I giorni si snodavano leggeri e quieti, mentre i due amanti erano sempre più uniti.
Goethe trasformò Iphigenie in Tauris in un’opera teatrale, la lesse dinnanzi ad Angelica, che paziente ascoltò il testo. Poi si dedicò ad immaginare le scene, che dipinse con la consueta maestria, mentre il poeta era soddisfatto del lavoro riuscito.
Il viaggio in Sicilia era servito a lui per ritrovare la vena poetica e una splendida amante, a lei per rinsaldare il vincolo amoroso.
Angelica non riusciva a lavorare molto allo studio, perché spesso accompagnava Goethe in giro per la città che conosceva bene e perché il suo italiano perfetto le consentiva di tradurre i pensieri del poeta.
L’unica opera importante, iniziata durante l’assenza di Goethe, era il ritratto del principino di Gloucester e di sua sorella, che terminò con un po’ d’affanno alla fine dell’estate come quello della baronessa de Kruederer, perché era sempre impegnata con lui.
Il poeta non aveva trovato di suo gradimento il suo ritratto, perché era troppo semplice e non solenne come quello dell’amico Tischbein. Tuttavia l’accettò sia pure senza troppo entusiasmo, lasciandolo nello studio di Angelica.
“Angelica,” disse Goethe, guardando quel ritratto ormai terminato sul cavalletto, “ mi avete ritratto troppo modestamente. Sembro dimesso e senza importanza”.
“Wolfgang,” rispose la donna “io ti vedo così: bello, giovane e dai lineamenti nobili. Ti sembra troppo dimesso? Allora lascialo, lì sul cavalletto, affinché io lo possa ammirare, quando un giorno tu deciderai di tornare a Weimar. Si, lo so e lo sento, che tra un po’ affronterai il viaggio di ritorno. Non dire nulla! Così posso cullarmi nell’illusione che tu resterai sempre qui con me”.
Goethe stava per replicare, ma tacque, perché sapeva che tra non molto avrebbe cominciato i preparativi per tornare in Sassonia, a Weimar.
Si avvicinò ad Angelica, la prese tra le braccia baciandola con passione, mentre lei si lasciava trasportare dai sensi.
“Si, lo sento che Wolfgang sta meditando il ritorno a casa. Lo sento inquieto, stanco del girare per Roma. La vena poetica si sta affievolendo a poco a poco. Ora scrive pochissimo, qualche ritocco in qua e in là. Riuscirò a sopravvivere senza di lui, senza la sua presenza, senza il suo corpo nel mio letto? Io sento amore per lui dentro di me, che arde alimentato dalle mie mani, dalle sue mani. Adesso sono solo le mie che aggiungono della legna per tenere vivo il fuoco della passione. Mi sta baciando con passione. Ma è vera passione la sua? Mi ricordo quei versi che ho ascoltato tempo fa ‘Ob ich dich liebe, weiss ich nicht’ Si, se mi ama non lo so!”
Dopo quel lungo bacio Angelica si staccò da lui e lo prese per mano per condurlo di sopra nel grande letto che aspettava impaziente il caldo dei loro corpi.
“Godiamoci ancora questi momenti finché lui è qui e mi desidera ancora! Verranno tempi che io starò sola in queste stanze coi miei pennelli, i ritratti di tanti committenti nobili senza potere assaporare la passione, l’esser donna innamorata e trepidante” questi erano i pensieri che si accavallavano nella sua mente con tristezza e nostalgia, mentre salivano le scale per consumare alcune ore di passione.
Era una fresca giornata di Settembre ancora soleggiata e calda, quando Angelica volle condurre Goethe a visitare il famoso palazzo Barberini, ospiti di Cornelia Costanza.
Il palazzo era famoso per le numerose tele che adornavano le grandi stanze poste al primo e secondo piano e l’ampia scala elicoidale del Borromini.
“Wolfgang, questo è uno dei più belli di Roma. E’ ricco di quadri ed affreschi, ma non voglio toglierti la soddisfazione di vederli filtrati dal mio gusto estetico. Cornelia è rimasta vedova da pochi mesi ed è tornata nel suo vecchio appartamento, dove ci riceverà. E’ una donna minuta, apparentemente fragile, ma dal carattere deciso ed orgoglioso. Ti stupirà!”
Il cancello era aperto per accogliere gli ospiti: un rigoglioso giardino all’italiana li accolse con cespugli di rose di tutti i colori, mentre un’imponente magnolia ombreggiava una parte.
Sembrava un tipico palazzo cittadino, ma l’ampio giardino, che circondava la costruzione, e lo spazioso cortile faceva pensare ad una bella villa suburbana. All’interno dello spazio chiuso da alte mura c’era un teatro dove si svolgevano rappresentazioni teatrali o musicali. Nell’ingresso furono accolti da Cornelia, che fece gli onori di casa.
“Nobildonna Cornelia, “ disse Angelica, che già la conosceva, “questo signore è Johann Wolfgang Goethe, il famoso poeta tedesco, che è venuto in Italia per ammirare Roma, i suoi monumenti e le tutte le opere ivi ospitate”.
Goethe fece un perfetto inchino baciando la mano della donna, dicendo in un italiano approssimativo: “Entrando ho ammirato uno spettacolo inaspettato passando dall’esterno. Un giardino meraviglioso, un ingresso degno di un principe e Voi, mia signora, che saluto e ringrazio per il cortese invito”.
Cornelia fece strada per lo scalone elicoidale fino al suo appartamento, mentre gli ospiti a naso insù osservavano stupefatti gli affreschi che abbellivano gli alti soffitti.
La padrona di casa fece ammirare la collezione di quadri e di mobili, anche se si lamentava che per via dei lasciti testamentari molti quadri erano stati alienati, visitando anche l’enorme biblioteca che occupava il secondo piano di un’intera ala.
Trascorsero l’intera giornata in quella splendida dimora.
Mentre accompagnava Angelica verso la sua casa sul Pincio, Goethe disse: “Quella Nobildonna è veramente straordinaria. Ha un vigore del tutto insospettato. Poi ha una cultura del bello che mi ha ammaliato, ben degno di un principe!”
“Si, Wolfgang, “ continuò Angelica, “come ti avevo preannunciato, è colta e raffinata. L’ho conosciuta appena arrivata a Roma ed abbiamo stretto una cordiale amicizia”.
Giunti dinnanzi al portone si salutarono augurandosi una serena serata.
(parte diciassettesima)