazzia, un gettare nell’immondizia un bel pacco di dollari, invece adesso era una realtà invidiata. Nessuno adesso aveva nulla da ridire.
Con dolcezza Rebecca si staccò dal molo, allargando la vela maestra per prendere velocità. Il capitano la condusse con perizia fuori dal porticciolo interno di Wenona per raffrontare le acque della baia, che stranamente non erano torbide. Sembravano festeggiare il suo ritorno alla vita ed erano in festa.
La forte chiglia scivolava leggera e veloce sospinta da una brezza leggera che spirava da sud est, mentre Ellie stava seduta a prua a prendere in viso l’aria pungente di inizio primavera.
Lei assaporava il gusto salmastro che la baia trasmetteva, mentre l’acqua sciabordava lungo le larghe fiancate dello skipjack.
“Signorina Ellie!” disse il capitano Krantz, richiamando l’attenzione della donna “Venga qui al timone della sua barca”.
Lei incerta si avvicinò a quella grande ruota lucida e scura, timorosa nel toccare quell’oggetto.
“Non ho mai preso in mano un timone” protestò flebilmente.
“E’ facile. Basta osservare questo strumento qui e tenere la rotta che fisso”.
“E come faccio?” rispose dubbiosa.
“Vede questa lancetta rossa?”.
“Sì”.
Deve rimanere fissa in questa posizione”.
“E se si sposta?”
“Vuol dire che lei ha mosso il timone. Quindi azionando la ruota dolcemente deve riportare la lancetta rossa in questa posizione. E’ tutto semplice. Poi non si preoccupi, ci sono sempre io a guidarla”.
E le cedette il comando della barca.
Ellie non credeva ai suoi occhi che fosse in grado di guidare una barca a vela.
“Sembra facilissimo!” urlò per la gioia.
“Non si distragga troppo! Basta un colpo di vento e ..” rispose pacato il capitano.
“E cosa succede?” domandò incuriosita e in apprensione la ragazza.
“La barca è solida, ma noi rischiamo di finire a mollo”.
E un largo sorriso comparve sul viso abbronzato del capitano. Ellie ebbe un moto di paura pronta a cedere il comando all’uomo.
“Basta leggere l’anemometro, osservare le vele che siano sempre gonfie e la strumentazione accanto alla bussola e..”
“E’ troppo difficile per me osservare tutti gli strumenti e agire di conseguenza! A malapena riesco a tenere la barra dritta e la prua puntata su Holland Island. No, no! Troppo complicato” e riconsegnò scura in volto il timone al capitano che rideva soddisfatto.
“E’ stata brava! La barca filava a quasi 8 nodi e lei non l’ha mai fatta deviare dalla sua rotta”.
Ellie osservava l’avvicinarsi dell’isola dei suoi sogni.
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Per un'appassionata di mare e di barche come me, questo post è una vera chicca.
I ricordi sono resi lucidamente, e il racconto della prima navigazione cattura gli occhi e il cuore. Ero certa che Ellie se la sarebbe cavata magnificamente.
Un caro abbraccio!
Per chi non è andato per mare è stato un esercizio difficile rimanere in equilibrio tra realtà e fantasia senza scrivere troppe corbellerie.
Un abbraccio, carissima Anneheche.
d'accordissimo con Anne! (già che ci sono ciao Anne!)
mi piace moltissimo quando scrivi con questo stile trovo sia il più adatto a te!
Cerco di adattare lo stile al genere di riacconto.
Grazie e un grande abbraccio
Blog interessante, complimenti per i tuoi scritti, un saluto!!
Concordo con Frutta! questo stile ti si adatta molto!.. Sono curiosa di vedere come si snoderà tutta la storia.. passata e presente! Baci Baci
ps. anch'io avrei tanta voglia di un bel giretto in barca!
Misia, sali a bordo del Rebecca e farai un bel giro nella Chesapeake Bay. Non è come quello che conosci tu, ma è interessante.
Grazie per i co mplimenti.
Un abbraccio
e come non lasciarsi trasportare scivolando sulle onde, sospinti dal vento, con quel profumo speciale che solo il mare profonde?
e poi dalla barca tutto viene visto con un'ottica diversa… ci si crede tanto vicini e invece si è molto lontani… perfino i sogni rimangono collocati in uno spazio indefinito dove galleggiare… e ci sembra quasi che si possa rimanere lì in eterno, senza dover mai giungere in nessun porto…
ma qui il viaggio ha una destinazione precisa e presto il nostro Bear ci farà sbarcare ad Holland Island… eheheh…
baci
Hai descritto con la maestria e abilità, che è una delle tue tante doti, le sensazioni che viaggiando su una barca si percepisce.
Grazie Dalloways per la tua costante e attenta presenza.
Un abbraccio
ho una voglia di fare un paio di giorni in barca…
Una domanda caro New: come mai spesso usi nomi stranieri? Oltre al fatto che ambienti tutto in terra d'oltralpe?
P.S. se continui a farmi i complimenti (Che so essere sinceri), mi fai montare la testa… quella, come ho scritto, è la prima parte.
Passeggio, non uso abitualmente nomi stranieri e non ambiento oltraple di norma, a parte gli ultimi due e un altro ambientato a Parigi. Per il resto resto sempre in Italia.
Il motivo degli ultimi due? L'ultimo ho letto articoli italiani, ma molti stranieri sull'isola che non c'è più e questo mi ha dato l'idea di ambientare una storia su questa. Quello precedente era un racconto breve (una paginetta scarsa) ambientato a New York. L'ho ripreso e ampliato.
Direi molto semplice.
Aspetto la seconda parte dell'intervista, molto interessante.
Un saluto
Hai descritto questa uscita in mare con la vela in un modo appassionato, senza, però, stravolgere la realtà con troppa falsa poesia.
BravoBravoBravo!
Essere in vela, sentire tutti i particolari rumori che il vento fa nascere con la sua voglia di restare immutato per ore o di cambiare improvvisamente…essere in una dimensione in cui nulla ha una reale dimensione neppure il tempo e le distanze.
Ero su quella barca e sognavo… ad occhi chiusi io sognavo…
Ellie, invece, osserva l'avvicinarsi dell'isola dei suoi sogni…
Un abbraccio, caro Bear
Aura
Aura, sei sempre acuta e efficace nei tuoi commenti, che sono intrisi di una vera poesia, come un animo sensibile come il tuo può produrre.
Ho cercato di non enfatizzare l'uscita in barca per non correre il rischio di scadere nel banale.
Grazie per avere colto questo mio tentativo.
Un grande abbraccio
Leggere il tuo racconto ha suscitato in me il desiderio di partire in mare.
Eppure…nella realtà, io non posso nemmeno mettere piede su di un pattino per motivi di stomaco delicato.
Allora…
sogno di viaggiare insieme alle onde…
con i gabbiani a seguire la mia scia.
Un abbraccio
Grazie Mimosa per le belle parole e spero che viaggiando su Rebecca non soffrirai di mal di mare.
Un abbraccio
bloccati dalla tempesta a pochi metri dalla riva?
nell'attesa dell'approdo, un abbraccio…
Io aspetto con pazienza
Anneheche, questo è un periodo molto incasinato e trovare un po' di tempo senza qualcuno che ti reclami sembra difficile. Però spero in tempi brevi di proseguire, prima che la penna si raffreddi troppo.
Un abbraccio.
Lo skipjack che cos'è di preciso?
Volevo domandartelo l'altra volta…
P.S. hai ragione, usi nomi italiani, ma mi sono lasciato irretire dagli ultimi due. 🙂 Altrimenti sembra che non ho mai letto niente di te…
Sei troppo gentile con i tuoi commenti… grazie. 🙂
Lo skipjack è una tipica imbarcazione della Chesapeake Bay. Un tempo usata per la raccolta delle ostriche, ora usata come natante per i turisti. Un po' quello che succede adesso sulla costa romagnola.
No, so che di nascosto mi leggi!
Un saluto e grazie per la visita.